Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Posts written by janz

view post Posted: 11/7/2023, 23:56 Te lo ricordi? - Presentazioni
CITAZIONE (Hole. @ 4/7/2023, 20:30) 
:v:

:8D:
view post Posted: 16/2/2020, 12:17 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Postato!
Scusate il ritardo (cit.)

:iena: :iena:
view post Posted: 16/2/2020, 12:17 Il lascito degli Dèi ~ inno all'oscurità - GdR



Discesero nel gorgo.
Un lungo serpente circolare che vibrava nel sottosuolo con dispotica caparbietà, rigirandosi su sé stesso a più riprese. Con infinite spire e altrettanti trascinamenti; verso il basso, poi verso l'alto o verso l'esterno.
Poi in basso ancora; sempre più in basso.
Le pareti di sassi parlavano del ritorno dei viventi, di ciò che gli ultimi giorni avevano significato per le creature del sottosuolo. Gli esseri mortali che si erano rifugiati alle porte del Baathos dovevano aver cercato i migliori auspici per il proprio futuro. Lì, oltre la soglia del buio e al di là delle decine di cancelli di pietra che segnavano il lungo passo verso le viscere, il freddo gelido del nord pungeva sempre meno.
Quando ancora le ossa scricchiolavano di morte, queste si sarebbero disciolte, riscoprendo un sottile piacere nel poter riprendere agio del proprio essere. Le carni passavano dal pallore bianco della neve a un colorito più vivace, meno morto. Quello era il piacere della scoperta e il dramma della falsa vittoria. Con quelle false speranze, la bestia doveva aver convinto le genti rifugiatesi in quelle gole, che il sottosuolo avrebbe donato loro il piacere della vita. Li avrebbe protetti e custoditi, fintanto che il mondo non fosse collassato, morendo e rinascendo ancora.
Solo allora sarebbero tornati su, per riscoprir l'eterno.

Ma il gelo pungeva ancora.
Quindi dovevano esser discesi ancor un passo. E poi ancora uno.
A ogni ora, o forse giorno... o forse settimana che dedicavano a districarsi in quelle tentacolari gole di roccia, radici e fango, sentivano la neve scomparire poco a poco. Avvertivano finanche il lucido giubilo di un conforto lontano; come se il fuoco di un grosso camino li sorridesse al di là dell'angolo successivo. Fino a riscoprirsi più lontano di un altro angolo. Quindi un passo ancora, poi un altro. Infine, un altro ancora.
E sarebbero passate altre ore, forse giorni.... o forse settimane ancora.
Soltanto per cercare il calore più umano.

Disegnarono sulle pareti.
Per ritrovar la via, segnarono la strada a mo di ghirigoro. Una virgola a indicar la girata; un serpente a indicar quanti passi prima del successivo incrocio.
Altri animali e disegni a manifestar l'ebrezza della scoperta e il fascino di quel calore sommesso, che donava loro una certa ilarità. Questo, almeno, i primi tempi.
Poi scribacchiarono altro. Scrissero di bestie paffute, quasi a simboleggiar la fame, di contro allo scarseggiare dei viveri. Poi, infine, bestie zannute, draghi e mostri informi, a rispecchiar l'orrore dell'animo.
Questo accadde, quando alcuni di loro si ribellarono, impazzirono e si violentarono vicendevolmente. O si uccisero, quantomeno per aver carne con cui sfamarsi.
Qui gli infanti urlarono e dannarono il giorno in cui erano discesi nel profondo, portati via dalle madri disperate. Violentate, vinte e senza più compagni con cui condividere quell'orrore.
Cercarono le virgole, i ghirigori e le strade segnate sul cammino.

Ma il serpente sembrava muoversi.
I disegni li ritrovarono in punti in cui non ricordavano nemmeno di esser stati.
Il senso di ogni curva era cambiato e a ogni salita ritrovavano una nuova discesa. Fu così che per risalire fino al gelo, finirono per discendere ancor di più verso il calore.
E quel fuoco un tempo soltanto auspicato, divenne una vampa di fuoco ardente. Avvertirono attorno a loro, ma anche dentro di loro, il fremito incontrollabile delle fiamme, che li trasformavano nel corpo e nell'anima, fino a farli diventare creature ancor più dannate.
Votate al vuoto e che da quel vuoto gorgo gorgogliante mai sarebbero più scampati.
Per incapacità, inedia e assuefazione.
Vinti dall'eterno candore agonizzante del mondo di sotto, che tutto copre e da cui nulla sfugge.

Infine lo videro.

Occhi vuoti, con bianche pupille e capelli d'argento, lunghi fino al busto. Una sagoma traslucida che si rischiarava al buio.
Bastava un movimento per disegnare immagini. Prima un cavallo, poi una casa, infine un castello. Ma anche uno stendardo, un esercito e una città intera.
Un mondo nuovo, disegnato dalla fantasia di una creatura scomparsa, che di rimando a quella follia aveva soltanto la presunzione di una falsa realtà.
Non impazzire, impazzendo. Non morire, morendo. Non divenire nulla, creando soltanto qualcosa che non esisteva.
Ma incredibilmente simile al reale.
Solo diverso. Solo migliore.

Una città, per esempio.
Una poderosa città.

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« Buio e acredine » singhiozzò, fissando il pavimento roccioso attraverso le sue stesse mani.
« Non vedo altro che ricordi di un mondo passato » aggiunse, secco. « Oltre al bisogno fermo di fuggire da essi. »
Si voltò di scatto, sentendo qualcuno rispondergli. Una risata maligna, lontana e quasi impercettibile. Ma non per lui.
Lui la percepì e rabbrividì. Avvertì finanche delle parole entro quelle risa. Un messaggio piuttosto chiaro.
« Ora sei potente » commentò, piangendo. « Hai la maschera; hai il potere... »
« Hai lui »
Si girò ancora, come se qualcuno l'avesse toccato. Fissando il vuoto, boccheggiò di risposta.
« Cosa vuoi da me? »

Qualcuno gli rispose, ma nessuno sentì parole.
Solo un'altra risata sommessa. Era il modo in cui la bestia gli parlava, dalle profondità del suo gorgo.
L'aveva temuta, combattuta e finanche rispettata. Ma ora poteva fare ben poco.
Da morto - e da fantasma - poteva soltanto ubbidirgli.
Perché era in totale suo controllo.

« Una città? » Chiese, con fare stupito. Gli occhi vuoti scavati nella carne a fissare il proprio ego attraverso un torace nudo. « ...in questo posto? »
Il mondo di fuori l'aveva dimenticato e condannato. Nonostante ciò, riusciva a non cogliere l'ilarità di quel paradosso singolare.
Nella gola del mondo avrebbero trovato un altro mondo. Un mondo migliore, nato dal dubbio e partorito dall'inganno. Ma tanto reale da sembrare perfetto.
L'avrebbero chiamato in modi infiniti.

Nuova Basiledra.
Grande Lithien
Taanach la vincente

O con qualunque nome altrettanto altisonante da riempire i propri ego.
Sarebbe stata trionfale e bellissima; disegnata nei loro cuori come soltanto loro se la sarebbero immaginata.
E i loro eserciti avrebbero imboccato una di tre strade, con altrettanti pericoli.
« La loro è una guerra di conquista » asserì con fare distratto, quasi qualcuno gli suggerisse le parole. « Mirano al tuo cuore, ma dici che devono guadagnarsi la tua corte. »
Perché la vita nel Baathos non è comunque facile.
Una via avrebbe visto opposto il più grande degli eserciti terrestri. Umani, nani, elfi o bestie, poco importava. Sarebbe stata una lotta di campo.
La seconda via si sarebbe districata tra i tetti dei palazzi, col pericolo che scende dall'alto. Draghi, viverne, aquile. Una di queste avrebbe fatto comunque la differenza.
La terza via avrebbe visto gli invasori strisciare nelle profondità. Fogne, cunicoli, radici, terreno o altro, tra vermi, mostri e bestie del sottosuolo.

