Aedh Lancaster nel corpo di un vecchio — terra bruciata — — Quindi quel cadavere trascinato, quel vagabondo smozzicato, quel lordo predone... era il celebre Raymond Lancaster di cui parlano tutti quanti? Il drago scuro? M a h. Dicono che fosse tanto d'ispirazione... eppure l'unica cosa che mi ha suscitato è stata un bel conato di vomito, presentandosi così. — Ne so quanto te; per me avrebbe potuto arrivare anche il Re che non perde mai in persona e non l'avrei riconosciuto lo stesso. Ho iniziato a lavorare qui anni dopo il suo esilio, quindi so soltanto che il suo nome era abbastanza per far recitare interminabili encicliche a tutte le balie, e guai a te a nominarlo davanti ai Lancaster! Musi lunghi come quelli di un cavallo. Certo, se voleva attirare l'attenzione c'è riuscito presentandosi con la faccia mezza grattugiata. — Per un attimo ho temuto che cascasse lungo disteso al centro del cortile, lui e la bambina. — E dire che Lord Athelstan aveva quella stramaledettissima sentenza che gli penzolava giù dalle labbra, ormai. Quante probabilità c'erano che suo fratello apparisse in quell'esatto momento a rovinare tutto? — Magari l'ha fatto apposta. — ...questa famiglia, ah.
Aedh veniva spinto lungo il corridoio dalla difforme onda di uno zotico pettegolezzo. Fingeva che le sue membra non fossero scosse dalla tempesta che gli saettava dietro agli occhi e fra le orecchie, lampeggiando su quei dati che ripeteva rumoreggiando fra sé e sé: le stesse guardie dell'altra volta. le chiavi che penzolano alla cintola di quella di destra. raymond. siamo appena passati davanti alla stalla di raab. chiacchierano. di raymond. aria umida. si sta avvicinando un temporale. dietro l'angolo dovremmo incrociare lo stalliere. il pomo nella schiena, ogni trenta secondi. e raymond? sono distratti. fra poco. l'altra volta non mi sono ribellato. siamo già nelle prigioni. raymond, raymond. un colpo al plesso solare coi ceppi. spaccare lo stinco dell'altro. raymond. prendere la spada. raymond. Mentre il cielo che aveva in testa tuonava il nome assordante del figlio, le sue carni si fecero di pietra. La guardia avvicinò l'impugnatura della spada alle sue scapole, come aveva già fatto decine di volte. — Speriamo che ci aprano, almeno. Se pensano che me ne starò fuori a infradiciarmi come un cane abbandonato, allo- Aedh si chinò all'improvviso e si girò su se stesso, costringendo il suo avversario a spendere un secondo di troppo per realizzare ciò che stava accadendo. Sfruttò la rotazione del corpo per schiantargli l'angolo dei ceppi contro il torace, trasformando la sua esclamazione stralunata nello sbuffo di un sacco di farina gettato a terra. La spada tintinnò ai piedi del Lancaster. L'altro riuscì appena a mettere mano alle armi, prima che Aedh gli pestasse un piede sulla tibia. Un sonoro crack. Poi le grida. — Aaaarrgh! Ora doveva solo... anf... — Fermo! La prima guardia gli ruzzolò addosso non appena riuscì a stringere le dita sull'elsa, franando a terra con lui. La lama tintinnò lontana da entrambi. — Prendi quel bastardo, Yorgh! Aagh! L'altro si teneva la gamba, sdraiato su un fianco. Non si sarebbe rialzato. Yorgh era su di lui. — Maledetto... Lo vide stringergli le spalle e si abbassò di nuovo. Quello perse l'equilibrio. L'avrebbe ammazzato con lo stesso trucco. Lo superò con la testa e gli passò sotto un braccio, facendosi piccolo come un topo. Quindi picchiò col gomito contro la sua nuca, spingendolo contro il muro. Un altro sonoro crack. Un primo disgustoso squish. Yorgh si accasciò a terra, con il viso spaccato contro la pietra. — Yorgh! Aedh ansimò. Prese la spada. — No, ti prego, io... Un inquietante stab. Poi il silenzio.La vecchiaia gli accartocciava il petto e giocava a bocce con le sue pupille. Sentì un rivolo di sudore freddo colargli lungo la tempia, e le ossa che aveva urtato nella colluttazione lamentarsi tutte insieme. Barcollò e poggiò una spalla contro la porta di una cella. Le voci dei prigionieri lo raggiunsero da dietro lo schermo del suo ansimare. — Spettacolare, Lord Aedh. Un'esecuzione quasi perfetta. Una vera e propria prodezza, per un uomo della sua età. — Avrebbe dovuto prendere la spada girandosi. Certo, coi ceppi non è facile, ma io ci sarei riuscito. Una volta ho dovuto ammazzare un pugno di elfi che mi avevano attaccato mentre ero imbacuccato nel sacco a dormire, e lì... — Benedetti Vargar, chiunque ci sarebbe riuscito. Quei due non si sarebbero accorti di un gigante nemmeno se gli fosse rotolato davanti al naso, trascinandosi giù tutta la scarpata.
