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Miserabili coloro su cui piove. Le lastre oblique, le porte vuote, gli scarni costati d’acero e pino che furono carri, che furono banchi, tetti, infissi, adesso li vedi curvarsi allo sferzare del vento. Fa quasi caldo. Ed un’anima sensibile potrebbe ascoltare la strada che geme, sfinita. Miserabili e nere fauci sdentate si schiudono squadrate al suono dei passi, dei piedi nelle pozzanghere, del frusciare piovoso sulle cappe cerate, sui mantelli, miserabili osservano i passanti dalle socchiuse porte vuote.
Coloro su cui piove hanno conoscenza del mondo. E finché i mendicanti restano al coperto, finché i vagabondi spiano innocui, finché le ombre oblique delle lastre grigie non s’allungano sul percorso dei miserabili, allora la via è praticabile. Ci si bagna solo un po’. S’immergono gli stivali sino alla caviglia. Si rallenta, un attimo. Si controlla il respiro, taci, le labbra premute sul cotone sottile che sta sotto al cuoio traforato che sta sotto alla pioggia d’anelli d’acciaio intrecciati, per proteggere il volto. Si lascia il privilegio dell’aria agli occhi solamente. Tuona.
Gli scarni costati d’acero e pino che furono barricate, che furono lance, frecce, scudi, adesso li vedi spezzarsi all’ordine d’avanzata. Cose strane ti fa vedere la pioggia. Ed un’anima sensibile potrebbe scorgere magrissime ombre che, dalle finestre di edifici deserti, fanno come per chiamarti a casa. Come attraverso i campi di Fafnigaard, quando s’avanzava tenendo la linea, miserabili, miserabili io dico, ricordando perfettamente le sequenze opportune da far seguire al comando del decarca, che a spada sguainata indicava alla truppa -che non poteva vederlo- il varco nella barriera nemica.
S’impilano ricordi come mattoni d’un muro crollato.
Desolato, un uomo varca i cancelli di Basiledra. Strane cose, davvero, ti fa vedere la pioggia. Cammina, attento, tutto coperto da un telo cerato del colore che ha il mare quando la corrente ne sommuove i muschi e le alghe. Circospetto. Conosce la direzione. Tuona ancora, e vista dall’alto la strada sembra il letto di marmo di un torrente.
Miserabili le lastre oblique, che sono state pareti, mentre l’acqua ne martella le strisce scure. Questo pensa. E tremendo il sentiero che dovette imboccare, questo pensa, ma non fa nulla. Non importa, in questo momento. Cammina. Scansa le pozze, quando può. Solo. Saturnino.
Scorge l’ombra di un altro tesa nel gesto di spingere col piede un badile nel terreno. Ha dei corpi, accanto, ed un’anima sensibile potrebbe anche lasciar tremare lo scarno costato d’un uomo infreddolito, ma non lo fa. Ha camminato a lungo, l’armatura pesa, il mantello soffoca il respiro; solo fermandosi al cospetto di quell’ombra che pia trascinava i corpi nelle fosse, quasi una visione portata dal vento, l’uomo in armatura iniziò a sentir freddo. Era, forse, arrivato. Il fiato gli si condensa innanzi.
Dovette alzare la voce per farsi sentire, tanto forte la tempesta scuoteva quello scheletro d’una città.
Salute, disse l’uomo in armatura alla donna che stava lì accanto, mentre l’ombra curva aveva abbandonato quel suo triste arnese ed anche lui muoveva due passi bagnati verso colei che, al riparo dalla pioggia, portava il nome di Lena Lauren e, qualche volta, persino lo adoperava.
S’erano già incontrati, loro tre.