Tutto questo per raggiungere il centro della città.
Il trono del mondo e la porta verso il loro nuovo domani.
Tutto questo per raggiungere lui, l'araldo della bestia.
Diviso tra i ricordi del passato e gli ordini del suo signore.
Quel signore che odiava. Ma di cui non poteva fare a meno.

Perché lui era il suo nuovo Re.

« Mi manca » disse, biascicando piano. « Anche se mi ricordo poco di lui. »
« Ho nostalgia di ciò che eravamo e questo mi sta distruggendo. »
O forse lo distruggeva lui e il ricordo che lo costringeva a immaginare.
« Eseguirò i tuoi ordini » concluse, secco. Si sedette sul trono, stringendo la spada sottile nella mano destra. « Ma non sarai mai il mio Re »

« Non avrò altro Re all'infuori di Rainier. »
Poi fissò nel profondo del Baathos. Oltre la città e verso i cunicoli, dove gli iniziati avevano intrapreso la loro ultima discesa.
« Adesso venite, guerrieri. »

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« Io sono Shakan Anter Deius » asserì, serio. « E vi sto aspettando. »



CITAZIONE
QM Point
In questo post dovrete descrivere la vostra discesa nel Baathos. La prima parte è indicativa del cammino vostro e dei vostri eserciti, ovvero delle numerose sfide cui saranno / sarete sottoposti e che dovrete cercare di rendere realisticamente nei vostri post. Infine, vi troverete dinanzi a una sfida diversa. Una volta terminata la discesa nella prima parte, troverete... una città. Siete liberi di descriverla come ritenete, potrebbe essere una grande capitale del Dortan, un enorme agglomerato tipico dell'Akeran o un insediamento elfico nell'Edhel. Ognuno di voi può vederla in modo diverso; immaginatevela in ogni dettaglio e descrivetela liberamente. I vostri eserciti potranno imboccare tre strade, così come descritto nel post, con pericoli annessi. Imbastite una strategia che garantisca a voi e al vostro esercito di sopravvivere fino al centro della città. Naturalmente ciascuno di voi può imboccare solo una strada, quindi organizzatevi.
Alla fine della corsa vi troverete dinanzi Shakan. Reagite come preferite, possibilmente senza essere autoconclusivi.
Dubbi o domande in confronto (...quant'è che non lo scrivevo?)


Edited by janz - 16/2/2020, 15:15
view post Posted: 21/12/2019, 12:49 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (H I G @ 21/12/2019, 12:37) 
Scusate se mi intrometto e svio la questione su una cosa futile ma, dato che sono nabbo e, ahimé, della Vergine, non è che qualche anima pia potrebbe aggiustarmi il titolo del mio ultimo post perché leggerlo così mi fa proprio tanto male al cuoricino.

Vi voglio bene :v:

Fatto
view post Posted: 9/12/2019, 17:35 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Jecht @ 9/12/2019, 16:41) 
Stanno succedendo LE ROBE, vedo.
Tutto ciò mi ispira molto, tanto che non sono riuscito a trattenermi dal comporre una breve ma densa poesia.
Nulla di che ma ci ho messo tutte le mie emozioni. Spero che piaccia.

Caino,
l'analcolico biondo,
fa impazzire il mondo.

(E fu BAN)

Non banno da tanto tempo.
Magari mi ricordo ancora come si fa.

:8):
view post Posted: 9/12/2019, 15:55 Il lascito degli Dèi ~ l'ultimo Leviathan - GdR

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Rovine di Basiledra
Cripta dei Re


Ricavò l'ultimo anfratto dietro una colonna di pietra spezzata per metà. Impugnò l'elsa dell'arma senza esitazione e con un sonoro colpo, svirgolato alla giusta altezza, il colosso di pietra si tramutò in innumerevoli sassi più piccoli, sgretolandosi ed accasciandosi su di un lato.
Dietro vide l'ultima porta e il cuore gli balzò nel petto. Quando scrutò il legno massello ancora lucido, con le mani callose e sporche poté avvertire i sonori colpi con cui i fabbri del Bianco Maniero avevano disegnato le architetture del vecchio dominio del Re. Se li ricordava ancora, le barbe lunghe e gli occhi lucidi di stanchezza ed esperienza, a lavorare gli arredi con perizia e attenzione, ben coscienti che il loro lavoro era parte del Regno tutto; contribuivano al Leviatano al pari dei maniscalchi, dei cuochi, delle sguattere e di ogni singolo componente del borgo. Tutti insieme costruivano l'enorme mostro vincente che aveva conquistato ogni territorio conquistabile, e vinto ogni guerra che fosse possibile vincere, impugnando l'arma più potente al mondo: l'orgoglio di far parte di un impero millenario.

Una lacrima scavò il volto del comandante. Questo tirò su la mano e se la asciugò col palmo, rozzamente. Al tempo stesso, si portò la ciocca di capelli biondi sporchi dietro la testa, allacciandosela insieme al resto in una lunga coda di cavallo. Poi si aggiustò la bandoliera, che nel mentre gli era scesa giù fin quasi alla spalla.
Doveva essere perfetto pensò e la bocca si inarcò in un sorriso quasi naturale, sebbene sconfitto dal tempo e della cicatrici del suo animo.
Poi spalancò la porta e ciò che vide gli invase gli occhi.

« Sto arrivando, mio signore »

La cripta del Re era un lungo salone scavato nel cuore della terra.
Quasi cosciente di ciò che sarebbe poi accaduto, il Re aveva ricavato una stanza di dimensioni imperiali proprio sotto il Trono che non trema. I tappeti rosso porpora erano pieni di polvere, ma ancora adornavano la pietra levigata di sapienza e beltà, impreziosendo le pareti già adorne di arazzi e ricami dorati con un tocco di maestria. Ad ogni passo il Comandante poté ammirare le opere degli scultori, che si erano fatti pregio di imprimere le fattezze dei guerrieri più nobili dell'impero, così come delle dame più belle e dei cavalli più fieri, che comparivano dalle nicchie sui muri a intervalli regolari.
Tutto quanto richiamava la fierezza degli anni passati, accompagnando il penitente verso la purezza del suo prossimo omaggio. Ogni dipinto, ogni ricamo era un richiamo agli anni passati, col preciso scopo di ricordare all'uomo e al servo ciò che aveva perduto.
In quel modo, chiunque - anche il più sciocco - sarebbe stato costretto a porgere i suoi omaggi alla tomba del Re.

« È tutto bellissimo »
In realtà, non ricordava di essere mai stato in quel posto. Aveva seguito i dettami del Daimon che l'aveva seguito; aveva raccolto un esercito di grandi dimensioni e lasciato le proprie truppe a guardia delle rovine dell'antica capitale, soltanto per poter ammirare lo spettacolo, così come gli era stato suggerito e descritto.
Ma non lo ricordava. Non ricordava quando gli artigiani del Re avessero costruito quell'imponente opera, né il momento esatto in cui le ossa del suo antico Re fossero state traslate in quell'anfratto sotto le rovine di Basiledra.
Forse era accaduto dopo la sua diserzione; forse il mondo aveva capito e compreso il ruolo del vecchio Re, omaggiandolo coi dovuti onori.
Non importava in realtà. Ora era lì e non si sarebbe più fatto domande.
Non sarebbe più fuggito, ora che la sua vita era completa.