Aedh ci mise cinque secondi a sollevare lo sguardo. Dieci prigionieri lo fissavano da dietro le finestrelle delle loro prigioni, divertiti dal suo fiato affettato.
— Voi siete... i guerrieri Van... I condannati rumoreggiarono con aria compiaciuta. — Ciò che ne è rimasto. — una donna grossa come un orso indicò una cella all'inizio del corridoio. — Quel povero bastardo di Frey ha urlato qualcosa sul non volersi far appendere come un fico dalle mani di un Dortaniano, stanotte, poi lo abbiamo sentito cigolare. — Pensavo... vi avessero già ammazzati. — Curiosamente qui si pensava la stessa cosa di lei, lord Aedh.
Le chiavi della prigione scintillarono dalla cintola della guardia morta. — Ricordate ancora... il vostro giuramento? Quelli spaccarono le labbra in un sorriso, come un branco di lupi che mostra i denti.
Athelstan Lancaster e un blasfemo — terra bruciata —
Raymond Lancaster masticava con poca energia da dietro un piatto di legno con polenta e merluzzo, come se lo avessero obbligato a mangiare contro la sua volontà. Teneva la bocca aperta e schiacciava coi denti cibo e domande della stessa consistenza, facendo tintinnare le posate. Athelstan stava in piedi e gli dava le spalle, all'altro capo di una tavola lunga una decina di metri, con accanto Juniper. Paralizzato dall'incredulità, si stava costruendo una mappa mentale che lo aiutasse a trovare il percorso migliore per instaurare una conversazione con suo fratello. A loro si era unita la cugina Ryellia, che si era scontrata con quel silenzio come avrebbe fatto con un muro di mattoni. A intervalli regolari ciascuno di loro prendeva il fiato per parlare, perdeva il coraggio di farlo e alimentava quella cappa di sconfortante mutismo. Sebbene fossero solamente in quattro, la sala comune sembrava piena da scoppiare. Il camino acceso lanciava ombre gonfie di cenere sui loro visi, crepitando minaccioso e spazientito. Fu maestro Willem a spezzare la quiete, falciandola con il tonfo sordo delle porte che sbattevano. — Le condizioni della bambina sono stabili... — disse in un sospiro, rimanendo sull'uscio. — ...ma non ho idea di che cosa la affligga. È come se la sua mente fosse intrappolata in un incubo che le impedisce di svegliarsi. Raymond poggiò le posate e si pulì le labbra, evitando accuratamente di toccare la metà del viso spaccata. Persino il contatto con un tovagliolo gli doleva terribilmente. — Allora non ha senso che io rimanga. Grazie comunque, maestro Willem. Athelstan trovo il coraggio di scivolare su quella conversazione, ma non quello di guardare negli occhi il fratello. — Raymond. — strinse rumorosamente le dita tra loro. — Chi è quella bambina? Quello si stava già alzando. — La figlia del mio migliore amico. È una storia lunga. Fu Juniper la successiva a precipitare nel discorso. — Beh, a noi piacerebbe sentirla! Dove sei stato fino a oggi? Qui tutti ti credevamo... morto. — A me non fa piacere raccontarla. — Raymond, per favore... Un sospiro stanco strisciò a terra. — ...l'ho conosciuta a Lithien. È lì che mi sono rifugiato per un po' di tempo, sebbene le circostanze mi impediscano di tornarci. Questo era il luogo più vicino dove conoscessi un guaritore. — la luce del camino rivelò il suo corpo grigio, magro e consumato, appena nascosto da una maglia di lino. Sembrava uno spaventapasseri. — Non sono tornato per una visita di piacere. — Ma le tue ferite... La voce di Raymond si ispessì. — Adesso ti preoccupi