Una corte di uomini adoranti chiudeva gli occhi dell’anima tappandoli con le illusioni, si batteva il petto e si inchinava davanti ad un falso profeta. Una folla di innocenti si strappava le vesti invocando pietà, offrendo la propria innocenza sul trono dell’ingiustizia per avere salva la vita.
Dove lo aveva già sentito?
E intorno a loro il mondo sfumava nell’oscurità di una notte incapace di rinnovare. Li lavava con lo sputo del disprezzo di un dio che non li aveva davvero amati.
E nelle tenebre, fitte come l'angoscia, gli eroi si perdevano e si avvolgevano l’uno all’altro, in una congiunzione vorace e carnale che nutriva le loro paure. Si toccavano con le mani gelide e desideravano una fine davanti alla quale non doversi arrendere.
Dove era già accaduto?
In una corte che non aveva davvero un nome, nobili senza corona intrecciavano promesse tra i capelli e lasciavano che il loro signore facesse passare l’autunno. Si gettavano nel trascolorare delle stagioni con la fiducia di potersi ingozzare al banchetto altrui senza dover pagare pegno, nell’inconsapevolezza di essere fanciulli nel corpo decrepito di vecchi. E i pochi che potevano intuire tutto fingevano di non sapere, preferivano ridere come tutti gli altri e godere di quella gioia che non conoscevano.
Succedeva ogni giorno.
Lì, davanti a lei
disgustoso
il residuo di un sovrano la fissava cercando un briciolo di alterigia nella polvere di quello che era stato. Poggiata tra le tende c’era la ragnatela delle sue vecchie parole, che forse era stata capace di imprigionare qualcuno.
Tra le sue gambe
l’ombra di un seme che non poteva più versare.
“Parli bene, Erein”.
Fece un passo avanti, chinando gli occhi senza timidezza, lasciando che a parlare fosse il suo sorriso.
In una reggia una donna si piegava davanti a un uomo più forte di lei, che cercava la via più breve per il suo cuore. Sollevava la gonna invitandolo ad essere il suo cavaliere e lui le raccontava delle sabbie calde del deserto in cui aveva intinto le mani.
Ma non lì.
“Ma il tuo servo parla meglio”.
Gli ultimi saranno
gli ultimi.
Ma i primi li si può trascinare nella sabbia per i capelli, finchè non si strappano. Finchè non sanguinano dal naso e dagli occhi. E la lama non trova più carne nella quale affondare.
“Sono qui per farti la pelle”.
Tanto va la gatta al lardo
che ti ammazzerò sgozzandoti come un vitello.
Non pareva armato o pericoloso, ma lei sapeva che le apparenze possono ingannare. Che una stanza piena di accoliti poteva essere pericolosa quanto un cannone. Come sapeva che lui era un grumo di piscio, una macchia essiccata di malevolenza su un lenzuolo bianco da lavare al più presto.
“In parole povere significa che ti ucciderò e libererò questo mondo dalla tua presenza”.
All’alba di un mondo distrutto, un uomo si era levato in piedi, reclamando di essere il migliore. Gridando che anche i cattivi nascevano buoni e avevano diritto a una possibilità.
E altri uomini e donne cattivi gli avevano dato credito per sentirsi migliori. O perché non avevano nulla da perdere. O perché non aveva senso contraddirlo.
E quell’uomo era morto molte volte senza morire mai. Fino a quando qualcuno si era stufato.
Dove aveva sentito quella storia?
Probabilmente da qualcuno che si era pentito dei propri peccati
prima
che lei lo uccidesse.
Sorrise senza malizia. Non aveva fretta: che il re sconfitto si prendesse pure il tempo per congedarsi
bye bye babes ~
Era stato grande, un tempo, un vero nemico degno da affrontare. Ma ormai era solo un relitto a cui spezzare
fantastico ~
tutte le ossa, ascoltandole scricchiolare come il legno secco prima di gettarlo nel fuoco.
“Il mio nome non ha importanza, da morto non potrai comunque ricordarlo”.
Dopo la morte non potrai ricordare proprio nulla.
Da qualche parte, in qualche tempo, una donna aveva scelto un nome anche per lei. E un uomo lo aveva carezzato con i polpastrelli, sotto l’ombelico e nel piccolo cuore dirompente. Quella parola era risuonate fuori da un grembo pieno d’istinto e nessuno l'aveva mai davvero sentita.
E non c’era più nome da cantare.
Qualcosa era esploso, e sangue aspro si era aggrappato per non sfuggire tra due gambe tiepide e tremanti.
Nessuno a cui riferirlo.
Solo tanto male
doloroso
da cancellare.