Il sibilare del vento che s’incastra nei pertugi della pietra morta, per strada, era quasi simile al bel fischio di una teiera sul fondo di un’osteria. Un’osteria in particolare, in una notte in particolare, dove la vecchia zingara aveva trascinato Sigurth e Njorth, due omoni di quelli che non sanno sentire freddo, senza dar loro particolari spiegazioni. Eppure la donna, anche lei abbastanza a sud da soffrire di nostalgia, già in passato era riuscita a rimediare qualche buon lavoretto a quei due disgraziati e ai loro amici allo sbando. Se non avessero l’abitudine, ad essere poveri, non avrebbero mai dato ascolto ad una fattucchiera di montagna. Erano guerrieri, loro. Erano due fieri fanti delle truppe pesanti del popolo Van, nati nel Vanaheim, oltre le montagne, oltre la foresta, oltre cento fiumi e cento strade ed impercorribili pianure ed un milione di carcasse di stivali consumati dal marciare troppo a tempo e troppo a lungo. Tuona. E quella era una vecchina in una locanda del Dortan, e loro non erano mai stati tanto a sud. Sigurth, alto come sarebbe alto un bue messo su due zampe, sbuffa e guarda di traverso la zingara tutta curva e piccina, la cui sagoma tonda non era dovuta al grasso più che al sovrapporsi di feticci, di amuleti e di un’infinità di spigoli di stoffe d’ogni possibile tonalità del verde. Ghignava maliziosa, ma Njorth, l’altro uomo, credeva fosse una donna buona. Ed aveva ragione.
La fattucchiera si fece seguire sino ad una delle panche, quasi sul fondo, e mentre l’oste riempiva d’acqua bollente due tazze belle lucide, evidentemente nuove, un odore di camomilla ed agrumi serpeggiò sottilissimo lungo l’interezza del locale. Un’anima sensibile avrebbe avvertito l’ospitalità della mercede, il mestiere del locandiere che vizia gli avventori più distinti con bevande saporite per riempire una o due stanze in più. Per comprare alla moglie quella gonna blu tutta sfrangiata che per lei era una cosa bella, e l’oste sorride mentre pensa, nel mescere scorza di limone e margherite secche nell’acqua tiepida, che cosa proprio bella che sarebbe nelle prime balere aperte a primavera, quando verrà, e quella gonna avrebbe davvero volato fra le risa e la brezza salata ed il sudore del ballo sulle gambe che, per un po’, sarebbero state ancora giovani. Njorth sbattè le palpebre ripetutamente. Il puzzo del braciere quasi spento al centro della stanza coprì l’aroma di tisana, tuonò, l’oste voltandosi sovrappensiero prese una tazza troppo calda e scottandosi lasciò che cadesse e Njorth continuava a guardarlo in volto e a pensare a che cosa bella che sarebbe stata sua moglie, che non aveva mai visto, con quella soffice gonna blu tutta sfrangiata mentre seduta d’estate sullo steccato al bordo del fiume lui –ma non era lui!- avrebbe potuto ricordare che bell’odore di agrumi e camomilla ha il sudore di due gambe che hanno danzato tutta la notte in un drappo colorato dall’ombra dei sogni
di qualcun altro.Njorth, che è quell’altro uomo del nord al seguito della zingara, di nuovo sbatte forte le palpebre e si porta una mano al volto. Contratto. Saturnino. Non s’era accorto del discorso fra la vecchina e quell’altra donna, quella seduta al tavolo (quando ci siamo avvicinati al tavolo?) che invano attendeva la sua tisana. L’oste si scusa. Il giovane che siede accanto alla giovane donna (quanti anni avranno?) sembra accettare le sue scuse. Lei si chiama Lena Lauren. Contrariata. Professionale. Non avrebbe pagato per tutti e cinque.
Da quando era tornato nel Dortan, non un singolo evento favorevole aveva allietato il già plumbeo morale di un soldato –parliamo appunto di Njorth- per proprio conto poco incline all’iniziativa. O così credeva. Fatto sta che, per soddisfare i meno informati, il nostro fante di Vanaheim è riuscito a farsi seguire da altri quattro miserabili suoi colleghi ormai privi d’impiego per un’avventurosa ricerca a sud dell’Ystfalda.
Con avventurosa ricerca si intende un goffo ed istintivo tentativo di sopravvivenza onesta.
Poi è entrata in scena la fattucchiera. Poi sono comparsi Lena Lauren e Laurence
Qualcosa. Vabbé, un cognome non ce l’hanno tutti. Poi l’oste ha rovesciato il tè e Njorth ha iniziato a starnutire mentre Sigurth andava via urtando forte contro la sua spalla sinistra e le cose, comunque, continuavano ad accadere. L’importante è mantenere uno sguardo attento. Ignorare l’emicrania.
