«
CHE PORCHERIA!»
Mandò giù il boccale tutto d’un fiato e batté sul tavolo in olmo con veemenza, sforzandosi a mostrare tutte le rughe che la sua veneranda età aveva racimolato, deciso a palesare tutto il suo sdegno.
«
E questo sarebbe il vostro miglior whisky? È piscio di gatto!»
L’oste, d’istinto, usava il vassoio in legno per ripararsi dalla saliva che inevitabilmente usciva dalla bocca dell’uomo, quasi quello scudo dello spessore di un paio di centimetri potesse aiutarlo a placare la sua furia.
«
Portamene un barile.»
Concluse infine, con una finta stizza talmente palese da lasciare l’altro completamente spiazzato.
L’oste si allontanò rapidamente provando un misto di intolleranza e sconsolatezza per quell’avvinazzato; certo le quattro monete d’oro che aveva lasciato sul bancone lo avevano aiutato a tener chiusa la fogna o - in altre circostanze - lo avrebbe cacciato fuori a calci in culo.
Quel giorno Jecht era particolarmente guardingo, non faceva che guardare l’entrata ogni qual volta poggiava le labbra screpolate sul boccale. Come se non bastasse, piuttosto che stare a torso nudo come era suo solito fare, era tutto bello imbacuccato intorno ad una vecchia e sporca toga di iuta, una che aveva tutta l’aria di essere stata ricucita sul momento da mani tutt’altro che pratiche.
Sudit, Tidus - o come diavolo doveva chiamare il suo spadone di pietra nera non lo sapeva più neanche lui - era poggiata sul bancone, avvolta in un panno sporco ma abbastanza scoperta da permettere al guerriero di intravedere i simboli rituali raffigurati sul piatto della lama.
«
Vedrai, arriverà da un momento all’altro, ho pagato quell’uomo troppo profumatamente per lasciarmi fregare. Tuo padre ci sa fare con queste cose… so che sembro scemo a volte ma tu fammi fare, fammi fare.»
Chiunque conoscesse Jecht da più di una giornata sapeva benissimo quanto lui fosse bravo solo a menar le mani ma, in quelle condizioni, certo Tidus non aveva possibilità di replica.
«
Devo ancora parlarti di questo stronzetto ma per ora ti basti sapere che tuo padre ha ancora un conto in sospeso con lui.»
Parlava spesso con Tidus, suo figlio nonché la sua fedele arma. Lui non rispondeva mai ma a Jecht piaceva immaginare le sue risposte e pensare che quelle fantasie che gli arrivavano dritte dal cuore fossero un’emanazione della volontà del ragazzo.
Sorrise, beffardo come sempre, quando due figure fecero il loro ingresso, attirando l’attenzione dei pochi presenti. Jecht coprì Sudit di tutta fretta e - mentre il resto del locale puntava la figura femminile appena entrata, il Berserker aveva occhi solo per l’uomo.
Adesso che si fa? Jecht la immaginò così la domanda del figlio e dunque, a braccio, rispose senza abbassare lo sguardo, con un sussurro pregno di tutte le sue intenzioni.
«
Si aspetta, figliolo. Si aspetta.»
Ladeca
Capitale ~ Vicolo
Lo aveva pedinato a lungo ormai.
Non poteva credere alle sue orecchie quando si era sparsa la voce che Mark Smith, eroe di una guerra impossibile da dimenticare, aveva fatto la sua comparsa in zona. Aveva provato gioia, sollievo nel saperlo vivo così come aveva sentito paura e risentimento all’idea di incrociare il suo sguardo. Nulla, ad ogni modo, era comparabile alla rabbia, alla frustrazione che lo aveva scaldato sin nelle viscere, quando aveva sentito che a sfruttare quel nome, altri non era che Mathias Lorch.
