Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Le nostre recensioni

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view post Posted on 20/1/2014, 12:09

Esperto
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In questo topic raccoglieremo tutte le recensioni scritte da noi sui libri che abbiamo letto, ci sono piaciuti e vogliamo condividere con la community.

Chiunque è libero di postare la propria recensione!



Per i commenti ai libri (e alle recensioni) vi rimando al topic apposito, in modo da lasciare questo dedicato solo alle recensioni.

NB: Se possibile, inserite all'inizio di ogni vostra recensione il seguente codice:
CODICE
<a name="TitoloLibro"></a>
mettendo tra le virgolette il titolo completo del libro senza spazi e con ogni iniziale maiuscola per un rapido inserimento in lista!


Italo Calvino - Le città invisibili (by The Grim)
Joseph Conrad - Cuore di Tenebra (by Ray~)
Philip K. Dick - Scorrete lacrime. Disse il poliziotto(by Heautontimorumenos)
Wulf Dorn - Il mio cuore cattivo (by Majo_Anna)
Valerio Evangelisti - Il sole dell'avvenire (by The Grim)
Giorgio Faletti - Io uccido (by Caccia92)
Giorgio Faletti - Io uccido (by Axel1256)
Antonio Gramsci - Lettere dal carcere (by Heautontimoroumenos)
Khaled Hosseini - Il cacciatore di aquiloni (by Ray)
Jack Kerouac - I sotterranei (by Heautontimorumenos)
Stephen King - Doctor Sleep(by Majo_Anna)
Howard Ph. Lovecraft - Le montagne della follia (by Aesir)
Wu Ming - L'armata dei sonnambuli (by The Grim)
Haruki Murakami - Kafka sulla spiaggia (by Majo_Anna)
Haruki Murakami - La ragazza dello Sputnik (by Heautontimorumenos)
Jo Nesbø - Polizia(by Majo_Anna)
George Orwell - La fattoria degli animali (by Ray~)
Patrick Rothfuss - Il nome del vento (by Hole)
Brandon Sanderson - The way of kings (by Desdinova)
Vanni Santoni - Terra Ignota (by Aesir)
Alice Sebold - Amabili resti (by Ray)
John E. Williams - Augustus (by Hole.)
Eiji Yoshikawa - Musashi (by Zaide)
Antony E. Zuiker - Level 26 (by Axel1256)






















Edited by Zaide - 29/6/2014, 19:04
 
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view post Posted on 20/1/2014, 12:18

Esperto
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Una grande biografia, un romanzo d’avventura, uno spaccato storico del Giappone del XVII secolo.
Ho appena finito di leggere “Musashi” di Eiji Yoshikawa (1892-1962), un romanzo epico che racconta la vita e le gesta del più famoso samurai di tutti i tempi.

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Il libro è davvero corposo (840 pagine) - nonostante i numerosi tagli operati nella revisione italiana - , talvolta lento e ripetitivo, a tratti incoerente forse poiché originariamente pubblicato a puntate su una rivista. Ma per chi ama la cultura giapponese o vuole approfondire la sua conoscenza sul mondo dei samurai nell’epoca dello Shogun, è un libro imperdibile.

Per chi non lo conoscesse, Miyamoto Musashi è stato un grande samurai (si dice il più grande) e scrittore, vissuto nella prima metà del 1600, che ha dedicato tutta la sua vita al perfezionamento della Via del samurai, raccogliendo poi la sua esperienza nel celebre Libro dei cinque anelli, tutt’oggi considerato un ottimo manuale di strategia applicabile in tutti i campi.

Il romanzo di Yoshikawa racconta la sua storia dal momento in cui due anonimi soldati disertori della battaglia di Sekigahara, Takezo e Matahachi, trovano rifugio presso due donne spregiudicate (Oko e sua figlia Akemi), trascorrendo presso di loro lunghi mesi oziosi; mentre Matahachi sembra gradire le lascive attenzioni delle donne, Takezo rifugge ogni contatto (“Non mi piacciono le donne”, afferma) finché una mattina scopre di essere stato abbandonato dai tre.
A questo punto iniziano a diramarsi numerose storie parallele che troveranno punto d’incontro solo alla fine, i cui protagonisti ruotano sempre in qualche modo attorno alla figura di Takezo; la bella e dolce Otsu (la promessa sposa di Matahachi da lui abbandonata), la quale inizia una tormentata ed estenuante storia d’amore platonico e non corrisposto con Takezo; l’implacabile Osugi, madre di Matahachi, che in Takezo vede il depravato responsabile della condotta immorale del figlio, e che giura vendetta a costo della vita; lo stesso Matahachi, che nell’arco di tutto il romanzo cova un invidioso rancore nei confronti dell’amico, ritenendolo un fortunato capace solo di cavalcare il successo; i due giovani apprendisti Jotaro e Iori, le cui storie si intrecciano a quelle di tutti i personaggi in modo fortuito e avvincente.

Nel momento in cui Takezo decide di intraprendere la Via del samurai sacrificando la sua vita sull’altare della conoscenza e dell’apprendimento, cambia il suo nome in Musashi: ed è questo il nome che rimbalza di città in città, precedendolo con una fama non sempre cristallina.
Le sue imprese spesso ardite, spesso epiche, vengono infatti raccontate di bocca in bocca con dettagli sempre nuovi fino a raggiungere spesso proporzioni leggendarie, cosa che alimenta parimenti l’odio e la venerazione nei suoi confronti.
Una vittoria schiacciante dopo l’altra, Musashi si conquista la nomea di invincibile; ma le lunghe digressioni cupe in cui il samurai medita sulla sua esistenza, sui dubbi che gli rodono l’anima, sulla certezza che le sue azioni non facciano che rovinare la vita a molte persone tra cui Otsu, di cui è inconsapevolmente innamorato, dipingono Musashi non come un granitico eroe senza macchia e senza paura, ma come un uomo vero.

