Like a paper airplane ········ - Group:
- Administrator
- Posts:
- 12,341
- Status:
| |
| Aveva appena finito di parlare, rivolgendogli la parola, che il mondo improvvisamente si sconvolse. Prima c'erano il clangore delle armi e il grido della battaglia. Prima c'era il sangue, la morte, il rombo dei passi del Titano. Prima era un alternarsi di fotogrammi. Corpi che correvano. Armi levate, corpi a terra. E come in una scena al rallentatore le spighe di quel grano fatto di carne si spezzavano sotto la grandine. Ma nulla era paragonabile a quello che accadde all'improvviso, quasi un eco delle sue frasi, del suo ardire. Quasi qualcuno volesse zittirla e punire la sua impudenza. Sebbene lei non contasse nulla, proprio nulla. In quel momento sul grano passò un'onda di vento impetuoso. Nera come la notte spazzò tutti indistintamente, di un'equità apocalittica. Sarebbero stati investiti in pieno e i loro corpi sarebbero diventati solamente un'ombra sulle pagine di quella guerra. La rossa danzatrice e il suo nemico. Ideogrammi giapponesi dal significato indecifrabile. Nemmeno la sentì arrivare. Sarebbe morta in un soffio, senza rendersene conto, colta nel mezzo tra un respiro e una delle sue consuete smorfie di malizia. O forse avrebbe avuto il tempo di rivolgere un ultimo pensiero all'uomo che amava, che avrebbe sempre amato, prima di andarsene inutilmente lasciando appena un neo nella memoria di una collettività smembrata. Sarebbe dovuta morire. Sarebbe stato giusto. E invece qualcosa si frappose tra lei e quella forza. Sentì il boato dietro di sé, cadde sulle ginocchia stringendosi il ventaglio al petto. La lingua le divenne in un attimo impastata e pesante, le labbra secche. Aveva sempre invocato la morte, ed ecco che ora l'aveva vicina, tanto da sentirne il fiato sulla nuca. E non voleva più. Non voleva andarsene. Voleva rubare un altro respiro, ipotecare tutte le proprie speranze in cambio di un altro movimento. Chiuse gli occhi, stringendoli così forte fino a che dietro le palpebre non apparvero decine di puntini luminosi. E si trovò a provare dolore e riaprirli. Si trovò a guardare il terreno bagnato di sangue e dalle orme di molti passi. Una sensazione avvolgente di calore la percorse mentre si rendeva conto di essere ancora viva. Ancora immersa nell'inferno. Ma viva. Non ne conosceva il motivo, ma riusciva ad intuirlo. Il suo nemico le stava ancora in piedi davanti, anche lui illeso. Non c'era dubbio su chi avesse eretto quella difesa. L'aveva protetta sebbene stesse dall'altra parte. E ora, mentre gli eserciti si ritiravano, mentre le difese si chiudevano su di loro come labbra su una chiostra di denti cariati e mancanti, rimanevano soli. Catturati l'uno negli occhi dell'altra senza possibilità di scampo. Nessuno sarebbe più giunto a disturbarli. La morte era calata su di loro spostando la battaglia altrove. Meglio di qualsiasi grido aveva riunito e richiamato tutti i soldati all'ordine. E ora avrebbero combattuto di nuovo, con la forza di una nuova disperazione, ma non lì. Non lì dove i cadaveri si ammucchiavano gli uni sugli altri, elfi e orchi, umani e forme gargantuesche ormai impossibili da identificare. Tutta quella giornata, lo squillo dei corni, la carica, sembravano essere accadute anni prima. Sembravano appartenere a una giovinezza perduta. Loro due erano come statue rimaste erette per lunghi secoli. Non si muovevano, vestigia di un mondo che non sarebbe mai stato più lo stesso. La Principessa e il suo avversario, forse altrettanto nobile. Una principessa il cui titolo non valeva più nulla, debole come un qualsiasi suddito davanti allo sguardo senza emozioni di due titani alla guerra. La Voce l'aveva spinta in avanti, la Voce le aveva parlato della sua bambina, dell'uomo che la aspettava quando tutto fosse finito. Le aveva parlato di un Re che lei aveva deluso, di compagni che erano morti. E ora l'aveva abbandonata. Ora era solo silenzio. Ora erano solo le parole di quello sconosciuto.
E assieme assisteremo alla nostra fine del mondo.
