Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Il Lascito degli Dèi ~ Whispers Arise (again?), [Contest Dortan - Theras]

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view post Posted on 20/12/2019, 22:26
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Like a paper airplane


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La figura ammantata di nero aveva il cappuccio calato sul volto. Avanzava a passi lunghi, le spalle lievemente curve, il portamento allampanato che sembrava stonare con l’austera eleganza della grande cattedrale. Sfilava tra le panche di legno, e i suoi passi facevano appena rumore sul pavimento di marmo. Per quanto il suo capo guizzasse circospetto a destra e a sinistra, i suoi piedi non rallentarono e si diressero decisi verso l’ambone al termine della grande navata, verso una figura che pare minuscola sotto le alte colonne e le ampie vetrate. La pelle di lei non era più ambrata, ma risplendeva dei colori del vetro. Rosso, blu, giallo, nero, si confondevano sui suoi vestiti e sui suoi capelli legati in una treccia. Stava a braccia conserte davanti a una forma indistinta sotto un telo chiaro di iuta, un mezzo sorriso sulle labbra, quel sorriso che era il suo marchio distintivo.
Le poggiò una mano sulla spalle e lei sobbalzò appena, afferrandogli rapida il polso. Non aveva bisogno di armi, non lei. Gli uomini che la circondavano, servi e artigiani, si irrigidirono. Lei levò la mano libera, agitandola distrattamente. Dovevano tornare al lavoro, questo suggeriva il suo portamento rilassato racchiuso in un elegante vestito di velluto rosso.


Ti ricordavo un più sfacciata, Rosa. È il potere che ti intima questa foggia di vestiti o forse sei… invecchiata?


Lei gli afferrò il cappuccio, costringendolo a piegarsi all’indietro. Sentì le ossa scricchiolare sotto la presa di lei, decisa come il primo giorno che si erano incontrati. La vide digrignare i denti, ma senza rabbia, nello sguardo un guizzo di divertimento. Si chinò sopra di lui, facendo scivolare le dita sui suoi capelli ormai sale e pepe. Tiepida, sensuale. Nessun vestito avrebbe potuto cancellare il sapore accogliente della sua pelle o la fossetta invitante prigioniera all’angolo delle sue labbra.


Devono credere in me, non nelle mi cosce”.


Mollò la presa, lasciandolo scivolare a terra e tornando a guardare i suoi uomini al lavoro. Lo sconosciuto si rialzò, notando che gli altri non lo riconoscevano. Era passato davvero troppo tempo da quando loro due, uno accanto all’altra, avevano influenzato le sorti del mondo. Lui burattinaio, lei soltanto un’orgogliosa pedina.


Mi hai mandato a chiamare per invitarmi al grande evento?
Lei girò il capo di tre quarti, strizzandogli un occhio.
Un’incoronazione e un matrimonio, cose che non mi sarei aspettato da una come te. È per rimembrare insieme i vecchi tempi prima che inizi il tuo nuovo gioco…?


Dalle labbra di lei scivolò un sibilo di divertimento. Allargò le braccia a comprendere quella chiesa, i campi coltivati, i campi di battaglia, le città che non potevano vedere. Le sue dita spalancate riuscivano a malapena ad afferrare un pugno d’aria odorosa di legno tarlato e incenso, eppure l’uomo ebbe la sensazione che lei vedesse ben altro sul proprio palmo.


Non ho interesse a celebrare con te il mio potere. Non avevo nemmeno alcun interesse a vederti vivo”.


Si girò verso di lui, fronteggiandolo. Era più bassa, senza i suoi tacchi rossi, i capelli sciolti nel vento e il trucco pesane. Era più bassa ora che non stava a gambe aperte su un trono d’oro massiccio invitando i suoi dignitari a rendere omaggio all’unico verso strumento di governo dell’Oriente.


Ma questo mio nuovo potere è del tutto inutile senza qualcuno che mi aiuti ad utilizzarlo. Per il momento sto guidando un popolo unito solo per caso, per pararsi il culo o perché spera di spazzarmi via come polvere marcia e mettere un altro al mio posto. Pregano ancora gli dei, il Sovrano, Caino o Zeno. Alcuni hanno nuovi dei tutti loro. Nessuno prega me. Nessuno mi invoca o crede che li salverò, a parte pochi guerrieri che mi hanno visto al loro fianco”.
Strinse i pugni.
Per questo ti ho chiamato, Kuro il Sussurro. Perché non mi accontenterò di essere la loro amante in attesa di trovare una buona moglie”.