« È bellissimo! » Chiosò ancora, quando la vide.
Una scalinata di marmo bianco con venature dorate accompagnava il passo verso un'altare di bronzo e oro. Due figure alate, simili a draghi, si stagliavano ai bordi della tomba, circondando coi propri artigli testa e piedi di una figura umanoide, distesa su di un immaginario giaciglio reale con la propria spada poggiata all'altezza del cuore.
Quando lo vide, lo riconobbe. Si portò una mano alla bocca, nascondendo un singulto e poi pianse.
« Maestà » aggiunse Medoro, commosso. « Finalmente vi ritrovo, dopo tutto questo tempo. »

Si prese un attimo per sé. Giunse le mani in preghiera e chiuse gli occhi, immaginandosi lo spirito del sovrano a vegliarlo in quel momento di meditazione.
Poi si destò, quasi volendosi richiamare all'ordine. Girò il sacco che aveva sul fianco e se lo portò sul davanti, affondandovi all'interno le mani callose. Rovistò per qualche istante e, infine, vi tirò fuori un mucchio di stracci.
« Ve l'ho portata dopo tanto tempo, sire » ribatté, parlando alla tomba. Con la mano destra teneva il fagotto, mentre con la sinistra si premurò di levar le bende una a una, lentamente. Come se stesse carezzando un tenero cucciolo o contando i petali di una margherita a primavera.
Quando finì, ne emerse una maschera intarsiata di preziosi, placcata in rame e dipinta di rosso, curva. Impressa su di essa v'era uno sguardo ilare e, al tempo stesso, minaccioso.
« È la tua maschera... sire » aggiunse poi, fissandola con sguardo spiritato. « È ciò che i Daimon mi hanno chiesto di portarti... »

« Fermati, Medoro. »

Qualcuno richiamò l'attenzione alle sue spalle e per un attimo il comandante pensò che fosse stata la tomba a rispondergli.
Poi, però, fu costretto a voltarsi e sebbene ciò che vide gli assomigliasse molto, capì immediatamente che non era stato affatto il suo re a parlargli.
A metà della sala v'era un uomo con indosso calzoni scuri, fasciato di stracci bianchi. Teneva due spade corte sui fianchi e il rumore degli stivali cadenzava col suo passo il tempo che gli mancava a raggiungere Medoro. Il volto, però, era il particolare più evidente: quei lunghi capelli neri e quell'accigliato sguardo, impresso su di un viso magro e smunto, era disegnato su molti arazzi di quella sala. Ma non era lo stesso volto.

« Zeno » lo chiamò, Medoro. « O dovrei chiamarti Faust? »
« ...impostore, forse è più adatto? »

Zeno si portò a pochi passi da lui, fissandolo con aria seriosa. Il volto non nascondeva la stanchezza e il tempo; qualche capello nero ormai luccicava di un più maturo grigio e profonde occhiaie parlavano assai più della sua bocca, raccontando di notti insonni e lunghe battaglie. Non si era mai arreso a differenza sua. E questa cosa irritò Medoro ancora di più.
« Mi spiace per quello che ti è successo » aggiunse Zeno, serio. « Mi dispiace anche per non averti mai raccontato la verità su di me, o su Julien. »
Poi lanciò uno sguardo a ciò che il comandante teneva ancora tra le mani. « Ma questo è troppo; non posso permettertelo. »

Medoro sorrise, questa volta amaro. Erano stati compagni d'arme, un tempo. Vicini, molto vicini: ma mai davvero amici. Nessuno dei due aveva mai confessato all'altro le proprie emozioni: finanche il volto e il ruolo di Faust / Zeno era rimasto celato al suo comandante per anni. E ora, dopo tutto questo tempo, l'uno era venuto per fare la morale all'altro.
No. Pensò Medoro. Non l'avrebbe accettato.
Coprì lui stesso i pochi passi che lo dividevano dall'altro e gli si portò a un tiro di sputo, afferrandolo per il collo della blusa. « Che cosa sei venuto a fare, impostore? » Ringhiò, digrignando i denti.
« Sei venuto a farmi la tua ultima predica? A dirmi che risvegliarlo è sbagliato? » Abbaiò ancora, con un moto di inedia.
« Quello che sta succedendo al mondo intero è giusto, invece? » Proseguì, indicando con la mano un punto immaginario alla sua destra. « Da quando lui è andato via, tutto è andato storto! »
« Abbiamo bisogno di lui. »

Zeno non disse nulla, sul momento. Si limitò a staccarsi le mani dell'altro dal suo collo e a fare qualche passo indietro; si mosse piano, come quando non si vuole infastidire una fiera pronta all'attacco.
« Il mondo sta andando in pezzi, sicuramente » commentò, secco. « Ciononostante, risvegliare lui non potrà far altro che peggiorare le cose. »
Poi si limitò a fissarlo, portando - senza farsi vedere - una mano alla spada sul fianco destro. « Ora dammi quella maschera, Medoro; risolveremo tutto senza di lui. »
Medoro gli restituì un'occhiata gelida. « Quindi è solo questa che vuoi? » Fece un passo indietro e poi un altro, impugnando a sua volta l'arma. « Vieni a prendertela! »
Zeno non se lo fece ripetere due volte; scatto in avanti con agilità, svirgolando la spada destra con un fendente orizzontale, all'altezza dello stomaco e uno più in alto, poco sotto il mento. Medoro rimase stupito dall'atto, ma - per quanto arrugginito - la tecnica ancora non gli faceva del tutto difetto. Fece un altro passo indietro ed evitò il primo fendente, parando il secondo con il piatto della lama.
Poi fece un passo di lato e rispose con due affondi all'altezza dello stomaco, che Zeno schivò con agilità, rispondendo ancora con una finta in direzione della gamba destra, salvo salir su e tentare i colpire la mano destra con cui teneva ancora la maschera. Medoro, stanco e affaticato per il lungo cammino, capì con un attimo di ritardo la finta dell'altro, non riuscendo a evitare il colpo alla mano.
Il risultato fu che la lama del secondo gli strisciò sul palmo e dovette mollare la presa sull'artefatto. La maschera scivolò nell'aria e con un volo ad arco si aprì si andò a posare proprio sopra la tomba del Re.

Medoro ruggì di rabbia e rispose con un rapido fendente orizzontale che colpì Zeno di striscio, costringendo quest'ultimo a indietreggiare.
« Traditore! » Urlò ancora, col volto contratto e nuovamente in lacrime. « Confessa: la vuoi solo per te! »
« Vuoi per te la Maschera di Loec...! »

Zeno sbarrò gli occhi.
« Credi davvero che quella sia la Maschera di Loec? » Chiese, con voce atterrita. « ...magari sei anche convinto che questa sia la Tomba di Rainer? »
Medoro rimase immobile. Poi abbozzò un sorriso amaro, finto. Dubbioso, ma ancora incredulo. « Certo che questa è la Tomba di Rainier... e quella è la maschera di Loec... »
Mentre rispose, si girò a fissare l'artefatto che gli era appena scivolato dalle mani, ormai poggiato sulla tomba dietro di lui. Con orrore poté vedere una maschera assai diversa da quella fissata qualche istante prima: era una maschera priva di bocca, inespressiva, tutta bianca e con ghirigori dorati sulle guance a simulare un volto privo di emozioni.
Una maschera da Corvo.

In quell'esatto istante Medoro vide gli arazzi, le statue e gli arredi della Cripta del Re sciogliersi come neve al sole, dissimulando l'illusione che erano stati fino a quel momento.
Al loro posto comparvero le mura tozze di un cunicolo scavato sotto la terra brulla, spugnosa delle paludi del Sud del Dortan, con la puzza di umido che gli risalì fino al cuore.
Non si ricordava della cripta, perché non era mai esistita.
« Dove siamo, veramente? »

Ma conosceva benissimo la risposta.

