All Heavens sent to dust ········ - Group:
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Era fatta.
Si risollevò a fatica e per qualche momento drastico le gambe non riuscirono a sorreggerlo - dovette afferrare una roccia e accasciarsi su essa. « Hmpf... » esalò un sospiro più simile ad uno sbuffo irritato che altro e rimase in quella posizione tutt'altro che dignitosa per quello che avrebbero potute essere tranquillamente ore. Ma tempo e spazio nell'Oneiron non erano affatto lineari come in Theras: qualcosa per cui l'ombra poteva solo essere grata, e abbandonarsi ad un agognato riposo. Solo quando si riebbe si appoggiò con la schiena sulla nuda pietra, gli occhi puntati sull'enorme stagno nero che si stagliava all'orizzonte fino a perdersi nel buio, increspato ed inquieto da venti alieni a quel luogo di serenità. Oltre quello, solo il nulla. E il tutto.
Aveva fallito molteplici volte, aveva dato fondo alle proprie riserve: forza, pazienza, astuzia. Giustizia. Odio. E nessuna di queste era bastata a prevalere. Ogni volta i suoi riflessi si erano spenti contro lo spadaccino, forte di anni spesi a combattere e dei poteri che Velta gli aveva donato; era inoltre nel suo mondo, mentre lui era nulla più che uno straniero in transito. Solo quell'ago era bastato a portare la bilancia a favore del Guerriero, permettendogli di perpetuare la sua fuga e con essa il disastro derivato dal tocco dell'Inquisitrice. Egli non comprendeva la piaga che gli macchiava la mano, l'eco dei misfatti di Eitinel, veleno dell'Edhel. Ciò che la Sfinge aveva intenzione di fare. Lei, a differenza sua, probabilmente aveva un'idea precisa di quello che intendeva fare.
Ed era arrivato ancora una volta il momento di varcare i confini di quel mondo artefatto che chiamava casa.
Si inginocchiò dinanzi allo stagno dalle profonde acque scure e lo fissò a lungo; finchè la sua superficie non si calmò del tutto, rivelando una moltitudine di bagliori distanti che si mescolavano l'un l'altro, colori di una tavolozza che cercavano di comporre qualcosa di intelleggibile. Theras era un luogo complesso, spigoloso e vasto: una volta compreso, l'Oneiron cessava di essere un'infinità incomprensibile e ogni via diventava in grado di portare esattamente dove serviva. Il mondo degli umani, nel momento in cui vi si varcava la soglia sempre più fragile che lo separava dal mondo dei sogni, era invece una massa detestabile di viuzze e sentieri che andavano percorsi nella loro interminabile interezza per poter finalmente giungere alla meta - non un passo prima, né uno dopo. Ed era ogni volta più faticoso incamminarsi, ogni volta in terre aliene. E il risultato non era mai cambiato.
Ma quella volta, tornando da un viaggio, ce l'aveva fatta. Aveva finalmente raggiunto qualcosa. Era solo servita la fine del mondo.
Finalmente le luci nel lago cessarono il loro turbinio, dipingendo un'immagine cupa appartenente solo ad un luogo che il sole e la luna mai avrebbero potuto graziare. Una scena che ai più non avrebbe detto a nulla, ma era giusto così: per i più, quello che avrebbe trovato sarebbe stato meglio che venisse dimenticato.
Ma esistevano mali che bisognava risvegliare, rischi che bisognava correre. In fondo aveva già lanciato la moneta: non poteva far più di sperare che il suo risultato fosse favorevole.
Ilthan: un nome che odiava. Ma era tutto ciò che gli altri avevano saputo dargli quando, incuriositi, si erano approcciati a lui. Mal tollerato, eppur mai rifiutato: perchè se colui con cui condivideva il nome era il suo punto di origine, era anche la sua destinazione ultima; un unico inevitabile cerchio. Non sarebbe divenuto una spirale: avrebbe trovato una conclusione. In una maniera o nell'altra. Io sono nero. E tu sei bianco. Ecco perchè devi morire.
La realtà nuda e cruda era che lui non possedeva un vero nome; forse non ne aveva nemmeno diritto, partorito com'era da un potere che non sarebbe dovuto esistere. Forse ancora, era meglio così. I nomi erano strumenti potenti, specialmente nell'Oneiron. Ilthan Ahil lo sapeva, perchè li usava per strappare i suoi fratelli e sorelle dal loro mondo, irretirli e comandarli. Essere inafferrabili perchè sconosciuti: sicuramente sarebbe stato una benedizione e una maledizione, qualcosa che pochi sarebbero stati in grado di accettare senza prima o poi crollare, come pilastri incapaci di reggere un peso per cui non erano mai stati ideati. Ma lui il nome lo aveva, ed era costretto a portarlo contemporaneamente a colui che nella sua follia gli aveva dato nascita.