L’incalzare di eventi che hanno trascinato l’aspro Van’Njorthr Fryjhildson, tutto bardato con l’armatura dei guerrieri-specchio del suo paese, sino ai cancelli di Basiledra, da solo, non è poi molto importante.
L’appuntamento era con Lena e Laurence proprio in quel punto, per quanto non credeva che i suoi compagni l’avrebbero lasciato presentarvisi da solo. La parola va mantenuta, comunque. Nonostante la tempesta. Nonostante quello strano impilarsi di immagini come sottili foglie verdi premute sul muro dal vento troppo forte, che sovrapponendosi mostrano un’infinità di spigoli d’ogni possibile tonalità di verde. Ed un’anima sensibile avrebbe iniziato a preoccuparsi, a studiare una procedura.
Forse era così che si sentiva il decarca, sul campo di battaglia del Fafnigaard (che nel Dortan chiamano Roesfalda), appena prima di gridare l’ordine di carica. In tempo per scansare il fuoco. Quasi in tempo per evitare di aprirsi sul lato destro. Nel momento giusto per sfondare la linea di luce e poi, e poi –
Tuona.
Miserabili coloro su cui piove. Le lastre oblique, le porte vuote, gli scarni costati d’acero e pino che furono carri, che furono banchi, tetti, infissi, solamente adesso li vedi curvarsi allo sferzare del vento. Forse è già successo. Njorth si scusa, rivolgendosi a Lena, di essersi presentato da solo. Restituisce la caparra, senza neppure aver mai contato i soldi. Ignora le sagome nere nelle finestre vuote, oltre la strada. S’affiancano altre due persone, uomini. Lei spiega la situazione, dà l’ordine, dispone le procedure appropriate al raggiungimento dell’obbiettivo. Lo spirito ha finito di seppellire i corpi, sembra.
Calarsi nella voragine. Trovare i bambini. Portarli su.
Non era proprio il caso di estraniarsi in quel momento per pensare all’Erynbaran e ai due bambini tenuti indegnamente distanti da un indegno padre. È un’altra cosa, quella. Sta’ concentrato.
Lei, comunque, sembra una persona intelligente. Sarebbe un buon comandante, forse.
Sono in cinque. Lena, Laurence,
Razor,
Montu. E poi Njorth, ovviamente.
Razor ha l’aspetto di chi nasconde qualcosa. Montu era a Basiledra quando è caduta. Laurence non si fida di Razor, e dice a Njorth di tenerlo d’occhio. L’avrebbe fatto comunque. Montu non sa come possa essere il terreno sul fondo del crepaccio. Sta’ attento, Njorth, figlio di Fryjhild. Razor dice di voler ritrovare i bambini, ed il fante Van inclina un poco la testa in avanti e la ruota di lato appena. Ascolta Montu, un colosso, ma meno grosso e meno stupido di Sigurth, pare. Un’anima sensibile avrebbe avvertito qualcosa di simile alla bontà, nelle sue parole, ma Njorth non l’avvertì.
«Stiamo parlando di salvare dei ragazzini, al denaro ci penserò quando saremo tutti fuori dalla città » furono le parole. « Inoltre... ero a Basiledra quando è caduta e non sono più tornato da allora; credo che questo sia un momento perfetto per farlo » è Montu che parla a Lena. Njorth, che come guerriero Van qualche ferita ai fianchi l’aveva lasciata rimarginare, con la coda dell’occhio segue il sottile profilo di Razor mentre quello si prepara alla discesa, un poco in disparte. Dietro, ancora la stessa spiegazione sul da farsi. È bene ripeterle, le cose importanti. Aspetta. Tuona. Saturnino.
« Sei già stato qui, allora » fa Njorth a Montu, « sai dirci com’è il terreno, sul fondo? »
Eppure questa cosa è già successa.
« Sono passati anni dall'ultima volta che ho messo piede a Basiledra, non so dirti cosa troveremo lì sotto. Ma non so di qualcuno che sia tornato in superficie dopo essere sceso, quindi presumo nulla di piacevole » risponde il colosso.
