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| Un uomo, per quanto distrutto nell'animo, è pur sempre un uomo. Con il suo carico di ricordi, sofferenze, gioie, aspirazioni. Tutto era un tumulto dell'animo, o lo sarebbe stato se di quegli uomini si fosse potuto dire che ne avevano uno.
«Voi sapete leggere, no?» «Sì, anche se ormai lo faccio raramente.» «Se vi dovesse ricapitare scartate le storie piacevoli, le commedie, le poesie d'amore e licenziose, le narrazioni edificanti, i trattati filosofici. Robaccia. Solo le tragedie hanno valore: vi si narra di come un uomo muore, uccide, vede uccidere, lascia che qualcuno sia ucciso.» «Dunque, secondo voi, è il male l'essenza della vita.» «No, lo è la morte, che non è né bene né male: è inevitabile.»
I ricordi facevano male, erano centinaia di spilli puntati sul cranio -un dolore che si espandeva a tutto il corpo. Eppure lui aveva solo quelli -il mezzo per evocare una forza ancestrale, l'unica che potesse rispondere ai suoi quesiti. Tamburi negli abissi -avrebbe detto qualcuno. L'Ombra stava arrivando.
A N D T H E N T H E D A R K N E S S W I L L C O M E t e r z o i n t e r l u d i o - p a r t e p r i m a
Era una grotta che non era una grotta, a sud dell'Orbrun. Nessuno ne aveva mai sentito parlare o l'aveva esplorata, perché da anni le nebbie causate nella regione dall'infida e corrotta presenza dei Kaeldran ne avevano celato l'accesso. Ora che quelle stesse nebbie andavano diradandosi, di pari grado con l'estinzione di quella razza che tanti grattacapi aveva arrecato agli abitanti delle zone circostanti e -spesso e volentieri- anche ai vertici del Goryo, la fenditura nella roccia che conduceva all'antro sotterraneo era divenuta visibile anche da una distanza considerevole. Il fatto che non fosse una semplice grotta si palesava subito dopo l'ingresso: l'apertura nella parete d'arenaria era decisamente troppo piccola per lasciar filtrare luce a sufficienza, ed invece l'interno della cavità rocciosa era quasi illuminato a giorno. I raggi luminosi che riuscivano ad entrare si rifrangevano su cristalli dalle opalescenze rosate posti alla base delle pareti, e di lì si trasformavano in decine di lance luminose che, intersecandosi fra loro, inondavano di luce l'antro fino a perdersi nell'oscurità di un soffitto che non si riusciva a vedere -ma si percepiva come una costante minaccia, come se da un momento all'altro dovesse crollare sulle teste degli incauti esploratori, seppellendoli sotto cumuli di massi, stalattiti e oscurità. La pianta della cava era di forma quasi perfettamente circolare, un diametro di almeno quindici metri distanziava una parete da quella contrapposta, e solo piccole escrescenze luminose -altri cristalli- cresciuti fra le crepe che dividevano una parete dall'altra testimoniavano quanto quel luogo fosse antico. Vera particolarità della caverna era un fosso che si trovava esattamente al centro dello spazio; anche questo di forma circolare, largo non più di un metro, era circondato da alcune pietre su cui erano incisi dei simboli vagamente simili a quelli runici, ma che apparivano molto più antichi. Dal fosso proveniva costantemente un curioso rumore, come un fastidioso ribollire -in parte ovattato da una distanza che sembrava esagerata, in parte strozzato dal suo stesso eco. Se qualcuno vi avesse lanciato un sasso per provare a stimarne la profondità, non l'avrebbe mai sentito toccare terra. Era una grotta che non era una grotta. Piuttosto, somigliava al luogo destinato ad accogliere un demone.
[...]