Glielo vide negli occhi: era una coltellata nello stomaco, una zanna avvelenata a rosicchiare la gola. La consapevolezza che dietro quel volto ancora intontito, lui avesse associato a quel ricordo un nome. Un doloroso ricordo affiorato dal profondo della sua mente, fino ad emergere con prepotenza nella fisionomia. Quel nome, quello che non condivideva con lo sciagurato dell'Inverno: si sentì ardere. Lentamente da irritazione divenne fuoco, poi incendio: un attimo dopo avrebbe volentieri fatto ciò che il suo doppio di Theras non era riuscito a fare. Ucciderlo.
« Non paragonarmi a lui. » sibilò infine scacciando quell'impulso animalesco. Si chinò e gli tese il braccio, richiamando le forze per prendere corporeità e permettergli l'appiglio. Era lui la ragione per cui era sceso in quelle grotte: avrebbe portato un'ulteriore pedina alla Sfinge da poter muovere nella sua scacchiera immensa. Una pedina potente, se solo usata nella giusta maniera. E se Ilthan Ahil avesse svolto il suo dovere correttamente, non sarebbe stata nemmeno l'unica o l'ultima. Nel bene o nel male, era fiducioso che entrambi avrebbero svolto il loro compito diligentemente; qual fortuna doveva essere avere come migliori alleati i peggiori nemici, eccellenti l'una tessere tele nelle retrovie e l'altro a combattere in prima linea nel nome di qualcosa che lo Specchio avrebbe voluto (dovuto) fermare.
Lasciò guardarsi a lungo, perchè Itzal potesse comprendere, nel realizzare le sue fattezze spettrali e nei lineamenti sfuggenti appartenenti ad una mano incerta e indecisa di un pittore che non ancora intenzionato a concedere piena vita al soggetto sulla tela, di avere un suo quasi-simile di fronte. E un'antica conoscenza.
« Destati, sognatore. » Penetranti occhi smeraldini, acque una volta torbide appartenenti al Gorgo ora calme. Ma non meno spaventose. « Abbiamo un esercito da formare. »
Lentamente, diradandosi dallo Specchio e man mano nelle sue vicinanze, le tenebre lasciarono spazio a luci fioche che lanciavano riflessi fugaci sulla roccia che li circondava. Antiche civiltà e lingue tappezzavano le profondità della terra attorno a loro, ma lo Specchio non se ne curò. Il suo posto non era lì, nè avrebbe dovuto esserlo per colui che era stato convocato. Invitò con un gesto a seguirlo nel dedalo oscuro, sondando con mente e udito i sentieri per rimanere lontani dal pericolo. Dopo un momento di pausa, iniziò a muoversi - non un cenno d'assenso. Non una domanda. Ilthan avvertì subito che c'era qualcosa di sbagliato (mancante), ma non seppe bene come definirlo; nella sua essenza, vagheggiante sulla linea di confine fra uomo e ombra, riecheggiava un potere assopito ma non del tutto dormiente, immerso in un sogno abbastanza lucido che - se solo avesse voluto - avrebbe potuto dilaniare anche i nati su Theras. Ma era proprio quel potere atipico, arcano e ipnotico per sua stessa natura, che lo rendeva così desiderabile agli occhi della Sfinge.
« Una minaccia antica volge lo sguardo su questo mondo. Sotto di noi, si è risvegliato qualcosa - una creatura in grado di divorare uomini e Daimon alla stessa maniera. » Dopo minuti di silenzio gli lanciò un'occhiata da sopra le spalle per assicurarsi che lo stesse seguendo ancora. « Devi averlo sentito, sicuramente. Nei meandri della tua testa, nel dormiveglia da cui non riesci a liberarti. » Nessuna risposta, solo il rumore appena udibile dei suoi passi; improvvisamente, qualcosa di più. Si fermò avvertendo il formicolare delle rocce in lontananza, quindi si addentrò in un cunicolo sulla loro sinistra portandosi dietro il nuovo compagno. « Sai cosa succede, quando qualcuno viene divorato? » mormorò guardando un paio di creature mostruose zampettare seguendo gli stessi passi che loro avevano seguito inversamente. « Non si muore » continuò riaddentrandosi nel tunnel principale appena furono spariti i demoni. « Sei ancora lì. Solo, non più te stesso. Lentamente divieni qualcos'altro - e prima di rendertene conto, sei... » Si fermò, fissò il fu Hocrag. « ...e non sei. »
Non seppe perchè - c'era qualcosa in lui. Gli aveva tirato fuori quelle parole, benchè l'altro non avesse detto nemmeno una parola o fatto altro che non fosse seguirlo. Doveva essere perchè condividevano lo stesso fato: essere usati come burattini dallo stesso burattinaio, e solo il futuro sapeva cosa sarebbe successo una volta che il loro ruolo si fosse esaurito. « Gli dèi sono caduti, Itzal: le ali di cui si ammantavano sono adesso cariche di paura, catrame su piume una volta impalpabili. E ora, qualcuno li ha ghermiti. » E ora, avrebbe ghermito anche loro. « Hai mai sentito parlare della Sfinge? »
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