Si leccò le labbra, camminando all’indietro fino a raggiungere i suoi uomini al lavoro. Loro si scostarono, facendole spazio con un inchino, rivolgendole occhiate di segreto desiderio.
Kuro il Sanguinario, signore delle spie e dei complotti, sapeva che lei aveva ragione. Sapeva che non sarebbe bastato un matrimonio tra vecchi gerarchi del regno ad unire quella nazione.


Mi stai chiedendo di lavorare con te”. Prese fiato, si grattò il mento. “Ma in cambio di cosa? Il Dortan è già stato nelle mie mani una volta, non mi interessa”.


Lei rise, una risata forte e sonora, che si diffuse in tutta la grande chiesa. Gli corse incontro, gettandosi al suo collo. Si chiese se volesse supplicarlo, ma le labbra di lei gli sussurrarono poche parole all’orecchio, percepibili solo da loro due, parole che pietrificarono l’espressione di Kuro, l’uomo che aveva udito di tutto.



Tacque, mentre lei ritornava indietro. Tacque e lentamente sulle sue labbra si disegnò un sogghigno.
Stai attenta a quello che dici nella chiesa di Zoikar, Dalys Speranza del Dortan. Certe bestemmie…
Lei rise più sommessamente, portandosi una mano alle labbra. Sfacciata, provocatoria.
Zoikar non se la prenderà, non dopo il dono che farò alla sua chiesa in onore del matrimonio e dell’incoronazione”.


Tirò lievemente il telo con una mano, scoprendo una grande statua. Alta quasi quattro metri, in oro massiccio, rappresentava un uomo imponente, completamente armato, con una grande spada in mano. La punta della spada si piantava nel cuore del mondo, nel cuore di Theras. Distesa sul mondo ai piedi del cavaliere, le mani morbidamente avvolte attorno alla lama, più piccola, la figura di una donna vestita soltanto di delicati drappeggi di seta, gli occhi fissi verso l’alto, un’espressione di venerazione.


Non è bellissima?


Lei sorrideva, sottintendeva. La sua voce era gravida di significati. Non avrebbe dovuto ascoltarla, avrebbe dovuto andarsene. Se fosse stato saggio avrebbe girato i tacchi e l’avrebbe lasciata ai suoi ridicoli piani. Ma ricordava ancora quando aveva deciso il destino di Dortan. Era stato inebriante. E Dortan era così p i c c o l o rispetto a quello che lei gli stava offrendo.
La Rosa si appoggiò al braccio enorme dello Zoikar d’oro, gli avvolse il gomito con le proprie braccia sottili, quasi stesse cercando protezione.


Sai, lui è stato il nostro dio. Lui ci ha guidato in tante battaglie. Ha guidato questo regno”.


Leccò il braccio di metallo con la sua piccola lingua, quella lingua perfida che aveva osato pronunciare un sogno tanto ambizioso. Kuro, che aveva già saputo resisterle altre volte, provò un brivido lungo la schiena. Si chiese come potesse sposarsi, come l’angelo di cenere potesse accettare quel rischio.


O forse no”.


La voce di lei si fece sottile, per sentirla fu costretto ad avanzare. Erano loro due, vicini, loro due contro tutti gli ignari esseri viventi. Non solo di Basiledra. non solo del Dortan.


Forse sono tutte cazzate. Le guerre le abbiamo vinte e perse noi. Ed è ora che gli dei si levino dalle palle”.
Di tutto Theras. Di quel mondo su cui una figura d’oro si distendeva come se già le appartenesse.
Forse è ora che queste terre spettino a chi se le è meritate. Dopo tutto Basiledra è sempre stata un po’ stretta”.


Kuro pensò che erano troppo vecchi. Che non sarebbero mai sopravvissuti ad un complotto del genere. Che unire i popoli divisi del mondo intero era pura follia. La guardò negli occhi, trovò un grumo palpabile di eccitazione e desiderio. Si chiese se ci avesse ragionato anche solo per un istante, o se quelle idee le nascessero dentro improvvisamente, come fuochi d’artificio.
Sospirò.