Lo scontro finale, che attendevo con ansia (conoscendo già a grandi linee la storia), è davvero epico. Il grande avversario di Musashi, Sasaki Kojiro detto Ganryu, è un samurai molto amato dalla comunità. A differenza di Musashi, considerato strano, misantropo, traditore (in parte a ragione, in parte per l’opera di diffamazione compiuta contro di lui), Kojiro è amato, solare, protetto dai potenti.
Il libro non fa provare molta simpatia per questo grande samurai, che si incontra più volte nel corso di tutto il romanzo, ma fa sì che il suo nome venga ricordato con enorme rispetto.
Personalmente, è però un altro il personaggio che ricorderò: la vecchia Osugi, che nonostante l’età e gli acciacchi si mette a girare il Giappone in lungo e in largo per tenere fede al suo cieco giuramento di vendetta contro Takezo: la vediamo affrontare mille difficoltà, tra cui la morte del suo parente e compagno di viaggio zio Gon, per arrivare infine a mettere le sue grinfie sul samurai usando inganni, astuzie ma anche una sorprendente fisicità e capacità di combattere come un vero samurai.


Edited by Zaide - 20/1/2014, 20:30
 
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Caccia92
view post Posted on 20/1/2014, 15:26




Nel 2002 un certo Giorgio Faletti si fa notare per il suo Thriller d'esordio "Io Uccido", un vero e proprio capolavoro per gli amanti del Noir e del giallo. Mi sono imbattuto in Faletti quasi per caso, perché volevo dedicarmi ad un genere differente dal Fantasy di Brooks o di Tolkiens. Al momento "Io Uccido" è il libro che ho letto più volte e ho apprezzato di più, una storia profonda che ti immerge nel lato più oscuro dell'essere umano.

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Il libro ruota intorno alle vicende di Frank Ottobre, un personaggio distrutto dalla morte della moglie di cui si attribuisce la colpa. Frank è un agente speciale dell'FBI in congedo temporaneo che si è preso una vacanza nel Principato di Monaco, per la precisione nel quartiere di Monte Carlo. Purtroppo per lui - e meglio per noi lettori - nella città del lusso e delle corse automobilistiche stanno per accadere cose fuori dalla sua portata. Tutto inizia quando a Radio Monte Carlo fa il suo ingresso, a dir poco teatrale, un serial killer spietato e apparentemente privo di anima. Questo assassino si presenta come "Uno e Nessuno", chiaro riferimento alla possibilità di rappresentare tanto la massa quanto il singolo. Proprio per questa ragione e per una frase che, più avanti, diventerà celebre, vengono mobilitate tutte le forze dell'ordine presenti nel principato. Incaricato di seguire il caso è il commissario Nicolas Hulot, personaggio che ha molti tratti in comune con l'agente Ottobre e che, guarda caso, ne condivide pensieri e opinioni. I due agenti si alleano per scongiurare la minaccia del Serial Killer ormai noto in tutta la regione per gli omicidi efferati e brutali. Il proseguimento del Thriller ci porta a conoscere diverse figure, compresa quella dell'assassino, e dei vari ostacoli che Frank e Nicolas dovranno affrontare per fare giustizia a Monte Carlo. Ci saranno morti, tensione e anche un pizzico di paura.

Mi fermo qui perché voglio lasciare a voi il piacere di leggere questo straordinario libro ricco di colpi di scena e di psicologia. Non è affatto da prendere alla leggera, verrà il momento in cui desidererete che "Nessuno" continui ad uccidere per vedere come si svilupperanno i fatti. Frank entrerà a far parte del vostro immaginario e ne assaporerete il lato umano e il lato professionale, due aspetti che andranno spesso in contatto e contrasto durante la storia. Non sarà tutto rosa e fiori per il nostro agente, perderà diversi amici e ne conoscerà di nuovi. L'ombra di Nessuno sarà sempre su di lui, dando uno sfondo Noir ad una bellissima Monte Carlo, descritta con minuzia in ogni suo ambiente e particolare. Sangue e terrore si intrecceranno come serpenti nella vita di molti personaggi, personaggi che reagiranno in maniera differente e coerente con i loro ideali e convinzioni. L'identità della minaccia che grava sul pacifico Principato sarà quanto mai ardua da smascherare e la verità non sarà sempre scontata o banale. Anzi, vi renderà la lettura un inferno - in senso buono, ovviamente.

Con "Io Uccido", titolo azzeccatissimo per ovvie ragioni che scoprirete, Faletti dimostra di avere le capacità giuste per fare Thriller. Sono 682 pagine da divorare letteralmente, con contorno di paura e particolari raccapriccianti. A volte pare di guardare un film Horror, tanta è la brutalità dei crimini. Ma non vi spaventate, ci sono tutti gli ingredienti per tenervi incollati alla carta fino a notte fonda, periodo in cui è consigliata la lettura per favorire il clima giusto. Faletti ha scritto anche Niente di vero tranne gli occhi, Fuori da un evidente destino, Io sono Dio (stessa prassi, molto bello), Appunti di un venditore di donne (da avere assolutamente) e Tre atti e due tempi. Personalmente, tuttavia, ritengo che "Io Uccido" sia il migliore sotto tutti i punti di vista. Da Faletti ho preso molti spunti per i miei testi, specialmente il tema sulla morte che, credo, sia uno dei punti forti dello scrittore. Italiano, è stato spesso al Lucca Comics and Games ed è sicuramente uno dei romanzieri più in vista della nostra nazione. "Io Uccido" ha venduto più di quattro milioni di copie.


Edited by Zaide - 20/1/2014, 20:34
 
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The Grim
view post Posted on 20/1/2014, 18:56





Le città invisibili
di Italo Calvino

Questo inverno i miei amici per il compleanno mi hanno letteralmente - ahahaha ma quanto siamo simpatici! - riempito di libri. Ho iniziato con il testo citato nel titolo, Le città invisibili di Italo Calvino.
Definire questo testo è veramente difficile, e un po' mi imbarazza scrivere una recensione, ma alla fine lo faccio per piacere più che per divulgazione.


