Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Energia arcana 0 - il folle

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miky1992
view post Posted on 1/8/2016, 14:10




Energia Arcana 0 - Il Folle




Taanach, partenza.



-Bando agli indugi signori miei, si parte!
Keila non sembrava amare i lunghi discorsi, ne sembrava la persona più indicata per finanziare e sopratutto condurre una spedizione all'interno della giungla. Certo a una prima vista la donna non appariva come la solita nobildonna pomposa, ugualmente più d'uno tra i reclutati si stava chiedendo se la donna avesse mai effettivamente lasciato Taanach. Però da quando il sultanato aveva drasticamente ridotto i finanziamenti per quel tipo di spedizioni i privati erano diventati gli unici veri motori per degli esploratori desiderosi di riscoprire ciò che la giungla aveva conquistato.
La donna poi da come si comportava non sembrava una stupida nobile annoiata, aveva pagato di tasca sua viveri ed equipaggiamento e questo non lasciava dubbi sulla sua ricchezza, eppure era dotata di una certa praticità che aveva dimostrato nell'allestire i preparativi fino a quel momento.
Nonostante questo però trovare uomini e nani decisi a seguire una donna alla cieca non era stato affatto semplice; i primi membri della spedizione erano arrivati a grattare letteralmente il fondo del barile, dovendo fidarsi della gentaglia dei bassi fondi di Qashra e Taanach.
Nonostante questo la spedizione composta da una quindicina di clienti riuscì a partire.





Plaakar; giorno ventiquattro.



Jhaar il medico appoggiò indice e medio sul polso del malato. Scosse la testa e fece mente locale sulle condizioni del malato. Il cuore batteva velocemente, la fronte imperlata di sudore bruciava, il paziente tremava e il respiro roco era sempre più irregolare.
Non avrebbe superato la notte, con ogni probabilità non l'avrebbe nemmeno raggiunta.
Jhaar scosse la testa, posò una pezza imbevuta d'acqua fredda sulla fronte del malato e gli somministrò un sedativo. Come medico era tutto ciò che poteva fare per lui. Sospirò e scosse la testa. Era frustrante, aveva già perso cinque persone così.
Uscito dalla tenda Jhaar notò che gli altri esploratori avevano già cominciato a smontare il campo base, qualcuno si era pure preso la briga di scavare una fossa della misura adatta.

Le previsioni del medico si rivelarono esatte. Il malato ebbe la decenza di tirare le cuoia poco prima che gli uomini finissero di smontare il campo base e così poterono riempire la fossa e riprendere l'esplorazione senza perdere tempo. Non c'erano sacerdoti nella spedizione e così uno dei nani improvvisò un breve discorso, giusto per far piacere agli Dei.
Quella spedizione si era rivelata un vero e proprio fallimento, era come se la malasorte si fosse accanita contro di loro, con impegno per giunta. Eppure i primi giorni avevano fatto ben sperare agli uomini, le piste aperte dalle precedenti esplorazioni non erano ancora state riconquistate del tutto dalla foresta ed erano riusciti a penetrare in profondità senza incontrare nessun particolare intoppo.
La prima battuta d'arresto arrivò dopo il quindicesimo giorno. La spedizione si era ritrovata a dover affrontare la giungla in tutte le sue insidie e nell'aprirsi un varco avevano dovuto pagare pegno per il loro passaggio. Il vero problema non erano gli animali, benché tutti potessero udire soprattutto di notte i loro versi e il loro muoversi tra il fitto della giungla attorno al campo, non avevano mai subito alcun attacco da parte loro. In realtà in un'occasione alcuni animali simili a grandi scimmie, munite di una lunga coda terminante con un accenno di falangi artigliate avevano tentato di rubare le scorte di cibo. Gli uomini erano stati colti di sorpresa perché quelle bestiacce avevano attaccato dal cielo; attraverso la coda si erano calate dalla cima degli alberi eludendo le sentinelle e arrivando vicine a infliggere un duro colpo, forse fatale alla spedizione. Con grande stupore degli uomini era stata Keila a salvare le scorte, la donna aveva corso per tutto il campo con in mano due torce come una pazza e aveva colpito un paio di quelle bestiacce proprio prima che queste riuscissero nel loro intento.
Allontanate quelle bestiacce tutti credettero che il peggio fosse passato, ma poi il primo di loro si era ammalato. Probabilmente l'idiota aveva pensato bene di abbeverarsi a una pozza, o semplicemente aveva avuto sfortuna. Fatto sta che dopo di lui altri quattro si erano ammalati ed erano tutti morti. Jhaar aveva provveduto a bruciare gli oggetti personali dei malati, ma in quelle condizioni era impossibile arginare la malattia.

