Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Unione anti schiavista.

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Ydins
view post Posted on 21/12/2013, 22:56




Unione Anti schiavista - Difficile non intervenire.



Località: Perwaine.
Orario: 11:32
Stagione: Inverno.
Status progetto: Prima fase - Esplorazione.



La prego signore la smetta! Mi fa male!



Sono in pochi i maschi in grado di resistere alla bellezza di una fanciulla di tale splendore. Capelli castani leggermente spettinati, occhi verdi di una tonalità più unica che rara e labbra degne del più nobile dei sovrani. Tuttavia, quello splendore stava ricevendo delle vergate per aver rifiutato il corteggiamento del figlio del padrone. Padre e figlio si stavano dando i turni per colpire la schiena della ragazza mezz'elfa. In quella via c'era chi osservava il fatto divertito, come alcune donne, forse invidiose dei lineamenti di tale creatura, altri invece per pura curiosità. Anche il nano fu uno di quelli che si fermarono, ma alla terza sferzata non riuscì a resistere. A braccia larghe si fece strada fino a raggiungere i due e si prese il colpo al posto della femmina in pieno viso.

Sentì immediatamente bruciare la pelle ed al solo pensiero di essere nuovamente sottoposto ad una pratica tanto brutale, quanto dolorosa, il suo corpo non riuscì a trattenere un lieve tremore; ma il suo cuore era forte e la volontà si stava lentamente rafforzando dopo anni di privazioni ed umiliazione. La reazione dello schiavista non si fece attendere.

Spostati nano, questa cagna si è rifiutata di accettare l'amore di mio figlio e devo insegnarle le buone maniere.



Prima di rispondere, L'urbanista diede un veloce sguardo al pretendente e quasi vomitò. Si trattava di un flaccido e visibilmente incompetente giovane, sudaticcio, chiaramente poco incline all'igiene personale come si poteva osservare dalle vesti sporche di cibo ed a prima vista umidicce. Uno del genere non poteva relazionarsi neppure con un cane, figuriamoci con qualcuno di tale grazia.

Chiedo scusa per l'intromissione signore. Tuttavia non sono riuscito a sopportare la visione di questo fiore venire maltrattato. Credo che abbia imparato la lezione e che dovreste perdonarla.



Se prima l'uomo si trovava in evidente stato di alterazione, era ovvio che adesso era prossimo ad “esplodere” dalla rabbia. Si avvicinò fino a trovarsi ad un passo dall'ex schiavo e dopo averlo attentamente osservato, disse:

Qualunque sia il tuo nome spostati, o le prenderete tutti e due. La punirò fino a quando la sua schiena sarà più rossa del tramonto e chiederà scusa a mio figlio, oltre ad accettare il suo corteggiamento.



Ancora una volta il suo corpo tremò all'idea di poter essere nuovamente sottoposto a frustate dopo così tanto tempo, ma si era promesso di aiutare qualunque schiavo avrebbe visto in difficoltà, quindi raccolse il suo coraggio e disse:

Comprendo pienamente il vostro punto di vista ed ancora una volta chiedo perdono per essermi scordato le buone maniere. Sono Ydins Rou e forse posso dichiararmi un vostro possibile partner in affari.



Aveva imparato dal guardiano del clan Goryo a lanciare una frase ad effetto, per poi concedere del tempo ai suoi interlocutori per godersi i tizzoni ardenti in attesa del resto.

Vostro figlio è stato in effetti maltrattato. Questo è un comportamento inaudito, ma credo che tutti sappiano che l'amore è spontaneo e se obbligato può solo originare sentimenti negativi. Credo che lei sia una persona intelligente e con un certo fiuto per le occasioni. Che ne dice se compro questa sua schiava? Avrei in mente un certo prezzo.



CITAZIONE
Edit: Chiedo perdono per aver editato, ma non avevo messo il titolo al post.


Edited by Ydins - 22/12/2013, 11:54
 
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view post Posted on 30/12/2013, 23:49
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Միություն ~ Unione Antischiavista ~ Չ ստրուկ

(Vahram [pensato, lingua aramana], Tigran, Ydins, Conte, Mezz'elfa)


55h5


«Tu sei pazzo, Vahram! Perché sei tornato nel Perwaine? Lo sai che ti vogliono uccidere!» Sbottò Tigran, con tono di premuroso rimprovero.

«Non preoccuparti, Tigran, è da sei mesi che non mi faccio vivo da queste parti.» Rispose flemmaticamente Vahram, portando in braccio la sella del suo cavallo, Raffi, verso il biroccio. «Probabilmente Gomis, quel cane, sarà ormai convinto che io sia morto in mezzo al Plakard. Ho solo dato una lezione a suo figlio, mica ho sterminato la sua famiglia. Be’, sì... gli spezzato un bel po’ di ossa, ma un pezzo grosso come lui avrà certamente ben altro a cui pensare piuttosto che inseguire un morto di fame come me. Di sicuro mi avrà dimenticato non appena quel suo pulcino balordo ha ripreso a camminare.» Aprì la cassapanca che faceva da cassetta del carro e vi ripose dentro la sella. «Fossi in te, non mi darei pensiero: ormai è acqua passata.»

Quella sera non aveva alcuna voglia di stare a sentire paternali, soprattutto dal suo irrequieto compagno d’armi. Tigran era un ragazzo di venticinque anni, aramano come lui, ex schiavo come lui. Un giovane abile, sveglio e irruente. Avevano passato mille avventure insieme: avevano combattuto nelle steppe settentrionali contro i Kiseviti, erano nella stessa unità speciale sotto il nobile schiavista Yussuf Al’Sahid. Insieme sono persino fuggiti da El Kahir, attraversando il deserto e imbarcandosi alla volta del Perwaine. Considerava Tigran al pari di un fratello.

«Se lo dici tu... Però io non riesco a stare tranquillo lo stesso. Non fraintendermi, sono felicissimo di rivederti, ma sono solo preoccupato per te. In fondo sei il mio capitano.» Ribatté, inseguendo da una parte all’altra della scuderia Vahram, affaccendato a caricare nuove merci e materie prime sul suo carretto.

«Ero il tuo capitano. Ora mi sembra che tu possa cavartela anche senza di me. Ti sei accaparrato una bella posizione dentro il Cartello. Tornare e vedere cosa siete riusciti a fare in mia assenza mi ha alquanto impressionato. Vi siete sistemati bene qui dentro.» Disse, accennando alla gigantesca scuderia della nuova sede del Cartello Mamūluk, ancora addobbata a festa con striscioni di tessuto ricamato e variopinto.

«Puoi dirlo. Il nostro capo, Zuben il Turkemanno, ha radunato ogni singolo ex schiavo guerriero del Perwaine, e molti altri ne stanno giungendo da ogni angolo del mondo. Dopo la caduta dall’Impero Sulimano ci siamo divisi, ma ora stiamo tornando ad essere una grande famiglia!» Era euforico nel parlarne. «Ci siamo stabiliti qui da poco più di un mese, ma già la nostra congrega è sulla bocca di tutta la malavita della città!»

Effettivamente i grandi cambiamenti che erano avvenuti in città avevano lasciato di stucco anche Vahram.

I mamūluk erano schiavi guerrieri assoggettati al grande e crudele Impero Sulimano del Nord. Una delle forze armate più temibili dell’intero continente, ma quando una calamità demoniaca spazzò via ogni traccia di quella civiltà, tutti quegli schiavi si sparpagliarono liberi ai cinque angoli del mondo. Nel Perwaine molti di loro, tra cui anche Vahram e Tigran, trovarono impiego come guardie personali o sicari al servizio delle grandi organizzazioni criminali. Dopo quattro anni erano riusciti a riunirsi e a crearsi da soli un proprio giro di affari e ritagliarsi un proprio territorio: giusto un mese prima era nato il Cartello Mamūluk. La sua sede era un grosso caravanserraglio ormai dismesso da tempo, nella periferia Sud della città, acquisito a un prezzo decisamente ribassato. La Piazzaforte dei Fratelli Schiavi, lo chiamavano.

«Resta con noi, Vahram!» Seguitò trepidante. «Conosciamo tutti le tue abilità! Vai a parlare con Zuben, di certo avrà già pronto un posto nell’alta gerarchia per te.»

Vahram tirò un sospiro malinconico. «Non ne dubito... Mi fa piacere venirvi a trovare di tanto in tanto, ma sono sicuro che riuscirete a fare un ottimo lavoro anche senza il mio aiuto. Conosco Zuben, è un uomo abile e coscienzioso, saprà guidarvi saggiamente.»

«Eddai! Perché mai non potresti?» Lo esortò sorridente.

«Il mio posto non è più a Perwaine.» Parlò fermamente. «Ho trovato una nuova casa, a Taanach.»

«Cosa? Che hai detto?» Sul volto di Tigran si dipinse un’espressione incredula. «Tu adesso lavori... per il Goryo?! No no, non posso crederci! Davvero sei riuscito a entrare nel Goryo?»

«Credici, è così.» Disse, disinvolto. Si tolse il mantello nero dalle spalle e lo gettò nel carro, poi raccattò i suoi vestiti da mercante – la sua zimarra variopinta e il fez – da un chiodo sul muro e se li infilò. Afferrò infine la sua lancia infoderata e si voltò nuovamente verso il suo amico. «Ed è per lavoro che sono tornato qui.»

«Lavoro? Che tipo di lavoro?» Domandò confuso.

Vahram intanto aveva tirato Raffi fuori dal suo stabbio e lo aveva attaccato al carro. «Segreto. Nulla di così impegnativo, comunque.» Saltò sulla cassetta e partì. «A più tardi, Tigran.»

«Ehi ehi! Dove stai andando?» Lo ricorse trafelato.

«Vado solo a fare un sopralluogo.»

«Vengo con te!» Lo raggiunse e saltò anche lui sul biroccio, al suo fianco.

«Non ce n’è bisogno!» Esclamò Vahram, con le briglie in mano, cercando di spingerlo giù a gomitate.