Ogni singola memoria di quel periodo bruciava nella sua mente all’unisono con ciascuna delle sue cicatrici. Persino Sudit vibrava al pensiero ed entrambi non riuscivano a visualizzare altro che la sua gola, sgozzata e al suo corpo che lentamente rantolava nel buio profondo della morte. Quando l’aveva visto, in quella taverna, il suo tremore aveva messo in allarme il vecchio ubriaco seduto a pochi metri da lui e un solo sguardo, carico d’astio e disprezzo, era bastato a zittirlo, affinché la sua copertura non saltasse.
Aveva un compito da portare a termine, un compito impartitogli addirittura da un Daimon, qualcosa che non avrebbe dovuto lasciargli il tempo di chiudere delle faccende personali ma - ad essere sincero - di cosa gli aveva detto Greion non ci aveva capito un cazzo. Aveva blaterato dell’Akeran ma il Berserker non aveva la minima intenzione di abbandonare la sua terra in un simile momento di crisi. Del resto, aveva detto che ovunque fosse andato avrebbe combinato danno in ogni caso e probabilmente, conoscendosi, era vero. Probabilmente, avrebbe cominciato proprio con lo schifoso bastardo che aveva raso al suolo una città, la sua casa.
Lo aveva osservato al pianoforte, con quella fanciulla, a mendicare monete come se un tempo tra le sue mani non fossero scivolate le vite di migliaia di innocenti. Lo aveva visto donare a un bisognoso tre monete d’oro come se bastassero a pulire una coscienza talmente putrida da disgustare gli inferi stessi. Lo aveva seguito e osservato in quel vicolo a lungo, fin troppo per una testa calda come lui. Non poteva aspettare ancora, doveva farlo quel giorno, doveva chiuderla adesso.
«
Ci vuole un bel fegato per farsi chiamare Mark Smith. Ma se è di te che si parla, immagino ti sia solo bevuto il cervello, cane.»
Stizzito e provocatorio, sbraitò senza ritegno per il vicolo, incurante di chi potesse esservi intorno. Lo aveva pedinato abbastanza da capire quale lurido stile di vita stesse conducendo e di quanto fosse rimasto solo - donna a parte. Senza il suo branco a fargli da guardia, non valeva neanche il mignolo del fratello.
«
Guardati, ridotto ad un randagio. Puzzi come un cane ricoperto di stracci esattamente quanto puzzavi da cane quando sguazzavi nel lusso, Lorch.»
Mathias - che fino a quel momento era rimasto di spalle - si voltò lentamente, osservando la figura imponente di Jecht che lasciava la presa sulla sua toga, mostrando fieramente il suo volto, il suo spadone e le numerose cicatrici tra le quali bruciavano quelle che gli erano state inferte sotto la sua prigionia.
«
Bastardo.»
Non si poteva certo dire che tra i due scorresse buon sangue. Entrambi avevano motivi più che buoni per odiarsi a vicenda e la storia non aveva donato a nessuno dei due un finale che potesse essere definito tale.
«
Oh, ti sei ricordato di me? Mi scalda il cuore. »
Sornione, Jecht non riusciva a frenare le provocazioni, mentre dal canto suo il digrignare dei denti del Lorch mutò rapidamente in un sorrisetto divertito, degno della zampa destra della Guardia Insonne.
«
Non è facile dimenticare il volto di un’idiota disposto a mettere al rogo la sua stessa città pur di vincere un duello che altrimenti non avrebbe mai potuto sostenere. Non facevi tanto il gradasso quando ti sei inginocchiato di fronte a mio fratello, prima di colpirlo alle spalle.»
Non vi erano dubbi che il Lorch fosse ben più sveglio e astuto del Berserker; rigirare una provocazione come quella per lui era come battere un piccione a dama. Jecht accusò il colpo in pieno, indipendentemente da quanto si fosse preparato a sentire quelle parole. Ciò che era successo a Basiledra, le vite che erano state strappate per colpa della sua stupidità, niente di tutto quello poteva essere dimenticato né soppresso.
Deglutì, inghiottendo il boccone amaro e trasformando quei tristi ricordi in carburante per la sua rabbia. Jecht per primo sapeva quando far infuriare il nemico lo aiutasse a sbilanciarlo ma - quando si ha a che fare con Berserker - la strategia migliore è quella di tenerlo quanto più calmo possibile.
