NOTTE QUARTA PELLE ~ ~ ~
Una leggera brezza era arrivata a carezzare la baia di Dorhamat, portando un po’ di sollievo dalla calda giornata. L’umidità avvolgeva la cittadina, rendendo l’aria pesante, attaccandosi alla pelle come resina. Il vento fresco riuscì a scuotere gli abitanti dal torpore pomeridiano, preparandoli ad affrontare la sera, da sempre la parte più produttiva della giornata. In un vicolo, nei pressi del porto, lavorava lei.
Era nota come Pantera, o Boccadimiele, ma il suo vero nome, che in pochi ormai conoscevano, era Carmilla.
Un caschetto di capelli corvini le incorniciava il viso, terminando giusto poco sotto il mento, mettendo in risalto i lineamenti affinati. Gli occhi scuri osservavano con attenzione alcuni fogli, su cui faceva scorrere lentamente un pennino imbevuto d’inchiostro. Ogni tanto interrompeva il movimento della mano, portando la penna tra le labbra piene, dalla sfumatura scarlatta, trattenendola leggermente.
Per tre cose Carmilla era nota a Dorhamat.
Primo. Era figlia di un pirata piuttosto rinomato nell’ambiente; questo potrà sembrare una nota da poco, ma lui non aveva semplicemente scopato sua madre: quando era nata, lui la aveva riconosciuta come sua figlia. Ben diverso rispetto a tutti i bastardi che giravano in città. Poi anche lui era sparito, lasciando figlia e amante al proprio destino. Non diverso da altri tipi di bastardi
Secondo. Era una dei tatuatori migliori presenti nella città. L’unica donna, di certo. Ciò che riusciva a fare con le sue mani era un dono offerto da chissà quale Dio.
Terzo. Anche la sua bocca era un dono di Dio. Non di meno era Boccadimiele, d’altronde.
Campare con quei due soldi era sempre più difficile, ormai. Il giro d’affari andava sempre più ad assottigliarsi, ed era ben consapevole di dove stesse il vero denaro in città. Eppure non riusciva a rinunciare al suo dono, e si sentiva come un’amante gelosa, incapace di arrendersi di fronte a ogni sopruso. La vita di un’artista non è mai granché semplice.
Probabilmente erano trascorse ore da quando era china sui suoi disegni. La pelle delle braccia, nuda, era lucida per l’umidità accumulata nella piccola locanda in cui lavorava, e ogni tanto tamponava la scollatura, per darsi un po’ di sollievo dal caldo. Fu il rumore dei passi a distrarla, finalmente. Sollevò gli occhi, spostandoli verso la porta. Immediatamente le labbra si curvarono in un sorriso seducente, mentre poggiava il braccio sinistro sopra il tavolo, portando l’altra mano sul suo fianco. «Benvenuta, hermosa».
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