Rovine di Basiledra
Cripta dei Re


Qualche tempo prima

« Un inganno? » Ribatté Haym, tendendo il volto in un'espressione mista di disappunto e stupore.
I suoi occhi vuoti presero a fissare un punto imprecisato della terra brulla. « Vuoi ingannare il comandante Medoro? »
« No » Zoikar sentenziò e la sua voce risuonò come un tuono.
« Non il comandante Medoro » ribatté. « Medoro il guerriero caduto in disgrazia; Medoro il vagabondo... »
Il suo elmo in ferro nero battuto tintinnò appena, mentre il colosso di ferro e nulla si stagliava con la sua prepotenza, rimbeccando di quelle parole fredde tutta l'ipocrisia del suo piano vittorioso.
« Inganneremo Medoro il disgraziato » sottolineò, girando il viso in direzione dell'altro. « Inganneremo un guerriero decaduto, che farà di tutto pur di riabilitare il suo nome agli occhi del suo re... »
« ...persino credere a una bugia. »

Calò un silenzio immobile tra i due; finanche il vento si placò, quasi tendesse l'orecchio per ascoltare.
« È crudele e sbagliato » sussurrò Haym, dissimulando un rigurgito di coscienza. « Non dovremmo farlo. »
« Ma lo faremo » gli rispose Zoikar. « Perché è necessario. »
« E quando tutto sarà finito, non potrà che giurare fedeltà al suo nuovo padrone. »

Si rialzò, scrutando il cielo plumbeo che iniziò a gocciolare di una pioggia scura e sporca.
« D'altronde non può farne a meno » concluse.
« Medoro non può fare a meno di servire un padrone; chiunque esso sia. »



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Abbazia di Acque Perdute
Ultima città dei Corvi


Scavata sotto la terra bagnata della palude, l'ultima città dei Corvi era stata un cunicolo di vermi.
Si erano rintanati dove nessuno li avrebbe trovati, soltanto per fuggire alle persecuzioni dei Regni ed evitare le esecuzioni sommarie. Poi, erano fuggiti anche da lì: si erano riabilitati come nobili, guerrieri, cantastorie o qualunque altro ruolo avrebbe nascosto al mondo ciò che erano stati o il credo cui avevano giurato fedeltà. Perché il Credo del Sovrano era divenuto qualcosa di innominato per i regni del Dortan, dopo la caduta dell'ultimo Re, Julien.
Ciò che era rimasto lì, nell'ultima città dei Corvi, era soltanto la memoria, il rimpianto e una cassa.
Una cassa di legno sporco, adagiata su di un piedistallo di pietra grigia e sporca, che Medoro fino a qualche momento prima aveva scambiato per un bellissimo altare.
Sulla tomba, invece, non c'erano draghi alati a impreziosire alcunché, né figure regali adagiate con una spada, ma soltanto un'asse di legno sbilenco e una scritta scura, rovinata e illeggibile.
E, ora, anche una maschera da Corvo, poggiata sul centro.

Quando si rese conto dell'inganno, il Comandante rovinò a terra, come se il peso della sua corazza fosse aumentato all'improvviso. « H-haym... c-cosa mi hai fatto fare...? »
Si accasciò in lacrime, seguitando a fissare la tomba con orrore, incapace di realizzare appieno ciò che era accaduto.
Zeno, invece, non si perse d'animo. Come una furia scatto in direzione della maschera; nel mentre, impugnò una delle sue due lame con entrambe le mani e svirgolò un un fendente dall'alto verso il basso, cercando di spaccarla in due. Con suo grande stupore, però, il colpo fu rimbalzato da una forza invisibile e quella stessa forza lo respinse con violenza, scagliandolo a diversi metri di distanza.
« Dannazione! » Urlò Zeno, colpendo la parete di terra brulla con la schiena. « È troppo tardi...! »
Con orrore, i due videro la maschera da Corvo sciogliersi in un liquido biancastro e poi scivolare all'interno della cassa di legno velocemente.
Dopo qualche istante, un urlo inumano risuonò dall'interno della cassa e, infine, un bagliore dorato investì entrambi e tutto il cunicolo di una luce accecante.
All'esito di quella scena, non c'era più alcuna tomba.

Solo una figura umanoide, nuda ed eretta sopra di essa, che li fissava con occhi infuocati e pupille dorate.
« R-rainer? » Chiese Medoro, continuando a fissarlo. Sperando in una risposta affermativa.
« Non insultarci con quel nome, Comandante Medoro » rispose l'uomo, con voce greve. « Sapete benissimo chi siamo »

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« Noi siamo Caino »

view post Posted: 17/11/2019, 23:19 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Ray~ @ 17/11/2019, 14:10) 
CITAZIONE (Verel @ 16/11/2019, 12:26) 
A proposito, dov'è il vecchissimo topic dell'Occhio di Gruumsh? Obliterato? :asd: Non lo trovo con la ricerca.

Obliterato, ritengo :v:

Anyway, mi prendo un momento per fare un piccolo post di contestualizzazione. Purtroppo (o per fortuna) stiamo lavorando molto in corsa, come avrete intuito, e non abbiamo più i tempi liberi di un tempo meno libero - quindi eccoci qui.
Come penso sia chiaro ormai a tutti, abbiamo aperto questo evento con il preciso intento di celebrare quello che per noi è stato il raggiungimento di un importante traguardo: la pubblicazione di un primo libro. Un libro ambientato su Theras, con forti richiami a quello che è sempre stato scritto qui, maturato dopo attente riflessioni e lunghi mesi di lavoro, ma che credevamo e crediamo sia il modo più bello per coronare tutto ciò che è stato Asgradel e che per certi versi è ancora. Non a caso, la prima dedica del libro va proprio al forum.
Chi ci conosce sa bene che pubblicare un romanzo è sempre stato uno dei nostri più profondi desideri. La nostra speranza è che vi piaccia e che possiate viverlo anche come un regalo per voi stessi e, nella peggiore delle ipotesi, come una prova concreta e fisica di tutto ciò che avete vissuto su Asgradel. Un souvenir da tenere nella libreria e di cui raccontare agli amici, se volete.
Con questo evento, però, volevamo fare qualcosa di più. Qualcosa che ha pochissimi precedenti anche nel mondo della letteratura. Volevamo rendervi parte integrante della trilogia, esattamente come Theras e tutto ciò che è stato scritto in passato è parte integrante del libro.

L'evento che state vivendo, infatti, è un ponte di collegamento tra la Theras dei tempi andati e la Theras del romanzo.
State, se vogliamo usare un linguaggio più immediato, giocando un prequel dei romanzi :asd: in questo modo, questo evento non costituirà solo una festa per ricongiungerci, ma anche un modo per dare a voi affezionati la possibilità di fare parte concreta della storia che abbiamo scritto. E chissà, magari dare un po' di visibilità ai vincitori :D:
Insomma, volevamo condividere con voi il nostro successo e questo ci è sembrato il modo migliore. Speriamo che anche voi lo apprezziate~

E ora via, verso nuove avventure. Questo pomeriggio devo tenere la prima presentazione. Sono agitato. Ciao. :v:

Detto questo, occhio a come trattate i miei personaggi *fissa anna* :glare:
view post Posted: 8/11/2019, 23:58 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (K i t a * @ 8/11/2019, 22:41) 
Salve, avrei bisogno di un aiuto da parte di Janz o Ray: vorrei, per favore, mi ricordaste come avevamo concluso il ciclo dei pelleverde, come erano organizzati e in particolare la figura di Bara-Katal perché non mi ricordo più niente. :facepalm:

Diciamo che in realtà non si è mai concluso.
Bara-Katal diventa semi immortale col potere del Ba-Xian e organizza il suo personale esercito (i seguaci del grande spirito) composto da pelleverde considerati traditori o reietti dai propri simili, per marciare contro i propri nemici e riguadagnare il proprio posto nel continente. In particolare si ripropone di sconfiggere Rekla e tutti coloro che - come lei - in passato li hanno usati.
Ma non abbiamo mai finito il ciclo, poi :mumble:

Che altro ti serve sapere?
view post Posted: 3/11/2019, 09:53 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Jecht @ 1/11/2019, 19:11) 
Mark Smith
Mathias Lorch
Medoro
Il Leviatano.