«Ti copro le spalle! Non temere, tutti gli uomini della mia squadra ti seguiranno ovunque tu vada. Il primo malintenzionato che ti si avvicina troppo si beccherà una bella freccia nelle palle.»

Varham buttò gli occhi al cielo. «Ma santi dei! Ho già detto che non è necessario, so badare a me stesso, cosa credi?»

«Troppo tardi. Ho già dato l’ordine.» Rispose Tigran, fiero e impettito. «Per me sei come un fratello maggiore. Se qualcuno osa dirti anche una mezza brutta parola...» Gli agitò contro l’indice, abbozzando quell’espressione dannatamente minaccevole che solo lui sapeva fare. «...lo squarto. Lo squarto con le mie mani, e tu sai che ne sarei capace!»

Vahram si arrese.

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In città non era cambiato molto, soprattutto nei bassifondi. Vedeva mendicanti e facce decisamente poco raccomandabili ovunque, le case erano in maggior parte di legno e pericolanti, spesso costruite su fondazioni preesistenti. Le strade erano costellate di piccole baracche e tende, abitazioni improvvisate appartenenti a famiglie miserabili. Conosceva quell’ambiente: da quando era arrivato nel Perwaine per la prima volta, aveva sempre vissuto in quei luoghi, curando e assistendo proprio bisognosi come quelli che aveva davanti. Tra loro era noto come Dottor Azad, e nei quartieri in cui passava tutti lo conoscevano; però non aveva mai portato la sua bottega ambulante in quella parte della città, lì nessuno aveva mai udito il suo nome da medico e mercante tuttofare. Meglio così: se fosse girata la voce che era tornato, avrebbe potuto incontrare qualche problema durante la sua permanenza.

In mezzo a questa sconfortante povertà, torreggiavano le magioni dei nobili e dei cittadini più abbienti. Ville e palazzine, alte mura le separavano dai fatiscenti ammassi di case circostanti creando uno strano contrasto, come se cercassero di arginare tutta quella povertà, impedirle di affluire dentro e sporcare la loro opulenza.

Vahram e Tigran stavano percorrendo una delle vie principali del quartiere, – una delle più distinte, oltretutto – quando passarono appresso a un grande crocchio di gente intenta a osservare qualcosa. Dal centro provenivano grida rabbiose e lamenti. Il guerriero fermò il carro e si mise in piedi sulla cassetta per guardare oltre la folla. In mezzo alla strada, di fronte al portone di una lussuosa residenza, vi erano un uomo sulla cinquantina e un giovane obeso con una tonta faccia da maiale – suo figlio, probabilmente – che a turno si accanivano crudelmente su una povera mezz’elfa prendendola a frustate.

Una schiava. A Vahram bastava un colpo d’occhio per riconoscere uno schiavo quando ne vedeva uno, in fondo lo era stato anche lui.

Quella fanciulla era una creatura di rara bellezza. Nonostante fosse vestita di stracci, lordata di fango e cosparsa di lividi, la sua piccola figura risaltava luminosa in quello squallore come una delicata fatina in mezzo a una spinosa giungla di piante carnivore. Piangeva e supplicava pietà ai suoi aguzzini, che inesorabili continuavano a vergarla, mentre diverse persone intorno ridevano e li incitavano. Gli altri curiosi o guardavano in silenzio o parlottavano sommessamente tra loro.

«Che cosa avrà fatto quell’angioletto per meritarsi un trattamento simile?» Pensò Varham tra sé e sé.

«Lurida cagna! Come hai osato a oltraggiare mio figlio rifiutando il suo amore?! Lo capisci cos’hai fatto? Hai insultato un rampollo della nobile famiglia dei Kuhbach! Lo comprenderai a suon di frustate, disgraziata!» Urlò il padre, menando un’altra vergata.

«Ah, ecco... Dovevo immaginare una cosa simile... Sbaglio o quel nome l’ho già sentito da qualche parte?» Nel dubbio, estrasse il suo taccuino rosso: lì annotava tutte le persone rilevanti che incontrava. Era curioso di sapere qualcosa di più su quella famiglia. Nel frattempo domandò a Tigran. «Chi sono quei due?»

Tigran scrutò i due individui. «Ah, sono il Conte Fernand Kuhbach e suo figlio Ronald. Sono abbastanza famosi da queste parti, per diversi motivi. Ad esempio per la crudeltà con cui sono soliti trattare i loro servitori.»

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Da quelle parti funzionava così, c’era ben poco da fare. I potenti erano i potenti, i miserabili erano i miserabili, e quando un miserabile – schiavo o povero cittadino che fosse – oltraggiava un potente, questo aveva tutto il diritto di trascinarlo in strada di sua iniziativa e punirlo dinanzi al pubblico ludibrio. Anzi, non tutto il diritto; tutta la libertà, poiché non era la legge a permettere questi abietti sfoggi di potere, ma il senso comune. Secondo la gente di quel posto, così giravano le cose, punto e basta.

Ciò che più faceva storcere il naso a Vahram era però il sadismo con cui erano trattati gli schiavi a Perwaine, soprattutto quelli provenienti da Xuaraya. Non la crudeltà, ma proprio il sadismo.

Nell’Impero Sulimano se uno schiavo – di qualunque genere: guerriero, servitore, manovale o prostituta – era accusato di un qualche crimine leggero, era il padrone a pagare, – di solito versando una multa allo Stato o alla parte lesa – ma se invece la sua colpa era grave, veniva sequestrato al suo proprietario e trucidato nei modi più mostruosi che la fantasia umana possa immaginare. Ma questa era la legge, non libertà personale; i comuni criminali ricevevano un trattamento ancora peggiore.

Oltretutto i Sulimani avevano una solida cultura schiavista che si perpetuava nei secoli ed erano ben coscienti del fatto che un criminale non ha alcun valore, ma uno schiavo sì. Perciò, secondo il loro senso comune, malmenare o torturare inutilmente uno schiavo era semplicemente stupido o malvisto.: danneggereste un vostro buon acquisto solo per capriccio? Picchiereste a sangue il vostro cavallo migliore solo perché non ha obbedito al vostro comando? Agli occhi dei Sulimani per l’appunto non conveniva per nulla.

In breve, nell’ambiente in cui era cresciuto Varham, le atrocità si consumavano eccome, ma perpetrarle senza alcun fine plausibile non era un comportamento coscienzioso. Insomma, lassù gli schiavi, sebbene venisse sterminata sistematicamente la loro intera famiglia o fossero rinchiusi in gabbie sotto il sole rovente, legati con pesanti catenacci o obbligati a spaccarsi la schiena, secondo un diffuso pensiero, godevano di una minima... “considerazione”. La stessa considerazione che si dava a un oggetto o a un acquisto di un certo valore, e uno schiavo non costa poco.

Di sicuro la condizione degli schiavi sulimani era migliore rispetto a quella che vivevano i prigionieri provenienti da Xuaraya. Negli occhi dei loro padroni Varham scorgeva una specie di perverso piacere nel maltrattarli, come se dovessero espletare un qualche primordiale bisogno di sopraffare, di umiliare, di mostrare animalescamente la propria superiorità. Sembrava quasi che li trattassero alla stregua di marionette su cui poter sfogare i loro più bassi istinti.

Il Conte Kuhbach e suo figlio parevano spinti da quella stessa sadica pulsione.

A un mamūluk insegnano ad essere fiero della propria condizione di schiavo. Parole fiere lo avevano educato: “La sofferenza rende virtuoso uno schiavo. Siete esseri indistruttibili, la vostra anima appartiene all’Impero, ma il vostro corpo è temprato dal martirio!” Parole incoraggianti: “Siete schiavi guerrieri! Mamūluk! Ogni gemma incastonata nella corona dell’Imperatore non vale quanto uno solo di voi!” La vista di quegli umilianti soprusi gli fece salire una grande rabbia.

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Guardava quei due infierire su quella povera ragazza con il suo sguardo gelido di assassino. Avrebbe voluto fare qualcosa, ma cosa?

«Non puoi farci nulla, Varham. È così la vita in questa città. Si riesce a campare decentemente solo non immischiandosi inutilmente negli affari degli altri.» Tigran cercò di riportarlo alla realtà.

Fu proprio ciò che accadde in quel momento a colpirlo profondamente.

Un nano si fece strada tra la folla e corse in difesa della mezz’elfa, prendendosi una frustata al suo posto, in pieno viso.

«Spostati, nano, questa cagna si è rifiutata di accettare l'amore di mio figlio e devo insegnarle le buone maniere.» Lo minacciò il Conte.

«Chiedo scusa per l'intromissione signore. Tuttavia non sono riuscito a sopportare la visione di questo fiore venire maltrattato. Credo che abbia imparato la lezione e che dovreste perdonarla.» Ribatté pronto il nano. Per un attimo scorse nel suo sguardo un lieve timore, quel timore. Il timore della frusta che solo certe persone sanno provare. Quel fremito non sfuggì agli allenati occhi indagatori di Vahram.

«Un altro schiavo...» Pensò.

C’era un barlume negli occhi di quel nano, un barlume che scosse il suo cuore arido, sterile di sentimenti e di ambizioni. Non avrebbe saputo spiegarlo. Quell’individuo non conosceva la mezz’elfa, eppure era chiaro che avrebbe dato la vita per sottrarla a quell’esistenza di schiavitù. L’ardore che aveva spinto quello schiavo a fare ciò che aveva fatto... era ciò che mancava nel vuoto della sua esistenza.

Provò una grande stima per lui. Sentiva che doveva fare qualcosa per aiutarlo.

«Allora, che aspettiamo?» Tigran scrutò oltre la folla, incuriosito dagli strani brusii e dallo sguardo perso di Vahram. «Ehi! Ma chi è quel demente?»

«Tigran! Dimmi qualche altro motivo per cui sono famosi.» Chiese nuovamente, sfogliando ansiosamente il taccuino.

«Eh? Cosa? Ah, be’, poi sono infangati praticamente con tutta la malavita della città.» Disse come se stesse parlando di qualcosa di ovvio.