«
Mi stai rendendo le cose facili, Lorch. A lungo ho sognato di prendermi la vendetta che mi hai sottratto fuggendo con la coda tra le gambe.»
«
Cosa ne vuoi capire tu di strat-»
Mathias non ebbe il tempo di finire la frase che Jecht era già partito, sollevando un polverone con l’impeto dei suoi piedi scalzi. Oh, l’aveva provocato abbastanza e, come già detto, nessuno vorrebbe mai avere a che fare con un Berserker incazzato.
Le vene del guerriero avevano già cominciato a pompare sangue e adrenalina; il cuore accelerava il suo battito, riempiendo le orecchie di un suono che ricordava i tamburi senza riposo dei Pelleverde. Le vene ingrossate facevano capolino sui muscoli mentre la sua mano callosa si stringeva sull’elsa dello spadone, trascinandolo con la punta di pietra a scavare un solco sul pavimento lastricato. Gli angoli del suo raggio visivo si era offuscati, lasciando ben nitide al centro le figure della donna e dell’uomo, chiaro bersaglio della sua foga inarrestabile. All’apparenza poteva sembrare un cavallo imbizzarrito, senza controllo e privo di strategia, un toro che partiva in una carica frontale guidato unicamente dall’istinto. Ma in Jecht, oltre ai riflessi temprati in milioni di battaglie, vi era concentrazione, chiarezza, controllo e una gargantuesca e ferrea volontà di prostrarlo al suolo.
Il Lorch, dal canto suo, era stato uno stratega ben più preparato di lui e gli era bastata una singola occhiata per calcolare con precisione la distanza che li separava e la velocità con cui il guerriero si stava muovendo. In uno spazio così stretto era in netto svantaggio in uno scontro corpo a corpo, ma il fattore sorpresa sarebbe presto arrivato in suo soccorso, grazie alla spada che nascondeva sotto la tunica. Un contrattacco pulito e netto sarebbe stato sufficiente a sgozzare un vecchio e fastidioso nemico; i cani avevano un onore ben più marcato degli uomini e questa era l’occasione perfetta per mettere una croce sulla tomba del fratello. Doveva solo attendere l’istante che divideva la vita dalla morte, intravedere quella linea sottile che si sarebbe manifestata nella sua mente nel momento in cui il Berserker avesse spostato la sua concentrazione dalla difesa all’attacco, sollevando la punta della sua arma dal suolo per colpirlo. Quella, quella sarebbe stata la strada verso il suo collo, il loco in cui avrebbe dato vita a una cascata del lurido sangue di un traditore che aveva osato privare del dono della luce il più grande dei generali, nonché il migliore dei fratelli.
Quando la lama del Berserker si sollevò dal suolo il tempo rallentò, mostrando un quadro di due uomini che incrociavano in battaglia il loro sguardo, attorniati da polvere e ghiaia, illuminati dalla luce ardente del tramonto, adombrati l’uno dalla figura dell’altro, manifestazioni concrete di un desiderio omicida, macchiato tanto dall’onore quanto dall’odio. Quel momento, unico del suo genere, si spezzò allo sgranarsi degli occhi di Mathias, quando vide la figura del suo nemico sparire letteralmente di fronte ai suoi occhi, mentre la sua lama affondava nel vento, incapace di trovare la materia della carne, né il calore del sangue. Rimase atterrito per un solo istante, consapevole che non ne avrebbe avuto in dono un secondo. Sentì la morte sovvenirgli alle spalle, inevitabile, insindacabile, risolutiva. Parò il fendente con la spada ancora infoderata e non ebbe il tempo di godere di quella fuga dalla morte che un secondo colpo arrivò dal lato opposto. Furono solo i primi di una lunga sequenza sgualembri, la cui intensità aumentava di volta in volta, fino a strappare ogni tessuto dei suoi muscoli, fino a piegargli le ginocchia, fino a prostrarlo così come Jecht aveva voluto dall’inizio.
