Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Il lascito degli Dèi ~ l'ultimo Leviathan

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»Rose
view post Posted on 27/11/2019, 00:17 by: »Rose
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Like a paper airplane


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Territori del Nord – trenta giorni fa

G7Vdnyx


Gli uomini sedevano attorno a un grande tavolo di legno. Una serie di candele proiettava lunghe ombre sui loro visi e sul pavimento nudo. Le pareti umide erano l’unico scudo contro il vento ululante e la neve oltre le finestre. Fuori freddo, dentro gelo, silenzio. L’uomo a capotavola, il volto mangiato dagli anni e dalle preoccupazioni, stava a capo chino con il viso dentro i palmi callosi. Gli altri, giovani o maturi che fossero, fissavano i propri piedi senza osare ribattere. Alla fine uno di loro, un uomo con il volto dipinto di disegni tribali e i capelli fieramente raccolti in piccole trecce, osò prendere la parola.


Quindi quello che state dicendo è che sono alle nostre porte…
“… e che non potremo fermarli. Solo ritardarne l’avanzata”.


Di nuovo silenzio. Non tutti erano al comando quando il nord era caduto la prima volta, sotto la scure della ribellione, o quando era stato costretto ad inchinarsi al concilio dei Pari. Altri avevano già provato il sapore amaro dell’umiliazione e della sconfitta.
Due cani sornioni sollevavano ogni tanto la testa, immobili davanti all’unico grande camino, un’illusione di calore che i presenti non percepivano.


Deve esserci una possibilità. Deve”.


L’uomo che aveva parlato pensava alle proprie figlie e ai propri nipoti, alle genti dentro le case annegate dalla tormenta, alle tradizioni e alle favole che sarebbero state travolte dall’ultima, imponente, distruzione del mondo. Dal giorno del Crepuscolo quegli uomini gelidi non avevano osato tremare, ma ora alcuni di loro riuscivano a stento a contenersi.
Il più anziano si alzò in piedi, schiarendosi la voce. Aveva atteso quel momento per dire ciò che doveva. La sua unica occasione.


In realtà…una possibilità ci sarebbe”.
Tutte le teste si volsero verso di lui all’unisono, come in una danza. Alcuni non stavano capendo, altri già speravano.
Ma lascerò che ve lo spieghi lei stessa”.


Una porta si aprì alle sue spalle. Dalys era rimasta in ascolto per tutto il tempo di quella pietosa riunione, aveva ascoltato i loro lamenti, annusato la loro disperazione. Un mantello di pelo candido la copriva, lasciando intravedere la camicia lattea e i pantaloni stretti. I capelli raccolti attorno alla testa le davano un’aria severa, quasi virginale.
Quasi.
Affiancò il capo del tavolo nobiliare del nord con un mezzo sorriso, consapevole di avere addosso tutti i loro sguardi.
La guardavano, la riconoscevano
si chiedevano
come
LeI QuELla SguALDRina
ma non era morta?
potesse avere qualcosa da dire.

Poggiò una mano guantata di nero sul legno, lasciando che si brunisse sotto il suo tocco rovente. Tutti percepirono l’odore di bruciato, tutti videro la fiamma scintillare nel suo sguardo.


Uomini del nord”.
La sua voce era pacata, ma riempì la stanza. Il fuoco venne dimenticato, in favore del suo corpo. I suoi occhi, due occhi immensi, divorarono la loro attenzione.
Il nemico è alle porte. Un nemico come non lo affrontavamo dal Crepuscolo. E questa volta siamo s o l i. Niente re, niente oracoli, niente giustizieri.
Solo.
Noi
”.


Li lasciò sprofondare, pronta ad afferrarli per i capelli. Li guardò in viso uno ad uno, considerando il loro potenziale, quanto avrebbero potuto darle. Non erano niente rispetto all’uomo che una volta era stato il suo dio. Formiche rispetto alla spia che l’aveva ingannata o al tiranno che aveva minacciato i suoi confini. Si morse il labbro inferiore.
Le sarebbero dovuti bastare.
Ma lei sarebbe bastata per loro?
Tu. B
a s t
e r a i?
Schiaccate lei e Rekla. Hanno rinnegato il Dortan.
Ri u sci rai a non d i s t r u g g e r l i ?