«In senso buono o in senso cattivo? Cos’ha combinato esattamente?» Il tempo stringeva. Gli sudavano le mani e le pagine gli scivolavano maldestramente sulle dita.

«In tutti e due i sensi. Poi cosa ha fatto esattamente non ricordo...» Alzò le spalle. «Sei tu quello che li conosce. Cosa ti avevano chiesto di fare?»

Vahram si paralizzò di colpo e si voltò con gli occhi sbarrati verso il suo amico. «Come, scusa?»

«Ma sì, non avevi lavorato per loro, tempo fa? Poi non ricordo se...»

«Porci dei!! Sono un cretino!» Lo interruppe con una sfuriata, mettendosi la mano alla fronte. Subito ricordò. Poi tornò ad affondare il naso nel taccuino. «È vero, è vero! Sapevo di averli già visti da qualche parte. Aspetta... Eccolo, trovato! Conte Fernand Kuhbach di blablabla... questo non ci interessa... Età, altezza, segni particolari...» Alzò lo sguardo per dargli un’occhiata. «Sì, insomma, è lui. Ha solo cambiato pettinatura dall’ultima volta che l’ho visto. Dunque... Ha un figlio e una figlia maggiore al collegio e poi... Ah! Interessante!»

«Cosa?» Chiese Tigran scrutando il taccuino da sopra la spalla di Varham.

«Dovevo aver avuto un sacco di tempo libero. Guarda quanta roba ho scritto sulla sua casa e la sua famiglia.» Mostrò la pagina al compagno. «Avevo lavorato per lui nei panni di Al Patchouli due anni fa. Mi aveva pagato per assassinare un tizio che lo stava ricattando, un certo Laxilo. Ed è qui che arriva il bello.»

«Perché? Che hai fatto?»

«Ho interrogato il suo ricattatore, prima di ucciderlo.» Disse, ammiccando.

«Ah... furbo.» Rispose, sorridendo impressionato.

«È sempre meglio essere previdenti, lo dico sempre.» Cominciò a spulciare «Vediamo... Però! Ha un bel curriculum: corruzione presso il clan Ohia, corruzione presso la banda Vela Rossa, corruzione, corruzione... Ha chiesto favori a mezza malavita della città, anche a bande rivali. Ci credo che è nei guai. Ah, un falso in bilancio, un altro qui... Oh, due assassinii di amministratori di esercizi concorrenti. Credo di avere abbastanza materiale.» Poteva aiutarlo.

«Per cosa? Ehi! Ehi!! Dove stai andando??» Vahram era appena balzato giù dal carro.

«Tu aspettami qui e goditi lo spettacolo.» Lo rassicurò sorridendo. E poi sparì nella folla.

Si fermò in mezzo alla calca, si chiuse il colletto sopra la bocca per nascondere parte del viso e ripassò mentalmente tutto ciò che doveva ricordarsi, aspettando il momento giusto. Prese un lungo respiro.

La sua proverbiale lingua da vipera era pronta a colpire.

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«Qualunque sia il tuo nome, spostati o le prenderete tutti e due. La punirò fino a quando la sua schiena sarà più rossa del tramonto e chiederà scusa a mio figlio, oltre ad accettare il suo corteggiamento.» Minacciò il Conte Kuhbach, alla vista del sua sacrosanto dovere impedito da un misero nano.

«Comprendo pienamente il vostro punto di vista ed ancora una volta chiedo perdono per essermi scordato le buone maniere. Sono Ydins Rou e forse posso dichiararmi un vostro possibile partner in affari.» Fece una pausa, fissando dritto negli occhi il Conte. «Vostro figlio è stato in effetti maltrattato. Questo è un comportamento inaudito, ma credo che tutti sappiano che l'amore è spontaneo e se obbligato può solo originare sentimenti negativi. Credo che lei sia una persona intelligente e con un certo fiuto per le occasioni. Che ne dice se compro questa sua schiava? Avrei in mente un certo prezzo.»

Diverse persone deridevano quel folle, ma altre si mostravano impressionate da quel gesto coraggioso.

Qualunque fosse stata la proposta del suo offerente, il conte non sembrava particolarmente incline a scendere a patti con un tale pezzente di fronte a tanta gente. In un altro momento forse avrebbe fatto un buon pensiero davanti a una buona proposta, ma lì in quell’istante era la sua faccia ad essere in ballo. Doveva difendere l’onore sporcato della sua famiglia ed era intenzionato a finire ciò che aveva cominciato.

«Dove credi di essere, nano? Nella piazza del mercato? Sono qui in mezzo alla strada per castigare una schiava che ha avuto l’ardire di oltraggiare il sangue del mio sangue, non per venderla al migliore offerente! Questa cagna resterà nelle mie mani finché non avrà espiato le sue colpe e riparato all’offesa verso mio figlio. Quindi ora...»

«Un momento, sehre! Rilancio un’altra offerta.» Tutti gli occhi si spostarono verso lo strambo individuo appena emerso dalla folla, vestito di variopinti abiti esotici e con in mano un bastone nero, decorato sulla sommità, sopra un sostegno d’acciaio, da una splendida placca in avorio lavorato e inciso con motivi floreali e, ai lati, due minacciosi tralci appuntiti d’acciaio curvati verso l’alto. Il tutto gli dava l’aria di uno.

Vahram si avviò sicuro e deciso al centro del capannello. Il conte di certo non l’avrebbe riconosciuto: l’assassino Al Patchouli lavorava a volto coperto, riceveva ed eseguiva gli ordini impassibile e silenzioso. L’uomo che in quel momento stava camminando verso di lui era tutt’altra persona: una specie di strano mago dall’aria orientale.

Guardò il nano, ammiccò verso di lui con un sorriso e in un nanico tanto grezzo da far accapponare la pelle a chiunque lo parlasse sin dalla nascita, gli disse: «*Davvero vorresti acquistare quella fanciulla? Stai comprando la persona sbagliata. Lascia fare a me, ti mostro io come si fa.

Il conte rimase confuso dalla comparsa del curioso nuovo arrivato e da quella repentina intesa in una lingua che non conosceva. «Ma cos...?! Un altro? Che cosa pensate di fare?» La sua faccia era paonazza dalla rabbia. «Ho parlato! Non ho la minima intenzione di dare corda alle vostre patetiche scenate da filantropi! Ora vi concedo dieci secondi per togliervi di mezzo prima che... Ehi, come osi?!»

Vahram non si era arrestato, ma aveva raggiunto rapido come una volpe il nobile, gli aveva appoggiato un braccio sulla spalla, come se si trattasse di un amico di lunga data, e lo stava trascinando di peso verso il portone, lontano dalle orecchie indiscrete degli astanti.

Il conte cominciò a sbraitargli contro. «Hai idea di cosa stai facendo, pezzente? Lo sai ci sono io? Io sono...»

«...il Conte Fernand Kuhbach di Parisia, lo so.» Lo interruppe Vahram, sorridente. «E voi sapete chi sono io, sehre?»

«Non ti ho mai visto prima d’ora!»

«Perfetto!» Era ciò che voleva sentire. «Adesso calmatevi e ascoltate cosa ho da dirvi.»

«Tu non mi devi dire niente, canaglia! Adesso...»

«...chiamate le guardie? Prego, sehre. E che cosa vorreste dirgli?» Avvicinò la bocca all’orecchio del nobile, la sua voce gracchiante divenne un sussurro. «Forse dovreste raccontargli com’è morto il vostro “amico”... Laxilo.»

«Cosa?!» Esclamò con un sussulto, liberandosi dalla presa di Vahram. «Ma voi... Come diavolo...?! Ah, adesso è tutto chiaro, bastardo.» Cominciò a parlare sottovoce anche lui. «Sei un amico di quel verme ricattatore.»

«Più o meno.» Certo che sì: lo aveva ucciso lui.

«Be’, peggio per te. Immaginavo che qualcuno sarebbe tornato ad assillarmi, prima o poi. Se sai qualcosa di troppo, è meglio se mi stai alla larga. Per tua informazione, ho degli amici nelle alte sfere della guardia cittadina.»

«Tutti corrotti, suppongo. Siete un professionista della corruzione, sehre. Vantate un’esperienza veramente invidiabile in questo campo. Permettetemi di farvi qualche esempio...» E cominciò a enumerare a memoria una a una tutte le persone che aveva corrotto; per lo meno tutte quelle riportate nel suo taccuino.

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«Basta! Non un’altra parola! Bada a te!» Lo fermò bruscamente, digrignando i denti dalla rabbia. «Farnetica pure quanto vuoi sulle tue fantasie. Ti vesti elegante, ma sei solo un pezzente, chiunque può fiutarlo dal tanfo che emani. Vivi ogni giorno strisciando nella lordura dei bassifondi, come la maggior parte della marmaglia criminale di questa città. Un misero approfittatore alla ricerca di qualche soldo facile, ecco cosa sei. Tu non sei niente in confronto a me.» Iniziò a minacciarlo. «Va’ pure a dire alle guardie le tue stupidaggini. A chi daranno ragione? A te o a me? Prova solo a cercare di ricattarmi e come minimo passerai il resto dei tuoi giorni in galera!»

Varham non si lasciò intimidire e continuò indefesso la sua recita. «Oh, ma guardate che sono pienamente d’accordo con voi! Cos’è la mia parola in confronto alla vostra?» Disse con tono giustificatorio. «Però una soluzione si può sempre trovare, non credete? Ad esempio potrei offrire tutte queste interessanti informazioni su di lei al Barone Ordal Blan De Vedenberg, la sua fondazione bancaria è un’acerrima concorrente della sua, no? Lo odiate così tanto da aver persino assassinato due suoi dirigenti solamente perché avevano rifiutato delle vostre mazzette. Brutta cosa la fedeltà alla propria azienda, non è vero?» Seguitò in tono marcatamente ironico. «Direi che la sua parola sarebbe influente quanto la vostra, se non di più. Potrebbe crearvi non pochi problemi, o sbaglio? Se non basta come incentivo, lasciatemi aggiungere che saprei dargli ogni indirizzo da cui potrebbe comprare tutti i vostri debiti.»