Inerme, Mathias Lorch era in ginocchio, tremante, con il mento basso e i capelli unti dal sudore a coprirgli gli occhi. Alzò lo sguardo per ammirare l’imponenza di un guerriero capace di piegare chiunque sotto la pressante forza della sua rabbia. I suoi occhi, illuminati dal sole di una luce sinistra, parevano quelli di un demone mentre sollevava il suo spadone, pronto ad assestare il fendente che avrebbe messo fine a quel risentimento durato anni.
La donna, che fino a quel momento era rimasta in disparte, fece un passo indietro mentre Jecht volgeva al suo nemico lo sguardo di chi è pronto a perdonare a patto di prendersi in cambio la sua vita.
Di fronte all’incarnazione della battaglia, il randagio ebbe un’unica, inaspettata, reazione: sorrise.
Il sangue sgorgò lento e caldo.
All’adrenalina si aggiunse il dolore e al dolore seguì l’impotenza.
Le braccia caddero lungo i fianchi del Berserker e le sue gambe cedettero poco dopo. Il tonfo dello spadone che cadeva al suolo echeggiò per tutto il vicolo mentre Jecht riempiva la sua bocca di catarro e saliva, sputando al suolo un grumo di sdegno nei confronti del suo avversario.
Quattro cani avevano affondato le loro zanne su braccia e piedi del guerriero, iniettando nelle sue vene un veleno tale da piegarlo. Di fronte a lui Mathias si alzava, facendo calare sulla sua testa l’ombra di una sconfitta che il Berserker non avrebbe mai potuto accettare.
«
Adesso mi è chiaro come tu sia riuscito a tagliare il braccio di mio fratello.» Sputò anch’egli, un grumo di sangue, sulla guancia del guerriero, per umiliarlo. «
In mischia sei inarrestabile ma ormai è palese quanto tu sia idiota. Credevi davvero che avrei rinunciato al mio branco? Lo sanno tutti che non mi muovo mai senza di loro.» La donna, in silenzio e dal volto insondabile, rimase in disparte assistendo alla scena con una tale vuotezza da rendere impossibile comprendere quanto di tutto ciò le interessasse realmente.
«
Sai è da una vita che ci penso e credo proprio che ti farò un dono.»
Mentre le zanne dei cani continuavano ad affondare sulla carne e la loro saliva si mescolava al sangue del Berserker, il randagio strinse l’elsa della sua spada e la tirò fuori dall’elsa di fronte allo sguardo impietrito del Berserker.
La luce che rifrangeva sulla lama argentea di quella spada, accompagnava un lamento sordo e inudibile da chiunque non conoscesse la sua storia. Si trattava di Angelica, la spada che un tempo era appartenuta a Medoro, morto proprio per mani del cane.
«
Oh, sapevo che l’avresti riconosciuta. È in assoluto il mio pezzo migliore, non me ne separerei neanche se fosse l’unica merce di scambio rimastami per mangiare.»
Nel ricordare Medoro, gli occhi di Jecht si gonfiarono e riempirono di lacrime, per l’immensa soddisfazione di Mathias che assisteva alla scena estasiato.
«
Quando gliel’ho sottratta, la sua carcassa era ridotta a mangime per cani. Ho avuto parecchi problemi per questo, sai? Non sono più riuscito a trovare al mio branco un cibo così saporito. Lo amavano proprio tutti quel Medoro… che goduria è sta-»
La gola gli venne aperta ancor prima che potesse pronunciare l’ultima sillaba..
Ancora una volta, il corpo di uno cadeva e quello dell’altro si rialzava.
Agitando gli arti, Jecht si liberò uno ad uno della presa dei cani che vennero sbattuti alla parete più vicina, lasciandosi alle spalle un guaito strazziante. Si rialzarono tutti per controllare la sorte del loro leader, prima di abbandonarsi ad un ultimo ululato e poi scappare.