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Le città invisibili è un testo semplice, giocoso, apprezzabile da chiunque ma che al suo interno nasconde abissi sconfinati, e che ha spaccato più volte la critica sulle interpretazioni da dargli. La trama è semplice, inconsistente quasi: Marco polo è alla corte dell'imperatore dei Tartari, Kublai Khan che vuole descritto il suo impero ormai divenuto troppo grande per lui. Il testo si divide così in intermezzi in cui i due protagonisti si confrontano, si parlano, si infastidiscono, e di tanti capitoli ognuno dei quali descrive una città in una o due paginette, massimo quattro; 55 città tutte dal nome di donna di derivazione classicheggiante. Ed il gioco sta tutto qua: descrizioni di città impossibili che sono poesia in prosa o forse cartoline in parole, e tutto fatto con lo stile ironico e leggero che è il marchio di fabbrica di Calvino. Mi sono stupito molte volte di quanto fossero belle le sue descrizioni, mai banali, sempre spunto di riflessione e capace di strappare un sorriso. Cosa non facile per un libro che al suo interno racchiude una dimensione ben più profonda, che si interroga sul significato del termine Città, di cosa sia la vita al suo interno, cosa la morte e sopratutto come relazionarcisi con essa. E parla di politica, ma non di partiti o ideologie, benché Calvino non si scordi di dire la sua a chi sa leggere fra le righe, mettendo al centro di essa il rapporto con la città e le sue parti, dello sviluppo di essa e la sostenibilità di questo sviluppo. Un testo interessante.


Ma anche un testo che si perde nella scomposizione in parte. Gli intermezzi non sono ordinati in maniera cronologica, si confondono, si ripetono, si contraddicono, come una serie di Marco Polo e Kublai Khan di svariati universi narrativi, così come l'ordine delle città proposte che sfugge alla logica e al suo interno nasconde mille schemi talvolta validi, altri meno validi, con suoni e temi che ritornano, si cambiano di punto di vista, si richiamano a vicenda. E tutto questo senza banalità né un borioso intellettualismo, non è un testo che ti intimidisce e guarda dall'alto in basso ma che strizza l'occhio al lettore e sorridendo lo invita a entrare nel suo mondo, e a crearne altri suoi. Cercare il proprio percorso all'interno di questo labirinto è parte del gioco proposto dal testo, ma se ne può anche fare a meno e goderselo così com'è.

Un capolavoro.




Edited by Zaide - 20/1/2014, 20:35
 
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view post Posted on 23/1/2014, 12:40
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Con tutte le persone che vivono su questo pianeta, e se ognuno di noi cerca qualcosa nell'altro, perché alla fine dobbiamo essere così soli? A che scopo? Forse il pianeta continua a ruotare nutrendosi della solitudine delle persone?
[...]
Chiusi gli occhi e tesi le orecchie pensando ai discendenti dello Sputnik, che continuavano ad attraversare il cielo, legati alla terra solo dalla forza di gravità. Solitari aggregati di metallo che nelle vuote tenebre del cosmo si incontrano per caso, quasi si sfiorano, quindi si separano per sempre. Senza scambiarsi parole, né promesse.

arton12968

Murakami è uno scrittore a cui sono molto legato. Mi piacerebbe scrivere come lui, perchè davvero, sono veramente in pochi quelli che sul piano della pura scrittura gli tengono testa. Quando poi ci mette anche una storia affascinante ed emozionante (ed è così per la maggior parte dei suoi libri), allora ha fatto centro.
Prima di passare alla trama, partiamo da un presupposto. A Murakami il realismo interessa poco. O meglio, la sua scrittura è molto concreta, ma è diventato famoso appunto per inserire ad un certo punto di essa qualche avvenimento insolito. E il bello è che quando lo fa è sempre convincente, insomma, niente sospensione dell'incredulità. Insomma, per usare le sue parole (tratte da 1Q84, bella trilogia):
Quello che apprezzo di più, soprattutto per quanto riguarda i romanzi, è non riuscire a comprenderli completamente. Non nutro alcun interesse per le opere di cui mi sembra di capire tutto.
Se vi ritrovate in queste parole, allora Murakami fa per voi.

Passiamo a La ragazza dello Sputnik.
La trama è molto semplice, e si potrebbe riassumere in: il narratore (senza nome) ama Sumire, che ama Myu. A dirla così sembra un romanzetto, ma il conflitto è sempre alto durante il romanzo. Myu tanto per cominciare è una donna, sposata, diciassette anni in più di Sumire. Myu sembra soffrire di qualche disagio dovuto al suo passato che non riesce a confessare, che la divide irreparabilmente da Sumire. E, a complicare il tutto, ad un certo punto gli eventi prenderanno una piega molto, molto strana.

La ragazza dello Sputnik fa parte di quella schiera di libri che puoi interpretare come preferisci. L'ho fatto leggere ad altre due persone e tutti e tre la pensiamo diversamente sul finale, per esempio. E, almeno per me, è una cosa più positiva che negativa. Infine, di questo libro, io adoro la dolcezza, la tenerezza malinconica di fondo. E' un velo che avvolge tutto il romanzo, come se nessuno potesse avere ciò che desidera.
Consigliatissimo, soprattutto se è il vostro primo libro di Murakami.