Scacciò quel pensiero.


Ma non temete. Non sono venuta sola. Io, Dalys del Dortan, ho portato un esercito – il mio esercito – nelle vostre terre. Insieme fermeremo quei bastardi, non li lasceremo entrare nei nostri confini. Insieme riporteremo la pace per coloro che amiamo.
Insieme rifonderemo un regno migliore di come sia mai stato
”.


Non se ne sarebbe più andata. Ripensò al momento in cui aveva deciso di consegnare quel regno in mano a un re senza nerbo e poi a quando lo aveva ceduto agli artigli del Priore. Ripensò a quando si erano guardati negli occhi e lei aveva deciso di ignorare la minaccia, abbandonando l’unica cosa per cui avesse mai combattuto, la sua unica casa. Ora poteva solo stringerne le ceneri tra le dita.
Caino l'aveva guardata
sapeva che se ne sarebbe andata
Ray l'aveva guardata
e nei suoi occhi c'era disprezzo
Lei si era guardata
.


Insieme.
Perché voi non siete soltanto il nord. E io non sono una puttana d’Oriente.
Perché insieme siamo il Dortan
”.


Strinse il pugno, lo piantò nel legno, lasciando un’orma cinerea. Li vide alzarsi, ancora in silenzio. Seppe che pendevano dalle sue labbra, seppe che sarebbe bastato poco.


Non tremate più. La fine si avvicina. La loro fine.
E il nostro inizio.
Li laveremo con il fuoco
”.


Un boato, le braccia levate con il pugno verso l’alto. Due nomi ripetuti.
Dortan.
Dalys.
Sorrise, un largo sorriso trionfante e sincero.

Il Vecchio Regno d’Oriente – anni fa



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La spia, l’uomo chiamato Kuro il Sanguinario, il cospiratore, il lungimirante, stava appoggiato al tronco di un ciliegio, inclinato come se stesse reggendo da solo il peso dell’intero mondo. Il suo volto era più scavato dell’età che portava e sotto gli occhi gli si erano disegnate pesanti occhiate. Guardava verso la donna ammantata di rosso che stava in piedi poco distante da lui, e sulle sue labbra le rughe di un sorriso sarcastico ripercorrevano antichi solchi.
La donna era senza tempo, su di lei preoccupazioni e dolori non avevano lasciato alcun segno, come se infondo non li avesse davvero vissuti. I capelli le scendevano lisci lungo la schiena, l’abito di seta tracciava il profilo delle ali di una grande farfalla. Nero. Oro. Rosso.
La donna non sorrideva con la bocca, ma negli occhi le brillava una scintilla ironica. Poggiava le mani sull’elsa della spada che anni prima aveva strappato dalle mani di un antico amore divenutole nemico. La sua figura sottile pareva una continuazione dell’elsa, svettante verso il cielo.


Perché lo hai fatto, amico mio? Perché mi hai tradito? Dopo tutto quello…


Lui sorrise. Forse trovava tenero quel suo aspettarsi qualcosa in cambio. Forse leggeva dentro di lei un’amarezza che gli era familiare. O forse credeva lei non volesse davvero risposte.


La colpa è soltanto tua, Rosa”.


Un battito di ciglia. Lei era appoggiata alla spada, la schiena incurvata a risaltare la curva dei fianchi.
E poi lei era alle sue spalle, gli afferrava i capelli sulla nuca con le mani, duramente, trascinandogli la testa all’indietro. Lui tratteneva il respiro e lei gli poggiava un bacio delicato su una guancia.


Cosa ho fatto? C O S A?


Credeva di non meritare tutti quegli inganni. Lei lo aveva aiutato. Lei aveva finto di morire per lasciar fuggire Re Sennar, il re che-non-ha-palle, il trono-che-trema. Lei aveva rinunciato al potere in nome del bene comune, aveva aiutato Shakan lo spettro. Lei si era opposta a Caino.
Più o meno.
Forse meno. Sapeva bene di non averlo fatto, di essersi limitata a rintanarsi dentro le mura.
Caino aveva detto
Io sono Caino.
Dalys la puttana aveva detto
Fai. Pure. Non. Mi. Riguarda.