Il conte rimase sbigottito. «Che cosa?! E va bene, canaglia! Dimmi cosa vuoi, fai alla svelta.» A quanto pare era diventato bendisposto a negoziare.

«Chiedo poco: solo quella graziosa fanciulla.» Indicò la schiava mezz’elfa.

Il prode nano stava vegliando premuroso su di lei, come se quella giovane fosse sua figlia. Il suo sguardo risoluto trasmetteva a Vahram un caldo senso di sicurezza.

Il ciccione invece era rimasto imbambolato come un ebete al suo posto, confuso dalla strana svolta degli eventi. Trepidava aspettando il permesso del padre per poter insultare e cacciare arrogantemente quei due guastafeste che gli stavano rovinando il divertimento e continuare a frustare la sua fiamma ingrata. L’espressione irrequieta del suo caro papà sembrava però renderlo indeciso sul da farsi. Seppur da quella distanza potesse udire i discorsi di Vahram, la sua faccia spaventata lasciava intendere che non avesse compreso un granché dell’argomento della discussione, fuorché il fatto che quel brutto omaccio stesse cercando di portargli via il suo giocattolo preferito.

A sentire le sue parole, il conte scoppiò a ridere. «Cosa? Ohohohohoho!! Davvero? Fa’ pure, prendila. Davvero volevi cercare di rovinarmi in cambio di una sgualdrina per scaldarti il letto durante la notte?» Vahram stava per voltargli le spalle. «Hahaha!! Non credevo esistessero persone talmente stupide da ricattarmi solo per avere una misera schiava.»

Non l’avesse mai detto.

Sul volto di Vahram si dipinse un sorriso malefico. Non aveva ancora finito.

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«Accidenti, sehre, sapete che avete ragione? Concedetemi un momento.» Si voltò verso la fanciulla e cominciò a confabulare con lei in un elfico che avrebbe fatto storcere il naso a qualsiasi elfo.

«*C’è qualche tuo amico che vuoi portar fuori da questa casa, signorina?*» Le disse cordialmente.

La ragazza esitò.

«*Non avere paura, posso sottrarre da questa casa te e qualunque altro schiavo o amico tu voglia. Dammi il nome di qualcuno e io lo libererò. Ti assicuro che ne sono perfettamente in grado.*» Cercò di tranquillizzarla.

«Cosa gli stai chiedendo?!» Berciò il conte, camminando minacciosamente verso la schiava. «Non dirgli nulla, lurida cagna! Oppure...»

Vahram si frappose prontamente. «Eh, no! Eh, no! Lo avete detto voi: la ragazza ora è mia e ci parlo quanto mi pare e piace.» Si rivolse di nuovo alla fanciulla, incoraggiandola con un cenno del capo.

Abbassò la testa timorosa per un attimo, poi la rialzò decisa. I suoi occhi lasciavano trasparire una spiccata brama di rappresaglia.

«*Ha mio cugino, Letho.*» Rispose, in elfico.

«Voglio anche suo cugino, Letho...» Intanto Vahram riferiva al conte, in attesa degli altri nomi.

«*Poi Lia e Valanthe, le cameriere, sono mie amiche. Mezz’elfe anche loro.*» «...Lia e Valanthe...»

«*Omar, lo sguattero. È un ragazzino umano.*» «...Omar...»

«*E infine Laucian, il giardiniere. È un elfo. Questi sono tutti gli schiavi che lavorano in casa, tutti gli altri servi sono normali dipendenti.

«E Laucian, il... Ehi, avete un elfo giardiniere, sehre? Avete buon gusto nel scegliere i vostri schiavi dal pollice verde.» Disse in tono di scherno.

Vahram scambiò un sorriso complice con la ragazza e col nano.

Il conte stava perdendo la testa. «No! No! Ora stai superando il limite! Hai idea di quanto mi sono costati quegli schiavi? Niente da fare! Ora prendi la tua puttana e...»

«Come sta vostra figlia Adelasia, sehre? Spero bene.» Il sorriso diplomatico sul volto di Vahram sparì improvvisamente.

Il nobiluomo si irrigidì. Presagì quello che stava per sentire.

Era chiaro che anche il guerriero si stava seccando e voleva concludere la trattativa al più presto. Aveva deciso di passare all’attacco, sfoderando uno degli stratagemmi più infidi e crudeli che conosceva.

«Ho saputo che adesso sta frequentando il Collegio di Willroot. Una bella sistemazione. Deve sentirsi tanto sola... lontano da casa. Senza alte mura a proteggerla, senza guardie personali. Mi hanno detto che adora uscire la sera, e lo fa anche spesso, anche fino a tardi. In locali d’alta classe s’intende, per carità, è ovvio.» Disse, flemmaticamente. In realtà non ne sapeva niente degli svaghi della sua figlioletta, si stava inventando tutto di sana pianta, ma a giudicare dall’espressione terrorizzata del padre, a quanto pare la minaccia stava funzionando. «Non avete paura che una sera entri nel vicolo sbagliato e incappi in qualche malintenzionato? Con tutti i nemici che vi siete fatto in questi anni, poi.»

«Non oserai...» Balbettò il conte terrorizzato.

«Io? Ma vi prego, sehre! Per chi mi avete preso? Io sono una brava persona.» Sbottò Vahram offeso, con aria innocente. «Ma è più facile di quanto s’immagini che certe indicazioni raggiungano le orecchie di... non so... la Fratellanza Sherevita? Con cui avete una montagna di debiti, se non ricordo male. È un bel rischio, mi creda! Se la rapissero, chissà in quali barbari rituali potrebbero...»

«Va bene! Va bene! Va bene! Ti darò ciò che chiedi, ma non dire altro!»

Vahram abbozzò un sorriso compiaciuto.

«Sei un mostro! Questa volta passi! Ma ti avverto, maledetto schifoso, te la farò pagare!» Il volto del conte ormai sembrava quello si una bestia rabbiosa. «Scoprirò chi sei, contaci! In futuro farai meglio a guardarti bene le spalle: potresti ritrovarti un bel coltello piantato nella schiena!»

Non ce la fece più a fingersi sereno; dentro di lui stava esplodendo dal livore. Quelle parole furono la goccia che fa traboccare il vaso. Il volto del guerriero cambiò repentinamente. Il nobiluomo ebbe un sussulto: due occhi gelidi e sanguinari lo stavano inchiodando sul posto. Il volto dell’uomo dinanzi a lui era diventato inespressivo, glaciale, colmo d’odio, terrificante. Quello era il suo vero volto.

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Vahram lo ghermì per la spalla e lo strattonò violentemente a sé, facendolo voltare verso la strada.

«Guarda laggiù.» Gli ringhiò nell’orecchio.

Ciò che vide gli fece accapponare la pelle. Nell’ombra dei vicoli oscuri che affluivano sulla strada, scorse un gran numero di figure osservarlo minacciose. Guerrieri imponenti dal volto di ghiaccio, vestiti con abiti variopinti e armati di arco e armi da mischia pesanti e terribili. Tigran non si smentiva mai: i suoi uomini stavano davvero vegliando su di lui.

«Li vedi quegli uomini? Sono schiavi. Anche io sono uno schiavo come loro, come quel valoroso nano e quella ragazza. Ognuno di noi ha sopportato tanto dolore quanto mai ne ha provato la tua intera stirpe di pomposi scellerati.»

Lo trascinò oltre il portone, fuori dalla vista della folla. Gli afferrò il mento con la sua grande mano, costringendolo a guardarlo negli occhi.

«Voi grassi, arroganti e perversi schiavisti non potete comprendere il nostro dolore. La nostra vita è una guerra. Ogni nostro giorno è una battaglia. Noi non viviamo, sopravviviamo. Non siamo pezzenti. Siamo guerrieri! E se hai un problema con noi, non lo risolverai con un coltello. Ti servirà un esercito!» La sua voce era ferma e grigia. Il conte lo guardava e ascoltava ogni parola sempre più atterrito.

«Le tue minacce non mi fanno paura. Mandami contro tutti gli assassini che desideri, ho vissuto innumerevoli battaglie, una in più non mi spaventa. Consiglierei io a te piuttosto di guardarti le spalle. Una freccia silenziosa nella notte e ben più pericolosa di qualsiasi pugnale. Se non vuoi temere ogni ombra che calpesti per il resto della tua vita, non tormentare mai più me e la mia gente.» Ovviamente non avrebbe scomodato gli uomini di Tigran, sarebbe stato più che felice di uccidere lui stesso quel porco, e gratuitamente.

Con una spinta allontanò da sé il conte e si diresse nuovamente in strada senza degnarlo di uno sguardo.

«Domani mattina, prima di mezzogiorno. Porta gli schiavi e tutti i documenti di proprietà che li riguardano al magazzino abbandonato della 44° strada, nella periferia Sud.» Gli disse, voltandogli le spalle. Quello era un posto discreto che utilizzava spesso in passato. Il conte annuì tremante. «Li voglio illesi, ovviamente. Sii puntuale.» E ritornò in strada.

Ad attenderlo fuori c’era il figlio del conte. Era terrorizzato: si teneva i pugni stretti al petto e tremolava come un budino dopo aver visto il volto di quel figuro. Senza dire nulla, il Conte Kuhbach lo prese per mano e lo trascinò dentro casa.

nyrh


La folla rumoreggiava, qualcuno suggeriva di chiamare le guardie.

Vahram tornò magicamente bonario e gioviale come se nulla fosse successo. Si voltò verso i due che se la davano a gambe. «Grazie infinite, signor conte! Sapevo che era una persona di buon cuore!» Poi si rivolse alla folla con la sua affettata disinvoltura da mercante. «Sehres yev parona! Cosa c’è da borbogliare? Il Conte Fernand Kuhbach ha dimostrato grande spirito di clemenza! Ha appena deciso di liberare tutti gli schiavi di sua proprietà!»

A queste parole, la gente parve molto più confusa e rumorosa di prima, ma perlomeno l’idea di chiamare le guardie passò immediatamente in secondo piano in seguito a questa sconvolgente notizia. Era il momento di tagliare la corda. Con un rapido cenno, fece segno a Tigran di prendere le redini del carro e avvicinarsi.