-Che fine disgustosa.
Il nano fece spallucce e cercò di accendersi una sigaretta lottando contro l'umidità della giungla. -Meglio lui che io.
-Già, ma secondo te quanto ci vorrà prima che tocchi a me o a te? Disse l'uomo.
Il nano bestemmiò e gettò la sigaretta. -Sono i rischi del mestiere, ci pagano bene anche per questo. Gli abbiamo scavato una fossa, abbiamo perso abbastanza tempo per onorarlo, forse lui non avrebbe avuto la stessa cura per noi.
-Ma si fotta quel coglione! Urlò. Il volto paonazzo, le mani strette a pugno. -Abbiamo perso cinque uomini, chissà quanti di noi sono contagiati. Magari lo siamo tutti, magari tra qualche giorno saremo tutti immobilizzati dalla febbre. Rimase in silenzio per lasciare che il proprio sfogo facesse presa sugli altri seduti in cerchio accanto a lui.
-Conosci anche tu i rischi del mestiere, se non avevi le palle per affrontarli non dovevi venire.
L'uomo si riscosse e fece spallucce. Evidentemente quelle parole lo avevano punto nell'orgoglio. -Non è questo il punto. Disse a bassa voce. -Conosco bene i rischi, ma questo è diverso... abbiamo pochi uomini, ne abbiamo persi alcuni ancora prima di arrivare e quando saremo in pochi per respingere le bestie feroci cosa ne sarà di noi? Cosa succederà quando la febbre ci colpirà e qualche maledetto animale deciderà che è giunto il momento di variare il menù?
-Se avete problemi dovreste rivolgervi a me.
Tutti si voltarono verso Keila. La donna che fino a quel momento se ne era rimasta in disparte ad ascoltare le lamentele degli altri si era finalmente decisa a parlare. -Vi ho già spiegato che il luogo da raggiungere si trova molto in profondità, nel cuore della giungla. Si tratta di una zona inesplorata, pensavate si trattasse di un'allegra scampagnata?
-Non prendermi per il culo! Siamo troppo pochi per quest'impresa, dovevi saperlo quando ci hai reclutato che non saremmo bastati, siamo male equipaggiati e abbiamo pochi viveri! L'uomo squadrò uno a uno tutti i membri della spedizione. -La sfortuna ci perseguita! Non siamo riusciti a cacciare nulla, non abbiamo visto nemmeno una misera impronta! È chiaro che questa spedizione è sciagurata, la malasorte ci affligge!
-Ti conviene continuare ad avanzare invece di blaterare di simili sciocchezze. Io dico che non vali la metà di quello che dici, che non sei capace di cacciare e questa sarà di sicuro la prima volta che metti il culo fuori dalla città. Quindi basta lagnarsi e tornate al lavoro!