Potrebbe essere un ottimo alleato, pensa Njorth mentre toglie da un sacco lo scudo tondo e se lo mette a tracolla. Lucido come uno specchio. Speriamo non sia un buon nemico.
« Vorrà dire che ci adatteremo » dice il Van, « sono Njorth, comunque. Della casa di Van. »
« Montu » risponde.
Eppure io queste cose le ho già dette. Le ho già fatte.
Miserabili coloro su cui piove, quasi pronti a scendere più a fondo. A salvare un gruppo di bambini dispersi, forse rapiti. La cosa più nobile che abbia fatto il Van, se fosse stata tutta la verità. Ma ormai è questione di parola data, è questione di senso della coerenza e non di buon senso. Ed è questione di pioggia e di lastre storte e di sguardi obliqui vagamente ostili.
Quel Razor non dovrebbe essere qui.
Passandovi accanto, dirigendosi verso il ciglio del baratro (che ancora non aveva voluto vedere), Njorth scaglia un ultimo sguardo obliquo vagamente ostile al pallido ragazzo incappucciato, con quegli strani occhi gialli. Gli ricorda gli uomini-vipera di Guesgaard, abilissimi con gli esplosivi. Tornano alla mente anche i necromanti di Neirusiens, aspetto vagamente elfico, vagamente antico, corrotto. Perverso. Quel Razor non dovrebbe essere qui, pensa Njort passandovi accanto con occhi di vetro. E lui, intanto, risponde allo sguardo e sembra nervoso, certo, ma eccitato, impaziente. Il suo unico pensiero è scendere, scendere giù e trovare quello che sta cercando.
Sta zitto, ma un’anima sensibile sa ascoltare la voce delle cose silenziose. Come alla taverna, pensa Njorth, mentre uno snello mal di testa incede verso l’alto lungo il collo e si congiunge ad uno snello mal di vivere che intanto stava procedendo verso il basso, lungo la schiena, con lo scopo di causare alle budella un’opportuna contorsione. Come paura. Proprio mentre la prima immagine del
vuoto esplodeva alla vista dell’armigero, che con un sangue freddo più falso di una bufera ad agosto lancia una pietruzza giù nell’abisso. Nessun tonfo. Guarda. Tuona.
Saturnino.
Nero.
L’ombra lo chiama a casa. Lui trasale in segreto. Miserabile, miserabile.
Coraggio, scendi. Va fatto.
« Coraggio » gli dice l’oste, avvicinandolo con una tazza d’acqua calda mentre, da solo, il Van sedeva al tavolo più isolato della taverna. « Torna a casa, adesso. » Le corde si spezzano, o vengono tagliate, mentre il gruppo si sta calando. Del fondo, nessun segno. Tuona, pianissimo, in alto. No, no, no.
A casa? Noatun?
No.
Quale casa, allora? Devo tornare da lei, devo tornare e fingere di fare il padre? Fingere di non essere un miserabile, uno zotico, una scimmia? Non ho famiglia, io.
No, appunto.
Queste cose ce le siamo già dette, credo. Lasciami lavorare, adesso. Lo so che è buio.
Lasciami cadere.
« Eh? Cos’hai detto, amico? » fa l’oste. Confuso. Saturnino.
Niente, davvero.
Niente -
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Van Nort
CS [1] Concentrazione
Corpo [100] sano, nessuna ferita.
Mente [100] concentrato, ricettivo, quasi paranoico.
Energia [100] in forma, operativo.
Abilità impiegate
- [Passiva] Intuito (stratega, Lv1): utilizzata su Lena per farsi un'idea più precisa dell'individuo. Ancora 5 utilizzi.
- [Slot 1][costo nullo] Focus (personale): powerup. +1CS in concentrazione. Usata quando Laurence si raccomanda di tenere d'occhio Razor.
- [Slot 2][costo nullo] Empatia (personale): capto le emozioni di Razor poco prima di scendere nel baratro.
Note
Tutto come organizzato in confronto. Ahhh, quanto mi mancava il pbf.