per me, fratello? — Ray... — Voglio tranquillizzarti. Senza alcun preavviso, il drago nero prese i lembi della blusa e iniziò a togliersela. Le cicatrici che coprivano Raymond erano più di cento, di tutte le forme e dimensioni. A partire dalla faccia strappata, le braccia mostravano i segni di quattro fratture scomposte e le mani erano inquinate dal nero della cancrena. La spalla sinistra sembrava essersi aperta ed essere stata ricucita più volte. Un'intera fetta di ventre mancava, come il fianco di una montagna franata. Due costole fuoriuscivano da sotto l'ascella destra, come minacciose corna mostruose che avevano scavato e graffiato nel suo braccio, a furia di scontrarcisi. I tendini del collo erano strappati e penzolavano da una ferita non rimarginata. Il torace era difforme, ricoperto di crateri come la superficie della luna. Era stato il veleno dei ragni di Shahryar a provocargli la maggior parte di quelle ferite, sciogliendo la sua carne e facendola marcire per tutti i tre giorni che avevano seguito il loro combattimento. Nessuno avrebbe potuto sopravvivere a un tale decadimento. Eppure Raymond sembrava più vivo che mai. Juniper e Willem si portarono le mani alle labbra, sconcertati. Lui indicò una grossa cicatrice all'altezza del cuore, provocata da una vecchia ferita che doveva averlo trapassato fino alla schiena. — Questo è il segno che mi hai lasciato tu. Reindossò la maglia con lentezza magistrale. — Niente di tutto il resto è colpa tua. Non direttamente, almeno. Athelstan si irrigidì e il fuoco del camino sembrò crepitare con più vigore, esplodendo fra le sue giustificazioni. — È stato Aedh a dare l'ordine di ucciderti. Non sono stato io a volerlo. — Ciò nonostante, immagino che la sua sedia sia la più comoda su cui tu abbia poggiato le chiappe. Lo scranno gemeva vuoto a meno di un metro di distanza da Athelstan. — Io ho soltanto obbedito a ciò che mi era stato chiesto, Raymond! E come ti dissi quel giorno, non fui felice di farlo. — E io ho disobbedito, come sempre! Nemmeno la morte è riuscita a strapparmi da questa atroce famiglia, che si inventerebbe qualsiasi stronzata pur di giustificare le sue azioni! — Raymond picchiò un pugno sul tavolo. — Se pensi che sia venuto qui per sentire altre cazzate uscire dalla tua bocca allora sbagli di grosso, Stan. Juniper saltava con lo sguardo da uno all'altro, e con la mente cercava un modo per evitare che i due si scontrassero. Non era così che aveva immaginato una loro ipotetica rimpatriata. Non fra le urla, le giustificazioni e il risentimento. Ancora li immaginava come quando erano bambini, a nascondersi fra le camere di Terra Grigia e sfuggire alla voce imperiosa di Aedh, per farsi leggere favole sui draghi e sognare il giorno del matrimonio fra lei e Athelstan. Le cose erano cambiate, ma nei suoi ricordi erano ancora legati, amici, fratelli che vivevano avventure di fantasia, nascondendosi nel letame di drago. Le uniche occasioni in cui li vedeva scontrarsi erano quelle in cui impugnavano le loro spade giocattolo e se le davano di santa ragione, ridendo come bambini. ...le spade! Il giorno del banchetto di fuoco, Athelstan gliele aveva mostrate. Erano nascoste in un barile nel cortile, nell'angolo a ovest. Se le avessero viste, forse... — Scusatemi! Juniper interrompe la discussione dei due fratelli con un sorriso e senza spiegazioni. Fece un inchino e corse fuori dalla sala, tenendo la gonna alta per non