Quella notte la spedizione perse tutti i suoi membri a eccezione di qualche temerario, del medico e Keila. Non era stata la malattia, ne gli animali feroci a portarli via; infatti dopo una rapida ispezione coloro che erano rimasti poterono scoprire che tutti gli oggetti di valore (eccezion fatta per gli oggetti personali dei vostri PG ovviamente) e quasi tutte le provviste erano scomparse.
-bastardi! Esclamò Jhaar. -E adesso come faremo senza provviste, senza equipaggiamento!
Di tutti i presenti l'unica a cui la sparizione degli uomini sembrò non importare era Keila. La donna constatò senza battere ciglio l'assenza degli uomini e la scomparsa dell'equipaggiamento e dei viveri.
-Non preoccupatevi per quei bastardi indolenti, le mappe erano con me nella tenda e vi assicuro che siamo ormai vicini alla meta. Vi assicuro che ormai ci siamo e senza quegli incompetenti a rallentarci riusciremo a raggiungere la meta molto prima.
Keila non mentiva e in meno di una settimana di viaggio la spedizione riuscì a giungere a destinazione.

Il tempio aveva un struttura circolare, le pietre erano ricoperte di muffa e in alcuni punti il muro aveva cominciato a erodersi. Il tempio non aveva niente della maestosità delle antiche città Maegon. Chi aveva costruito quella struttura non aveva badato a fronzoli o altro, non vi erano statue o decorazioni di sorta. I lineamenti del tempio erano semplici, rozzi. In realtà la struttura stessa messa a paragone con le costruzioni Maegon presentava diverse incongruenze. Lo stile, il metodo di costruzione sono troppo alieni per accostarli a quelle dell'antico popolo e questo risultava chiaro a chiunque avesse anche solo visto da lontano la città di Taanach o una qualsiasi struttura Maegon.
-Ci siamo. Disse Keila con voce atona. -Così vicini... bisogna trovare un modo per entrare. Qui sta a voi, spero riusciate a trovare l'ingresso.




CITAZIONE
Bene, l'inizio della quest è in medias res perché sinceramente io odio perdere tempo in giri inutili di presentazione, perciò quello che voglio da voi è che descriviate l'arrivo al tempio riassumendo (anche molto brevemente, basta anche un accenno di come siete stati reclutati e del vostro viaggio) una volta arrivati al tempio scoprirete che l'ingresso è sbarrato e che davanti alla porta di pietra troverete tre blocchi di pietra posti uno accanto all'altro alla stessa distanza e troverete queste scritte (la stessa su ciascun blocco ciascun blocco) un'anima forte risiede in un corpo forte e in una mente forte. In ogni blocco poi vedere una parola (partendo da destra) forza/spirito/mente
 
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view post Posted on 16/8/2016, 23:01
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Bigòl
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Energia Arcana 0 - Il Folle

I


“Ricordati di dimenticare la paura…”