Infine, finalmente, si rivolse ai due ex schiavi.

«Barev achper, il vostro gesto mi ha colpito profondamente. Siete stato fin troppo educato con quegli aristocratici; certa gente non merita una simile gentilezza. Se ho sentito bene, vi chiamate Ydins Rou, giusto? Avete il mio più profondo rispetto.» Gli porse la mano, il suo sorriso in quel momento sembrava incredibilmente spontaneo. Gli stava dando volontariamente del voi. «Da queste parti mi chiamano in molti modi diversi, ma un fratello schiavo ha tutto il diritto di conoscere il mio vero nome: io sono Vahram. È un grande piacere per me fare la vostra conoscenza, strukbayr Ydins.»

Si guardò intorno, scrutando i passanti che li osservavano incuriositi. «Forse ho esagerato un po’... ma per lo meno così quel conte non darà più fastidio a nessuno schiavo almeno per un po’ di tempo.» Accarezzò dolcemente la testa della ragazza. «Poverina... Non temere, sono un medico, adesso ti portiamo in un posto sicuro.» «È meglio allontanarsi. Il mio alloggio non è molto lontano da qui.»

CITAZIONE
Scusa ancora per il mio mostruoso ritardo. Le feste purtroppo non mi hanno lasciato scampo.

Ti chiedo scusa anche per lunghissimo post. Sto cercando di mettere assieme poco a poco il background del mio pg e l'ambiente in cui si muove. Ho inserito anche un mio nuovo npg che ogni tanto userò in altre ruolate. Come al solito mi sono lasciato un po' trasportare scrivendo un po' troppo.

Facendo un riassunto, Vahram, insieme al suo ex sottufficiale e compagno d'armi Tigran, stanno girando per le via della città, quando si trovano davanti alla situazione che hai descritto.

Appena Vahram ti vede correre in soccorso della mezz'elfa, rimane colpito dal tuo coraggio e dal sentimento che ti spinge a farlo. La sua esperienza di schiavo fu talmente atroce da uccidergli quasi del tutto ogni sentimento umano e ogni ambizione e speranza (i suoi atteggiamenti bonari e amichevoli sono tutte messinscene); ora che è libero, vaga per il mondo nella speranza di comprendere cosa significa non avere un padrone e vivere come tutti gli altri esseri umani. La cosa più sconcertante è però il fatto che lui era fiero di essere uno schiavo, dato che i mamūluk, gli schiavi guerrieri, di cui faceva parte erano tra le forze armate più temute del continente. Ora che quel suo "periodo d'oro" è terminato, si trova davanti la vera faccia dello schiavismo di Xuaraya, rimanendone inorridito e indignato.

La vista del tuo gesto d'amore gli fa pensare che tu potrai essere un prezioso amico. Qualcuno da cui poter imparare qualcosa e che potrebbe dare uno scopo alla sua vita insensata.

Dunque va dal nobile (che mi sono permesso di chiamare Conte Fernand Kuhbach) e comincia a ricattarlo, fino ad arrivare a minacciarlo apertamente. Alla fine, grazie anche alla complicità della mezz'elfa, lo convince a "vendergli" tutti gli schiavi che ha in casa.
Il conte si rintana in casa terrorizzato e Vahram viene a farti i complimenti e si presenta, offrendosi di curare la mezz'elfa. Infine invita entrambi alla sede del Cartello Mamūluk, dove alloggia, per dialogare in tranquillità.

PS: 1) Ti prometto che è l'ultima volta che scrivo così tanto. I miei prossimi post saranno più brevi.
2) Al post ci ho dato solo una mezza riletta, quindi ti avverto che quasi sicuramente troverai degli errori.




Edited by Orto33 - 31/12/2013, 00:35
 
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Ydins
view post Posted on 3/1/2014, 10:06




Unione anti schiavista - Primi contatti.



Località: Perwaine.
Orario: 12:01
Stagione: Inverno.
Status progetto: Prima fase - Esplorazione.



Senza parole. L'urbanista rimase a bocca aperta e con gli occhi sgranati, incapace di contenere il suo stupore. Un oceano di parole stava affluendo dalla bocca di una persona che si era vestita in modo alquanto stravagante erano tante, troppe, ma tutte molto efficaci. In qualche modo riuscì ad ottenere la custodia della ragazza, come glielo aveva comunicato in un nanico piuttosto rustico. Il nobile in qualche modo dovette rinunciare obbligato, a seconda dei punti di vista, ai suoi schiavi.

In qualche modo aveva avuto successo; mantenendo la sua parola data all'inizio di quella strana conversazione. Dopo aver terminato, si avvicinò al nano e rivolse parole cariche di stima, cosa che fece rallegrare il cuore dell'ex schiavo.

E' un onore conoscerti Vahram e posso dirti senza alcuna ipocrisia che il piacere è decisamente tutto mio. Credevo di dover sborsare una cifra per salvare questa giovane da una punizione ingiusta, poiché tutti hanno il diritto di concedere il proprio amore a chi voglia senza alcun tipo di obbligo.



Afferrò quella mano e la strinse come facevano gli uomini, quella persona meritava di essere ringraziato e dopo aver lanciato uno sguardo alla giovane disse:

Si, ti chiedo di medicarla, direi che ne ha davvero bisogno. Poi ti offrirò da bere, te lo meriti davvero.



Poi si rivolse alla ragazza e disse:

Ce la fai ad alzarti? Altrimenti ti prendo in braccio. A proposito, non ho sentito ancora il tuo nome. Potresti dirmelo per piacere?



La mezz'elfa scosse la testa e si alzò immediatamente dimostrando di essere ancora in grado di deambulare. Poi si sistemò velocemente i capelli gettandoli indietro con un veloce movimento del capo e diede un abbraccio prima a Vahram, per poi fare lo stesso con Ydins. Toccò la ferita che si era aperta sul suo volto a causa della frustata presa al suo posto, cosa di cui era estremamente fiero.

Ti chiedo scusa, ti sei ferito a causa mia. Ma prima vorrei essere medicata per piacere, mi fanno ancora male quelle frustate.



Disse con un tono triste; ora toccava a colui che era riuscito a liberarla.

CITAZIONE
Chiedo scusa per il postaccio, ma le cose miglioreranno quando la ragazza sarà medicata, lo giuro :8D:
 
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view post Posted on 5/1/2014, 00:37
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(Vahram [pensato], Tigran, Ydins, Elenie, [aramano])


9rcp



Nell’udire le parole di Vahram, il viso del nano Ydins s’illuminò.

«E' un onore conoscerti Vahram e posso dirti senza alcuna ipocrisia che il piacere è decisamente tutto mio. Credevo di dover sborsare una cifra per salvare questa giovane da una punizione ingiusta, poiché tutti hanno il diritto di concedere il proprio amore a chi voglia senza alcun tipo di obbligo.»

I due ex schiavi suggellarono la loro nuova amicizia con un’entusiasta e virile stretta di mano. I loro palmi e i loro sorrisi s’incontrarono come quelli di due compagni ritrovatisi dopo lungo tempo.

Vahram cominciò a parlare bonariamente. «Non tutto ha un prezzo fisso, achper.» Iniziò a parlare gesticolando con fare esplicativo. «Quando ci si abbassa a trattare... spesso conviene di più comprare direttamente il venditore, e il più delle volte questo non è interessato solo ai soldi. Sto parlando di scambi onesti con gente onesta, s’intende... ma certe canaglie meritano di essere ripagate con la stessa clemenza che dispensano.» Disse, voltandosi cupo verso la magione del conte. «Hai ragione, achper. Una ragazza come lei merita ben molto di più che sottomettersi alle fregole di quel porcellino in calore.» Abbassò la testa, come assorto. «Ogni schiavo... meriterebbe di più.»

Pensieri di disgusto trasparirono dai suoi occhi. Tacque per qualche attimo, ma subito si riscosse, riconcentrandosi sul da farsi. «Comunque sia, è meglio togliersi di mezzo.» Affermò, riprendendo in mano la situazione. «Dunque... Innanzitutto, tu, aghjik.» Indicò la ragazza, sorridente. «Vieni con me, hai bisogno di una sistemata.»

«Sì, ti chiedo di medicarla, direi che ne ha davvero bisogno. Poi ti offrirò da bere, te lo meriti davvero.» Lo esortò Ydins, poi si rivolse premuroso alla ragazza, prendendole la mano per aiutarla. «Ce la fai ad alzarti? Altrimenti ti prendo in braccio. A proposito, non ho sentito ancora il tuo nome. Potresti dirmelo, per piacere?»

Con un cenno la mezz’elfa rifiutò gentilmente l’aiuto del nano e si alzò subito in piedi, mostrando di essere in grado di camminare da sola. Si sistemò i capelli e si scrollò i vestiti. «Mi chiamo Elenie. Siano ringraziati gli dei! Oggi è accaduto un miracolo. Mai mi sarei immaginata di incontrare due eroi coraggiosi come voi! Due schiavi come me, per giunta.» E così dicendo abbracciò improvvisamente Vahram, il quale ebbe un leggero sussulto di sorpresa: non se lo aspettava.

«A-Anche tu sei stata molto coraggiosa, Elenie.» Rispose con un filo di dissimulata irrequietezza, come se un'anguilla gli fosse appena scivolata nel colletto.

Elenie lo ricambiò con un dolce sorriso, poi andò a stringere tra le braccia Ydins. Accarezzò delicatamente la ferita che la frusta aveva lasciato sul suo volto. La ferita che aveva subito per difenderla.

«Ti chiedo scusa, ti sei ferito a causa mia. Ma prima vorrei essere medicata per piacere, mi fanno ancora male quelle frustate.»