Sono commosso.
Con questi quattro nomi il mio post mi si è dipinto in mente solo leggendo.

Si eh?

L'ultima volta che ti si è materializzato un post in mente sappiamo tutti com'è andata a finire :glare:
view post Posted: 1/11/2019, 11:17 Il lascito degli Dèi ~ l'ultimo Leviathan - GdR

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Si sedette al piano con movimento discreto. A discapito dell'aspetto burbero, l'uomo dalla lunga barba e i capelli stopposi, raccolti in una coda di cavallo che scendeva comoda sulle larghe spalle ammantate di rosso, sfiorò i tasti con invidiabile leggiadria. Le dita callose si mossero agili, come seguissero uno spartito invisibile, mentre il torso robusto spiccava disarmonico oltre il leggio come una volgare bestemmia durante una cerimonia sacra.
A quell'ora del pomeriggio solo alcuni tavoli dell'osteria erano occupati. I più stettero immobili ad affogare i dispiaceri nelle proprie pinte di birra; giusto qualcuno trovò curioso e al tempo divertente che un galeotto fosse sufficientemente folle o sbronzo da credersi capace di musicare qualcosa di anche soltanto decente.
I suoi occhi, invece, non erano che per lei. Quando entrò i suoi capelli ramati biondo scuro al fuoco delle prime candele parvero brillanti di luce propria; apparve leggiadra dal retro della stanza, muovendo passi silenti fino al fianco del pianoforte, che aggirò dissimulando un ampio abbraccio. I suoi occhi sottili indugiarono sui pochi presenti, mentre il naso tirò su un sospiro a metà tra stupore e inedia, sforzandosi di dipingere qualcosa di leggiadro con le sue mani sottili.
Così agitò le dita nell'aria e al seguito fecero gli avambracci, girando in tondo il busto intero in una melodiosa danza che presto staccò anche i volti più gretti dalla profondità dei boccali.
Loro non potevano vedere la sua sinfonia. Ciò che cantava echeggiava dal suo spirito e prendeva la forma di bellissimi fantasmi.

Era una sua dote particolare, che l'aiutava a muoversi entro un sogno infinito. I fantasmi divennero re e regine, mentre il legno del locale prese le fattezze dei marmi dei castelli più antichi, ove la storia aveva disegnato il loro destino e le infinite battaglie avano riempito i loro racconti.
Danzò attraverso quelle immagini, chiudendo lo sguardo al presente e immaginandosi il passato fulgido di quelle terre.
Un onore per pochi quello di conoscere gli eroi antichi.
Ma lei, in qualche modo, li aveva conosciuti.
E così prestava i dovuti onori.

L'uomo attaccò con la musica e lei intonò il canto, lasciando spazio alla magia.




« Alle rovine del bianco maniero del Re, lei con le ombre danzò... »
« ...dei ricordi perduti e di chi ritrovò... »
« ...e di chi in passato l'amò... »


« Le ombre da tempo lontane da sé, i cui nomi ormai cancellò... »
« ...sulle antiche pietre vorticando danzò... »
« ...e con quei passi il dolore cacciò... »


« E mai volle andar via; mai volle andar via. »
« Mai volle andar via; mai volle andar via. »


« Tutto il giorno e fino a notte danzò... »
« E la neve i suoi passi celò »
« Dall'inverno all'estate, poi l'inverno tornò »
« fino a quando l'effige crollò. »


« E mai volle andar via; mai volle andar via. »
« Mai volle andar via; mai volle andar via. »

« E mai volle andar via; mai volle andar via. »
« Mai volle andar via; mai volle andar via. »
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« Alle rovine del bianco maniero del Re, lei con le ombre danzò... »
« ...dei ricordi perduti e di chi ritrovò... »
« ...e di chi in passato l'amò... »


Si ammonì d'improvviso, ricordandosi di dove fosse. Col medesimo impatto, i fantasmi si arrestarono, scomparendo dalla sua vista.
Solo allora sfoderò le sue pupille di colore diverso in direzione della platea, mentre la voce tremula rimarcò un ringraziamento spaventato e sottile. Di rimando, tutti i presenti l'accolsero in un caloroso applauso, sottolineando quello spettacolo senza tempo con tutto l'amore di cui i loro volti stanchi fossero effettivamente capaci.
Allo stesso tempo, l'uomo al piano si levò in piedi e seguì con un applauso cadenzato e forte. Si sbracciò, emergendo dal seggio coi suoi calzoni strappati e sporchi, riservandole un abbraccio sincero.
« Bravissima Iride » commentò, sinceramente commosso. « Uno spettacolo meraviglioso. »

Dall'altro lato della sala l'oste applaudiva a sua volta, malcelando un'aria sorniona con sorriso compiaciuto e forzatamente onesto.
Poi sollevò un boccale vuoto dinanzi a sé, vorticandolo in direzione della sala « direi di brindare alla musica, che ne dite stronzi?! »
Seguirono urla compiaciute e un nuovi giri di bevute.

« Ehi tu, pianista » fece poi l'oste, in direzione dell'uomo. « Avvicinati. »
Quello lo guardò con un tono di sospetto, congedandosi dalla danzatrice con una carezza sul volto. Torno subito, non preoccuparti.
Poi si concentrò sull'oste. Una testa calva e un viso pieno di rughe lasciavano intravedere la crudezza del suo animo; in quel tempo pieno di guerre e sofferenze si era fatto i soldi alle spalle dei derelitti, di coloro troppo vecchi o troppo malati per partecipare alla guerra, ma non sufficientemente poveri da non farsi scoppiare il fegato per qualche soldo lanciato sul bancone. E lui non aveva mai disdegnato di assecondarli.
« Per voi » disse, strisciandogli cinque monete sul legno sporco. « Direi che abbiamo chiuso, adesso. »
All'uomo bastò mezzo secondo per capire che qualcosa non andava. « Si era detto dieci; e dovevamo cantare fino a sera. » Poi girò il viso verso la finestra sporca, dalla quale si intravedeva ancora la timida luce del tramonto.
« Non saranno nemmeno le sei. »

L'oste lo fissò con un lampo di inedia; poi chiuse le palpebre e fece un profondo respiro. « Senti Frank Smith o come cazzo ti chiami. »
« Mark Smith » lo corresse lui. « E sono un eroe di guerra. » rimarcò.
« Si, come vuoi » tagliò corto l'altro, liquidandolo con un gesto della mano. « Il fronte avanza e hanno imposto la legge marziale; devo chiudere alle otto e - per come vanno le cose - direi che non riaprirò più. »
Poi afferrò uno straccio, pasticciandolo tra le mani ancora umide e lanciandolo verso l'altro lato del bancone con un gesto di stizza. « Quindi, abbiamo chiuso. Tu e la tua ballerina siete bravissimi, ma potete trovare altri ubriaconi da intrattenere da quale parte giù al sud. » Concluse secco, puntando il grosso dito indice contro il petto dell'altro. « Siamo intesi? » grugnì.