La giungla era un soffocante viluppo di tenebre. Marciavano da giorni a tappe forzate per penetrare nel cuore buio della vegetazione, dove la vita proseguiva sottovoce e dai tralci in rigoglio stillava acqua scura. Il cuoio liso degli stivali affondava nella mota nera; il fango lambiva le caviglie ed inzaccherava i vestiti. Una cupola di liane e foglie palmate si allungava nel fitto della giungla, coprendo il sole ed il cielo. La compagnia guadava stagni paludosi ed aggirava intrichi di radici che si sollevavano dalla terra, antichi quanto il continente; non accennava a fermarsi sino a che la vista non era del tutto interdetta dall’oscurità.
Gli uomini erano scontenti e a disagio: si lamentavano quando arrivava il momento di smontare il campo, si lamentavano durante le ore di fatica, di nuovo si lamentavano quando dovevano stabilire i turni di guardia e preparare tendaggi per la notte; Jovil non ricordava di aver mai udito tanti piagnistei nemmeno da lattanti in fasce, ma si era convinto presto che da uomini di quella pasta c’era poco da aspettarsi. Al momento della partenza, quando ancora la compagnia si trovava riunita alle porte di Tanaach, il Senzaterra aveva potuto rendersi conto della gente con cui nei giorni a venire avrebbe dovuto condividere tutto, dal cibo all’aria che respirava; da quel primo esame non era uscito per nulla rincuorato: le reclute di cui la spedizione si componeva erano, con poche eccezioni, poco più di una masnada di tagliagole e ladruncoli da bisca, topi di città che una volta alzato il muso dal piscio della suburra perdevano la bussola e commettevano idiozie su idiozie tali da mettere in pericolo l’impresa e chi si trovava a farne parte.
Non che Jovil si considerasse tanto migliore di quella torma di disperati, ma almeno era certo di saper passare una notte all’aperto senza che le bestie gli mangiassero il cuore. Il Senzaterra taceva per la maggior parte del tempo, sia in cammino, sia una volta preparato il bivacco; schiudeva le labbra per sputare o bestemmiare. Sentiva di non avere nulla da spartire con quei compagni occasionali e non credeva che la storia della sua vita potesse essere un importante argomento di conversazione attorno al fuoco, al contrario di molti laggiù. Dopo giorni di cammino senza posa, in cui solo la penombra che filtrava dalla volta verde permetteva di distinguere il giorno e la notte, Jovil cominciava a convincersi di essere incappato in un’enorme fregatura. Una spedizione d’esplorazione un poco rischiosa ma molto remunerativa, con queste parole l’aveva definita Kudin di Qashra; il rigattiere che stazionava ad ogni luna nuova nell’angolo più sordido del Mercato di Ladeca lo aveva invitato a chinarsi, si era sporto su quelle sue piccole gambe scricchiolanti e, le labbra del nano protese sino a sfiorare il lobo del suo orecchio, aveva pronunciato le due sole parole capaci di risvegliare il suo interesse nelle cose del mondo: soldi facili. Eppure sentiva in ogni fibra dolente della sua anima di starsela guadagnando quella fottuta pagnotta. Aveva il cuore intatto ed il corpo abituato alle privazioni della vita nei boschi; sapeva procacciarsi cibo e acqua ove necessario ed in generale rimediava da sé alle proprie mancanze, senza dover nulla a nessun altro. Ma la giungla non concedeva nulla agli stranieri.
Quello che poco dopo essersi inoltrati dove il fogliame infittiva era una stupida suggestione, ora era una serpe nera che gli succhiava il cuore. C’erano orecchie, nella giungla, che ascoltavano il rintocco di ogni loro passo. C’erano occhi, nella giungla, che guardavano, guardavano sempre. C’era qualcosa nascosto nel vento che geme tra il folto degli alberi, come il fioco lamento di un vecchio; qualcosa che conosceva solo la tenebra, la tenebra che ascolta e non parla mai. Il tormento si dibatteva nel fondo delle sue viscere quando chiudeva gli occhi, come se volesse bucargli il costatato e strisciare lontano.

“Ricordati di dimenticare la paura…”

