The Way of Kings Brandon Sanderson A volte si cerca un fantasy per fuggire dalla realtà, per essere catapultati in altri mondi e trovare un’isola, non tanto felice quando differente, dove rifugiarsi. Tuttavia capita spesso che quest’altro mondo non sia altro che uno specchio della realtà, a volte della propria. Questo è stato il caso con The Way of Kings, opera di recente pubblicazione di cui è da pochissimi giorni uscito il seguito. Il suo autore è uno scrittore già navigato, ma questo non è sufficiente a giustificare la grandezza di tale opera, che personalmente suggerisco di leggere in inglese. Le traduzioni, si sa, sono sempre combattute tra le belle infedeli e le brutte fedeli, ma anche nel migliore dei casi non si può fare a meno di perdere qualche significato semantico e, nelle situazioni peggiori, in errori grossolani che rovinino ampiamente il pathos stesso del testo.
The Way of Kings inizia con qualche capitolo criptico che sia però quasi profetico per gli sviluppi successivi, per lo stesso finale del volume, come se ci fosse una spirale che lentamente giri su se stessa, passando da cerchi sempre più larghi fino ad arrivare verso il centro – sebbene non riesca ancora a raggiungerlo, ma solo ad avvicinarsi a esso, preparando la tempesta che sarà scatenata da quest’enorme ciclone. L’impressione che dà l’opera è quella, per fare un confronto, non di una costruzione resa solida tramite l’apposizione di mattoni legati tra loro da cemento tenace, quanto quello di un palazzo dalle solide fondamenta che non faccia altro che volgere verso l’alto, con le sue guglie sempre più prossime a toccare il cielo. L’ambientazione di questo libro non è quella del nostro mondo, a differenza di molti altri fantasy la cui dimensione sia soltanto uno sviluppo di quella che conosciamo come Terra modificata leggermente o con importanti dettagli aggiuntivi. L’ambientazione di questo libro è, invece, inventata di sana pianta, con creature ed etnie nuove, arbusti dai comportamenti inusuali, terreni diversi, conformazioni inventate, sebbene la struttura di fondo rimanga la stessa. Sarà difficile, se non impossibile, trovare dei cipressi, osservare il nostro satellite o, addirittura, vedere un cane che abbai. Eppure ogni cosa sembra logica, l’universo non è assurdo e nemmeno così incomprensibile. È soltanto diverso, affascinante nella sua originalità ma non per questo necessariamente – e non è un difetto- più bello. Come potrebbe esserlo finché ci sono comunque gli uomini ad abitarvi? La guerra, la morale e la responsabilità sono le tematiche principali del libro. La vita e la morte, la disperazione accompagnata alla speranza opposta all’apatia. Temi tanto universali da poter toccare le corde cerebrali di qualunque lettore, eppure sviluppate così a fondo da riuscire addirittura a farle risuonare: sembra quasi che la brezza che soffia nella propria mente leggendo l’opera risuonasse su di esse come su un’arpa. Ciò che rende grande l’opera non è, infatti, tanto la sua ambientazione, lo stile narrativo o la sua solidità. Come un grande evento storico è spesso forgiato da grandi individui, ad accompagnare le pagine di The Way of Kings sono i protagonisti o, meglio, tutti i personaggi, tutte le etnie, tutti gli esseri. La narrazione in terza persona con sprazzi introspettivi è ormai invalsa, eppure non si può fare a meno di essere incantati dalla sfera psicologica che si evince dai vari punti di vista. Come rifacendosi ad antichi stili più orientali – vedi Genjimonogatari, i personaggi non mutano in seguito a tempeste improvvise, non ritrovano la calma dopo un momento di crisi causato da una singola enorme tempesta da risolvere con grande fatica. Sono piccole onde continue, onde amare ma superabili, a portare detriti a riva, come se la spiaggia prima deserta poi si arricchisse di cocci sempre più numerosi che la personalizzino, che la arricchiscano fino a creare una grande diga, qualcosa che riesca a opporsi allo stesso mare e a rafforzarsi a ogni onda, pur dovendo continuamente ricostruire i pezzi che vengono a cedere a ogni impatto. Ricco di flashback narrativi, è facile vivere insieme ai protagonisti i loro cambiamenti, da quelli degli eroi più negativi a quelli dei modelli personali più eccelsi eppure terribilmente terreni a livello psicologico. Ogni personaggio è perfettamente umano nelle sue fragilità, nelle sue indecisioni, nei suoi smarrimenti e ritrovamenti, tanto che a volte, quando ci si trova a riaprire il libro dopo aver vissuto un poco realmente, viene spontaneo chiedersi se sia il caso a dare le giuste risposte tramite esso, tramite ciò che vivono i vari Kaladin, Dalinar e Shallan, o se i valori che esso trasmetta siano tanto universali da rendere facile trovare risposta tra le righe del testo, come se la si cercasse leggendo dei tarocchi, non tanto per farsi mostrare la via, ma per provare più cinicamente a farsela suggerire.
Ogni storia ha una morale diversa, ogni episodio ha un significato, ma quest’ultimo dipende soprattutto dal soggetto e da ciò che ha bisogno di vedere in quel momento. Ed io mi sento di dire che è facile trovare qualcosa per essere arricchiti a livello personale in questa fantastica opera. La consiglio a chiunque voglia avere un momento di svago, magari alternato alla lettura di classici, e a chi desideri ritrovare la vena fantasy tanto apprezzata nell’adolescenza, poi persa, in alcuni casi, nella serietà data dalla crescita con l’approccio rivolto a opere ritenute più intellettuali. Non sono il genere o l’ambientazione a rendere un’opera più importante, sebbene sia diffusa l’idea di legare il fantasy a una certa ‘leggerezza’, ma è il contenuto che comunichi qualcosa di grande, di universale e per questo sempre attuale, a rendere un libro meritevole di essere letto e apprezzato. A volte più di quelli che il sentire comune indica come modelli. P.S. Ringrazio Grim per avermelo suggerito.
Spero che come recensione sia decente: è la prima volta che ne scrivo una. Visto che questo fantasy mi ha colpito tantissimo, dopo lungo tempo che non ne leggevo, e l'ho finito stamattina, ne ho approfittato. u_u |