Edited by Zaide - 23/1/2014, 18:11
 
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« Ho lottato con la morte. È la contesa meno eccitante che si possa immaginare. Avviene in un grigiore impalpabile, con nulla sotto i piedi, con nulla intorno, senza spettatori, senza clamore, senza gloria, senza il grande desiderio della vittoria, senza la grande paura della sconfitta, in un clima malsano di tiepido scetticismo, senza molta fede nella propria causa, e ancor meno in quella dell'avversario. »

Cuore-di-Tenebra

Joseph Conrad è uno dei numerosi protagonisti della letteratura inglese che, anche attraverso Cuore di Tenebra - il suo romanzo più famoso - conferma tutti i propri caratteri innovativi, evocativi e simbolici. All'apparenza questo libretto di appena 150 pagine (compresa la prefazione) potrebbe disilludere i lettori più caparbi, ma come è proverbiale ricordare: "non si giudica un libro dalla copertina" o, in questo caso, dall'altezza. Ciascuna frase contenuta nell'opera di Conrad potrebbe essere legittimamente estratta, incorniciata ed esposta in una teca sul muro della propria camera: non c'è parola che non alluda ad un significato più profondo; non c'è frase che non simboleggi un concetto più distante, e ciò nonostante tutta questa simbologia viene presentata con un linguaggio adatto a chiunque. Il linguaggio di un prolisso marinaio di nome Marlow.

Cuore di Tenebra è il racconto del racconto di Marlow che nell'attesa che la marea favorevole li porti al largo, rende edotti i suoi compagni senza nome (su un battello senza nome, di una missione senza nome) dell'avventura che l'ha trasformato per un breve periodo di tempo in un marinaio d'acqua dolce. Una serie di avvenimenti che l'ha portato nel cuore dell'Africa nera, dove assiste ed esplora gli abissi dell'animo umano: l'avidità dei recuperatori d'avorio; la pigrizia dei doganieri; la perversione dell'uomo bianco; la primitiva brutalità degli indigeni; l'incomprensibile malizia della tenebra, che da sempre suggerisce all'uomo cose sul proprio conto che neppure lui crede di sapere.
Conrad ci mostra che l'orrore più grande si cela in ciò che non conosciamo di noi stessi; tanto più siamo grandi, intelligenti e capaci, tanto più mostruosi rischiamo di diventare quando veniamo posti in un ambiente privo di regole e consuetudini. Non è del diverso che dovremmo avere paura, ma di noi stessi; e mentre questo argomento viene analizzato all'esaurimento, l'autore riesce a portare avanti e ad accompagnargli anche una critica all'imperialismo moderno, che ne mostra i lati più brutali e disumani.

Un viaggio, dunque: tanto all'interno di territori inesplorati che negli angoli più sconosciuti del proprio cuore. Un libro che a più di 100 anni dalla prima edizione riesce ancora ad incantare e stregare i lettori di tutto il mondo con le proprie immagini evocative, con la parlantina schietta di Marlow e con delle realtà che sebbene oggi possano apparirci lontane, al termine della lettura ci rendiamo conto di quanto siano sempre attuali.



Edited by Zaide - 23/1/2014, 20:00
 
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Like a paper airplane


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Non sanno di dare la caccia a un apostolo della giustizia, qualcuno che non deve punire solo i vandali ma anche coloro che vengono meno alle proprie responsabilità, coloro che per pigrizia e indifferenza non si mostrano all’altezza di quello standard, coloro che non meritano di essere chiamati POLIZIA”.

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Chi mi conosce sa quanto mi piaccia leggere thriller. È un genere che amo molto, in particolare quando il testo riesce ad emozionarmi, coinvolgermi al punto da gettarmi nelle scene e farmi rabbrividire, piangere, temere insieme ai personaggi. Proprio per questo mi sento di inserire come prima recensione questo libro, un azzeccatissimo regalo di Natale. Non sono una lettrice assidua di Jo Nesbo, sebbene ultimamente abbia letto parecchio su di lui. Mi è sempre piaciuto il suo modo di scrivere diretto, carico di immagini, perfetto per il genere di cui tratta. Come ho detto avevo letto altro di lui, ma nulla, davvero nulla come “Polizia”.

Il mio primo commento quando ho terminato questo libro è stato "OH SI', CONTINUA ANCORA TI PREGO". So che una recensione dovrebbe contenere aspetti obiettivi di apprezzamento e critica a un testo, ma in questa occasione non mi sento di riportare nulla di negativo. Vorrei anzi comunicare tutto il mio entusiasmo di lettrice infervorata: un libro stupendo, che cala il lettore all’interno della trama senza mai svelargli niente fino all’ultimo, fino a quando finalmente gli serve la risposta. Sembra di essere protagonisti di un film, di sentire sulla pelle le sensazioni e le emozioni di personaggi vecchi e nuovi, di inspirare i loro stessi odori, di sentire gli stessi suoni. L’autore amplia e restringe il campo visivo, obbligando a seguire i ragionamenti di questo o quel personaggio senza mai riuscire a sbrogliare la matassa.
Una menzione particolare secondo me merita il finale. Ammetto di avere pianto, quando l’ho letto. Di aver reagito esattamente come l’autore voleva che facessi, anche perché è riuscito secondo me in maniera magistrale a rendere quello che immagino fosse il suo obiettivo (non posso fare spoiler, sarebbe davvero ingiusto da parte mia xD).

Non voglio riportare la trama dettagliata: si tratta di un thriller e dopo tutto il bello di un romanzo di questo genere è scoprire gli eventi passo per passo, senza avere troppe anticipazioni. Posso però dire che si tratta di una storia di omicidi: crudi, violenti, al punto che in alcuni momenti obbligano a trattenere il fiato. E non omicidi qualsiasi, ma che prendono di mira proprio coloro che dovrebbero proteggerci: i poliziotti. Sul campo ricompaiono alcuni vecchi ospiti dei romanzi di Nesbo (un esempio per tutti, il caro vecchio dottor Aune). Un’indagine che non concede un attimo di respiro, e si fa sempre più concitata fino al proprio termine. La promessa che qualcosa debba ancora accadere.
Ma soprattutto la sensazione che sia impossibile sollevare lo sguardo dalla pagina prima di avere finito, perché il dettaglio decisivo potrebbe trovarsi solo qualche riga più avanti, solo un capitolo dopo.