inciampare. Delle duecentottanta persone arrabbiate, nel cortile ne era rimasto solo un pugno confuso. Sei erano entrate nel castello, nove erano rimaste ferme, e le altre duecentosessantacinque si erano allontanate al primo gorgogliare delle nubi, tremendamente offese. Non che Celio e Chandler non lo fossero. A interrompere il loro battibecco fu Stig. Un viandante dalle fattezze draconiche che si era ritrovato a Terra Grigia quasi per caso, come tappa per il suo viaggio verso nord. — Ma quello chi era? In ritardo sugli avvenimenti, forse, ma perfettamente in orario per attirare l'attenzione dei due litiganti. Rispose Lord Chandler: — Come, chi era? Raymond Lancaster, il secondogenito di Aedh! Il Lord è stato condannato anche per il suo assassinio: è stato proprio Athelstan a muovere la mano che l'ha ucciso! E Celio, dietro di lui: — Solo che apparentemente non è così morto come si diceva. L'arrivo di Raymond aveva calamitato l'attenzione di tutti, che lo conoscessero o meno, lasciando serpeggiare dubbi e curiosità. Alcuni provarono addirittura una naturale simpatia verso il suo portamento chino, figlia di comprensione e pietà. Soltanto uno, però, si sentì più legato ad Aedh che al figlio. Njorth, il rappresentante dei guerrieri Van che avrebbero dovuto processare in seguito, aveva scagliato al drago nero lo stesso sguardo del padre, persino accennando con le labbra le medesime parole. Si era interrotto subito, ma quell'inspiegabile sensazione di odio profondo non l'aveva abbandonato, mutando in una rabbia senza obiettivo che lo rese inquieto. Il cielo rombava sopra di lui quanto dentro di lui, lampeggiando follie che si affacciavano sulla sua mente irata: quanto sarebbe stato pericoloso andare a liberare i suoi fratelli? Lo avrebbero notato, impegnati com'erano a risolvere i loro drammi familiari? La figura dell'alchimista balenò ai suoi occhi. Quello l'avrebbe notato di sicuro. Ma se l'avesse ucciso lì, davanti agli altri, come un animale, quanti avrebbero avuto il coraggio di fermarlo? Aveva già sollevato le braccia, quando si accorse dell'atrocità dei suoi pensieri. La follia di Aedh si era impadronita di lui, germogliando su quella parte di sangue che discendeva dall'Oneiron e coltivando quella rabbia. Chiuse le dita rincagnate e tornò in se stesso, mentre Ryellia Lancaster lasciava il gruppo e si dirigeva nella sala comune, dove sarebbe stata accolta dal silenzio. Raggiunse il bersaglio del suo odio, che sembrava attendere con pazienza quel momento. — Njorthr Fryjhildson, della casa di Van. — il guerriero in qualche modo non era nuovo a Verel, che ne percepì l'ostilità e si mise ritto come un fuso. — Vorrei sapere, se mi è permesso, dove sono le altre guardie di Lord Aedh. Nelle segrete ne ho trovate meno di venti... — Per quanto ne so io, molti di loro sono stati perdonati e rilasciati. Solo i più sanguinari e quelli che si ostinano a difendere Aedh sono ancora nelle segrete. — fu la risposta sostenuta. — Se ce ne sono altri, certamente Maestro Willem o Lord Athelstan lo sapranno. Ma ora è meglio attendere che finiscano la loro riunione di famiglia, immagino. Aspetterete qui? Sapeva bene chi fosse Njorth, ma non sapeva come trattarlo. Optò per un approccio educato e cortese, com'era sua abitudine. — Mi sono scordato di presentarmi, perdonatemi. Verel Orlànd è il mio nome, possibile futuro alchimista della casa. Un respiro profondo. — Sì, aspetterò. Un volto contratto.