Ripeteva dentro sé; gusci di parole vuote, reliquie di un passato che non lo accompagnava più. Biasimava se stesso e la sua codarda memoria per aver disseppellito ogni sillaba di quella frase, eppure sentiva il bisogno di custodirla e ripercorrerla a mezza voce, talvolta sorridendo, talvolta corrugando il volto, talvolta mescolando il suo silenzio a quello degli alberi e della terra attorno. Perché aveva paura, Jovil, ma aveva una troppo alta idea di sé e le tasche troppo vuote per tirarsi indietro. Anche gli uomini con il passare dei giorni diventavano sempre più ansiosi e suscettibili, come bestie in gabbia. Passò poco tempo prima che ci scappasse il morto. Fatalità o leggerezza che fosse, una morte senza spiegazione proprio a quel punto del viaggio minò la dedizione di molti. La maggior parte degli uomini nel futuro non vedeva il denaro sonante che spettava loro al momento del ritorno a Tanaach ma riusciva a scorgere solo un tumolo di fango ai piedi degli alberi, una tomba senza nome. Jovil stesso si trovò a considerare se il gioco valesse davvero la candela. Sempre più uomini tiravano le cuoia scossi da fremiti febbrili e la voce di un’epidemia che si stava diffondendo fra i membri della spedizione cominciò a scivolare nei discorsi che si facevano attorno al bivacco. Soltanto Keila, la committente, sembrava non vacillare. Già una volta aveva salvato la riuscita della sua stessa spedizione, lanciandosi sulle bestie che stavano saccheggiando le loro provviste con una prontezza che Jovil di certo non si sarebbe mai aspettato da una che, almeno all’apparenza, sembrava ancora portare tracce di cipria sotto la linea degli occhi. Jovil si sentiva come trascinato dalla caparbietà di quella donna; benché avesse tutto l’aspetto ed il patrimonio di una sofisticata nobildonna, aveva dimostrato di avere più esperienza ed attributi della metà di tutti loro e questo, come era inevitabile, lo attraeva. Proseguì senza fiatare, chiudendo nel petto le esitazioni e la paura. Nei giorni che precedettero l’arrivo a destinazione, la compagnia si sfaldò: provviste ed equipaggiamento di chi aveva deciso di restare erano sparite; la tenebra restava muta ad avvolgere il mistero di quella notte. A quel punto, considerò Jovil frustrato e stordito, tornare sui propri passi era impossibile: niente equipaggiamento per affrontare un ritorno preventivo, niente mappe per ritrovare il tracciato percorso dalla compagnia in precedenza; disperdersi nella giungla era forse la scelta peggiore che poteva essere fatta in quel caso. Contrariato, come in trappola, Il Senzaterra seguì Keila ed i pochi rimasti sino allo scoprirsi del cielo.

La giungla attorno ai ruderi era rada e quieta; sterpi e rampicanti si aggrappavano alla pietra scura del tempio, risalendone le pareti. Jovil considerò incuriosito la struttura, la luce che ne penetrava le crepe, la giungla che premeva all’intorno: quella era la meta della spedizione, il mistero custodito in fondo alla notte, inghiottito dal Plakaar. Si trovò ad ammirarne la geometria semplice e la struttura massiccia ed inusuale, tentando senza successo di interpretare i segni che il passato aveva tracciato sulle pareti. Spostò uno sguardo accigliato sul portale d’ingresso: risultava sigillato, a prima vista impossibile da scardinare; qualche bestemmia dopo, notò una fila composta da tre rocce regolarmente distanziate, su cui era incisa la frase “Uno spirito forte risiede in una mente forte ed in un corpo forte”. Un codice da decifrare; nessun altro indizio a disposizione se non le parole “corpo” “mente” “spirito” riportate sui blocchi di pietra, sotto ogni incisione. La voce di Keila giunse indolente, un lento sospiro.

“Qui sta a voi …”

Una pioggia di sacramenti affiorò sulle labbra di Jovil; di teste pensanti in quella spedizione ne erano rimaste poche e la sua non era certo tanto raffinata da poter risolvere enigmi di sorta. Scoccò un’occhiata in tralice ai compagni rimanenti; fatto salvo un tizio dal volto pallido ed emaciato, nessuno dei presenti pareva sapere il fatto suo. Cominciò ad aggirarsi tra le rocce raspando, tastando, spingendo senza nessun risultato. Si sentiva vulnerabile, goffo e stupido; in lui la pazienza lasciava luogo all’irrequietezza. Le rocce erano la chiave per accedere al tempio, doveva essere così per forza di cose: non si spiegava altrimenti la loro presenza in quel luogo; ma su come interpretare l’iscrizione, potesse marcire nell’abisso dei demoni, non aveva davvero idea. L’impazienza cominciava a sollevarglisi dento, come un grigio maroso, a mugghiare come vento di bufera. In breve si trovò furente come un bufalo di pianura perseguitato da uno sciame di zanzare. Decise in un istante che avrebbe estorto con il ferro il segreto della pietra. Snudò Desperia, da lui inseparabile e solo a lui fedele, nell’atto di vibrare una bordata alla prima roccia a tiro e così sfogare la rabbia che gli era montata in cuore. Alzata la testa dell’arma, Jovil allibì. La roccia aveva preso a soffondere tutt’attorno un leggero lucore; “corpo” diceva l’incisione su di essa. Rivolse un’occhiata incredula alla compagnia, mal celando il proprio stupore. Il funereo uomo che l’aveva accompagnato sino alle soglie del tempio risolse l’altra parte del mistero. Le rocce cominciarono a rilucere di un bagliore accecante e si udì come un cigolio di cardini in lontananza.
Tre incisioni, tre indizi, tre prove. I cancelli del tempio si schiusero, rivelando una bocca di tenebra pronta ad accogliere gli esploratori. Jovil, in palpabile imbarazzo, rideva sguaiatamente e carezzava l’elsa della propria arma, nel tentativo di coprire la propria impulsività sotto una patina di autoironia.

