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Figli di un Mondo Ingrato - Realborn

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view post Posted on 11/4/2016, 21:45
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Like a paper airplane


········

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Zephir Luxen Van Rubren
Hyena.
Bambina mia
Io ti amo”.

Come nel lieto fine più classico, nel risponderle, il cavaliere le cinse dapprima un fianco per poi farsi carico del suo corpo e prenderla in braccio, cercando di alleviare la sua stanchezza e il suo dolore. Come nel lieto fine più classico, il cavaliere avrebbe riportato a casa la Principessa, nel suo regale castello, dove ella avrebbe continuato a vivere un'esistenza serena con l'uomo che amava.
Il cattivo era stato sconfitto e finalmente i due amanti potevano vivere felici e contenti.
Il cattivo era stato sconfitto e finalmente...
Il cattivo era...
Chierailcattivo?
Era sempre così, e sempre lo sarebbe stato. Nelle favole, almeno.
Per loro, lo Straniero Senza Amante, l'Angelo Illuso e la Principessa Imprigionata però, per quanto le similitudini possano combaciare, non sarebbe stata la stessa cosa.
No, non per loro.
i Figli di un Mondo Ingrato.


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Senti questo battito ritmico, simile al galoppare di cento cavalli nella prateria?
Senti il senso di libertà immensa che ne scaturisce, la sensazione che con questo suono potresti arrivare ovunque?
È la stessa che prova il falco ad ali spiegate nel vento caldo, quando percorre le steppe guardando appena in basso, mente nel cielo sopra di lui non c’è nemmeno un nuvola e sotto di lui mandrie senza padrone conquistano spazi senza confini.
Senti questo silenzio, che si condensa immenso tra le pause regolari, gravido di qualsiasi verità tu voglia generare, di qualsiasi sogno, di possibilità pronte per essere afferrate. Ti parla di tutto il potere del mondo e di tutta la debolezza, di ogni identità senza divenire definito.
E c'è questo peso, un peso dolce e piacevole, che ti costringe ad immergerti in sensazioni simili e ti suggerisce che non nulla può limitarti. Non il trascorrere dei secondi e non il lento, implacabile avanzare degli anni. Che per te un solo passo di un essere umano potrebbe essere lungo quanto una vita intera o breve come il respiro di una formica.
L’infinitamente piccolo, un granello di sabbia che rotola lungo le dune e si spacca in quattro producendo un rumore assordante per le anime sepolte dopo l’ultima battaglia.
E l’infinitamente grande, una tempesta che frusta le rive del mare mentre le navi tentano invano di ritornare, con quell’odore ferroso che ha lo stesso sapore della morte. Il cielo bruno e gorgogliante come la bocca spalancata di un drago da cui ogni tanto scaturisce un lampo che rende la notte come il giorno.
Senti queste voci che si affannano? Esseri umani che ritengono fondamentali dettagli insignificanti. Creature immortali che si adagiano nella consapevolezza di poter solo ripetere antichi errori. Senti i loro pensieri che riempiono la superficie di un continente con malizia, malevolenza, inganno, egoismo. Con l’inutilità della loro stessa esistenza.
E tu, sopra, accanto, oltre tutti loro. Che puoi permetterti di non esistere. Almeno finchè
una voce si leva più forte delle altre
e ti chiama.
Non sai chi sia, perché lo faccia. Come ci sia riuscita. Non sai come abbia fatto a sfiorare con quelle dita marce la purezza della tua essenza. Ma la senti, il suo potere ridicolo ti provoca appena un brivido, un sasso che increspa lievemente l’acqua dell’oceano. Ma non puoi ignorarla.
Ha sacrificato tutto quello che amava e ti ha chiamato. Non lo sa, naturalmente, mentre si alza in piedi e dal suo ventre un parto fallito cola verso terra. Non lo sa, mentre arranca verso un uomo che non potrà mai amare e si lascia alle spalle l’unico che l’avrebbe potuta rendere
Felice
una persona normale.
Rassegnata al proprio destino, ti chiama. E la sua invocazione è limpida e tagliente come una lama di cristallo, ti penetra dentro, fastidiosa ti viola. Ha sulle labbra le tracce di un bacio che si sta asciugando e dentro il cuore il ricordo di molti corpi diversi.
Non è una persona speciale, non è migliore degli altri. I suoi desideri sono voraci e si attorcigliano l’uno all’altro come lombrichi cavati dalla tana. La paura dell’abbandono e l’imperativo di essere ammirata, la volontà di essere abbracciata e la paura di essere innamorata. Decine di mani intruse ovunque ma nessun volto stampato nella memoria. Se non quello che non potrà mai avere indietro.
La guardi e ti fa schifo al punto che vorresti ritornare alla tua pace. Ma non è più possibile.
La senti? È la consapevolezza dell’inevitabile.
Il battito regolare di un cuore che dolorosamente inizia il proprio percorso. E questo mantice che ti rimbomba nelle orecchi è un respiro. Il tuo. La libertà si assottiglia e ti sfugge dalle palpebre lasciandovi penetrare il primo sole.
Stringi le tue nuove dita e sotto di esse senti minuscoli granelli bollenti che non sei più in grado di ascoltare e di contare. Sotto le ginocchia li senti scivolare per farti spazio in questo mondo.
Questo mondo ingrato.
Che avevi solo contemplato.
La tua saggezza si trasforma in rassegnato orrore. In un remoto senso di giustizia, nel seme contorto della follia. E poi evapora sotto la luce, insieme alla memoria.
Attorno a te tutta la realtà si fa più sfuocata, e i tuoi nuovi occhi la osservano senza davvero riuscire a comprenderla. Le tue nuove mani tastano guance morbide, labbra ancora umide.
Alzi la tesa verso strali di candore.
Un gracchiare rauco interrompe il corso delle cose. È la tua voce.


Mamma…?


Nessuno ti risponde.
Nessuno sa chi sei. Nemmeno tu. Sbatti le palpebre, cercando di afferrare un pensiero che si allontana ai margini di un sogno.


Ti asciughi gli occhi inumiditi dallo smarrimento e dalla solitudine.

Mamma…?!


Ma cosa è una mamma? Non lo sai, però sai che è importante. Sai che ti
ama?
Per questo stai piangendo. Perché sei così. Sola. Così. Abbandonata. Così. Triste.
Lo spazio dentro la tua anima, prima vuoto, si riempie di desiderio. Appuntito, rovente. Un desiderio che è intriso di rabbia. Stringi i piccoli pugni, serri forte gli occhi, strisci sulle ginocchia inesperte pur sapendo che lei non si trova nei paraggi.
E quando ritorni a cercarla con lo sguardo non sei più sola.


Mamma?


Non ne sei sicura. Però sembra morbida. E rosa.
Quella cosa mostra i denti. Cioè sorride. Quello è il primo sorriso che tu abbia visto.
Per questo non riesci ad avere paura mentre lo guardi.




CITAZIONE
Scena autoconclusiva.

 
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