Lui era lì, in piedi a poco meno di un metro dal baratro che ribolliva. Un altro, al suo posto, si sarebbe chiesto cosa fosse quel rumore -se per caso non avesse trovato una sorta di vulcano attivo travestito da caverna. Un altro avrebbe potuto ignorare che l'Ombra, comunque la si volesse chiamare o definire, era un'entità viva. Come tale, si muoveva e cercava di venire fuori dai luoghi in cui era stata confinata. Il più delle volte si riusciva ad impedire che accadesse, erano in molti ad agire per sventare quella minaccia -che tuttavia si manteneva costante. Nei rari casi in cui l'Ombra riusciva a muovere i suoi lunghi e freddi tentacoli oltre l'abisso, strisciando nel mondo, toccava ai Custodi combatterla -e possibilmente sconfiggerla. Così, nonostante Laurens de Graaff appartenesse alla schiatta dei Custodi dell'Ombra, si trovava in quel luogo che non tutte le divinità avevano dimenticato, a giudicare dal gorgoglio che prorompeva dal fosso. La sua figura era ammantata dalla stoffa del consueto mantello nero, tenuto chiuso sulla spalla sinistra da una spilla in effigie d'una testa di lupo con le fauci spalancate. I capelli biondi, più corti del solito, sembravano impregnati di sudore, lo stesso che gli imperlava la fronte, scorrendo di lato agli occhi -così dissimili l'uno dall'altro eppure parimenti antitetici al colorito intenso della carnagione. La cicatrice sulla tempia sinistra gli bruciava, le labbra erano strette. L'intera immagine che dava di sé trasudava tensione e preoccupazione. Sopra ogni altra cosa, a esprimere quello stato d'animo inquieto, erano le mani: le dita lunghe ed affusolate tormentavano un ciondolo, attorcigliandosi intorno alla sottile catenina d'oro e accarezzando in maniera convulsa le striature nerastre dell'ossidiana. Laurens de Graaff era lì e attendeva. Aveva fatto qualcosa di estremamente pericoloso, qualcosa che un Custode non dovrebbe mai fare: aveva richiamato l'Ombra.
[...]
Improvvisamente il gorgoglio aumentò la propria intensità, bolle oscure vennero a galla fino alla sommità del pozzo nero, miasmi ripugnanti di morte e corruzione si sparsero per aria e mucillagini oscure parvero levitare per l'antro. Le tenebre ribollivano, e per ogni bolla che esplodeva un filamento oscuro rimaneva sospeso sopra l'abisso. Il rumore prese di soprassalto il filibustiere, che quasi si lasciò scivolare dalle mani il ninnolo che fino a quel momento aveva tenuto in mano; per evitare che ciò accadesse lo strinse non maggior vigore, procurandosi un sottile ma doloroso taglio sul polpastrello del dito indice. Abbassò lo sguardo sull'ossidiana, affilata come un rasoio, macchiata del suo sangue. Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse trascorso da quando aveva iniziato ad attendere la rivelazione dell'Ombra, ma quando sollevò il capo per guardarsi intorno, mettendosi frettolosamente il piccolo ciondolo in tasca, si accorse con stupore che l'intera cavità era colma di ributtanti esalazioni. Frattanto, i filamenti disposti di fronte a lui avevano iniziato ad assumere una forma vagamente umanoide, per quanto interamente nera come il più oscuro fato. Pulsava, gli strali oscuri che componevano quella figura andavano lentamente plasmandosi, finché il Flagello non poté scorgere, fra le pieghe dell'oscurità, un profilo che aveva conosciuto ed amato.
«Perché mio padre?» chiese all'Ombra, con piglio autoritario. Lo stupore per quello che riteneva uno sgarbo gli aveva permesso di dimenticare, almeno per un po', le sue preoccupazioni. «Dovevo assumere una forma per poterti parlare, pensavo ti avrebbe fatto piacere.» La voce dell'Ombra era gorgogliante, ricolma di echi che si sovrapponevano gli uni agli altri in una cacofonia in cui variavano gli accenti e le inflessioni. Sembravano le voci di migliaia di persone che ne accompagnassero una sola. «Molto premuroso da parte tua, ma non sono qui per sentire certe smancerie.» «So che non sei qui per questo: hai una domanda da porre. Cosa aspetti?»