Gli sorrise storcendo le labbra. Lei aveva già visto il proprio mondo finire, una volta, due volte. Lei aveva sacrificato in entrambe le occasioni ciò che aveva di più prezioso per far tornare a scorrere le lancette del tempo. Aveva rinunciato ad amare. Aveva accettato di poterlo fare di nuovo. Aveva sperato che un pugnale, una spada la trafiggesse in pieno petto e la portasse via. Fine. Silenzio. E quel giorno aveva desiderato di non morire. Ora che la fine del mondo le pareva un evento così insignificante, così remoto rispetto agli avvenimenti delle ultime settimane. E qualcosa le diceva che anche lui non era altro che un fallimento gettato lì quasi per caso. Il mondo non sarebbe finito per loro, loro non avrebbero svegliato quella realtà dal proprio incubo. Loro non valevano proprio nulla. Come i pedoni all'inizio di una partita di scacchi, la loro vita o la loro morte era del tutto indifferente ai fini della partita. Si alzò in piedi puntellandosi su un ginocchio. Cercò con lo sguardo il Giullare, il Rosso, il padre della sua bambina. Non lo trovò, non trovò nessuno di loro. Sognò che il suo amato giungesse in quel momento, la vedesse e la portasse via con sé. Ma anche questo non era altro che una follia. E per sperare di realizzare quella follia doveva soddisfare il Sovrano, far sì che vincesse, che si trasformasse in un dio potente più di ogni altro. Doveva vincere la propria piccola parte di battaglia inutile. Doveva uccidere quell'uomo. In qualsiasi altro momento non avrebbe pensato ulteriormente. Si sarebbe gettata su di lui come una belva affamata, pronta a dilaniarlo. Solo per il gusto di farlo, solo per zittire il proprio incubo, il proprio desiderio irrealizzabile ancora per qualche minuto. Ma lui l'aveva salvata, lui era il primo da giorni a prendersi cura di lei, a tributarle quell'omaggio. Dopo che era fuggita dal Clan, dopo che aveva rinunciato all'amore per una missione impossibile, dopo che tutti i suoi compagni si erano sacrificati. Lui che neppure la conosceva aveva eretto uno scudo e le aveva salvato la vita. Ma non era morto. Non era come tutti gli altri, che non avevano resistito ai sentimenti di lei, che erano stati fagocitati dall'oscurità che le stava dentro. Lui le assomigliava, condivideva la sua stessa disperazione, la stessa mano invisibile che stringe le tempie e le comprime nella morsa del terrore. Non si lasciava divorare da quella forza distruttiva, da nessuna forza. Lui. Lei. Avrebbero meritato un lieto fine, che i loro desideri finalmente si avverassero. Aveva un tributo di sangue nei suoi confronti. Il Re lo voleva morto la sua Voce glielo sussurrava maligna. La ragione lo voleva vivo. Le pupille si rimpicciolirono, l'adrenalina le chiuse la gola. Il conflitto le faceva pulsare il cuore dentro le orecchie. Non poteva farlo. Non poteva colpirlo alle spalle dopo che l'aveva salvata. Meritavano un mondo migliore. Un mondo che non potesse finire. Dopo aver deluso tutti, meritavano un mondo dove avrebbero potuto essere diversi. Lei lo aveva cercato a lungo e non l'aveva trovato mai. Lei aveva sperato ogni volta, si era tesa nello spasmo di afferrare quel regalo lontano. Ma era sempre un poco troppo in basso. Ma sempre un grido di delusione le era sfuggito dalle labbra. Lui forse era diverso. Lui poteva farcelo ancora.
“La fine del mondo non è per te, non è per nessuno. Meriteremmo di essere felici”.
Era un sorriso triste, immerso in occhi tristi. Occhi dietro ai quali una rabbia folle e disperata, un odio verso il destino si annidava pericoloso. E furono quegli occhi a tradirla, a tributargli un onore pericoloso, quello che lei non avrebbe mai potuto avere. Gli avrebbe donato la felicità di un attimo passato, l'attimo di estasi migliore della sua vita. L'idea di un istante. Gli avrebbe donato quel mondo migliore che non avrebbe potuto riottenere mai più. Perchè attimi come quello sfuggono in un secondo, e per quanto li si riviva non saranno mai così intensi, così vividi come la prima volta. Lei gli donava un'altra prima volta, che le era preclusa. Tese un braccio verso di lui, il palmo della mano aperto a fronteggiarlo. Perchè avrebbe potuto sempre non gradire il dono di lei. E non era una stupida. Nel suo sguardo iniziò ad emergere ciò che era sopito, il nido di serpi iniziava a vomitare le proprie figlie. Aveva un debito con lui, una vita per una vita. Non lo avrebbe ucciso. Ma lui non aveva debiti con lei. Forse se la sarebbe portata via. Questo diceva la voce. E lei non voleva vedere la fine del mondo. Che sciocchezze. Lei