Non hai fatto assolutamente nulla”.


La voce di lui era calma. Sapeva che non lo avrebbe ucciso, non lei. Lasciò la presa. Nel cuore sentiva il peso che ben conosceva, tra le labbra un sapore amaro.
Lui aveva ragione. Anche se avrebbe voluto strapparlo in mille pezzi, negare tutto, cancellare quello che era accaduto dalla storia.
Lui aveva ragione. Lei non aveva mai fatto nulla. Si era limitata ad allontanarsi sempre di più. Perché era questo quello che era: un’ombra che aveva creduto di avere un nome, una madre degenere, una donna che non sapeva amare, che aveva rinunciato a tutto credendo che sarebbe stata al sicuro solo nel proprio piccolo bozzolo, nella propria prigione dorata.
Aveva stretto i pugni. Lui le aveva cinto i fianchi con le braccia. Non era una stretta di desiderio, non più, non tra di loro. Era una sorta di conforto.


Non mi avresti mai voluto come regina. Non è questo che ero. Meglio Sennar.
Meglio Caino
”.


Lui aveva tratto un profondo respiro. Lei aveva chiuso gli occhi. La guerra aveva spazzato via le sue terre e il suo nome. La guerra aveva distrutto il suo piccolo sogno.
Non aveva più nulla. Nemmeno lui.


Questo è quello che pensi”.


Non era una domanda. Se ne era andato e lei non aveva cercato di fermarlo. Non voleva chiedergli se lui fosse dello stesso parere. Non voleva saperlo. Non voleva sentire qualcuno dirle che aveva fallito così tanto, che aveva perso tutti, che era stata colpa sua.
Si era inginocchiata, in quel giardino che era stato suo, aveva poggiato i palmi sul viso. L’erba attorno a lei era avvampata come paglia sotto la sua rabbia. Le lacrime erano evaporate tra le sue dita. Nessuno l’aveva vista piangere.
Meglio Caino.
Questo era quello che pensava quando aveva deciso di morire.

Territori del Nord – ieri

Era notte fonda. Nella grande sala dei ricevimenti adibita a dormitorio non si udiva alcun rumore. Il camino illuminava i volti tesi dei soldati preda di sonni agitati. Alcuni stringevano vecchie lettere tra le mani, altri speravano di poter raccontare quello che sarebbe venuto.
Davanti al grande camino, il giovane con i capelli scuri allungava i piedi verso le fiamme, seduto sulla pietra fredda, avvolto nel pesante mantello. Distendeva le dita intorpidite con le punte arrossate, guardandole come se fosse la prima volta.
Gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla, eppure lui sobbalzò ugualmente, alzandosi in piedi.


Signora!


Lei gli sorrise. Il fuoco disegnava riflessi ambrati sulla sua pelle arrossata da un bagno recente e sui suoi capelli ancora umidi. Portava ancora casacca e pantaloni, come il giorno in cui era arrivata, ma i capelli sciolti e le mani nude le davano un’aria più rilassata, quasi confidenziale.
Lui arrossì, notando solo in quel momento le leggere fossette asimmetriche che le si disegnavano agli angoli delle labbra quando era divertita.
Gli prese le mani nelle proprie, così morbide, così tiepide.


Domani è il giorno”.
Gli occhi di lei erano indecifrabili, tradivano appena il suo turbamento. Lo guardò annuire, convinto.
Domani scriveremo la storia”.


Lei sorrise ancora. Quel giovane era veemente. Ingenuo.
Solo.
Eppure il fuoco del suo ardore non pareva spegnersi. In quella penombra, dove anche l’anima si concedeva di sbirciare tra le pieghe della pelle, lui non tradiva alcun ripensamento.