Edited by Zaide - 25/1/2014, 20:09
 
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Perché ho questa fottuta paura di te, perché sono fondamentalmente, ontologicamente spaventato da tutto quello che ti riguarda, anche dal tuo desiderio di andartene.

2009-05-03_copj13

Philip K. Dick è il mio scrittore di fantascienza preferito... semplicemente perchè non scrive solo fantascienza.
Ogni suo libro è un concentrato dei temi più svariati. Per esempio io in questo libro ci trovo l'alienazione, l'amore, la morte, l'utilizzo di droghe, il concetto di identità e l'individuo stesso contro la società e tanto, tantissimo dolore. E' come se ogni pagina fosse dipinta del nero più scuro e ti portasse via un pezzettino di anima. L'atmosfera che riesce a creare l'autore è qualcosa di semplicemente meraviglioso.
Se non sapete chi sia l'autore... avete presente Blade Runner? Ecco, è stato tratto dal suo libro "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?", e il libro è molto più bello e profondo del film, che è già un capolavoro. A parte questo è stato uno scrittore estremamente prolifico (tipo tre-quattro libri all'anno) anche per i suoi eterni problemi di soldi. Questo ci porta al più grande problema di Dick: la scrittura. Non sono scritti male (anzi), ma se avesse avuto più tempo secondo me certi libri sarebbero usciti ancora meglio grazie a qualche aggiustatina qua e là.

Volevo scrivere una recensione di Dick, e sebbene ci siano - forse - altri libri migliori per iniziare con lui (in ordine di preferenza, segnateveli: "Un oscuro scrutare", il già citato "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" e "La svastica sul sole") questo è stato quello che dopo svariate letture mi ha colpito, e mi colpisce, di più. Ma non voglio tediarvi oltre, passiamo alla trama.
Jason Taverner ha tutto quello che si potrebbe volere dalla vita: è un conduttore televisivo molto famoso, è un bravo cantante, ha un'amante uguale a lui e molte altre donne. Sotto la superficie però si nasconde un Sei, un risultato di esperimenti che lo ha portato ad essere ad un livello superiore rispetto agli umani. Dopo una serie di avvenimenti però si ritroverà privato di tutto questo, e dall'uomo più famoso del pianeta si troverà a non avere più un'identità. Si sveglierà in una fatiscente stanza d'albergo senza documenti, e nessuno sembrerà più riconoscerlo. Come se non fosse mai esistito.
E' da qui che prende le mosse il libro di Dick: Taverner dovrà scontrarsi per sopravvivere contro un sistema controllato dalla polizia, che richiama in parte il mondo di 1984, interagendo con i personaggi più disparati.

I personaggi, appunto. Anche se appaiono per brevi pagine, una delle qualità che più amo in Dick è appunto la capacità di tratteggiare i suoi personaggi. Sono tutti, dal primo all'ultimo, semplicemente vivi e meravigliosamente complessi. E' difficile dire chi sia il buono e chi il cattivo, lo stesso Taverner, pur provandone noi compassione, non è di certo uno stinco di santo, e i poliziotti devono agire come agiscono perchè sono costretti a farlo. Non a caso Felix Buckman, che dovrebbe essere l'antagonista, nelle ultime pagine sembra essere anche il personaggio più umano di tutti. Non esiste nessuno stereotipo, così come nella vita reale.
L'atmosfera. L'atmosfera di dolore (non malinconia, non tristezza) che l'autore crea è appunto ciò che mi piace di più in questo libro, i dialoghi, lo scenario... tutto. Non so cosa dirvi di altro, se non leggetelo. Non è tempo sprecato.

Le pecche. Senza scendere in spoiler e sebbene a qualcuno possano far storcere il naso le spiegazioni che Dick ci dà (o non ci dà) l'unica cosa che andrebbe totalmente cancellata dal romanzo è l'epilogo. A me la coerenza interna interessa relativamente (e Dick è bravissimo a giocare su più livelli e a non darti spiegazioni certe) ma l'epilogo cancella tutta l'atmosfera di cui ho parlato. Quando arrivate alla parte quarta, se volete il mio consiglio, fermatevi lì. E più che sufficiente. E' un finale posticcio, aggiunto forse proprio perchè Dick voleva bilanciare tutto il pessimismo che impregna il romanzo, che però era qualcosa di perfetto. Se invece siete curiosi, state certi che nei commenti alla recensioni mi verrete a dire: "avevi ragione".

Ma questa è solo una nota negativa contro tante positive, resta un libro godibilissimo che quando mi sento giù sfoglio ogni tanto. L'ultimo capitolo (l'unico finale a mio parere degno di coronare questo libro) con la scena alla pompa di benzina è qualcosa che mi è rimasta impressa fin dalla prima lettura.


Nota: qualora vi dovesse piacere e voleste andare in libreria ad approfondire con altri libri, prima informatevi. La Fanucci ha stampato praticamente tutto di Dick (si vede che ci guadagna), anche libri che li stesso non amava e che sono in realtà abbastanza bruttini. Prima di farlo cercate in giro sui suoi libri migliori oppure se vi fidate chiedete pure a me, ne ho letti abbastanza.