«
Avresti dovuto accettare la morte che avevo scelto per te, eri già caduto abbastanza in basso prima ancora di chiamare i tuoi cani.»
Fin da piccolo, il corpo di Jecht era stato riempito di veleni e parassiti di ogni genere dal clan dei Berserkgangr; aveva sviluppato un’immunità a quasi tutti i veleni naturali, incluso quello paralizzante con cui il Lorch era solito armare i suoi cani.
In tutta la sua stazza, l’uomo si asciugò le lacrime col dorso della mano, chinando il volto verso la vittima per un ultimo saluto, saluto che non era rivolto al Lorch, bensì a Medoro. Raccolse Angelica con la grazia che si riserva ad una reliquia e la ripose nel fodero, pronto a portarla con sé per onorare la memoria del guerriero che lo aveva accolto a Basiledra.
Lo sguardo dell’uomo si spostò dunque sul volto della donna che a sua volta si congedò con un cenno del capo, come se nulla di allarmante fosse appena accaduto.
Mathias non era morto, rotolava al suolo stringendosi con entrambe le mani la ferita, cercando di frenare la fuoriuscita del sangue.
«
Non meriti la morte, sarebbe una grazia che non sono disposto a concederti.» Lo sguardava dall’alto verso il basso con un’espressione seria e piatta, di chi ha di fronte meno di uno scarto. «
I tuoi cani stanno già cercando soccorso, tieni ben salda la presa su quella gola e vivi… vivi continuando a rotolare nel putridume nauseabondo della tua bassezza. Addio.»
Ladeca
Capitale ~ Piazza
«
SEI SOLO UN IMPOSTORE, BUFFONE!»
Quando l’aveva sentito non ci aveva creduto neanche per un istante. Prima Mark Smith, poi Mathias Lorch e adesso anche lui, doveva essere una fandonia, senza ombra di dubbio.
«
Medoro è tornato! Medoro è vivo!» Avevano detto, eppure giusto una settimana prima aveva sentito il suo assassino raccontare della sua morte. Come poteva essere? Perché rimanere nascosto, all’ombra, spezzando così tanti cuori con la sua dipartita. Non era da lui. Non poteva dire di aver passato con lui chissà quanto tempo ma avevano incrociato le spade e tanto bastava a due guerrieri per scavare nel profondo delle loro anime. Medoro non sarebbe mai fuggito dalla sua vita, non lui che aveva posto il dovere davanti alla sua stessa serenità.
«
INFANGHI IL SUO NOME, MERITI LA FORCA!»
Aveva parlato a Tidus di quel ragazzo dai boccoli biondi e dal viso angelico, la guardia del re amata dall’intero popolo; sempre al servizio del regno, con la spada sguainata ad illuminare il sentiero dalla giustizia. Gli aveva raccontato del giorno in cui l’aveva incontrato la prima volta, di quando non era altro che un ragazzino, un fanciullo capace di brandire la spada con un’arte e una maestria tale da far impallidire un veterano. Si era grattato la nuca e le sue guance si erano arrossate quando aveva ammesso di essere stato sconfitto da Medoro al loro primo incontro. Quel giorno gli aveva giurato fedeltà, a lui, non al re; lui se l’era guadagnata con il suo sguardo, con la sua maestria, con la sua mente incrollabile, decisa a portare avanti i suoi obiettivi, a rendere onore a colui che gli aveva dato uno scopo. Quel giorno aveva appreso da un ragazzino una lezione che non avrebbe più dimenticato, di quanto gli ideali, seppur proiettati da una mente contorta come quella di Raymond, potessero donare un potere che i Berserkgangr non avrebbero mai potuto ottenere. Aveva omesso, però, di come Medoro gli avesse ricordato suo figlio, che fosse per il colore dei capelli o per la testa dura come una roccia. Aveva visto il lui un figlio perduto e aveva giurato a se stesso che - quando fosse riuscito a riportarlo in vita - glielo avrebbe fatto conoscere, affinché Tidus potesse vedere con i suoi occhi di che pasta era fatto un uomo... Certo, dopo suo padre.