L'uomo stette in silenzio, portando una mano all'elsa della spada, nascosta sul fianco sotto la tunica. La danzatrice, poco distante, comprese al volo l'intenzione del suo accompagnatore.
« Andiamo » disse, bloccandogli il braccio proprio un secondo prima che fosse troppo tardi. « Troveremo un altro posto. »
Non disse nulla. Poi uscirono.

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Il lascito degli Dèi ~ L'ultimo Leviathan

Ladeca
Capitale di regno


« Che figlio di puttana » sbottò, sputando catarro sul pavimento lastricato. « Che figlio di una gran puttana. »
L'uomo cadenzò il passo con rabbia, fermandosi dopo ogni secondo per rimarcare una qualche bestemmia ai danni dell'oste. « La guerra avanza e noi ne facciamo le spese. »
La danzatrice s'era chiusa nel suo cappotto di stoffa spessa, nascondendo la pelle chiara e le braccia esili quasi se ne dovesse vergognare. Anticipava il passo del suo accompagnatore di almeno mezzo metro, sentendo il bisogno di prendere le distanze in quel momento di rabbia. Testa bassa e occhi puntati sul fondo della via, dove non vedeva l'ora di scomparire.
« Ti rendi conto quanto è stato stronzo? » Chiosò ancora l'uomo, tenendo strette quelle cinque monete che gli sembravano ancora troppo poche.
Nel mentre, la via principale si svuotava dei mercanti del mattino. I più chiusero bottega anche prima del tempo, serrando a doppia mandata l'attività senza sapere se avrebbero riaperto il giorno dopo. Una matassa di formiche spaventate, che correvano in ordine sparso verso un nuovo rifugio, quasi si stesse avvicinando la propria fine.
Girato l'angolo, l'uomo non sembrò calmarsi affatto. « Dovrai pensare qualche altra storia Iride; dobbiamo ampliare il repertorio. »
D'improvviso la donna si bloccò, quasi avesse udito una bestemmia. Si voltò a fissarlo, con sguardo torvo e l'altro parve più stupito che spaventato dalla cosa. « Non sono storie! »
« Sono cose accadute veramente » chiosò, sbattendo un piede contro la strada. « Le ho lette nei libri; le ho anche viste! »
L'uomo rimase immobile a fissarla. Poi trattenne una risata, portandosi una mano alla bocca. « Come vuoi, bellezza. Puoi vederne altre, allora? »
Lei stette in silenzio, sbuffando indispettita. « Tu non mi prendi sul serio, Mathias. »
All'udire di quel nome l'uomo sussultò, portandosi un dito sulla bocca. « Zitta, maledizione! » chiosò, visibilmente spaventato. Poi si guardò intorno, controllando che nessuno li avesse uditi.
« Sono Mark Smith, te l'ho detto! » aggiunse. « Mark Smith è morto da diversi anni! Lo sapresti se avessi studiato un poco di storia! » rispose lei.
Poi incrociò le braccia, visibilmente contrariata. « Perché non ti arruoli e parti per il fronte, come tutti gli altri? » Sentenziò voltandogli le spalle. « Posso cavarmela anche da sola! »
L'altro si fece scuro in volto, trattenendo un ruggito di rabbia. « Perché quando ti chiami Mathias Sebastian Lorch e sei figlio di un tiranno sanguinario, non è facile trovare posto nell'esercito » concluse, serio. « Sarei morto prima ancora di scendere in battaglia. » Tagliò corto.
Nel mentre, ai margini della strada li fissava un mendicante. Teneva le gambe incrociate sul ciglio della via e coi piedi nudi bagnava la sua stessa urina; nel mentre il torso smunto e nudo reggeva a fatica una testa ciondolante, coi capelli sporchi e puzzolenti che gli coprivano quasi totalmente il viso. Preda di un torpore atavico cagionato dall'inedia, a fatica notò i due bisticciare poco distante da sé. L'istinto fu lo stesso che lo prendeva da diversi anni a questa parte, nel tempo in cui in quelle strade di persone se ne vedevano a frotte. Allungò una mano ossuta, aprendo il palmo.
« Vi prego, una moneta. »

Mathias non ci fece nemmeno caso, continuando a concentrarsi sulla sua preziosa accompagnatrice. Iride, invece, notò qualcosa. Fu come un lampo che le balenò in viso, riempiendo il suo sguardo di rinnovato orgoglio.
Comprese qualcosa come l'altro non avrebbe mai potuto fare. « Dammi » disse, in direzione di Mathias.
« Che? » questi cambiò tono, fissandola adesso con molto più stupore. Poi si girò verso il vagabondo e gracchiò un'acida bestemmia di rimando. « Ti prego Iride, non vorrai davvero...? »
« Quei soldi sono anche miei » ribatté lei, con la battuta già pronta. « Dammi, ora. »
L'uomo attese qualche lunghissimo istante, incredulo. Poi scavò nella tasca. « Per tutti i draghi di Terra Grigia. Maledizione! » E le allungò tre delle cinque monete guadagnate nel locale.

Con passo leggiadro, la donna si avvicinò al vagabondo. Lo colse con amore, carezzandogli la testa sozza con un gesto di affetto.
« Questi sono per te » disse, riempiendogli la mano con le monete. « Ritorna padrone del tuo destino. »
L'uomo le fissò per diversi minuti, contandole più volte. Incredulo, tornò a guardare la donna per ringraziarla. Ma i due erano già lontani.

Quel gesto ruppe un incanto. D'improvviso, il vagabondo si levò dal suo posto e si rese conto che quelle tre monete potevano essere il principio del suo nuovo domani; il suo fato era stato avvinto dalla sfortuna e dall'ignominia, ma se una donna sconosciuta poteva intravedere il suo orgoglio oltre la coltre di pattume dietro la quale si era nascosto, forse tutto non era ancora perduto.

« Quanto tempo è passato, Comandante? »

Fu allora che lo vide.
A metà del vicolo, dove fino a un momento prima c'erano i due avventori, ora si stagliava una coltre d'ombra. Fu come se d'improvviso fosse calata la notte fonda intorno a lui e finanche l'aria che lo circondava aveva smesso di muoversi per comando e ordine di ciò che gli si era parato innanzi.
Era una figura ammantata di scuro, con un pastrano color pece che ricopriva il suo corpo fino al fondo, nascondendogli finanche i piedi. Oltre il cappuccio nero poté scrutare soltanto due occhi rugosi e bianchi, diafani, che lo trapassarono da parte a parte peggio di un freddo coltello.
Il vagabondo si spaventò talmente tanto che dovette indietreggiare qualche passo, fino a scivolare sul suo stesso piscio nel punto esatto da cui si era alzato qualche istante prima.