A poca distanza da loro si trovava Alexander Chorster Uradel, il cavaliere che era intervenuto durante il processo. L'interruzione del processo l'aveva lasciato smarrito, e il biondo Van aveva raggiunto Verel prima che ci riuscisse lui, frapponendosi fra la sua occhiata severa e l'alchimista. Nel suo occhio sano - l'altro era di vetro - imperversava una tempesta di rabbia repressa, di certo dovuta a quella lunga serie di sfortunati eventi. Quando parlò lo fece con la lingua del nord, per provocare il mercenario. — Constato, con una certa sorpresa, che i codardi portano ancora l'ascia e lo scudo. — Uradel. — replicò granitico l'altro, ricordando la presentazione fatta durante il processo. — Conoscevo un Uradel, un tempo. — conoscevo. un tempo. — ...capaci solo a sgranare rosari e mungere vacche. — Uradel minori, allora. — per entrambi quella era l'occasione di sfogare la rabbia temporalesca che andavano maturando, e nonostante Alexander avesse abbandonato la famiglia in tenera età, non avrebbe lasciato che altri ne infangassero il nome. — Altrimenti conosceresti la nostra abilità con la lama. E così dicendo portò la mano all'elsa, tenendosi pronto a reagire. — L'hanno conosciuta le scapole Ludwig Uradel, da quanto mi è stato detto. — pausa ad effetto. Un leggero incupirsi. Il cielo che mormora e manda qualche goccia. — Condividemmo dell'idromele. Ho visitato la sua tomba sei mesi fa. Mi hanno detto che è stato un suo cugino, magari lo conosci. — Ludwig Uradel era un grande cavaliere. — un Cavaliere d'Alabastro. Maestro di scherma di Alexander. — La sua morte mi ha molto addolorato. — Cosa porta un cavaliere anahmid a Terra Grigia? ...oltre a ripetere le solite vecchie accuse, intendo. — I miei affari non ti riguardano. E non sono accuse infondate, tu lo sai bene. Avevamo bisogno di voi! Se non fosse stato per... — Hai ragione, i tuoi affari non mi riguardano. Ed è vero, avevate bisogno di noi. Sarebbe bastato un corriere con una lettera sigillata per farci risalire le montagne dall'Ystfalda, e la stessa cosa avrebbero fatto i Van in Roesfalda. Noatun vi avrebbe mandato un esercito intero da nord... — cazzate. — ...se solo avesse voluto. — Le vostre erano futili motivazioni, Van. Hai altre domande? — Nessuna domanda.
Strana cosa come fra due caratteri così lunatici possa nascere un legame. Un filo bagnato in un catrame rancoroso, che tesse la trama di una guerra contro i barbari fatta di onore, sangue, promesse infrante e miseri risultati. Njorth e Alexander si incontrarono proprio a metà, dove stavano in equilibrio i se e gli avrei dovuto, a piegare la corda dei ricordi senza spezzarla. Poco distante da loro c'era Odette, una bambina che stava nel cortile come un attizzatoio in una rastrelliera di spade, ma che nascondeva molto più di quanto non suggerisse lo sguardo. Si era presentata come la figlia di Ryellia, ma anche questa era una bugia. Nessuno dei presenti poteva immaginare la sua natura vampiresca, né che fosse l'unica ad aver combattuto fianco a fianco con Raymond Lancaster nell'Oneiron. In effetti, aveva più diritto di molti di loro di essere lì, ma esercitò tale privilegio col solo scopo di agitare il proprio divertimento: — Perchè siete vestito come un arlecchino, monsieur Uradel? La proverbiale goccia che fa traboccare il vaso, o spezzare il filo, in questo caso. — LO VUOI SAPERE? — con un movimento sinuoso, Alexander estrasse una lama incrostata di fango e sangue. — SONO STANCO DI QUESTE DOMANDE. Ma fu solo un momento. Il cielo tuonò in lontananza. Tutto il cortile si paralizzò. Un rantolo passò attraverso l'elmo del cavaliere. Poi la spada venne rinfoderata. — Perdonatemi, sono solo stanco per il viaggio. Odette non si lasciò sfuggire l'occasione di recitare la sua parte, e finse di scoppiare a piangere. — Non sei un cavaliere, loro non fanno queste cose! — piagnucolò precipitandosi da Verel. — Sei solo un brigante che deruba gli altri di ciò che non vi appartiene! — Ora basta, stai buona, per Dio! — sbuffò l'alchimista, provato da tutta quella confusione. — Perdonatela, Ser Uradel. È solo una bambina spaventata e quasi certamente sperduta. Non badate a lei. — Se la piccola vuole morire, dovresti rispettare il suo desiderio! — intervenne l'ennesima figura. Raell, un altro vampiro; una razza che, evidentemente, traeva godimento dal divertirsi alle spalle altrui. — Ser, non siate un imbecille, vi prego. È solo una bambina. — Difendevo solo il libero arbitrio altrui, mio giovane amico.