Ora ciò che rimaneva della compagnia si muoveva verso l’interno del tempio; Jovil seguì le loro orme nella mota, lo sguardo rivolto all’arcata del tempio, alle imposte schiuse, all’oscurità oltre di esse. Una vaga inquietudine accompagnava il moto dei suoi pensieri; come se stessero per farsi strada nelle viscere del pesce primordiale che, nel lontano Nord, si credevano grembo di ogni cosa vivente; come se stesse per avvolgerli un’oscurità remota, antica, la stessa di quando il tempo non esisteva ed ogni cosa era imperitura e perfetta.

“Ricordati di dimenticare la paura, Jovil”

All’intorno la giungla taceva.



CITAZIONE
Inoltre varie abrasioni, lividi e cicatrici indelebili hanno insegnato al Senzaterra che un nemico senza armi in pugno è senza dubbio un nemico meno pericoloso; egli è in grado di rendere inutilizzabile o innocuo un equipaggiamento, individuando i punti deboli di un oggetto per intaccarne la struttura con una bordata oppure disarmando i propri nemici.
[ Pergamena del Cacciatore “Distruzione minore”(Natura Fisica) (Consumo di energia Basso)]

La tecnica utilizzata è di Natura Fisica e cagiona un consumo di energie Basso. In confronto avevo scritto diversamente, tuttavia credo che al fine della risoluzione dell'indovinello non vi sia nessun intoppo formale nell'utilizzo della sopra citata anziché della personale a consumo Alto che avevo menzionato nella discussione in confronto. Oltre a ciò, ho presentato la risoluzione di parte del quesito da parte del mio personaggio come un fatto in buona parte casuale perché credo gli corrisponda di più :rotfl: spero non vi siano problemi.

Detto ciò, a voialtri :ponpon:
 
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miky1992
view post Posted on 28/8/2016, 09:31