Puoi andartene, se vuoi, nessuno potrebbe biasimarti”.
Lei lo aveva fatto, dopo tutto. E aveva dovuto morire per rendersi conto di aver sbagliato.
Con una meretrice al comando al comando non è detto…


Doveva dirlo a qualcuno, anche se si era ripromessa di non farlo, di mostrarsi sicura davanti a quegli uomini che rischiavano tutto. Lei non avrebbe comunque perso nulla, eppure vacillava al pensiero di ciò che li aspettava.
Il giovane scosse il capo, deciso.


Siamo venuti fin qui per combattere al vostro fianco. Che sia una vittoria o una sconfitta, sarà una vita ben spesa.
Voi siete la nostra signora
”.


Si era portato una mano di lei al petto, quasi a volerle donare il proprio cuore in quell’esatto momento, senza aspettare il mattino.
E la mano di lei, quella mano che aveva toccato così tanti corpi, aveva tremato, temendo di sporcare quella creatura tanto innocente, tanto entusiasta. Lei che per tanto tempo aveva dimenticato l’ardore di combattere per un ideale, sentì tremarle le braccia e le gambe, come se stessero per separarsi dal corpo.


Io…


Si chiese se Kuro avesse provato quello stesso freddo quando progettava la propria ribellione. Se il suo cuore si fosse messo a battere forte dentro lo stomaco, se l’idea di corrompere i cuori altrui lo avesse fatto sentire piccolo, meschino, insignificante.
Si chiese se Caino avesse mai pianto nella propria stanza a cui nessuno aveva accesso, se si fosse mai strappato i capelli o avesse mai nascosto il viso dentro il petto di qualcuno in cerca di conforto, in cerca di quella sicurezza che credeva di non avere.
Se loro avessero mai vacillato.
Come lei sempre.


Io…


Lui la guardava negli occhi, lui che non aveva visto niente. Lui che credeva giusto morire per lei e non aveva idea di cosa volesse dire sentire l’esistenza battere i propri ultimi rintocchi. Che non aveva mai guardato il corpo morto di qualcuno che aveva amato, che forse non aveva mai nemmeno spezzato l’esistenza di un nemico. Lui che non aveva baciato il proprio avversario prima di affondare la lama. Avrebbe meritato di imparare la guerra da un uomo degno. Avrebbe meritato di poter tornare da sua madre con una cicatrice e una leggenda. Di sposare la donna giusta e amare quella sbagliata e vivere fino a perdere quei lunghi capelli e conoscere i propri nipoti.


Io…


Lei, che aveva combattuto per il Re Invincibile e contro il Priore, non era poi tanto diversa da quel nemico che non era riuscita a sconfiggere. Era solo più paurosa, più sola, più incapace di essere un leader. Kuro aveva ragione: lei aveva già perso in partenza, lei non aveva fatto nulla. Non lo avrebbe mai fatto. Non poteva.


…ho paura”.


Sola.
Sei s o l a.
Senza un re.
Senza un nemico.
Peggiore di tutti.
Adesso cosa.
Farai?
Cadde in ginocchio davanti a lui, le mani ancora nelle sue. Abbassò il capo, lei, così orgogliosa. Si era sempre detta di essere migliore.


È tutto una menzogna, quel discorso, questa battaglia, questa promessa. Io non sarò mai regina.
Non sarò mai un priore come lo era Caino. Non ho potere e non ho carisma.
Moriremo tutti.
Vattene finchè puoi
”.


L’aveva guardato, questa volta per davvero. Questa volta con gli occhi della donna che da anni non era, della madre tradita, della figlia sola che non era mai riuscita a liberarsi dal proprio incubo.
Lui aveva taciuto, poi con un dito le aveva asciugato quelle lacrime bollenti che stavano già evaporando. Le aveva sorriso. Non capiva come lui riuscisse a non tremare a non allontanarsi da lei, dal mostro che era stata, dalla bugia che era.


Dalys. Questi uomini non cercano una regina.
Non cercano un priore.
Non cercano un Re Invincibile.
Cercano una speranza. Sono figli di un’epoca che corre verso la propria fine. Come moriranno è una loro scelta.
Con che speranza combatteranno, invece, è merito tuo
”.