A spezzare quel delirio una volta per tutte fu un lampo e il successivo tuono. Piccole gocce d'acqua iniziarono a cadere a terra, una dopo l'altra, spingendo Stig - che per primo era intervenuto e per ultimo l'avrebbe fatto - a rivolgersi a Celio. — Sono pienamente d'accordo con te. È meglio ignorarli, che si ammazzino tra loro e siano gli Dei a giudicare. — E allora andiamocene da questo indegno castello! La Roesfalda non ha bisogno di nessuno che la comandi, e men che meno di una famiglia di pazzi. Racconteremo ciò che è successo, e seguiremo l'esempio di Ladeca. Lì sì che hanno dato un grande esempio di civiltà, porcaccia zozza laida e ladra! — Ma sì, certo, come a Ladeca. Perché va alla grande, Ladeca. Athelstan è una persona di senno e non gli negherò il mio consenso, a costo di farmi forza nella sala comune.
Il gruppo si divise. Alexander, Stig e Raell abbandonarono il cortile con Celio e decisero di accompagnarlo, almeno fino alla locanda più vicina. Verel, Odette, Njorth e Montu - che fino a quel momento era rimasto in silenzio - si misero con Lord Chandler, invece, a bussare alle porte del castello. Quando Juniper arrivò nel cortile, fu accolta dall'espressione furibonda di suo padre e dalla lenta pioggia che prevede un acquazzone. — Juniper! Figliola! Come stai? — iniziò Lord Chandler, correggendosi immediatamente. — Qui fuori se ne sono andati tutti ed è il delirio. Fra poco arriverà un temporale! Cosa state aspettando a farci entrare nella sala comune? — Padre... — La ragazza si era completamente dimenticata della sua esistenza. — Mi dispiace... l'arrivo di Raymond ha sconvolto tutti quanti. Entrate pure... Athelstan sarà felice di ricevervi. Vi raggiungerò subito. Il borbottio di Lord Chandler riecheggiò per il corridoio, insieme al suono dei suoi passi: non si tratta... futuro suocero... ma io... ah, cosa non si fa... oltraggio...
Juniper rimase sola nel cortile. Scese le scale a passi brevi, e la pioggia iniziò a bagnarle il capo. Non le importava. Bagnò le costose scarpe nel fango. Non le importava. Raggiunse il barile nell'angolo ovest e lo aprì. Le spade giocattolo erano ancora lì. Le prese tra le mani, riempiendosi di tenerezza nello scoprirle lunghe appena quanto il suo avambraccio. Era sicura che quelle avrebbero fatto riappacificare i fratelli. Sarebbe stato sufficiente ricordare loro quanto erano legati da bambini. Di sicuro. E tutto sarebbe tornato alla normalità. Lei e Athelstan si sarebbero sposati, e Raymond e Ryellia sarebbero stati i loro testimoni. A un anno da quel giorno ne avrebbero parlato ridendo davanti a una tazza di tè, spettegolando sul nome da dare ai figli in arrivo, e la Roesfalda sarebbe divenuta il territorio più ricco del Dortan. Ne era certa.
plic. plic. plic.