non voleva morire. Lei non inseguiva i sogni e le utopie, sconfitta in ogni cosa, prostrata agli occhi di colui che avrebbe dovuto compiacere. Lei camminava su strade concrete. Un uomo amato. La sua bambina. Non poteva morire senza la sua bambina. Nessun mondo in fiamme gliela avrebbe portata via. Una bambina inesistente. Il pensiero la folgorò. Era un pensiero lancinante, doloroso, un'eco di quello che l'aveva percorsa. Ricordò il sangue, il tepore di quella vita che scivolava tentando inutilmente di aggrapparsi dentro di lei. Era un pensiero pesante come un macigno. La sua bambina era morta. La sua bambina le parlava. Ma lui non poteva saperlo. Lui non poteva comprendere il motivo del suo momentaneo pallore. E avrebbe tentato di ucciderla, avrebbe distrutto tutto di lei, anche quella creatura che rimaneva in vita tra il sogno e la realtà. Avrebbe tranciato le sue braccia e quelle piccole mani infantili, le sue gambe e quella pelle candida, intoccata. Lui avrebbe distrutto lei, che voleva vivere. E la sua bambina, che meritava di non morire, se ne sarebbe andata per sempre. Nessuno avrebbe saputo nemmeno che era esistita. E lei non poteva permetterlo. L'aria attorno alla sua mano parve muoversi e distendersi verso il nemico. Non voleva fargli del male, voleva semplicemente renderlo inoffensivo. Non lo avrebbe attaccato se non l'avesse costretta. Ma non si sarebbe fatta portare via ciò che aveva di più caro. E lui ora sarebbe stato felice. E lui ora avrebbe avuto tutto ciò che lei non avrebbe mai nemmeno provare. Rabbrividì, sentendosi improvvisamente molto sola. Per fortuna aveva la sua bambina.
La sua bambina che era morta. Ancora dolore. Storse la bocca. Qualcosa le premeva agli angoli degli occhi. Ma non voleva sentire. Ma non voleva abbandonarsi all'emozione. Chinò il capo. |
Equipaggiamento: Bloody Maries (indossate); Leviatano (evocato); Mietitrice Scarlatta (alla cintura). Consumi: Basso x1; Alto x1 Energia Residua [100% - (1% + 13%)] = 86% *Anello del potere + Risparmio del Dominio Danni riportati: // Azioni: Essendo il primo turno tento una strategia molto semplice: ti evoco un'illusione di livello basso per distrarti il tempo superiore a castarti addosso Right-Left e confondere in questo modo la tua percezione della destra e della sinistra per i prossimi turni. *ha paura ç_ç*
Passive in utilizzo
Autocontrollo ~ Al 10% Dalys non sviene
Ammaliamento ~ Risparmio energetico dall'1% al 5% per le tecniche illusorie e aumento di un livello dei loro effetti
Intimità ~ Abilità passiva che induce fascino nell'osservatore
Dominio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie
Danza di Salomè ~ Sfuggevolezza dei movimenti (abilità passiva); se resta immobile avrà a disposizione 3 slot tecnica
Equilibrio ~ Equilibrio su qualsiasi superficie
Attive Utilizzate
Intesa ~ Guardate gli occhi di questa donna, guardateli attentamente. E' certo che non potrete più dimenticarli. Perché essi vi rapiranno, faranno di voi le sue prede. Essa è predisposta dalla sua stessa natura, dalla sua stessa intrigante femminilità, all'arte dell'inganno e dell'illusione. Addestrata da nobili dame, di certo animate da ancor più nobili intenti, ha imparato a stuzzicare le fantasie degli uomini che la circondano, a ricreare i loro sogni, le loro ambizioni, a farsi vaso stillante dei loro desideri. Ma vivendo nel deserto, dove il sole riesce a modificare ogni cosa, ogni valore, dove le sue lacrime sono evaporate e hanno lasciato solo sale, dove la luce ha distrutto ogni realtà alla sua vista, ha imparato quanto terribile possa essere un miraggio, una lontana illusione. E la sua abilità è diventata la maledizione dell'avversario che incontrerà il suo sguardo. Le basterà un consumo Basso per ricreare nella mente del nemico una e una sola immagine, un ricordo, un'apparizione, un vago miraggio nella calura della sua bellezza. E' un illusione facile, che si può bypassare facilmente, che sarà visibile solo al suo sfortunato destinatario.
Intimità ~ Le basterà tendere una mano verso il nemico e spendere un consumo Alto perchè un flusso di energia distorca l'aere tra loro. Il nemico verrà immediatamente avvolto da un alone opaco, chiaro indicatore del sotterfugio che gli è stato usato contro. Da questo momento in poi, per due turni, il nemico percepirà come invertite la direzione destra e sinistra. Questa subdola illusione, basata sulla PeRM della Rosa, non provocherà altri danni all'avversario se non quelli che egli stesso non riuscirà a parare, confuso da tanta eleganza e tanta bellezza.
|
|