Edited by Zaide - 31/1/2014, 09:07
 
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1. Qualunque cosa cammini su due zampe è un nemico.
2. Qualunque cosa cammini su quattro zampe o abbia le ali è un amico.
3. Nessun animale deve indossare vestiti.
4. Nessun animale deve dormire in un letto. (con le lenzuola)
5. Nessun animale deve bere alcol. (in eccesso)
6. Nessun animale deve uccidere un altro animale. (senza motivo)
7. Tutti gli animali sono uguali. (ma alcuni sono più uguali degli altri)


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Leggermente meno conosciuto del grande classico "1984", la fattoria degli animali è una delle precedenti opere di George Orwell, altrettanto attuale e carica dello stesso sentimento di denuncia del suo romanzo più famoso.
"La fattoria degli animali" è una favola satirica che, come in Fedro, vede degli animali parlanti come protagonisti e che utilizza un linguaggio semplice e a tratti infantile per spingere i lettori a riflessioni di ben altra levatura.
La trama è molto intuitiva: spinti dalle idee di un vecchio ed influente maiale (il diffusore dell'animalismo, una filosofia secondo la quale gli umani non sono che schiavisti di cui non si ha alcun bisogno), gli animali della fattoria padronale decidono di ribellarsi al proprietario, il signor Jones, scacciandolo dai suoi poderi e conquistandoli per sé stessi.
Inizialmente le cose andranno alla perfezione e la nuova fattoria degli animali riuscirà a prosperare e a sostentarsi senza l'aiuto di alcun umano, ma lentamente l'avidità dei maiali (che naturalmente sono a capo dell'intera fattoria) finirà per cambiare le cose e li spingerà a formare un regime persino più crudele di quello capeggiato dal Signor Jones.
Chi si interessa di storia vedrà immediatamente nella fattoria degli animali (e nella sua bandiera, e nei termini utilizzati, e nei fatti accaduti) una chiara metafora del totalitarismo sovietico e dell'ascesa al potere di Stalin, saggiamente nascosta dietro alle facce di maiali crudeli, cani violenti e cavalli fedeli. Ma nonostante i fatti che hanno ispirato la vicenda siano accaduti ormai più di cinquant'anni fa, la favola si rivela attuale ancora oggi ed è un grande strumento di critica nei confronti di qualsiasi forma di mala politica, in qualsiasi punto del mondo. Dunque non sarà difficile per i lettori identificare nel maiale Napoleone il politico corrotto di turno, nel cavallo Boxer il fedele al partito senza ragione, nell'asino Beniamino lo scettico che ci ha visto lungo, e così via.
George Orwell dimostra come sempre di avere il grande pregio di saper spingere le persone ad aprire gli occhi sulle realtà più infime che ci circondano, anche quando non scrive più di cento pagine e anche quando utilizza un linguaggio ed una forma bambinesca per farlo.



Edited by Zaide - 3/2/2014, 18:02
 
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Dentro la palla di neve sulla scrivania di mio padre c'era un pinguino con una sciarpa a righe bianche e rosse. Quando ero piccola papà mi metteva seduta sulle sue ginocchia e prendeva in mano la palla di neve. La capovolgeva perché la neve si raccogliesse tutta in cima, poi con un colpo secco la ribaltava. E insieme guardavamo la neve che fioccava leggera intorno al pinguino. Il pinguino è tutto solo, pensavo, e mi angustiavo per lui.
Lo dicevo a papà e lui rispondeva: «Non ti preoccupare, Susie, sta da re. È prigioniero di un mondo perfetto».


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Susie Salmon era una ragazzina come tante altre, prima di essere violentata ed uccisa. La storia inizia col suo delitto e racconta di come lei dal suo cielo assista a tutte le conseguenze della sua dipartita: di come si trasforma la sua famiglia, di come crescono i suoi conoscenti e di come viene braccato il suo assassino.
È intorno a questi resti che si sviluppa una storia dalle tinte angoscianti, ma per questo molto toccante, raccontata attraverso gli occhi e il linguaggio di una ragazzina adolescente che è costretta (moralmente, almeno) ad assistere alle vite, ai pensieri e alle azioni di tutti i suoi cari senza poter più interagire con loro.
"Amabili resti" è un libro recente - edito per la prima volta nel 2002 - ma che nonostante questo è riuscito a catturare un gran numero di lettori e a guadagnarsi un posto fra i best seller più conosciuti del mondo. Da esso è stato anche recentemente tratto un film per la regia di Peter Jackson (2009). Il punto forte di Alice Sebold è chiaramente quello di riuscire a dipingere l'intera storia attraverso gli occhi di Susie senza distaccarsi per un solo istante dall'innocenza che contraddistingue la ragazza, facendo degli esempi e dei ricordi delle eccellenti metafore.
Amabili resti è una storia semplice e veloce, che tuttavia riesce a commuovere nei suoi momenti di più grande intensità e a spingere il lettore a chiedersi come reagirebbe trovandosi in una situazione simile: cosa fareste se la persona che amate di più al mondo dovesse improvvisamente morire? Cosa cambierebbe nel modo in cui guardate il mondo? Quali storie potrebbero costruirsi, col tempo, intorno a quel terribile avvenimento?



Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:50
 
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view post Posted on 7/2/2014, 21:45
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Cardine
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Il terzo silenzio non era facile da notare. Se foste rimasti in ascolto per un'ora, avreste potuto cominciare a sentirlo nel pavimento di legno sotto i piedi e nei ruvidi barili scheggiati dietro il bancone. Era nel peso del focolare di pietra nera che tratteneva il calore di un fuoco spento da molto. Era nel lento andirivieni di un bianco panno di lino che sfregava le venature del bancone. Ed era nelle mani dell'uomo che se ne stava lì in piedi a pulire un tratto di mogano che già risplendeva alla luce delle lampade.
L'uomo aveva capelli di color rosso vivo, come fiamma. I suoi occhi erano scuri e distanti, e lui si muoveva con la sottile certezza che proviene dal conoscere molte cose.
La
Pietra Miliare era sua, proprio come il terzo silenzio. Era appropriato, dato che fra i tre era il silenzio più grande, che avvolgeva tutti gli altri dentro di sé. Era profondo e vasto come la fine dell'autunno. Era pesante come una grossa pietra levigata dal fiume. Era il paziente suono di fiori recisi, di un uomo che sta aspettando di morire.



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Nonostante questo libro risvegli in me numerosi ricordi non propriamente piacevoli, mi sembrava doveroso concedergli una recensione, anche se il più seria e critica possibile. L'introduzione così ampia, parte del prologo iniziale, è un piccolo assaggio dell'opera, una lettura forse non imprescindibile in fatto di importantza, ma davvero piacevole, e che consiglio vivamente a chiunque scriva su questa piattaforma. Spesso si può imparare qualcosa di utile da autori semi-sconosciuti ma mossi dalla passione, più che dai pezzi grossi del Fantasy moderno.