Il rumore della pioggia le impedì di distinguere il suono dei passi, finché non li sentì proprio dietro di sé. Voltandosi vide una ragazza poco più giovane di lei, o almeno così credette. Aveva gli occhi privi di iride, dalla sclera completamente nera. Era asciutta come se la pioggia evaporasse al contatto con la sua pelle. I capelli avevano il colore del fuoco, ed erano venati da una sfumatura bianca come la neve. Il cielo tuonò. Juniper rabbrividì. Era paralizzata da un terrore che non aveva mai provato in vita sua. Un lampo illuminò le labbra della sconosciuta. Le parole divorarono la tempesta. — principessa, non aver paura. questa è la casa dei lancaster, vero? —
— sto cercando mia nipote. l'hai vista? —
— Non conosco la Roesfalda bene quanto il Nord. Sono certo che anche qui vi siano delle falle in alcuni sistemi, ma le Vostre proposte non porterebbero il Dortan ad una sorta di guerra civile? Le rivoluzioni spesso sono violente e devono poi essere sedate dai militari. — Ma le rivoluzioni a volte sono necessarie, mio caro. Questa è una triste e scomoda verità, non crede? — Triste e scomoda verità, sì. Per gli innocenti che muoiono nelle piazze e davanti ai palazzi. Lei ha mai combattuto una guerra, Messer Celio? Si è mai ritrovato in mano il cranio sfasciato di un compagno d'arme che Ha provato a difendere con ogni briciola di energia, ogni respiro, ogni muscolo del corpo? Mi creda: non vorrebbe vedere alcuna rivoluzione. — Uh, io... credo che rifletterò in silenzio, ora. — Il punto non è neppure questo. Vedete, se quelle morti poi servissero veramente a cambiare qualcosa allora potremmo pure considerarlo un sacrificio necessario. Ma le rivoluzioni sono fatte dagli uomini e gli uomini vogliono più o meno tutti la stessa cosa. Non ho mai visto una rivoluzione portare beneficio al popolo, è questa la triste e scomoda verità. Purtroppo così va il mondo; non lo cambierò io e di certo non lo cambierete voi. E se qualcuno afferma il contrario, beh, quella persona è uno sprovveduto o un truffatore. — E che cos'è che vorrebbero gli uomini, secondo lei, mio caro? — Soldi? Potere? Non sto dicendo che non esistano uomini dediti a nobili ideali; dico solo che alla fine dei conti a guadagnare da questi bagni di sangue è sempre qualche bastardo. — Ehi, io ho sempre condotto affari onesti! Credo solo che tutti gli abitanti della Roesfalda potrebbero guadagnare qualcosa in più da un'amministrazione meno insolente, ecco. — Non volevo certo giudicare un caso concreto... volevo solo far notare che la maggior parte delle volte in cui qualcuno ha promesso cose simili, poi il popolo ne ha sempre sofferto. A dispetto delle mie parole io sarei il primo a desiderare che tutto questo cambi, solo non credo che una rivoluzione possa essere utile nel lungo periodo. Sostituire un male a un altro non serve a nulla. — Ma certo, io non è che... Non è che volessi proprio una rivoluzione. Solo un comune piccolo, indipendente... poi magari gli altri si adegueranno e lo imiteranno. Non è che non possano rifiutare la protezione dei Lancaster, in fondo. In tutta onestà la Terra dei Fiumi non mi sembra così pericolosa da dover avere un cane da guardia così egocentrico, ecco.
Celio, Alexander, Stig e Raell avevano preso quattro cavalli - gentilmente offerti dalle ricchezze del borghese - e si trovavano ormai a mezz'ora di trotto dal castello, la cui ombra troneggiava sul paesaggio in lontananza. La pioggia era iniziata a cadere da qualche minuto, cogliendoli impreparati, dunque decisero di fare una piccola deviazione. La strada principale li avrebbe lasciati scoperti alle intemperie e agli attacchi dei banditi, ma Celio conosceva un percorso che correva al margine tra i campi e le foreste, leggermente più riparato. Non erano stati gli unici, però, ad aver avuto questa idea.
Mentre procedevano in silenzio, li raggiunse il suono crepitante di un falò e la voce preoccupata di un uomo. — È sicuro che quel coso non ci attaccherà tutti, lord Aedh? Dalla foresta proveniva la luce intermittente di un bivacco. Celio e il gruppo si fermarono.