Eppure, la crudeltà del mondo lo aveva portato via, rapito in un limbo di ricordi e amarezza. Quando aveva sentito la notizia la battaglia infuriava ancora. Mathias se n’era vantato come il cane che era, sventolando la sua testa come un trofeo da guerra. In quel momento, Jecht non aveva memoria del suo scontro con Medoro e forse era stato un bene, aveva potuto mantenere i nervi saldi e la mente lucida. Invece, quando aveva ritrovato i ricordi, ricollegare i pezzi gli aveva inferto una ferita invisibile e profonda: in un certo senso era stato come perdere un figlio per la seconda volta.
E adesso lui era lì.
Davanti ai suoi occhi.«
VOLETE ANCORA STARE QUI A SENTIRLO? QUESTO È UN OLTRAGGIO ALLA SUA MEMORIA!»
La folla era impazzita, il vociare indistinto si accavallava di bocca in bocca. Ognuno si sentiva in diritto di blaterare condanne e insulti. Chi sollevava forconi, chi lanciava ortaggi, chi si abbandonava alle lacrime per i ricordi rievocati. Nessuno gli credeva, in troppi avevano visto quella testa mozzata, in molti conoscevano i sotterfugi della magia illusoria.
Eppure, Jecht lo sapeva, poteva vederlo chiaramente che quel ragazzo non mentiva, poteva vederlo in quello sguardo spento, al cui interno risiedeva il barlume della stessa luce che aveva visto in passato. Era lievemente diverso da allora: dimagrito, spossato, il volto solcato dalla fame e l’espressione svuotata di chi ha rinunciato alla sua vita, di chi è rimasto ai margini del senno, abbandonandosi alla solitudine. Al cuore, il guerriero sentì un tepore che riscaldò ogni singola fibra del suo corpo, una commozione che non lasciava spazio alle lacrime e che tagliava il suo volto formando il sorriso di un padre che vede il figlio tornare a casa dopo anni.
Si fece spazio tra la folla; incurante della sua forza due uomini indignati vennero spinti al suolo mentre Jecht non aveva occhi che per Medoro. Voleva vederlo da vicino, voleva raggiungerlo al centro della piazza e raccogliere il suo viso tra le sue tozze mani. Voleva sentire la sua storia, conoscere le sue tristezze, le ragioni che lo avevano spinto ad emarginarsi. Voleva solo parlarle con lui, accertarsi che fosse ancora il testardo figlio di puttana che aveva conosciuto quel giorno così lontano.
«
LAPIDIAMOLO!»
Quando i primi sassi si infransero sugli scudi delle guardie che accompagnavano il ragazzo, ormai diventato uomo, Jecht comprese che non vi era tempo per correre da lui, che prima avrebbe dovuto ridargli la dignità che in un modo o nell’altro aveva perduto.
Angelica, che come dono del destino era giunta alle sue mani, mostrò il riflesso del volto maturo del Berserker un’ultima volta, prima che l’uomo la lanciasse in cielo, facendo sì che atterrasse proprio ai piedi del biondo. La vibrazione innaturale generata dalla spada zittì tutti, lasciando il pubblico ammutolito e confuso davanti a quanto appena accaduto.
«
RAZZA DI IDIOTI!»
Raccolta nel petto tutta l’aria di cui era capace, Jecht gridò a pieni polmoni, attirando l’attenzione di tutti e costringendo alcuni a tapparsi le orecchie. Alcuni riconobbero in quel volto sbruffone la scintilla della rivolta contro i Lorch e il salvataggio di Fanie, altri ricordarono della morte di Sigrund e risvegliarono il loro astio. Il nome di Rekres - perché così era ricordato - venne sussurrato di bocca in bocca, finché Jecht non ebbe il fegato di zittirli nuovamente, ridando la scena al vero protagonista.
«
Siete forse diventati ciechi o vi è definitivamente partita la zucca? Non la vedete, quella è Angelica, la spada di Medoro… Ve la ricordate tutti, no?»