Dovremo lavorarci”.


Lei diede un buffetto affettuoso al sedere della statua, lasciando l’impronta rovente del suo palmo su una delle natiche dell’armatura. Lo fece ridendo, guardando l’oro fuso che si distendeva in filamenti sottili tra le sue dita. Lo condenso in una piccola sfera, grande abbastanza per il suo palmo. La depose nella mano del suo nuovo alleato. Scottava nonostante i guanti di pelle. Circondò la mano di lui con le proprie, come a proteggere quel loro piccolo tesoro.
Quel loro immenso segreto.


Lascia fare a chi lo sa fare”.


Gli fece il verso con un mezzo sorriso.
La porta della chiesa si spalancò. Qualcuno stava litigando. Riconobbero la voce di Zephyr. Lei si portò il dito indice della mano destra alle labbra, mentre con la sinistra gli nascondeva di nuovo il volto con il cappuccio. Lo lasciò lì, davanti alla grande statua, mentre si allontanava a passo svelto.




CITAZIONE
Visto che Theras e Zoikar (il daimon da me scelto) non sono temi vicinissimi alla Dalys di un tempo, ho deciso di cavalcare l'onda della crescita che il pg ha avuto in queste ultime giocate.
Presento quindi una Dalys maturata, seppur esteticamente immutata, che si confronta con la necessità di un'investitura ufficiale (un'incoronazione). Da persona insicura, che tende a stare nei propri spazi, ad essere gregario, improvvisamente pare esserle sorta un'idea, un'ambizione nuova. Per coltivarla ha bisogno dell'aiuto di un vecchio compagno: Kuro. Ormai di mezza età, dimenticato dalla massa, che non ha alcun desiderio di rischiare tutto di nuovo, ma che forse non può rinunciare a quel richiamo, a quel rischio che è stato parte della più grande impresa della sua esistenza.

I temi Theras e Zoikar, incarnati dalla statua, sono oggetto dell'ambizione di questi due personaggi diventati adulti, che si confrontano con i loro sogni di un tempo, che dovrebbero aver ormai raggiunto un punto fermo ma che non riescono a rinunciare alla spinta di fare di più, di andare oltre, di non fermarsi. La guerra imperversa fuori Dortan, ma per un attimo, nella grande chiesa, si stringono le mani e pensano che potrebbe esserci un futuro.

 
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view post Posted on 23/12/2019, 01:29
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Darth Side
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Aveva cercato una risposta tra le vie della città, camminando per tutto il giorno in cerca di sciogliere quei dubbi nati appena la sera prima. Si era unito alla folla che sciamava da una parte all'altra della città, mischiandosi a loro come un viandante chiunque solo per bearsi di quello spettacolo che rassomigliava in maniera così vivida, la vita all'interno del Bianco Maniero. Le strade pullulavano di persone, le guerra e gli eserciti radunati avevano portato lavoro e speranza in un popolo affranto. Mercanti erano giunti da ogni dove, pronti a vendere qualsiasi cosa, i fabbri picchiavano incessantemente i propri martelli sul metallo caldo, pronti a sfornare quante più spade gli avessero richiesto, le zanne del Leviatano rinato. E, per quanto sapesse bene, che quello non era il vecchio e fulgido Toryu, e che da nessun angolazione in quella città avrebbe scorto il Maniero Bianco, Zephyr parve bearsi di quel vago sentore nostalgico che la città palpitante poteva donargli.
Se il regno di Rainier era stato un enorme incendio divampato in nome di un Sovrano come più non se ne sarebbero visti, loro avevano creato solo una semplice scintilla
Questo era l'abisso che separava lui, da loro
E ora, aveva la netta sensazione che quella flebile scintilla, ora, rischiava di spegnersi al più piccolo alito vento.
Il suo infinito peregrinare l'aveva condotto alla fine del giorno alla piazza grande, ai piedi della chiesa dove lei voleva celebrare la sua incoronazione. La loro incoronazione.
E matrimonio.