La storia è quella di un locandiere, che locandiere davvero non è: in fuga da un passato verso il quale egli prova immensa nostalgia, Kote - o meglio, Kvothe - viene convinto quasi per caso da un sagace storiografo a raccontare la sua intera biorgrafia. Egli accetta, e per i tre giorni successivi non ferma il dettato se non per riposare. La locanda è una semplice cornice al racconto vero e proprio, un lungo flashback che immerge nel tormentato passato di Kvothe. Sono storie avvincenti, che imprimono colori, odori ed emozioni sorprendentemente forti: un infanzia spensierata passata sui carri di una compagnia itinerante di artisti, una giovinezza di estrema povertà e un'adolescenza a dir poco brillante. Troppo, forse.


Il Nome del Vento è il primo libro della trilogia Le Cronache dell'Assassino del Re, per adesso composta solo da questo volume ed il secondo, La Paura del Saggio. Ci ho messo molto tempo a comprendere cosa non andasse bene in questo libro, e mi è risultato possibile solo in seguito ad una fredda rilettura: il punto debole è il protagonista, ciò che in gergo del settore potrebbe essere definito un Gary Sue. Perché nonostante le sue storie siano affascinanti e coinvolgenti, è impossibile definire Kvothe "poco stereotipato", nella maggior parte delle cose che fa. La consapevolezza di questo difetto è nata in me solo a una rilettura più attenta poiché non si tratta di un Gary Sue davvero insopportabile, e la lettura scorre senza intoppi legati a questo aspetto. Questo grazie soltanto al pregevole stile dello scrittore, un Fantasy per niente indigesto, che potrebbe essere definito quasi poetico.


Patrich Rothfuss (un Martin qualche anno più giovane, link) riesce a mostrare il suo talento senza che questa pecca comprometta la qualità della sua opera. 728 pagine che corrono veloci, e in modo davvero gradevole e suggestivo, e che lasciano un buco nello stomaco, che può essere riempito soltanto dal seguito, altrettanto valido. Mi piace pensare che il suo stile mi abbia più o meno influenzato; sono comunque certo che la lettura di questo bel tomo mi abbia spronato a migliorare. Porto questo titolo così inconsueto in primo piano, nella speranza che questo libro possa divertirvi come ha fatto con me. Vi assicuro che vale la pena daci un'occhiata.




Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:52
 
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Axel1256
view post Posted on 13/2/2014, 14:03




Non so se questa è la sezione giusta, ma ho fatto un paio di recensioni anche io.. ma invece di scriverle le ho pubblicate su youtube xD Se casomai non andasse bene, eliminerò il post u.u


Recensione: Level 26




Recensione: Io uccido



Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:54
 
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view post Posted on 16/2/2014, 10:51
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Sono diventato la persona che sono oggi all'età di dodici anni, in una gelida giornata invernale del 1975. Ricordo il momento preciso: ero accovacciato dietro un muro di argilla mezzo diroccato e sbirciavo di nascosto nel vicolo lungo il torrente ghiacciato. È stato tanto tempo fa. Ma non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato. Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente. Sono ventisei anni che sbircio di nascosto in quel vicolo deserto. Oggi me ne rendo conto.

ilcacciatorediaquiloni

Il cacciatore di aquiloni è il primo romanzo di Khaled Hosseini, uno scrittore americano di origine afgana che racconta la vita di Amir, un ragazzo cresciuto mentre il suo paese veniva distrutto prima dai russi, poi dai talebani e infine dall'opinione degli americani. Oggi la portata di un romanzo come quello di Hosseini è incalcolabile, poiché è in grado di fornire ai lettori un punto di vista sconosciuto su alcune degli eventi più barbari della fine del '900 e dei primi anni del 2000. Per sua stessa ammissione nel corso del romanzo, "l'afghanistan è un paese piccolo e sconosciuto; nessuno saprebbe indicarlo sulla cartina": prima che i talebani divenissero tragicamente conosciuti nel mondo a causa degli eventi che li hanno visti coinvolti nell'ultimo quarto di secolo, poche persone sapevano persino dell'esistenza dello stato dell'afghanistan, e nessuno conosceva le loro tradizioni, la loro cultura o le loro abitudini. Nessuno avrebbe saputo distinguere un pashtun da un hazara, né comprendere perché il secondo dovesse servire il primo.

Il romanzo di Khaled Hosseini comunque non ha alcuna pretesa politica, né intende prendere le parti del proprio paese. Piuttosto, lui si limita intelligentemente a raccontare una storia che racconti il punto di vista di un ragazzo assolutamente neutrale alla vicenda e troppo impegnato a combattere con i propri rimorsi per preoccuparsi di ciò che sta accadendo al suo paese. Un racconto che abbraccerà l'intero ciclo vitale di Amir - o quasi - sin dalla sua nascita fino all'età adulta, intriso di colpi di scena, introspezione e attimi di grande angoscia. Amir si creerà da solo i propri demoni e finirà in seguito col doverli combattere, prendendosi le responsabilità sui propri errori e correggendoli. Facendo la cosa giusta e dimostrando di essere un "vero afgano".

Il pregio più grande di Khaled Hosseini è senza dubbio quello di riuscire a far sentire il lettore parte di quella stessa cultura sconosciuta che descrive. Lo scrittore cerca infatti di utilizzare quanti più termini possibili in lingua originale (il loro significato verrebbe perso, con una traduzione), educando però il lettore su ciò che rappresentano. All'inizio ci si può trovare dunque spaesati leggendo di Amir che imburra il naan, ma sono sufficienti poche pagine per immergersi completamente in quell'atmosfera sconosciuta al mondo occidentale, grazie all'abile mano dello scrittore. Ciò ci aiuta a comprendere anche altre questioni ben più delicate, come l'odio razziale fra le varie etnie di afgani, il loro rapporto con la chiesa, l'onore e la famiglia.
Khaled Hosseini è riuscito a scrivere un romanzo in grado soprattutto di ampliare il punto di vista di chiunque lo legga; lo spaccato di una cultura per noi difficile da immaginare.



Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:56
 
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view post Posted on 16/2/2014, 12:35
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Like a paper airplane


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Che cosa significhi essere discriminato e quanto profondamente si resti feriti, sono cose che solo chi le ha subite può capire. Ogni dolore è unico, e anche le cicatrici hanno una forma diversa per ciascuno. Perciò nel combattere la discriminazione e l’ingiustizia, credo di non essere secondo a nessuno. Ma se c’è una cosa che mi indigna ancora di più sono le persone prive di immaginazione.

JwRYBDO

Ho iniziato a leggere questo libro perché la mia intenzione era di provare qualcosa di Murakami. Avevo sentito spesso parlare di questo autore in termini contraddittori e da tempo desideravo comprarmi uno dei suoi libri. Grazie a Zaide ho scelto proprio questo e me ne sono innamorata alle prime dieci pagine *_*.

Penso sia difficile trovare una vera e propria trama in “Kafka sulla spiaggia”. Gli eventi che si susseguono sono pochi, talvolta al confine tra la realtà e un mondo di sogno, interiore, che rende difficile capire se i fatti siano realmente accaduti o meno. Tutto ruota attorno a pochi personaggi tratteggiati secondo me in maniera magistrale. Ognuno di essi ha delle sorprese, delle zone di luci ed ombra, che ho imparato ad amare via via che leggevo.
All’inizio pensavo si trattasse di un thriller, ma proseguendo a leggere ho scoperto che inquadrare questa storia in un genere mi era praticamente impossibile. Se proprio dovessi darle una definizione, la chiamerei una storia “zen”. È un racconto che si lascia guardare e vivere dall’esterno, dando sempre la possibilità di immergervisi, di assumere un punto di vista, ma senza mai giudicare, senza mai lasciarsi attrarre da una parte o dall’altra. Non mette ansia ma neppure annoia, semplicemente trascina d’un fiato fino alla fine. Perfino i passaggi meno politically correct (non voglio fare spoiler), non gridano allo scandalo come molti testi che mi è capitato di leggere ultimamente. Anzi, hanno sempre una certa vena di romanticismo e di dolcezza che mi ha conquistato.

L’autore usa uno stile lineare, sommesso, che mi ha affascinato e che vorrei padroneggiare (ma in realtà temo non riuscirei mai ç_ç). Nel corso della narrazione, sotto forma di osservazioni, frase, pensieri, pone alcuni interrogativi o suggerisce alcuni concetti che avrei voluto applaudire. Avrei potuto scrivere che la storia ha una “morale”, ma male si sarebbe adattato a “Kafka sulla spiaggia”. La tua morale la trovi da solo, sembrano dire tutti i personaggi, ognuno di noi può solo darti la propria. Ognuno di noi può solo farti riflettere e soltanto se scegli di prestare attenzione e non andare oltre.
Inutile dire che ho amato soffermarmi, a volte fino a commuovermi, a volte dimenticando la trama. Perché questa storia sono i suoi protagonisti, e per me è stato impossibile non amarli e non amarla.



Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:58
 
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view post Posted on 16/2/2014, 14:06
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– E l'inferno è certo.
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Perdona le congiunzioni e i doppi infiniti e il non detto.
Non so davvero cosa volevo dirti ma volevo che ti giungesse qualche mia parola questo mercoledì mattina.
Siamo come due animali in fuga verso tane calde e scure e viviamo il nostro dolore da soli.


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Non avevo mai letto niente di Kerouac prima de I sotterranei, e penso sia arrivato nel momento giusto della mia vita. I sotterranei, ancora una volta, è un libro d'amore.
L'amore tra Leo Percepied, sotto cui si può vedere lo scrittore stesso, e Mardou, una bellissima ragazza nera. Il libro, ambientato negli anni della Beat Generation, oltre a ciò non ha una vera e propria trama. I sotterranei infatti è una raccolta di episodi, quelli che ci racconta il protagonista nel suo continuo flusso di pensieri, facendoci vivere con lui la sua epoca e la sua storia d'amore.

E' un libro bellissimo, difficile, di cui non so nemmeno bene come parlare. Lo stile non è tanto uno stream of consciusness, per definirlo l'unico modo che mi viene in mente è con le parole dello stesso scrittore: "ondate spontanee e prive di revisioni, rapide, mozzafiato, come il jazz". Ed è proprio così. E' un continuo andare avanti e indietro nella memoria del protagonista, senza filtri stilistici. E' un qualcosa che può disorientare durante le prime pagine, ma non appena ci si lascia andare al flusso, scegliendo di non capire tutto ma di abbandonarsi alle immagini che vengono rappresentate, ecco, il libro diventa un capolavoro.

Come il jazz... ma anche come il blues. Perché è una storia malinconica, e l'andare avanti e indietro non è solo nella narrazione, ma anche nel rapporto stesso tra i due amanti. Continuamente intrappolati nella loro passione, nell'infedeltà, nel bisogno di autonomia, nelle incomprensioni reciproche, nei rapporti con la società e con gli altri esseri umani. La sensazione che si ha è che è proprio il mondo in cui sono immersi a far vacillare dall'inizio alla fine l'unione tra i due protagonisti, non avendo mai la possibilità di vivere il proprio amore nel proprio intimo, nel privato. Non sono mai Leo e Mardou e nessun altro. In fondo, ogni amore non si vive mai solo in due.
Un solo consiglio, lasciatevi trasportare dalla corrente delle parole. E dalla poesia contenuta in esse.



Edited by Zaide - 16/2/2014, 20:59
 
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28 replies since 20/1/2014, 12:09   1240 views
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