Darth Side ········ - Group:
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| Chissà per quanto a lungo sarebbe durato il suo peregrinare senza mèta. Viaggiava ormai da settimane, rigorosamente a piedi, e per quanto le suole dei suoi stivali sempre intonsi non mostrassero alcun segno di cedimento, lo stesso non si poteva della sua volontà: che dapprima rigida e lucente come il metallo di una spada appena forgiata, era ora sbeccata e corrosa dal dubbio, da un'incertezza che sentiva nascere ogni giorno più grande, come un'ombra che lo inghiottiva pian piano, imprimendo in lui la consapevolezza che non avrebbe mai raggiunto il suo scopo. Si alzava ogni giorno al levar del sole, e che avesse dormito in qualche locanda o in una radura in mezzo al bosco non faceva differenza costringendosi andando avanti, inseguendo un miraggio, un ricordo, qualcosa che da tempo per una colpa non sua aveva perso, ma per la quale si era tremendamente rammaricato. Al tramonto, invece, stanco dall'intermabile peregrinare si chiedeva se davvero avesse qualche speranza di riuscire nel suo intento. Si lasciava andare stancamente a un sonno disturbato, con mille dubbi che lo arrovellavano, ponendosi domande che avrebbe convenientemente rimandato al giorno successivo continuando così in una spirale infinita che lo avrebbe condotto al baratro. Viaggiava coperto dal suo mantello grigio, lo stesso di sempre, celando con altrettanta abitudine lo sguardo sotto il cappuccio, adombrandolo cosicchè gli sparuti viandanti o gli capitasse di incontrare qua e là non incrociassero il suo sguardo cremisi, sottraendosi così a sguardi tra la diffidenza e lo spavento; e destare più clamore e domande di quanto avrebbe voluto. Ignorava se qualcuno si ricordava ancora di lui da quelle parti, ma se così non fosse stato era contento che tutti se ne fossero dimenticati. Volava essere lasciato solo, senza che gli venisse rivolta parola. Non voleva la compagnia di nessuno. Quasi nessuno.
Anche quel giorno al tramonto aveva raggiunto l'ennesimo villaggio, trascinandosi stancamente come un fantasma grigio verso la taverna locale per rifocillarsi, fare scorta di vivande e addormentarsi su un letto che sapeva già avrebbe trovato scomodo, in attesa di svegliarsi il giorno seguente e ricominciare la lenta agonia alla quale si stava costringendo. Camminò defilato, lasciando che i mezzadri di ritorno dei campi passassero al centro della sudicia -e unica- strada presente, che tagliava il villaggio in due come aveva già visto in decine di altri villaggi dove era già sostato. Il lento e affaticato scalpitare degli animali da soma e l'incedere dei carretti carichi del raccolto di giornata lo accompagnarono fino all'entrata della locanda, dove a questi suoni iniziavano a sostituirsi le risate sguaiate degli scansafatiche che avevano deciso di perdere il pomeriggio a ubriacarsi. Gli venne quasi la nausea, immaginando già il puzzo infestante quel luogo e la gente che lo riempiva. E si sentì terribilmente s p o r c o, nel dover essere costretto a entrarvi a sua volta. E, sospirando, vi entrò. Poggiò il palmo sull'uscio, spalancandolo per accedervi in silenzio, come una nota stonata in un mezzo a una cacofonia di risate sguaiate, boccali che sbattevano sul tavolo e insulti urlati in malodo che riempivano la misera stanza. Si avvicinò al bancone, chiedendo un tavolo per la cena e una stanza per la notte e allungando una moneta sul bancone come pagamento. L'oste prese la moneta fugacemente, lucidandola sul panno che aveva in grembo e distraendosi solo un istante per insultare uno dei presenti che aveva rotto un boccale, per poi voltarsi ancora verso di lui e muovere un rapido cenno d'assenso con la testa, troppo impegnato a intascarsi la moneta appena guadagnata per farsi domande su quella figura con il mantello logoro che era appena entrata dalla sua porta. Fu quando però l'oste gli portò del pane raffermo una brodaglia tiepida che il suo sguardo si spalancò.
« quel maledetto figlio di cagna di Jack » un uomo da lui poco distante stava parlando a alta voce, ridendo sguaiatamente tra una frase l'altra e picchiando il boccale appena svuotato sul tavolo « dobbiamo scoprire il suo segreto, DEVE DIRCELO! » mentre i suoi compagni di bevute parevano incitare quel penoso spettacolino l'oste lo ammonì di non rompere un altro boccale, altrimenti l'avrebbe cacciato fuori a calci in culo, ma questi non parve curarsene troppo, e sbiascicò verso di lui « dovresti chiederglielo anche tu, caro il mio oste. » Si alzò in piedi, ciondolante, pronto a ordinare ancora da bere « Non vorresti conoscere come fa a tenere una strega di quella bellezza in casa propria? La gente l'ha vista ballare intorno al fuoco » mimò una giravolta ben poco aggraziata « e mentre le donne erano troppo impegnate a coprire gli occhi ai bambini davanti a quello spettacolo per loro indecente, gli uomini ne sono stati ammaliati. » Aveva l'attenzione di tutta la sala « Bellissima e dagli occhi verdi come le foglie del bosco più rigoglioso. Solo una strega potrebbe essere tanto bella e capace di stregare il cuore degli uomini. Solo una strega, o una costosissima puttana. » Dimentico di quanto compassato e clemente avesse imparato a essere negli ultimi anni, l'istinto e la voglia di rifuggere una disperazione sempre più incombente si impradonirono di lui. Zephyr gli si lanciò addosso in uno scatto, il mantello che indossava svolazzò un istante e una mano andrò a brandire la spada, l'altra si avvinghiò alla gola dell'uomo schiantandolo quindi a terra, e sentendo come la sua schiena avesse preso a scricchiolare contro le travi di legno del pavimento -o forse era il contrario.