«Subito, aghjik! Ho le garze e i preparati disinfettanti dentro il mio carro. Anche per voi, Ydins. Prego, strukbayr, montate davanti. Io andrò dietro con Elenie.» Rispose pronto Vahram. Fece segno a Tigran di accostare. Il piccolo biroccio, coperto da una tenda a casetta rivestita da splendidi tappeti decorati con complesse e variopinte forme geometriche, si fermò appresso a loro. Il cavallo che lo trainava era davvero singolare: grande quanto un cammello, dal lungo pelo e con zampe agili e ben più robuste di un normale equino.

Tigran li squadrò sospettoso. «Dovreste ritenervi fortunati.» Sbottò a testa alta, con tono spaccone. «Sei stato temerario, nano, ma se Vahram non fosse intervenuto...»

«Sono certo che se la sarebbe cavata lo stesso, perfettamente da solo.» Lo interruppe Vahram.

L’espressione di Tigran si fece perplessa. «Ma allora perché...?»

«Dovremmo aiutare un compagno schiavo ogniqualvolta ne abbiamo la possibilità, no? Ora sii gentile e fai posto davanti al mio nuovo amico Ydins.» Si rivolse di nuovo verso i due. «Dovete scusarlo. Questo è Tigran, il mio caro amico e compagno d’armi, ex schiavo anche lui. È un bravo ragazzo, circospetto e coscienzioso, ma ogni tanto esagera un po’. Lui invece è Raffi, il mio nobile destriero.» Disse in tono scherzoso, accarezzando la testa del gigantesco cavallo.

Invitò Ydins a salire di fianco a Tigran, mentre lui entrò nel carro insieme a Elenie e chiuse la tenda. Poi partirono.

«Dove andiamo, Vahram? Continuiamo il sopralluogo?» Domandò Tigran.

«No, ho cambiato idea. Non ho alcuna fretta. Chiedi al nano.» Disse Vahram da dentro la tenda, poi tornò a occuparsi della ragazza. «Ora, Elenie, vediamo la tua schiena. Voltati e togliti la camicia, non preoccuparti, te l’ho detto, sono un medico.»

«Uhm... Certo...» Rispose, timidamente.

Si udì un lieve frusciare di vestiti. «Sono ferite lievi. Non temere, ora ti applico una pomata a base d’iperico e nim. Vedrai, guarirai completamente nel giro di una settimana.»

Tigran continuava a fissare sottecchi Ydins, con aria leggermente diffidente. Il giovane e aitante guerriero sembrava ancora un po’ confuso. «Allora, gachach, da che parte andiamo?»

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Si diressero a una piccola locanda a pochi isolati, sempre nel territorio del Cartello. “L’angolo di Begget” si chiamava. Un posto defilato, sicuro. La ragazza venne con loro; alla fine era solo ferita leggermente, per fortuna.

Trovarono un tavolo. Ydins ordinò uno stufato della casa, Vahram e Tigran invece un agnello arrosto. Lo condivisero con Elenie, nella sua vita da schiava disse di non aver mai assaggiato nulla di così buono. Il tutto era annaffiato da una buona dose di birra. Soprattutto Tigran, come suo solito, ci dava dentro; al contrario di Vahram.

A un certo punto, ammorbidito dall’alcol, Tigran iniziò a parlare. «Però devo ammettere che non è da tutti avere il coraggio di mettersi contro un conte. Hai fegato, aper!»

«Anche Elenie ha avuto molto coraggio.» Lo rimbeccò Vahram. «Si è opposta al figlio del conte.»

Tigran si mise a ridere. «Hahaha! Chi non si sarebbe rifiutato di andare a letto con quella schifosa palla di lardo?!» Poi si rivolse a Elenie. «Se io fossi stato al tuo posto, gli avrei cambiato la faccia con un manrovescio! Lo avrei fatto diventare ancora più brutto!»

La ragazza sorrise leggermente imbarazzata, non sapendo come rispondere a quel rozzo guerriero.

«Forse l’avresti reso più bello.» Disse Vahram, ridendo.

«Hahaha! Hai ragione, amusin.»

Il nano insistette per offrire da bere anche a Vahram.

«Be’, ti ringrazio, achper... Di solito non bevo, ma data l’occasione... E va bene.» Disse infine, sorridendo. «Se proprio insisti, non posso rifiutare. Gradisci un po’ di agnello? Coscia?»

Aspettò una risposta dal suo nuovo amico, poi continuò la conversazione.

«Perdona la mia curiosità, ma dal tuo aspetto è chiaro che non sei una persona comune. Qual è la tua storia, aper?»

CITAZIONE
Ecco qui. Ho cercato di seguire quello che avevamo concordato. La scena finisce in taverna. Se ho fatto qualche autoconclusione che non volevi, mi scuso.

Inserisci pure liberamente le battute del tuo pg tra quelle che ho aggiunto io, in risposta alle singole. Io per esempio riporto anche le battute dei tuoi post per dare più linearità al dialogo, senza però interrompere ciò che vuoi dire (o almeno ci provo). Ruola pure come vuoi la parte in piazza e la parte in taverna col tuo pg e gli npg. ^_^

Come sempre, scusa per eventuali errori; con il piede infortunato ho un po più difficoltà a stare al pc.
A te la penna! ^^


 
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Ydins
view post Posted on 9/1/2014, 01:19




Unione anti schiavista - Forzare la barra.



Località: Perwaine.
Orario: 13:32
Stagione: Inverno
Status progetto: Prima fase - Esplorazione.



Più quell'uomo parlava, più la stima di Ydins cresceva nei suoi confronti. I suoi atteggiamenti, il suo modo di esprimersi verbalmente addirittura il suo gesticolare sembrava essere interessante. Quella era una figura da non sottovalutare e l'urbanista era certo di aver appena trovato un valido alleato. Il suo collaboratore sembrava essere meno disposto a relazionarsi, ma tale gesto era comprensibile, dopotutto non tutti riuscivano a fidarsi del prossimo. Nella situazione dell'ex schiavo, probabilmente ancora ricercato dai nobili schiavisti dello Xuaraya, avere amici era importante, specie se potenti e capaci di ottenere risultati di quel tipo con una semplice conversazione, dotata di una forte impronta estorsiva, ma pur sempre una conversazione ai limiti del pacifico.

La schiava si rialzò e si presentò come Elenie che abbracciò Vahram senza esitazione, e poi ricambiò una carezza sulla ferita il nano in segno di gratitudine; era molto tempo che non riceveva dei gesti di affetto da qualcuno, una sensazione che più volte era stata facilmente sommersa in una tempesta di calci, insulti, frustate umiliazioni, oltre a tristezza dolore e altre sensazioni terribili. Quella mano calda, seppur ruvida, alterata dall'esecuzione di lavori pesanti non adatti ad una dama di tale bellezza, ma sicuramente eseguiti con una dignità al di fuori del comune.

Saliti sul carro del medico, il nuovo alleato dell'urbanista si dedicò immediatamente al trattamento delle ferite provocate dalle sferzate del conte lasciando al nano la scelta del luogo dove potersi godere una birra e qualcosa da masticare. La risposta fu una taverna conosciuta come “L'angolo di Begget”; un delizioso posto con uno stufato talmente buono da non voler lasciare neppure l'ombra di un avanzo. I tre invece decisero di condividere una coscia d'agnello, una scelta rivelatasi interessante, a giudicare dagli aromi emanati dal cibo posto sul piatto e contornato da dell'invitante brodino.

Accettò l'offerta di assaggiare un po' di quel fantastico piatto e ne rimase deliziato, avrebbe fatto lo stesso con il suo stufato, ma lo aveva finito in poche cucchiaiate.

Ascoltò con attenzione i suoi interlocutori, per poi dedicarsi ad una lunga, bibliografica risposta:

Credo che la persona che meriti complimenti qui sia la prode Elenie per la dignità fuori dal comune dimostrata.

Parole pronunciate con una leggera punta di orgoglio, ai limiti della solennità, ma tutte rigorosamente sincere, facilmente intuibili dallo sguardo fermo e cristallino dello sciamano.

La mia storia risulta essere abbastanza tranquilla fino a quindici anni orsono. Sono figlio di costruttori e progettisti, anche se ho trovato molto più interessante ideare un palazzo piuttosto che caricare pesanti massi per realizzarlo concretamente. Mi è sempre stato fatto notare un certo talento e nel villaggio dove abitavo con la mia famiglia e sono stato il responsabile della progettazione di quasi la metà delle sue case. Forme assolutamente semplici, dopotutto non sono un visionario, ma mai qualcuno ha avuto il coraggio di dire che un tetto costruito secondo le mie indicazioni abbia mai sofferto infiltrazioni prima dei dieci anni, tempo dopo il quale è necessario rinnovare i materiali che lo compongono, ne mai sono crollati o le stanze si sono dimostrate troppo grandi, oppure piccole. Insomma, la mia passione è quella di rendere piacevole il posto dove una persona vive e chiama con orgoglio casa.



Dovette concedersi una pausa, non voleva rischiare che qualcuno perdesse dei passaggi; cercava sempre di non essere noioso mentre parlava della sua passione, ma non riusciva mai pienamente nel suo intento.

Tuttavia, senza perdere una guerra, ne pestare i piedi a qualche signore della guerra, una notte mi sono ritrovato a dover osservare la mia casa bruciare e la mia consorte in catene, diretti verso il primo mercato di schiavi. Incapaci di difenderci, ci era stato arbitrariamente tolto il diritto di essere liberi e scegliere cosa fare delle nostre vite. Per dieci anni ho servito una famiglia, sono stato il diretto responsabile del loro benestare trasformandoli in una grande costruttrice di palazzi nello Xuaraya. Di solito, dopo aver terminato la piantina, dovevo aggiungermi agli altri lavoratori per spingere le pietre per la costruzione. Venivo costantemente umiliato, punito senza motivo, sempre se di punizione si può parlare.



I tre avrebbero compreso facilmente che il tono aveva assunto chiaramente del toni amari, ma non al punto di cadere nella tristezza. Parlava della sua storia, come se tramandare quel racconto potesse aiutare altri ad incamminarsi nella strada che aveva scelto per se' da uomo libero.