Una voce maschile, proveniente dall'esterno del tempio fece trasalire Keila.
-Grazie per aver abbassato la barriera, da qui in poi ci penso io.
Keila prese a tremare.
L'uomo varcò l'ingresso. -Ah, siete solo in tre? mi aspettavo più gente Keila. Aveva una spada lunga e sottile con la guardia a coppa e ne agitò la lama tracciando delle mezze lune nell'aria. L'uomo indossava una maschera di metallo lucido, con due lenti azzurre in corrispondenza degli occhi e un rombo giallo luminoso al centro della fronte.
L'uomo vestiva in maniera quantomai bizzarra; maglia e pantaloni rossi esageratamente larghi attraversati da motivi ondulati azzurri simili a quelli di un giullare, scarpe marroni da fachiro e diversi bracciali d'oro in ciascun polso.
L'uomo portò la mano destra al centro del petto, allungò il braccio sinistro e fece un inchino. -Non fraintendetemi! L'importante è che siate riusciti a venire a capo dell'enigma, quegli stupidi indigeni non erano riusciti a venirne a capo e beh, diciamo solo che a me non era concesso avvicinarmi a questo posto. Prima. L'uomo mascherato puntò la spada a terra e vi si appoggiò come fosse un bastone da passeggio. -Comunque adesso non ho più bisogno di voi quindi... ecco non so come dirlo, ma capirete che non posso permettervi di tornare alla civiltà e raccontare di questo posto vero? Non possiamo lasciare testimoni in giro giusto Keila? L'uomo alzò l'indice al cielo ed esclamò: -Quindi vi ringrazio per i vostri servigi e vi garantisco che il vostro sacrificio sarà... ricordato dai posteri, tutti coloro che vivranno nel mondo che ha conquistato la morte avranno un debito enorme con voi coraggiosi eroi!
L'uomo allungò la mano e un cono di luce avvolse Keila.
La donna lanciò un urlo e cominciò a prendere a pugni la barriera. Dove le nocche toccavano la barriera questa si illuminava e distorceva, salvo poi tornare integra subito dopo. -Avevi promesso che avresti risparmiato la mia gente!
-È vero, ma non ho mai detto che avrei risparmiato te.
L'uomo mascherato rivolse lo sguardo verso gli altri membri della spedizione. -Al mondo ci sono solo due domande a cui vale la pena rispondere: perché dobbiamo vivere e perché dobbiamo morire. Se ci ragionate vedrete che le domande ne portano altre, ma in fondo non è forse vero che l'uomo vive e muore per l'atto egoistico di qualche Dio? L'uomo mascherato sospirò. -Un mondo creato sull'arroganza... che tristezza.
Mentre parlava il corpo di Keila all'interno della barriera venne avvolto da una luce bianca e cominciò a sbiadire.
-Mi dispiace, non avrei mai voluto coinvolgervi. Gli occhi gonfi di lacrime. -Non potevo permettergli di fare del male ai miei amici, alla mia famiglia. La voce distante, i lineamenti del volto evanescente di Keila indistinguibili. -Perdonatemi...
La barriera esplose in una miriade di frammenti luminosi, poi si dissolse del tutto.
Al posto di Keila ora stava una creatura di metallo nero sospesa a mezz'aria. L'essere aveva una forma squadrata, alla base una punta di lancia e al centro una sfera rossa luminosa e pulsante.
L'uomo mascherato schioccò le dita e due creature simili a esseri umani, dalla pelle nera come la pece costellata di placche metalliche e lo sguardo bianco e vacuo come quello di un morto. -Bene, vi lascio in buona compagnia! Detto questo l'uomo batté le mani e il suo corpo si dissolse come non fosse mai esistito.
La creatura alzò al cielo le due grandi braccia e le sei falangi artigliate si illuminarono di rosso. Nello stesso tempo anche i globi arancioni che costellavano il corpo dell'essere si illuminarono e sei dardi (uno da ciascun artiglio) vennero scagliati verso il gruppo di esploratori.
Subito dopo le altre due creature si lanciarono contro i nemici, le loro braccia ora si erano trasmutate in lame. Attaccarono alla cieca senza strategia, menando fendenti senza un vero e proprio bersaglio con il solo intento di ferire i nemici.

CITAZIONE
Scusate ma in questi giorni la connessione è stata molto ballerina dalle mie parti.
Bene, entriamo ora nel vivo della quest! Allora dovrete gestire questo turno come fosse un normale giro in un combattimento. Ecco le schede:

Creatura arcana 21 – il mondo.

Stat: Mente ?? Corpo ?? energia ??

CS: 10 – 6 = 4

Homunculus x 2

Stat: Mente: 20 Corpo: 50 – 5(tecnica attiva) 45 energia: 20

CS: 0

Passiva mutaforma: gli homunculus possono tramutare parti del loro corpo in armi.

Tecnica attiva: graffio: un semplice attacco portato tramite artigli o armi volto a dilaniare l'avversario. Bassa natura fisica.

Riepilogo: Allora per prima la creatura arcana vi attacca con un attacco fisico a 3 CS ciascuno. ( gli artigli-dardo per intenderci) dopodiché i due homunculus vi attaccano con la tecnica attiva di natura fisica.

IMPORTANTE: qualsiasi sia la vostra strategia dovrete descrivere le tecniche che intendete usare in confronto!
 
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