M I S C R E D E N T E




« Non posso farlo. »

Non appena giunto ai piedi della chiesa era stato intercettato da un ragazzo riccamente vestito, con spille e bottoni dorati, una spada adornata all'elsa di pietre preziose e un mantello con legacci d'argento che svolazzava al ritmo del suo portamento nobiliare: Justus Laetor Heummerer.
Era un principe ancora imberbe, mandato del padre -infermo a causa di una malattia- a guidare uno degli eserciti più grandi del Dortan e a tenere alto l'onore della propria famiglia. L'aveva visto diverse volte ai consigli di guerra della Rosa, giovane e avvenente, era inesperto in battaglia quanto terribilmente arrogante e pieno di sè. La sua poca abilità di scherma era compensata da una mente fine e una sfacciataggine figlia della giovane età. Era una persona difficile da trattaere e estremamente influente, un connubbio che Zephyr non avrebbe mai voluto incontrare, non quando doveva dare ancora troppe risposte a molte domande.
Non desiderava altro che essere lasciato in pace, entrando in quella chiesa per scorgere l'enormità che la Rosa vi aveva nascosto dentro, come se quel simularco di opulenza commista a religiosità potesse dissipare i suoi pensieri come normalmente -pensava- sarebbe avvenuto con i credenti che frequentevano le liturgie assiduamente. Lui, che non aveva mai creduto, sperava forse che una rivelazione divina gli indicasse la strada? O forse voleva solo vedere il luogo nel quale si sarebbero sposati?

« non sarei mai in grado di tradirla. »

Rispose malinconico, più a se stesso che al proprio interlocutore.
Anche volendo, non avrebbe avuto la forza. Il principe Justus restò impassibile, sorridendo sempre più sicuro di sè e ravviandosi una morbida ciocca castana dietro l'orecchio. E con uno sbuffo di vento che scivolava sul sagrato della chiesa a sancire il loro silenzio, il giovane riprese.

« Io posso farlo con te o senza di te, Zephyr. Ti sto offrendo l'unica possibilità che hai di ottenere ciò che un tempo hai perso. Voi e questa vostra stupida religione che avete riportato in auge non siete nulla, senza il potere degli eserciti ai quali siete temporanemente a capo. » Fosse stato per lui avrebbero potuto portargli via tutto, finita la guerra. Sarebbe bastata solo lei, e lei soltanto. Nessun regno, nessun esercito.
Erano forti abbastanza da cavarsela da soli.
« Posso pagare i sacerdoti quanto e più di voi, posso convicerli a proclamarmi erede spirituale di Rainier cosicchè tutti mi seguano e mi adorino, e fidati che il popolo di Dortan dopo la guerra si affretterà a acclamarmi come salvatore. » gli girava intorno con aria di superiorità, come a voler tracciare idealmente un circolo dove lo aveva imprigionato con la sua logica arrembante e priva di falle.
« questi Dèi sono morti da tempo -se mai sono esistiti- e non si hanno notizie dei loro prodigi da tempi persi nelle leggende e voi... » rise divertito « beh, guardatevi. Voi siete solo un mostro dagli occhi rossi e una meretrice. Niente più che fantasmi di un'epoca morta e sepolta, derelitti che ancora camminano su questo mondo sognando i fasti di un tempo dimenticato. »
La voce del principe divenne più dura.
« Demolirò questi stupidi idoli e queste stupide credenze. Sono i nostri eserciti fatti di uominie che scendono in battaglia a combattere guerre, è loro il sangue versato nelle battaglie. Per questo dirò loro che non c'è nessun dio, nessun essere superiore da servire. Loro dovranno adorare solo i regnanti che concedono loro di vivere nelle proprie terre. Loro sono gli Dèi che la piccola gente comune deve venerare. »



Nell'ascoltarlo, Zephyr si sforzò di mantere la calma, limitandosi a un'occhiataccia aspra.
Aveva accettato l'infrangersi del suo sogno e poteva anche accettare che un ragazzino dalla mente sveglia stesse studiando un modo di far credere a tutto il Dortan di essere il nuovo sovrano invincibile.
Compreso sì, accettato no.
Perchè malgrado ciò che credeva il ragazzo, gli uomini adoravano l'intangibile, il miracoloso e la perfezione. Tre pregi che in un certo senso si potevano affiancare a Rainier. E non a un comune e fallace mortale.
Aveva lavorato molto e incessantemente per avere ancora la flebile e tremolante immagine di una città che anche solo vagamente rassomigliasse a quella del Bianco Maniero che avrebbe ucciso chiunque avesse mai minacciato così apertamente di portargliela via.
La religione era il collante del popolo. La fede l'avrebbe tenuto unito, gli avrebbe dato speranza, e i preti che loro avevano pagato li avrebbero convinti di come lui e lei, non fossero un mostro e una meretrice, bensì due prescelti per portare avanti la guerra.
Erano bugie, ma con uno scopo.