— Non è che mi senta proprio sicuro con una bestia del genere ad annusare quello che c'è nel mio piatto mentre sto mangiando. — il guerriero Van allontanò la ciotola il più possibile da Raab, che sonnecchiava accanto ad Aedh. — Anche se Sigurth dice che non sono così pericolosi come sembra, ecco. — Ehi, io non ho detto proprio niente. — L'altro Sigurth. — Raab è perfettamente ammaestrato. — la voce di Aedh era un lampo d'autorità nella loro caoticità mercenaria. — E avevo bisogno di una garanzia più credibile delle vostre parole. — Ah... così ci offende, lord Aedh. — intervenne un altro, gettando un fascio di rami umidi nel falò, che alzò un sacco di fumo. — Quando un Van presta giuramento, non è così cane da mancargli di parola. — Vi ho già liberati dal giuramento. Ho solo bisogno che mi facciate compagnia fino al confine, poi potrete tornarvene da dove siete venuti. Mi avete servito bene. — Ma Lord Aedh, una curiosità... — intervenne Suthri, meno intimorito dagli altri dal drago serpente, e più curioso. — Se non ci teneva a morire, perché non è scappato la prima volta? Ha rischiato grosso, ad aspettare fino al giorno del processo. Abbiamo rischiato tutti. — Le cose sono cambiate. —
— Non posso morire lasciando quel mostro di mio figlio in vita. — Il Rosso e Sigis parlarono masticando, per nulla spaventati dal tono funereo del Lancaster. — Ah... Raymond, giusto? Ma non l'aveva già fatto uccidere una volta? — E che cos'ha mai fatto di così terribile? Ascolti me: lo lasci perdere e si faccia una nuova vita. Non è mai troppo tardi per ricominciare. — Non posso.
Ci fu un lungo silenzio, scandito dal crepitio della fiamma. Quindi Lord Aedh continuò. Forse furono i vestiti da straccione, o la pioggia, o la fuga, o la compagnia mercenaria a metterlo nella condizione di rivelare, per la prima volta nella sua vita, quel segreto. Nessuno al mondo era a conoscenza di ciò che stava per raccontare: una storia che aveva tenuto dentro di sé per trentatré anni della sua lunga vita.
— Pochi giorni prima della nascita di Raymond, feci un sogno. Terra Grigia, la mia casa, consumata dalla fiamme, e io incapace di spegnerle. Il fuoco ne lambiva la pietra, divorandone gli arazzi e facendone crollare tutte le stanze, fino a lasciarne una montagna di cenere. Feci quell'incubo sette volte in sette notti. Ne parlai persino a maestro Willem, che tuttavia si limitò a consigliarmi l'utilizzo della valeriana per garantirmi un sonno più tranquillo. L'ottava notte il sogno arrivò come al solito. Io cercavo di spegnere le fiamme, ma ero costretto a fuggire per non rimanerne divorato, e i miei vestiti bruciavano nel tentativo. Solo che quella notte mi raggiunse una seconda visione. Zoikar. Il Daimon mi si presentò come un colossale uomo triclope, avvolto in un mantello nero. Ricordo perfettamente le sue parole: "il figlio nel grembo di Eveline è la causa di tutto questo." disse. "la prima vittima che cadrà per colpa sua sarà l'anima innocente della tua adorata moglie. dopo molti anni egli tornerà a reclamare la sua casa e la tua vita. infine si prenderà quella di tutta Theras."
"devi fermarlo."
All'inizio non voletti credere a quelle parole. Poi, poche ore dopo la nascita di Raymond, Eveline morì a causa delle complicazioni del parto.
— Santa merda! — lo interruppe Vinello. — Io avrei ammazzato il piccolo nella culla. — Non dire scemenze, Vinello! È pur sempre un lord, e...
— È esattamente ciò che ho fatto. — un inquietante momento di silenzio, mentre Aedh prendeva un sorso della sua zuppa. — Ho raggiunto il neonato in fasce e ho trapassato il suo corpo da parte a parte con una daga, come mi aveva chiesto Zoikar.
Quello non è morto.
Allora l'ho soffocato con un cuscino, solo per vederlo risvegliarsi qualche minuto dopo. Gli ho schiacciato la testa, aperto il ventre e svuotato le budella, ma non appena uscivo dalla stanza venivo raggiunto dal suo pianto disperato. Neppure la morte l'ha mai voluto con sé. Così lo esiliai, molti anni più tardi, non appena ebbi la scusa di allontanarlo. Iniziai a pensare che forse non poteva morire per mano mia, e a Basiledra costrinsi Athelstan a combatterlo. Mi ero convinto che il fratello fosse riuscito a eliminarlo... fino a oggi.
Seguì un intero minuto di silenzio. Celio si rivolse al suo seguito. Avevano sentito tutto. — Che facciamo, ora? |