« Il gesto amorevole di una sconosciuta ha risvegliato finalmente il tuo orgoglio smarrito. » Parlò ancora la figura. « Da quanto tempo non accadeva? »
La sua voce proveniva da ogni direzione e da nessuna in particolare. Era un incedere cadenzato quasi profetico che parlava direttamente al suo cuore, come se quell'essere potesse scinderlo fino al profondo.
« C-cosa vuoi? » Ribatté il vagabondo, cercando di scomparire nel terreno sotto di lui.
« Puoi chiamarmi Haym » disse la creatura. « E so benissimo chi sei. »

Il vagabondo scivolò ancora più indietro, trovando l'opposizione del muro freddo del casolare di fianco. « I-io n-non sono nessuno » balbettò.
« Davvero? » Chiese la figura. Avanzò come un'ombra, sorvolando il creato come uno spirito immateriale. « Tu eri un fiero comandante; un giorno hai dovuto difendere il tuo re contro un pazzo sanguinario e hai perso. »
Parlò e la sua voce parve tuonare nel suo animo. Il nero del cielo pulsava a ogni sua sillaba e il vagabondo avrebbe voluto piangere e urlare, se non fosse che finanche la voce si rifiutava di essergli alleata.
« Ti ha sconfitto perché ti ha provocato per la prima volta un sentimento tanto ignobile quanto sconosciuto, che non ti ha più abbandonato. » Sentenziò, severo. « Hai avuto paura di lui. »
« Per questo sei fuggito e quell'uomo si è preso gioco di te, inscenando la tua morte per i suoi scopi » aggiunse secco, mentre il vagabondo lo fissava impietrito. « Ma in fondo è come se quel giorno tu sia morto davvero. »

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« Non è forse così, Comandante Medoro? »

Il mondo rimase quasi a guardare, mentre il suono di quella parola suscitava nel vagabondo gli infiniti ricordi che aveva a fatica fatto sprofondare nel suo subconscio. La sfida contro Mathias Lorch, la terribile paura provocata dalla sua risata isterica e il fremito di quella spada che gli trapassava l'anima a ogni sferzata. Poi la fuga tra i vicoli e la diserzione. Così era morto lui.
Così era morto Medoro; in un modo molto più ignobile che in un duello. Il suo onore, non la sua testa, era finita su di una picca.
E da quel giorno non era più stato sé stesso. Da quel giorno l'ignominia era stata la sua identità.

« C-cosa vuoi da me? » Chiese infine.
Non lo vide, ma poté sentirlo sorridere. « Ti do una possibilità. »
Quando parlò, Medoro sentì un lampo sfiorare il cielo e senza che potesse rendersene conto, un fazzoletto di tessuto era apparso tra le sue mani, dove fino a qualche istante fa c'erano soltanto tre monete.
« Il tempo del mondo sta per scadere; ti offro la possibilità di riabilitare il tuo nome, servendo il più grande condottiero che questo continente abbia mai avuto. »
Quando Medoro fissò il simbolo disegnato sul fazzoletto, il suo sguardo vitreo divenne nuovamente fiero e il colore spento delle sue pupille tornò di quell'azzurro cielo che aveva fatto innamorare centinaia di donne.
E spaventato migliaia di nemici.
« Raduna un esercito e preparalo » concluse, secco.

« Il leviatano tornerà per combattere l'ultima battaglia. »


Team Dortan.

Personaggio principale: Medoro
Obiettivo: Medoro è vivo! Haym lo assolda immediatamente come portavoce del loro nuovo esercito, in memoria di ciò che il Leviatano è stato nel passato. Il Saggio, infatti, considera un esercito come quello l’unico in grado di fronteggiare la minaccia che incombe sul continente e crede che Medoro, essendo stato ai diretti ordini del Re che non Perde mai, possa districarsi nella difficile situazione politica del Dortan per riunire i popoli che lo abitano sotto un unico stendardo.
Complicazioni: Il Dortan è sempre stato un territorio che ha rincorso il potere, la supremazia; negli anni, infatti, la situazione si è trasformata in una moltitudine di piccoli regni sempre in conflitto con gli altri. Come può il vecchio capitano delle guardie, creduto morto, radunare un esercito sotto il nome del tiranno che ha portato alla distruzione dell’Impero?
Note: Vietato l’utilizzo delle Rovine di Basiledra - non dell'intera regione, ma solo delle rovine in sé.

Dieci giorni a partire da oggi, con termine l’11 Novembre 2019 alle ore 12:00.
Per qualsiasi dubbio, utilizzate il topic apposito.
Buon divertimento!


Edited by Räv - 1/11/2019, 11:41
view post Posted: 27/10/2019, 20:36 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Andre_03 @ 27/10/2019, 20:34) 
CITAZIONE (janz @ 27/10/2019, 20:24) 
ora tutti col text-shadow perché l'ha fatto Ray :D:

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view post Posted: 27/10/2019, 20:24 Confronto - Il Lascito degli Dèi
ora tutti col text-shadow perché l'ha fatto Ray :D:
view post Posted: 21/10/2019, 22:13 Il lascito degli Dèi ~ adunanza - GdR

Il fremito di un momento.
L'impulso di un fiato; qualcosa mai provato.
Scivola nell'infinito del sogno, la perdurante inedia che scavalca qualunque ambizione.
L'entità onnipotente scruta il vuoto, indugiando in un solo punto del creato
con la ragione che vacilla, incalzando l'istinto più gretto
nell'incredula percezione, arresa all'idea
che tutto sia vicino
alla fine.


Un sentimento molto umano.
Se non si parlasse di Daimon allora probabilmente la chiameremmo
p a u r a
Loro la provavano per la prima volta.


Le nebbie si dipanarono e nell'ovattato silenzio la voce risuonò come un tuono.
« Accorrete » disse. Tutti udirono, ma nessuno rispose.
« Accorrete, prima che sia troppo tardi. »
Tornò il silenzio nell'oneiron. Ma non era mai stato tanto assordante.


Il lascito degli Dèi ~ Adunanza

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Sürgün-zemat
Il buco del diavolo


L'orizzonte sfrigolava per l'arsura, liberando un vento torrido che scivolava sul deserto come un lenzuolo su di un corpo morto.
Il nulla divorava quel panorama, riempito di tocchi di sabbia a pennellate sparse, talvolta adorne con rocce scoscese e ossa sporgenti di animali ormai divorati dal tempo. Il mondo finiva in quel punto del continente, lasciandosi indietro tutta la propria apatia. S'incurvava in se stesso e restituiva ai vivi tutta la propria rabbia, cadenzando dei multipli toni della morte qualsiasi speranza.
Un turbine si mosse dai colli verso il centro di un declivio, scorrendo verso il basso con un rumore simile alla risacca del mare, dopo essersi infranto sugli scogli di un promontorio. Ancor più in giù, verso un punto scosceso, v'era un profondo fosso, con sabbia ancor più fine e insidiosa, quasi liquida, che lentamente veniva risucchiata in vari cunicoli nascosti nel terriccio, fino a scomparire nella pancia della terra.
Da quel punto erano sgusciati fuori gli incubi dei viventi. In più ere, i demoni avevano artigliato la terra a più zannate, liberandosi dalle proprie sempiterne bare per turbare i sonni dei mortali che popolavano le zone circostanti. Erano fuoriusciti quasi all'infinito, numerosi come formiche e fastidiosi come zecche. Sebbene molto più pericolosi.
Da lì li avevano visti uscire, combattere e crepare. Poi uscire di nuovo, morire ancora e crepare nuovamente. E, nel frattempo, portarsi via città, villaggi, famiglie, generazioni e regni.
Li avevano scrutati col tedio di chi ammira uno spettacolo teatrale di cui conosce già il finale. Sperando di rimanere sorpresi in ogni caso.
Ora, da quel posto - che gli uomini chiamavano, non a caso, il buco del diavolo - si sarebbe deciso il loro destino.