« Non osare minacciarmi, principe. Nemmeno tu puoi permettertelo. »

I due si trovavano in cime alla scalinata che conduceva alla chiesa, a pochi passi dall'enorme portone che dava sulla navata centrale. Ma nemmeno la vicinanza al luogo di culto e preghier riuscì a distogliergli dai loro intenti, parlavano di tradimento e blasfemia.
Di peccati che gli uomini avrebbe condannato senza appello.
Zephyr gli si avvicinò a ampie falcate, fissandolo con fredda rabbia alla quale Justus rispondeva con sorriso beffardo, forte della propria autorità al consiglio di guerra, che le dimensioni del suo esercito gli conferivano.

« Lo sai che non puoi farmi niente, Zeph... »


Venne strattonato prima di poter finire la frase, la mano dell'angelo che gli aveva afferrato la gola e lo aveva alzato di peso, lasciandolo a scalciare il vuoto mentre rantolava agonizzante tentando di liberarsi da quella morse che gli impediva di respirare.
Zephyr schioccò le dita della mano libera aprendo il portone poco distante per iniziare a muoversi lentamente verso di esso, gustandosi attimo dopo attimo l'espressione terrorizzata e violacea di quel volto che prima gli aveva chiesto di tradire la Rosa per rubargli il regno, poi aveva minacciato quella flebile estemporaneità che aveva per un attimo trasformato una comune cittadina in qualcosa che per lui, un tempo come allora, aveva rappresentato tutto.
Senti il dibattersi del suo prigioniero divenire via via sempre più fiacco ma, riuscì a raggiungere il centro della navata prima che questi perdesse i sensi, liberando la presa sulla gola e lasciandolo cadere a terra boccheggiante e esausto. per invitarlo a non alzarsi gli piantò un calcio sul petto e fendendo l'aria in un gesto secco fece sorgere dal pavimento delle catene di cenere che, in un palpito, gli allargarono gambe e braccia inchiodandolo al terreno. L'ultima di esse, come il morso di un cavallo, gli scorse in bocca, impedendogli di parlare e infastidire così ancor più l'angelo spazientito.
Scorgendo gli occhi indiscreti dei manovali, li soppeso con lo sguardo uno a uno, con loro che ricambianvano con deferenti cenni del capo. Attratti dal trambusto e incuriositi avevano dimenticato per un istante il motivo per cui si trovavano lì per impicciarsi di qualcosa che lui non voleva loro vedessero. Per non soddisfare la loro curiosità si limitò a alzare il mento verso una porta sul lato della navata. Questi risposero con un cenno del capo e, in silenzio presero i loro attrezzi e si dileguarono in pochi istanti, scomparendo all'ombra delle enorme colonne che puntellavano il cammino verso l'altare.
Erano uomini della Rosa, e conoscevano bene cosa si diceva dell'angelo di cenere.
Per questo non avrebbero mai detto a anima viva di come lui aveva preso per la gola un principe del Dortan per tortuarla nella dimora degli Dei.
Delle urla soffocate e un continuop dimenarsi sotto di lui, riportarono il suo sguardo sul volto del principe ora paonazzo e furente per l'affronto subito. Un affronto che stupidamente non si era mai aspettato di ricevere. Si chinò su di lui, per instillargli un'altra piccola dose di rabbia e paura che gli avrebbe insegnato la differenza che intercorreva tra un principe presuntuoso e viziato, e un gerarca del Re cui lui ambiva sostituirsi.