Si guardarono. Ora era lui a scaldarle le dita tremanti. Lei piangeva ancora. Piangeva per quegli uomini addormentati che avrebbero creduto in lei. Per se stessa, perché era la loro unica possibilità di farcela. Per quella sua anima tenuta insieme con una fragile impalcatura. Per quello che avrebbe dovuto fare, anche se non era certa di riuscirci.
Si alzò in piedi, i capelli le scivolarono sulle spalle. Austera, bianca, nera, rossa. Ripensò a Kuro, che in fondo doveva averlo sempre saputo. Sorrise di un sorriso incerto, infantile.


Se questa deve essere la fine, ebbene sono onorata di dividerla con te”.


Gli rivolse un inchino. Non desiderò farlo proprio, non desiderò passare la notte in inutili divertimenti. Si sedette davanti al fuoco, in attesa dell’alba, mentre lui lentamente si assopiva.
Se questa è
la f i n e.
Sono onorata di morire non per un
re
non contro un
Caino.
Ma al fianco di q u a l c u n o.
Come Dalys.


Terre del Nord – ora



BpiyT31

Le truppe erano schierate alla sommità del grande vallone. Davanti i fanti del nuovo regno d’Oriente, con le lunghe picche e gli scudi rettangolari, in formazione. Dietro i cavalieri e i guerrieri in armatura del nord. Sulle alture arcieri e balestrieri.
Oltre tutti, accanto ai nobili, a cavallo di uno stallone bruno, Dalys, la Rosa, osservava le orde scomposte dei nemici avanzare verso di loro, denti irregolari nella bocca spalancata dell'inferno. Centinaia, forse migliaia, non abbastanza per farle paura, non più. Il suo viso senza trucco era stanco ma imperturbabile. Gli uomini guardavano verso di lei e lei sfidava il vento ululante.
La sua voce risuonò forte e chiara sopra il nevischio e lungo il pendio, coprendo le urla dell’orda che da lassù sembravano vagiti perversi.


Uomini! Abbiamo udito il grido di avvertimento e i passi dei nemici che avanzavano. Presto ci incontreranno, faccia a faccia. Io sarò in mezzo a voi, perchè finchè saremo uniti nessun invasore potrà varcare la nostra linea e minacciare questa terra o coloro che amiamo”.
Prese fiato. Vide le spalle di alcuni irrigidirsi. Poteva percepire la loro paura.
Loro credono di essere l’orda mandata a distruggerci, credono di essere l’inferno. Contano di trovare smidollati in preda al terrore.
E invece sono stati sfortunati
”.


Qualche risata. Sorrise anche lei, anche se le sue labbra erano livide per la tensione.
Ho paura.
Pensò a quelle mani sudate che avevano stretto le sue, infondendole coraggio coraggio. A quel ragazzo che era stato più saggio di lei.
Non era il momento di fallire, non più.


Perché oggi non importa quanti siano, o chi sia ad averli mandati. Oggi assaggeranno la spada del Dortan. Oggi ingoieranno un po’ di crepuscolo”.


Un grido, il loro grido, che divenne il suo grido prima di potersene rendere conto. Forse qualcuna di quelle bestie si zittì nel sentire il furore degli uomini rimasti silenti per troppo tempo.
Si alzò sulle staffe, la tormenta le sciolse i capelli, uno stendardo corvino per quella battaglia mortale.


Quando questa battaglia sarà finita, che sia nel regno degli spiriti o in questo stesso luogo, banchetteremo sui loro cadaveri.
Morte ai nemici del Dortan!
Morte ai nemici del Toryu
”.


Morte ai M I E I nemici.
L’urlo fu così fragoroso che per un attimo tacque anche il vento. Lei frustò il cavallo, spingendosi in avanti verso i suoi uomini.
Era così che iniziava la loro rivincita. Era così che finiva la sua fuga, con la spada levata per tutti coloro che avevano creduto in lei, per Zephyr, per Ryellia, per Sennar.
Per Kuro.
E per Caino, a cui avrebbe proprio voluto mettere in culo quella vittoria.



 
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