Il corsaro tentennò vistosamente. Aveva sempre saputo di possedere -come tutti i Custodi- una particolare connessione con l'Ombra, eppure non aveva mai pensato che questa fosse in grado di leggergli dentro. Suo padre, anche se in realtà non era altro che lo spettro di ciò che era stato il corpo di suo padre, parve cogliere la sua insicurezza. Provò a simulare un sorriso bonario, anche se in realtà ciò che affiorò sulle grinzose labbra livide somigliava ad ghigno sguaiato. «Se il più odioso dei miei figli mi chiama deve avere cose importanti di cui parlare.» La spiegazione era ragionevole, ma che l'Ombra considerasse 'propri figli' coloro che ne avevano accolto in sé un frammento solo per poterne imbrigliare i poteri lo stizzì. «Michel du Grammont» rispose, aspro, entrando subito in argomento. Cominciava a risentire della tensione, le gambe tremavano e ogni muscolo del suo corpo sembrava dovesse esplodere da un momento all'altro. Inoltre, iniziava a dolergli il cranio per l'assurda concentrazione cui era costretto per evitare che l'oscurità approfittasse di quello spiraglio per finire vomitata fuori dalla caverna. «E' morto da poco tempo. Lo hai già preso con te o c'è ancora speranza?» Il colosso oscuro rumoreggiò per qualche istante, ribollendo con maggiore avidità, come volesse ingoiare tutta l'aria ancora respirabile. Poi un boato tremendo, qualcosa che poteva somigliare a una vera e propria eruzione. L'Ombra stava ridendo.
«Michel du Grammont è mio da prima che tu nascessi!» urlò, fra i parossismi di quelle risa che sembravano altrettanti tuoni. «Non ha mai avuto la benché minima probabilità: mi apparteneva da sempre, e lo sapevate entrambi.» Il Flagello scrollò le spalle: certamente lo sapeva, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per salvare l'anima dell'uomo che davvero gli era stato padre. Purtroppo non c'era più nulla che potesse fare per lui. «Ne valeva ugualmente la pena» mormorò, appena udibile. «Adesso puoi andare.»
«Ci rivedremo» rispose l'Ombra ghignante, mentre il simulacro esplodeva in fiotti d'oscurità e i filamenti tornavano a ribollire nell'abisso. I miasmi cessarono, l'aria tornò respirabile, ma ancora si poteva sentire distintamente la risata del mostro provenire dal profondo del pozzo. La voce rimbombò per l'ultima volta, ricadendo come i pezzi di un vetro infranto -anche se per quella volta, ad infrangersi, era stata una speranza. «Ci rivedremo molto prima di quanto immagini.»
Laurens riprese fra le mani il ninnolo dalla tasca, sotto il mantello. Lo rigirò, osservando con attenzione la macchia scura prodotta dal suo sangue sulla pietra. Quel ciondolo apparteneva a Edward Adries Teach. Barbanera. Era l'ultimo oggetto in grado di aprire l'Abrasax. Du Grammont era riuscito a recuperarlo e voleva fosse distrutto, ma era Lorencillo l'unico a poterlo fare. Quella era la sua ultima volontà -l'ultimo, sottilissimo, legame con l'uomo che aveva reso il Flagello dell'Ovest ciò che era. Trattenne il filo d'oro della catenina fra le mani, il ciondolo sospeso sull'abisso. Stirò le labbra in un sorriso amaro. «Sia fatta la tua volontà, padre.» Aprì le dita, sapendo che insieme al ciondolo lasciava andare anche una grossa parte del suo passato. Il ninnolo cadde senza produrre alcun rumore, perdendosi nell'oblio. Un po' di contesto: dopo gli avvenimenti de 'Il Primo Assalto', culminati nella morte di du Grammont, Laurens ha avuto acceso al testamento dello stesso. La sua ultima richiesta era che venisse distrutto il ninnolo che avrebbe aperto Abrasax, il mondo di tenebra. L'unico a poterlo fare è un Custode, ma finché non avrà capito come farlo, Laurens vuole lasciarlo nella grotta perché sia la stessa ombra a custodirlo. La domanda su du Grammont si spiega facilmente: il vecchio pirata aveva venduto l'anima all'Ombra per assicurarsi il potere necessario a vendicare la sorella (arsa sul rogo dall'impero) tramite l'assalto e il saccheggio del Maniero del Re Goblin -avvenuto quando Laurens era poco più che ventenne. Alla morte di du Grammont, Lorencillo spera di poterne salvare l'anima che, tuttavia, è ormai perduta. Quanto allo specchietto della passive, per ora me lo risparmio, tanto comunque su Salla non avrebbe effetto la passiva di timore -sentirebbe solo un po' di freddo a causa del Mantellemer ma a questo possiamo rimediare offrendogli una sciarpa. Facciamogli vedere come si faceva ai vecchi tempi, pal Edited by Apocryphe - 18/7/2012, 23:56
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