« Dove? Dove abita? » Lo guardava con gli occhi sbarrati, intransigenti. Percepì lo stupore generale attorno a lui, ma prima che qualcuno potesse decidersi a disturbarlo lasciò che la sua essenza di dipanasse oltre il suo corpo, scuotendo gli animi dei sempliciotti che si trovavano al suo cospetto con un vago sentore di terrore. Era un trucchetto che non usava da tempo, ma si ricordava molto bene della sua efficacia. Lo fece solo per guadagnare qualche istante, dopo settimane di inutile errare; solo poche parole. Il suo prigioniero aveva portato le sue mani sul suo braccio nel tentativo di liberare il collo dalla morsa letale delle sue dita, e per indispettirlo ancor di più muoveva le labbra come un balbuziente afono.
« Dimmi dove si trova! » Conficcò la spada rossa a un pollice dagli occhi dell'atterrito ubriaco, sperando di destarlo dallo sbigottimento commisto a paura che gli leggeva sul volto. « D-dirigiti a O-ovest. Il p-primo villaggio che... che... » Allentò la presa delle sue dita sulla gola dell'uomo che inspirò voracamente, il petto che si espandeva ritmicamente « il primo villaggio che troverai sarà quello giusto. Cerca la casa di Jack, appena fuori sul limitare settentrionale. » Non seppe perchè lo fece. Forse per punirlo del modo in cui aveva parlato di lei, forse solo per dissuadere i presenti dall'inseguirlo o parlare a sproposito, o forse solo per sfogare la frustrazione di quei giorni e la rabbia che provava nel saperla imprigionata in un piccolo borgo di stupidi umani. Nel ritrarre la mano dal collo dell'ubriaco, lo sfiorò un'ultima volta, trasformandolo in cenere. Il corpo che in un istante evaporò in una tenue nube grigia. Qualcuno urlò di aver visto un demonio, un altro corse fuori dal locale, alcuni avevano cercato di allontanarsi da lui il più possibile arrivando con la schiena contro le pericolanti mura della catapecchia. Ottenuto ciò che voleva, Zephyr si alzò senza degnarli di uno sguardo, rinfoderò la spada e uscì in silenzio proprio come era entrato. Avrebbero parlato di lui, marchiandolo come mostro e assassino, e giacchè ai loro occhi era alla stregua di un qualche criminale decise di perseverare nel dargli ragione, adducendo il furto all'omicidio. Una volta fuori, scorse dei cavalli legati a poca distanza dalla locanda e avvicinatosi tagliò i legacci che li costringevano quello che giudicò essere il più veloce, montandolo e tirando le briglie verso il tramonto, proprio come la sua vittima -la prima, dopo tanto tempo- gli aveva indicato.
Aveva agito d'istinto, come se il suo animo si fosse svegliato d'improvviso da un torpore che per troppo tempo aveva offuscato la sua vita, e ora, mentre galoppava verso la fine del giorno, con i raggi ambrati del sole che gli illuminavano il viso e il vento che gli sferzava i capelli si scoprì trepidante, scosso da un'impazienza che sfogava incitando il cavallo con colpi mirati ai fianchi mentre si accovacciava su di esso, sempre più veloce.
Arrivò quando le stelle avevano già preso a punteggiare debolmente il cielo, e con uno strattone alle redini arrestò gli zoccoli del cavallo sfinito scendendo in fretta e dirigendosi svelto verso la casa che gli avevano indicato dover raggiungere. Il buio calò accompagnando i suoi passi veloci nel silenzio della notte, ammantando l'ambiente di un silenzio spezzato solo dal prepotente battere del cuore che aveva in petto, ansioso come non mai. Fu come se quei pochi passi fossero più impegnativi di tutti quelli percorsi nei giorni precedenti. Più difficili perchè più determinanti. E pericolosi, se avesse alla fine scoperto di aver semplicemente preso un abbaglio.
Avrebbe voluto urlare il suo nome e chiamarla fuori, ma non lo fece. Avrebbe voluto tirare giù la porta con un calcio e strapparla a quel luogo misero e sudicio, ma non lo fece. Avrebbe voluto fare tante cose... ma più di tutto voleva vederla. Si limitò a sospirare, togliendosi il cappuccio. Per lei il suo aspetto non sarebbe stato un problema.
Bussò tre volte, e tre volte più forte, poi attese. Un'attesa più lunga di tutti i giorni passati a vagare in lungo e in largo, figlia di una costernazione di cui si era ingiustamente incolpato e dell'angoscia che l'aveva costretto a tornare sul viale dei ricordi. In un mondo dove -con sua buona pace- nessuno si ricordava chi lui fosse stato Quasi nessuno, sperò.
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