Gli menò un violento ceffone sul volto.
« Sei debole. »
ancora uno, sulla guancia opposta.
« Debole e patetico. »
un altro ancora
« Non sarai mai come lui. »


Con l'ultima sberla Zephyr si rialzò, accompagnato dal soddisfacente singhiozzare di quel principe dalle guance arrossate e gli occhi colmi di lacrime che, forse per l'ultimo sussulto di orgoglio, ancora stentavano a sgorgare.
Un principe morto avrebbe rischiato di sfaldare i ranghi del Leviatano ancor prima della guerra, e lasciare libero un principe che era stato preso a schiaffi da colui che doveva sposarsi con il comandante di tutti gli eserciti avrebbe sortito lo stesso effetto.
Zephyr sospirò, e soddisfatto per aver sfogato un commisto di frustrazione e rabbia, si sedette a fianco al principe ancora supino e dolorante, le gambe distere sul marmo e la schiena poggiata a una panca, lo sguardo alzato che guardava il soffitto e chissa cos'altro.

« Non ho mai voluto il Dortan o Theras. Non per me, almeno. » sorrise debolmente « ma questa mattina, camminando per le strade della città, ho visto uno scorcio di quello che un tempo era il vero Leviatano. Ricordo ancora molto bene come la gente si sentisse sicura all'ombra del suo stendardo e di come soverchianti fossero le sue parole e assoluto il suo potere. » Zephyr spostò lo sguardo all'enorme statua d'oro massiccio dello stolido Zoikar in fondo dalla sala. « In un certo senso, era come una religione: adoravamo il Sovrano e vivevamo la sua unificante utopia, combattendo per lui per asservire quanta più gente possibile al suo credo. »

Non seppe nemmeno lui perchè iniziò a parlare con qualcuno che aveva schiaffeggiato fino a pochi minuti prima. E Justus ricambiaca questa sensazione guardandolo incuriosito, distratto per un attimo dalle costrizioni che legavamo i lembi del suo corpo al freddo marmo.
Forse aveva solo trovato la propria risposta, e voleva condividerla con qualcuno. Chiunque esso fosse.

« adesso, senza di lui e orfani di un suo sostituto, abbiamo bisogno che gli ignari abitanti di Theras credano nei loro Deì, affidando loro il proprio spirito e asservendosi a coloro che più li rappresentano. »


Era solo una facciata, l'ennesimo teatrino imbastito per tenere saldo il regno.
Ma ero necessario, era questo che non aveva voluto capire sin dall'inizio rifugiandosi in quel piccolo dubbio che era naturalmente nato in lui al pronunciare della parola incoronazione. Come un tarlo aveva scavato nei suoi pensieri, erodendone le certezze e aprendo spiragli di insicurezze e pensieri -ora lo sapeva- infondati.
Che fosse per conveniente o meno, non aveva importanza. Avrebbe fatto di tutto per mantenere viva quella piccola scintilla e farla diventare almeno la metà dell'incendio con il quale Rainer aveva avvampato il mondo conosciuto.

« Così la sagezza di Haym guiderà le nostre decisioni e la forza di Zoikar ci sosterrà in battaglia. »


Nessuna divinità della procreazione o dedita a proteggere le opere degli artigiani. Il popolo aveva bisogno di forza e saggezza, questo avevano concordato. La volontà ferrea del guerriero guidata dalla sapienza dell'uomo saggio.
Non avrebbe saputo dire chi tra lui e la Rosa avrebbe potuto rispecchiare le qualità dell'uno o dell'altro, e forse proprio per queste loro mancanze avevano scelto questi due Daimon.
Una volta terminato Zephyr si alzò nuovamente in piedi e, estratta la spada per alzarla davanti ai suoi occhi, assaporò un'ultima volta l'aria stantia della chiesa. Immerso nel silenzio rotto solo dai rantoli di Justus che aveva ripreso a dimenarsi, iniziò a concentrarsi per tentare l'unica soluzione cui gli era riuscito di pensare per levarsi dall'incresciosa situazione nel quale si trovava: aver torturato un principe tra i più potenti del Dortan.
L'omicidio era rischisoso, e liberarlo fuori discussione.
Quindi l'avrebbe convinto.
Mormorò delle incomprensibili parole di una lingua dimenticata, e la spada brillò per un attimo, illuminando la chiesa di un lampo rosso.
Il principe ancora disteso ai suoi piedi perse all'istante i sensi, addormentandosi all'istante in un sonno profondo e lasciando che l'incessante tintinniò del suo dimenuarsi sfumasse in una quiete decisamente più confacente al luogo di preghiera e raccoglimento dove si erano attardati.