Dopo che mi è stata privata l'ultima cosa importante della mia vita mi sono convinto in una notte di plenilunio a fuggire, dando esecuzione ad un piano che avevo ideato in un momento di rabbia, ovvero facendo crollare la nuova casa dello schiavista sulla sua testa durante la festa di inaugurazione. Per far perdere le mie tracce ho passato sei mesi in una foresta, nella speranza di far credere ai miei inseguitori di essere stato sbranato da qualche creatura selvaggia. Immerso nella natura più pura e rustica, mi sono insegnato l'arte del combattimento osservando gli animali nelle situazioni di pericolo ed adattando le loro mosse al mio corpo. Inoltre mi sono fornito uno scopo da inseguire con tutte le mie forze.



Seguì l'ultima pausa prima di rivelare il suo sogno, si fidava di Vahram e poi era sicuro che nel peggiore dei casi sarebbe stato al limite deriso, ma era pronto perfino a quello. Era già sceso a patti con il proprio io interiore, avrebbe eseguito quel piano a qualunque costo.

Dopo essere scappato ho provato le gioie di una vita da compiere come padrone di te stesso ho capito che sarebbe stato troppo crudele da parte mia osservare in disparte ciò che sarebbe accaduto agli atri spostando la testa dall'altra parte. Dovevo intervenire e così mi sono imposto di agire ogni volta che vedo uno schiavo facendo di tutto per liberarlo.



Questa volta si avvicinò senza interrompere il discorso ed abbassò leggermente la voce, voleva evitare di essere ascoltato da orecchie indiscrete, solo coloro che sedevano al suo tavolo avrebbero dovuto sentirlo.

Il mio sogno è quello di costruire una città per gli schiavi, un luogo di speranza, un sogno da raggiungere. Dove non esistono relazioni di subordinazione se non quella di un genitore con un figlio. Per fare ciò ho bisogno di fondi, protezione ed un luogo adatto. Per questo viaggio, allo scopo di trovare il posto perfetto. Una pianura dal terreno sufficientemente solido da poter accogliere e sorreggere una grande città. Sono sicuro che quando questa notizia giungerà alle orecchie degli oppressi vorranno liberarsi ed io sarò li per aiutarli. Forse il mio progetto è folle, ma voglio mettere fine alla schiavitù, in qualunque modo possibile.



Deliberatamente aveva escluso la sua famiglia dal racconto, non avrebbe mai avuto il coraggio di rivelare la morte di suo figlio e della moglie, trapassati a causa di indifferenza ed una crudeltà senza pari. Non ce l'avrebbe fatta, ed il pugno destro che si strinse senza che se ne accorgesse avrebbe lanciato un segnale di monito ai suoi interlocutori. Aveva lanciato il dado, adesso aveva solo bisogno di ottenere un “sei” di approvazione. Lo avrebbero deriso, ignorato oppure ammirato ed appoggiato? Entro pochi istanti avrebbe avuto la risposta di cui aveva bisogno. Aveva un disperato bisogno di alleati su cui contare, un solo uomo non sarebbe mai riuscito a destabilizzare la schiavitù per poi farla abolire. Erano necessari diplomatici, uomini abili con le parole e Vahram sembrava occupare con una naturalità spaventosa quel ruolo.

A proposito, mi potresti dire che significa “Achpen”? Lo ripeti in continuazione e così sono rimasto incuriosito.

 
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view post Posted on 11/1/2014, 03:25
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(Vahram [pensato], Tigran, Ydins, Elenie, [aramano])


etpz



Vahram ascoltò con massima attenzione e vivo interesse la storia di Ydins. Le mire del nano e le sue ambizioni erano grandi. Non era come Vahram: la schiavitù aveva segnato la sua vita, ma non gli aveva tolto la speranza, anzi... aveva alimentato un grande fuoco in lui, un immenso desiderio di cambiare l’ordine delle cose.

Per Vahram “speranza” e “futuro” erano parole vuote. Gli schiavisti sulimani non avevano oppresso la sua vita, lo avevano spinto a credere che non gli servisse, che appartenesse a qualcun altro, che lo scopo ultimo della sua esistenza e la sua gloria risiedesse nel servire il proprio padrone.

Oramai non aveva più nessuno da cui ricevere ordini, era libero. Libero? No... nella sua mente era ancora uno schiavo. Non aveva sogni, desideri, pensava solo al prossimo problema che gli si parava dinanzi.

Non sapeva che farsene della sua vita, senza nessuno che lo istruisse su come usarla.

Però voleva cambiare. E dopo aver incontrato quel suo compagno ex schiavo, desiderò ardentemente di imparare cosa significasse davvero essere libero.

Il progetto del nano di costruire una città solo per gli schiavi era un’idea ambiziosa, non ci aveva mai pensato. Però gli sembrava fattibile.

«Dal mio punto di vista non mi sembra assolutamente qualcosa di impossibile, achper. Costruirla da zero forse però è un’impresa ardua. Il continente pullula di antiche città abbandonate. Trovarne una nascosta, fuori dall’influenza degli schiavisti, e costruire un nuovo centro abitato sulle sue fondamenta mi sembra una soluzione più semplice. Almeno credo... Io so solo che così facevano i pirati dei mari occidentali ogni volta che fondavano un nuovo insediamento. Così a prima impressione mi sembra un buon metodo. Poi non saprei... Io non me ne intendo, questa è solo una mia umile considerazione. Sei tu l’architetto.»

Si volse verso Tigran per chiedere una sua opinione, ma rimase amareggiato nel constatare che era già accasciato sul tavolo ubriaco fradicio, come al solito... Elenie cercava di svegliarlo scrollandolo con premurosa cautela, preoccupata per le sue condizioni.

«Lascialo stare, aghjik. Lascialo dormire, altrimenti si mette di nuovo a bere. Finisce sempre per ridursi così.»

Si era sempre chiesto perché bevesse così tanto. Praticamente tutti i mamūluk bevevano ogni volta che ne avessero l’occasione, si era sempre chiesto il perché. Forse per riuscire a dimenticare, per quel poco tempo in cui l’alcol faceva effetto, tutte le atrocità che avevano costruito le loro esistenze; i mamūluk vivevano unicamente di sangue e sofferenze, in questo consisteva la loro virtù. Era proprio il loro inumano stile di vita a renderli guerrieri sovraumani. Varham era un pecora nera, in qualche modo era riuscito a farsi una qualche ragione della sua vita miserevole di cui nemmeno lui avrebbe saputo dare una spiegazione. Si teneva alla larga da qualunque cosa gli offuscasse la mente, aveva un bisogno compulsivo di restare lucido. Era quasi una fobia, come se fare il contrario potesse costargli la vita.

Nonostante ciò, si sforzò di accettare di buon grado il generoso brindisi del suo nuovo compagno: una sola pinta non gli avrebbe fatto certo male. La gentilezza di un amico era ben più preziosa delle sue manie.

«Mi hai chiesto cosa significa... “achpen”? Ah, achper! Scusa, noi aramani siamo talmente usati a parlare così che spesso non ci facciamo caso. Adesso ti spiego: noi diciamo aper quando parliamo a un amico, o a una persona a cui volgiamo essere amici. Achper è invece un amico molto prezioso, come lo sei tu per me. Tigran invece è amusin, un mio fratello. Non fratello di sangue, quello è yeghbayr, ma fratello d’armi, un mio compagno di battaglie. Elenie invece è aghjik, “ragazza”; e se fosse un maschio sarebbe yeritas. Sehre invece è “signore”. Semplice.» Concluse flemmaticamente.

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Dato che Ydins gli aveva raccontato la sua storia, ritenne doveroso ricambiare narrandogli la sua.

«Be’... Cosa potrei dire invece su di me... La mia è una storia un po’ lunga, e decisamente sgradevole...»

Prese fiato e cominciò a raccontare. «Io vengo dall’Aramania, terra dei nobili cavalieri nomadi degli altopiani verdeggianti del Nord. Gli aramani sono da sempre stati un popolo isolato... non molti li conoscono. Con tutta probabilità presto saranno anche dimenticati... dato che sono ormai estinti. Le razzie degli schiavisti li hanno praticamente sterminati. Sono rimasti in pochi a vivere ancora nella nostra terra natia.» Un velo d’ombra segnò la voce del guerriero. «Non ricordo molto della mia famiglia. Avevo mio fratello Nenad, mia madre, mio padre. Avevo anche una sorellina. Mio padre e mia sorella morirono quando ero ancora un bambino, non rammento quasi nulla di loro. Ricordo solo che fu mio padre a insegnarmi a cavalcare e a tirare con l’arco. Dopo la sua morte, mia madre tirò su me e mio fratello maggiore praticamente da sola. Be’... Cosa altro potrei dire...»

Si bloccò. Aveva dimenticato molto della sua infanzia. Gli anni di schiavitù avevano cancellato quasi ogni suo ricordo di quei giorni felici. Passò sbrigativamente oltre.

«Poi arrivarono gli Shiiti, gli sciacalli del deserto. Schiavi guerrieri asserviti all’Impero Sulimano. Questo impero decenni fa era solo un piccolo regno, poi salì al trono la dinastia dei Sulimani, una famiglia nobili sultani che predicava la nobiltà e la supremazia della propria razza. Sancì che tutti i cittadini stranieri che abitavano le loro terre fossero fatti schiavi; solo gli appartenenti alla razza pura avrebbero avuto il diritto di vivere come liberi cittadini. Nel giro di due decenni quell’impero si espanse oltremisura, sconfiggendo e inglobando tutti i suoi antichi nemici. Per far fronte all’immensa massa di schiavi stranieri che andava aumentando anno dopo anno, idearono un valido modo per implementarli: creare un’armata di schiavi, una casta asservita di guerrieri plasmati dediti anima e corpo alla guerra. Così nacquero i mamūluk, gli schiavi guerrieri.»

Riprese fiato.