Quando il vento sferzò più forte, si mosse a circolo intorno a un punto preciso, dal quale emergevano delle aguzze rocce assai simili alle ossa di un gigantesco titano. Dissimulavano un costato rotto in più parti e - poco distante - l'osso frantumato di un cranio, sfondato all'altezza del capo.
Il turbine vorticò sferzante, si mosse concentrico e parve quasi aggrapparsi a quei resti ignobili. Quando si fu placato, attorno a una di quelle ossa si era poggiata una mano ricoperta di piastre nere.
« Mi avete udito e ora siete qui » disse il grosso cavaliere, ergendosi nei suoi oltre tre metri di altezza. L'armatura scura che lo ricopriva per intero tintinnò a ogni sillaba, cigolando di un temibile clangore.
« Non potete nascondervi a me. »
Il cavaliere teneva il proprio sguardo entro un elmo di ferro battuto, richiuso e nascosto anche alla luce, che non riusciva a passarvi all'interno. All'altezza degli occhi si potevano vedere solo due globi di luce giallastra, accesi come fiamme. Imperscrutabili, ma - al tempo stesso - spaventosi.
« Zoikar, dovresti vergognarti » disse una seconda voce, con tono monocorde. « Ci hai trascinato fin qui, per mostrarci qualcosa che già conosciamo.»
Di seguito la sabbia sul terreno si affossò in più punti, facendo spazio al passo leggiadro di una donna dalla pelle bianchissima. Le sue lunghe gambe affusolate apparirono dal nulla, trasportate dalle correnti del tempo e si vestirono con una coltre di nebbiolina che le si posò indosso, fino a trasmutarsi in un vestito di seta color notte. Dal turbine ne emerse una pelliccia grigia a copertura di due spalle docili e, sopra di esse, occhi chiari e capelli fluenti. Una donna dall'avvenenza quasi innaturale.
« Conoscete, ma non fate nulla, Kjed. » ribatté il cavaliere, greve. « Indugiate su questo spettacolo e scrutate l'oneiron in cerca di una risposta.»
Il cavaliere la scrutò con i suoi occhi brucianti e la donna distolse lo sguardo. « Vi dannate, ma non agite; non fate niente. Siete inermi»
« Sei ignobile, Zoikar » aggiunse una terza voce. Dal profondo della gola rimbombò il passo di un uomo dal torso muscoloso, coperto solo da una bandoliera di cuoio borchiato. Aveva indosso un elmo dalle alte corna e stringeva tra le mani una pesante ascia bipenne.
« Ci accusi di avere timore » ribatté, digrignando denti aguzzi e giallastri. « Ricordati chi siamo; le emozioni non ci appartengono. »

« Oh, non credo che volesse offenderci, Greion. » Dal fondo si levò una voce acuta e tremula. Un vecchio dalla pelle rugosa si levò a fatica da una roccia scomoda su cui era seduto fino a un attimo prima. Sembrò come se ci fosse sempre stato, benché nessuno di loro l'avesse ancora visto. Aveva un lungo straccio bianco che gli copriva il corpo sin dal capo, arrotolato in più punti alla meglio, mentre si reggeva su di un bastone di faggio nodoso e sporco. « Credo che si voglia solo prendere atto di una situazione che ormai conosciamo tutti. »

« Siamo in pericolo » sentenziò, con un sorriso sbilenco e senza denti.
Gli altri rimasero silenti a fissare l'uomo che calpestava a fatica i grumi di sabbia instabili, cercando un passo sicuro per non ruzzolare giù.
« Loec è morto » commentò la donna, che era rimasta tutto il tempo a studiare i resti ai piedi del cavaliere. « Ciò non significa che anche noi... »
« Loec non è morto » chiosò quest'ultimo. Nel mentre, strinse nelle mani un gran pezzo delle ossa sotto di lui; poi ne staccò un pezzo con un rumore sordo e lo sbriciolò nel pugno come pane raffermo.
« Questa carcassa non è null'altro che un monito, uno spettacolo disgustoso lasciato dalla creatura per spaventarci » asserì, sicuro.
« Come tutti noi, Loec non può morire; può scomparire, inghiottito da un essere immondo che divora tutto ciò che gli può essere utile » commentò poi, tenendo gli occhi di brace fissi sui suoi interlocutori. Alle sue spalle poté avvertire la sorpresa e il disgusto degli altri, ovvero delle entità che non si erano degnate di apparire, ma che li scrutavano con sospetto dall'ombra.
« Loec vive ancora nella pancia di quella creatura e i suoi poteri sono asserviti a essa » aggiunse secco. « Sarà schiavo di quella bestia per tutta l'eternità »
Senza nemmeno il conforto della morte. Sembrò pensare.

« Giusto » commentò il vecchio, tendendo un dito rachitico in direzione del cavaliere.
« Ciò impone a noialtri qualcosa che mai ci saremmo immaginati di fare nella nostra sempiterna esistenza. »
« Collaborare » concluse.

Kjed e Greion si lanciarono sguardi perplessi e sorpresi. La prima, poi, distolse lo sguardo e il secondo commentò con un grugnito di disappunto.
« Cosa avresti intenzione di fare, dunque? » Chiese la donna al cavaliere, senza rivolgergli l'attenzione.
« Forse dovremmo trarre quel poco di buono che i mortali ci hanno trasmesso nei secoli. » Ribatté lui, ergendosi in tutta la sua altezza.
« Dobbiamo trovare un condottiero dietro il quale tutti potranno schierarsi. »
« Combatterlo con un esercito; distruggerlo, prima che lui distrugga noi » gli fece seguito il vecchio.

Ne seguì un silenzio lungo diversi minuti.
All'esito, Greion commentò la notizia sputando un misto di catarro e muco sulla terra brulla. « Non abbiamo bisogno di nessun condottiero mortale » ribatté.
« Sono io il condottiero dietro il quale i mortali dovranno schierarsi. » Nel parlare, abbatté l'ascia verso il basso, aprendo una crepa con un sussulto del terreno sottostante.
« Loec era un debole » asserì nel mentre, severo. « Il signore degli inganni si è fatto fregare da un mostro immondo. »
Il vecchio lo fissò, salvo poi sbottare in una risatina roca. Kjed rimase in silenzio, scostandosi una cicca di capelli, mentre il cavaliere si limitò a fissarli con il solito tono indecifrabile.
« Serve qualcosa che tu non sei, Greion » ribatté il vecchio, sornione. « Un simbolo; uno stendardo che rappresenti qualcosa di importante. »

Greion riprese in mano l'ascia, agitandola nervosamente da una mano all'altra. Poi si gonfiò il petto, grugnendo una risposta con voce roca di rabbia.
« Eresie » ribatté. « Cercatevi il vostro simbolo, se ritenente. Io radunerò il mio personale esercito e restituirò quella creatura all'abisso oscuro che l'ha partorita. »
Poi si voltò, inghiottito dalla stessa ombra dal quale era venuto fuori. Si allontanò, senza dire null'altro.
Di seguito, Kjed rimase qualche istante a fissare i presenti con aria distratta. « Forse avete ragione, forse no. Tuttavia, non abbiamo bisogno di un uomo. »
Scostò una ciocca di capelli dal volto, poi riprese. « Troppe volte hanno tentato di fermare l'oscurità... » aggiunse, indicando il rigurgito del Baathos « ...e hanno sempre fallito. »
Si accigliò vistosamente « A voi che vi affidate ai mortali, vi auguro di non fare la stessa fine. »
Concluse e scomparve in una nuvola di nebbia bianchiccia.

Dopo poco, il vecchio e il cavaliere rimasero soli. Finanche le ombre che scrutavano di nascosto non si percepivano più.
Il vecchio rise ancora, nascondendo la bocca sdentata tra le mani rugose. « È andata come pensavamo. »
Il cavaliere lo fissò un istante. Poi annuì: « Conto sulle loro iniziative, qualunque esse siano; non potevamo aspettarci di più. »
Poi il vecchio gli si avvicinò. Alto poco più di un metro, rispetto al cavaliere la differenza di statura era impressionante. « Sei sicuro di volerlo fare, Zoikar? » Disse, senza più ridere.
« Non abbiamo altre alternative, Haym » asserì l'altro, serio. Poi puntò i suoi occhi accesi sull'uomo « procedi come abbiamo stabilito. »

lascito04

« È arrivato il momento di risvegliare il Leviatano » concluse.



Lascia fare a chi lo sa fare (cit.)
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