Il deserto, il sole cocente e l'aria di un caldo irrespirabile.
L'aveva lasciato lì, in un posto caldo come l'inferno e arido come il suo spirito.
Lui che non aveva fede, e che aveva minacciato la stessa fede da loro scelta.
Così avrebbe vagato all'infinito per quella distesa di sabbia sconfinata, con il sole sempre alto nel cielo,
costretto a un pellegrinaggio che non poteva interrompere in cerca dell'unica cosa che potesse abbeverarlo.
Il volto scottato, la gola arsa e il palato secco l'avrebbero attanagliato facendogli anelare anche la più piccola goccia d'acqua
che mai però avrebbe trovato. Non da solo, non senza di loro.
Dopo decine, centinaia di giorni, di tormento e disperazione, due voci l'avrebbero guidato. Potenti e antiche come Theras.
Li avrebbe riconosciuti subito, benchè non ne avesse mai sentito le voci.
E loro lo avrebbero guidato a abbeverarsi alla loro fonte, donandogli forza e conoscenza,
così che lui potesse diventare non il più degno, ma sicuramente il più devoto.



Aver azzardato qualcosa che mai aveva tentato prima l'aveva svuotato di qualsiasi energia, facendogli girare la testa con tale veemenza che per poco non cadde, sorretto solo da un panca alla quale aveva fatto in tempo a poggiarsi per non cadere rovinosamente al suolo.

« Che la sapienza del Savio Haym possa guidarti, Justus »

riverso al suolo, il placido sonno cui lo aveva costretto ne aveva disteso i lineamenti, scoprendo i dolci tratti della gioventù dapprima offuscati dalle smorfie di arroganza e di dolore.
Per quanto influente e per quanti uomini comandasse, non era niente più che un ragazzino.
E dal mattino successivo, non sarebbe stato nient'altro che una marionetta nelle loro mani, sottomesso a lui e alla Rosa su richiesta dei Daimon che avrebbe incontrato in quell'incubo che lo stesso angelo aveva infuso nella sua mente.

L'alba del mattino seguente il prete, prima di celebrare le funzioni del mattino, avrebbe trovato un giovane nobile riccamente vestito in mezzo alla navata della propria chiesa e, destatolo dal sonno, il ragazzo dimentico di ciò che gli era accaduto il giorno prima si sarebbe scoperto un fervente servitore degli Dei, ansioso di aiutare la propria fede con ogni mezzo possibile. Riconoscendo al contempo lui e la Rosa, come sovrani benedetti dagli Dèi, perchè proprio loro in una visione glielo avevano detto.

« e che la spada di Zoikar ti indichi la vittoria. »


Una spada che loro stessi avevano affilato, con la quale avevano trafitto migliaia di anime perdute, asservendole alla loro causa.
Nell'aprire il portone della chiesa, uno sbuffo di vento gli scompigliò i capelli d'argento, sospingendo il suo sguardo verso l'interno della chiesa per un'ultima volta.

« Sarai uno stupendo regalo di nozze, principe Justus. »
In risposta all'enorme e volgare statua d'oro massiccio che aveva commissionato la rosa, per bilanciare la spada con la conoscenza, avrebbe voluto regalarle degli scritti sul Saggio Haym: un tomo spesso, e finemente rilegato, un oggetto di sicuro risalto anche in mezzo all'opulenta mobilia di un regina.
E invece ora aveva un giovane e vigoroso, principe. Con un esercito al seguito.
Che avrebbe fatto qualsiasi cosa avessero detto lui di fare.
Ne sarebbe stata contenta, ne era sicuro.




Innanzitutto chiedo scusa a tutti per il ritardo, e a Anna perchè dopo alla sua proposta di matrimonio rispondo con un post peggiore di quanto avrei voluto.
Purtroppo in questo periodo non avrei comunque potuto fare molto di più :v:

In pratica Zephyr non sa se il matrimonio proposto dalla Rosa sia per amore o di facciata, ma alla fine si convince che se, anche fosse di facciata, vederli come i due messi dei Daimon potrebbe riunire la gente sotto un'unica bandiera come era ai tempi di Rainier (e questo gli gusterebbe assai)

Annina :wow:
 
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