Di colpo, tutti si voltarono ad osservare la spada, trovando conferma in quello che fino ad un momento prima era stata solo una domanda sommessa della loro memoria. Lo stesso Medoro, nel vedere la spada ai suoi piedi, parve completamente smarrito, incredulo. Si lasciò scappare una lacrima, una sola, quanto bastava per ricongiungersi ad una vecchia amica con nostalgia. Si avvicinò a lei lentamente e strinse la sua mano sull’elsa con gentilezza, quasi le stesse offrendo una carezza. Rinsaldò la presa e con orgoglio la sollevò al cielo, sentendo nel petto bruciare tutte quelle emozioni che aveva sempre provato nel portare avanti i suoi incrollabili ideali. Per un istante, dimentico delle umiliazioni subite e di quelle che si era autoinflitto, Medoro tornò ad essere il ragazzino che avrebbe dato la vita al per il suo re e per il suo popolo e con un tono e una voce che fino ad ora non aveva saputo impugnare, proclamò il discorso che sarebbe stato ricordato come “
Il richiamo del redivivo”.
Avete ragione.
Io non sono Medoro, non più.
Del comandante che ricordate io non sono che l’ombra sbiadita.
Mathias Lorch forse non mi avrà inflitto la morte ma in un modo o nell’altro è riuscito a strapparmi la vita.
Per la prima volta in vita mia ho avuto paura. Inerme di fronte alla sua forza mi sono sentito indifeso, solo… inutile. Le mie certezze, la mia incrollabilità, sono state rase al suolo dal singolo istante in cui ho temuto NON per la mia vita… quanto per le sorti del popolo che ho sempre cercato di difendere. Ho sentito la mia presa allentarsi, Angelica cadere al suolo mentre cedevo di fronte alla furia del nemico. Non ero che una nullità che si disperava nel palmo della mano del nemico.
Per anni sono rimasto nell’ombra, per anni ho rivissuto nella mia mente il ricordo della mia disfatta, della disfatta del mio popolo. Mi sono flagellato per ogni morte che non sono riuscito ad evitare, mi sono odiato per come il nemico mi ha usato per arrecarvi dolore, mi sono sentito inerme quando era giunta l’ora di ribellarsi.
Non merito né di essere creduto né di essere accolto come un eroe risorto.
Mi ero sobbarcato di un peso che da solo non potevo sostenere, pensavo di poter salvare la vita di ogni singolo cittadino con le mie sole forze… ma ero solo un ragazzino, un ragazzino che non aveva compreso il potere di una nazione.
Oggi, però, so per certo che non voglio commettere lo stesso errore una seconda volta, voglio dare a voi quel potere che io stesso credevo di poter gestire da solo: il potere di combattere per la propria casa, per i propri figli, per il proprio futuro. Di fronte alla minaccia che ci attende, voglio che ancora una volta ci raduniamo sotto lo stesso stendardo per dar luce al nostro destino.
Nessun generale è padrone per le vite del proprio esercito.
Siete voi i padroni del vostro futuro!
Non voglio più restare in un angolo a tremare in attesa che la morte sopraggiunga.
Non voglio più lasciare agli altri il diritto di scegliere per la mia vita.
Non voglio essere solo di fronte alla spada del nemico.
VOGLIO COMBATTERE AL VOSTRO FIANCO ANCORA UNA VOLTA!
VOGLIO SENTIRE LE VOSTRA URLA DARMI FORZA!
SENTIRE IL VOSTRO CUORE BATTERE ALL’UNISONO!
ABBATTERE INSIEME UN NEMICO INARRESTABILE!
VOGLIO PROTEGGERVI E SENTIRMI PROTETTO!
VOGLIO VIVERE!
E VOGLIO FARLO INSIEME A VOI!
Col volto scavato dalle lacrime e la luce brillare nei suoi occhi, Medoro concluse il suo discorso, lasciando la folla in un silenzio che parve infinito.
Le urla di
accettazione che si sentirono quel giorno,
sono storia.