«Gli Shiiti erano un popolo di spietati predoni del deserto, cacciatori di schiavi da secoli. Schiavisti e schiavi a loro volta. Furono asserviti anche loro ai Sulimani come mamūluk, per catturare nuove reclute. Razziavano le campagne e i villaggi, stupravano le donne e poi le sterminavano senza pietà insieme ai vecchi e ai bambini. Mantenevano in vita solo la merce che ritenevano abbastanza idonea da impugnare una spada: cioè gli uomini giovani e forti. In cambio venivano ricompensati riccamente dai propri padroni. Una volta catturati, gli schiavi venivano rinchiusi in immense caserme fortificate, dove erano sottoposti ai più inumani addestramenti. Pratiche in grado di rendere un essere umano in un mostro senza volontà nel giro di un anno. Non tutti sopravvivevano a quelle spietate esercitazioni.»

Il suo volto si fece cupo.

«Anche io e mio fratello fummo catturati e condotti nell’Impero Sulimano. Avevo tredici anni all’epoca. Ci strapparono a nostra madre, non seppi mai che cosa ne fecero. Forse mio fratello aveva visto, ma non ebbe mai il coraggio di parlarmene. Tigran non ebbe la stessa fortuna: stuprarono e uccisero sua madre davanti ai suoi occhi. Poi, come offerta ai loro dei sanguinari, smembrarono suo fratello minore e impalarono ogni pezzo del suo corpo ai quattro angoli del villaggio insieme ai pezzi degli altri bambini del suo clan.»

Guardò Tigran, era una fortuna che stesse dormendo: quelle non erano cose di cui voleva sentir parlare. Vahram ammiccò verso di lui. «Non dirgli che te l’ho raccontato.»

Bevve un sorso di birra, poi proseguì. La sua flemma tornò normale. «Ci portarono in una caserma in mezzo al deserto e ci stiparono in celle maleodoranti di piscio ed escrementi. Non avevamo letti, dormivamo sulla nuda roccia e mangiavamo cose che avrebbero fatto inorridire anche i più disperati mendicanti di Portalorica. Ogni giorno ci svegliavano all’alba a suon di legnate, e di legnate ci massacravano dalla mattina alla sera; per temprare il nostro corpo, dicevano. Ogni settimana ci obbligavano a percorrere a piedi, sotto il sole cocente, i cinquanta chilometri di deserto che separavano la caserma dal centro abitato più vicino per ritirare le salmerie. Ce le mettevano in spalla e poi ripercorrevamo a ritroso tutto il percorso. Subimmo questo trattamento per un anno intero. Solo sei su dieci di noi sopravvissero a quelle torture, gli altri morirono di malattie, stenti, botte, fatica, stress... Poi cominciò il vero addestramento.»

Seguitò, parlandone tra il serio e il faceto, con una disarmante naturalezza, come se stesse raccontando di un bizzarro fatto accaduto mentre giocava a dadi il mese scorso. Come se quelle orrende torture fossero state per lui la tranquilla quotidianità. «Santi dei, quante se ne inventavano... Ogni giorno era come se cercassero di farti soffrire nei modi più crudeli possibili senza ucciderti. C’erano dei medici e dei torturatori eccezionali in quella caserma, sapevano farti ogni peggior cosa tu possa immaginare. Una volta ricordo che presero il mio gruppo e a ognuno di noi slogarono di netto entrambe le braccia. *CLACK* Uno strappo secco e preciso. Poi ci misero una spada in mano e ci obbligarono a combattere contro degli addestratori armati di bastone. O riuscivamo a difenderci in quelle condizioni, o ci beccavamo le legnate; che comunque ci beccavamo, perché che tu ti difendessi o meno non si fermavano. Anche se cadevi a terra inerme continuavano a colpirti. Poi be’, certo, imparavamo anche molta tecnica, ma il modus operandi in genere era questo: se dovevamo correre, ci bastonavano le gambe, se dovevi imparare a osservare, ti bendavano gli occhi, se dovevi... Insomma... quando finalmente sono uscito da quella scuola avevo quindici anni. E da lì per noi la strada sarebbe stata solo in discesa. Eravamo diventati veri guerrieri, ormai

Fece una pausa. Estrasse la sua lunga pipa e la accese, fumandola a boccate lente e ritmate.

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«Entrai a far parte del Reparto Cavalleria Leggera Aramana. Arcieri a cavallo, insomma. Essere un mamūluk non era poi così male. Dovevamo obbedire a ogni ordine senza protestare, pena punizioni severissime, ma potevamo tenerci parte delle ricchezze che saccheggiavamo.» Si protrasse verso Ydins, schermando la bocca con la mano in modo che Elenie non potesse sentire. «E anche le donne. Ma non guardarmi male: io non mi abbassavo a certe depravazioni.» Sussurrò serio, poi si risedette al suo posto. Non era chiaro se avesse detto o meno la verità.

«Be’, la guerra è la guerra, che ci vuoi fare? Se si vuole tenere a bada un’intera armata di soldati con un addestramento d’elite come i mamūluk senza dover temere una rivolta, bisogna concedergli qualche soddisfazione. Più ci si distingueva, più si era premiati. Io e mio fratello facemmo carriera. Dalla cavalleria leggera, io fui trasferito poi alle Squadre D’Assalto dell’Aramta dei Lancieri Neri. Truppe Speciali. In tutta la mia carriera, ho partecipato a 32 battaglie, più un numero imprecisato di scaramucce e missioni di vario genere. Mi chiamavano la Volpe degli Altopiani, e per un motivo ben preciso: non andavo nella mischia, ma puntavo sempre al pesce più grosso. Vuoi vedere le mie medaglie?»

Il guerriero si rimboccò le maniche, scoprendo un chiaro simbolo marchiato a fuoco sul polso sinistro e tutt’intorno alle braccia muscolose un impressionante stuolo di tatuaggi e scarificazioni a forma di cunei, punti e cerchi. Di quei simboli, diversi erano davvero tatuati, ma la maggior parte era impressa a fuoco direttamente sulla pelle.

«Mi dicevano sempre: “tu non sei un guerriero, sei un assassino.” Ognuno di questi simboli rappresenta un graduato morto. In dodici anni di schiavitù ho ucciso 112 tra ufficiali e capitani, 37 campioni, 13 maghi da guerra e 5 generali di tre regni diversi.»

Si ricoprì nuovamente le braccia.

«Poi infine fui comprato da un nobile e facoltoso medico suilmano, Yussuf Al’Sahid si chiamava. Diceva che avevo talento e mi insegnò tutto ciò che conosco ora. La scienza, la medicina, l'anatomia, l'alchimia... Era una brava persona. Restai al suo servizio per cinque anni, in cui non smisi di fare il mio lavoro. Ero il suo agente favorito. Se c’era un problema da risolvere, io ero il suo uomo.»

Il suo viso tornò a oscurarsi.

«Poi all’improvviso tutto finì. L’Impero Sulimano fu spazzato via da un colpo di stato mal riuscito. Il Gran Consigliere Imperiale evocò dagli inferi un signore dei demoni per ribaltare la nuova imperatrice, porre fine alla dinastia sulimana e salire al trono, ma perse il controllo delle creature che aveva evocato. La capitale fu invasa e saccheggiata da un’orda di demoni e non morti. C’ero anch’io lì quella notte. Il mio padrone morì ucciso nel sonno, non feci in tempo a proteggerlo. Io insieme a Tigran e altri miei compagni sopravvissuti riuscimmo a scappare dalla città facendoci strada combattendo quei mostri. Fuggimmo attraverso il deserto, poi ci imbarcammo al primo porto che incontrammo sulla via. Ognuno con una meta differente. Io e Tigran arrivammo qui a Portalorica. Ed eccoci qua.» Concluse stiracchiandosi.

Elenie sembrava incredula e confusa. Si rese conto di essersi lasciato trasportare. Era la prima volta che si apriva così tanto a qualcuno dopo la fuga da El Kahir. La sua vicenda era deprecabile, sperava di non aver destato disgusto nel suo nuovo amico. Quella purtroppo era la storia della sua vita, non poteva cambiarla.

Il suo volto si fece mesto. «Sì, lo so. Non è una bella storia da raccontare... ma non l’ho scelta io questa vita. Anch’io ho perso molti miei amici, molti miei compagni. Persone a me care... Seppure il mio cuore batta ancora, sono morto nell’anima. Hai davanti un miserabile reietto che trascina la sua vita facendo i lavori più infimi. Non mi stupirei se ti suscitassi disprezzo.»

 
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Ydins
view post Posted on 11/1/2014, 10:38




Unione anti schiavista - Considerazioni serali.



Località: Perwaine.
Orario: 18:??
Stagione: Inverno
Status progetto: Prima fase - Esplorazione.



Devo ammettere che sono lusingato dai tuoi complimenti, ma allo stesso tempo rattristato da quest'ultima frase. Provo un profondo disprezzo per chi ti sloga le braccia e ti fa combattere, provo disprezzo per chi mi ha chiuso per sette giorni in una botte di vino per averne fatta cadere una, provo disprezzo per qualunque persona si faccia gioco delle libertà altrui, trattando gli schiavi come meno di semplice merce, perché non ho mai visto nessuno prendere a frustate vasi o bottiglie di vino.



I suoi occhi avrebbero rivelato un misto di rabbia ed odio, era facile comprendere che la schiavitù era giunta nella sua vita in un momento avanzato, facendolo soffrire ancora di più per la perdita della libertà, ma soprattutto per la dipartita dei suoi cari (cosa che non aveva ancora detto all'amico).

Per quanto riguarda la storia della città in effetti hai ragione. Il metodo che mi hai raccontato è valido, anche perché in caso di espansione, si sarebbe certi che il basamento dovrebbe resistere a maggior peso.



C'era un “ma” e non avrebbe lasciato l'alleato sulle ceneri ardenti per scoprirlo.

Tuttavia sono sicuro che ci siano moltissime persone che hanno dato tutto agli schiavisti per sopravvivere come fedeltà, obbedienza, conoscenza, potere ed addirittura affetto, ma sono una minoranza quasi impercettibile in questo mare di maltrattamenti. Credo che tanto noi...



Diede un'occhiata ad Elenie, solo un rapido sguardo per far capire che stava pensando a lei mentre stava discutendo.

… quanto i nostri compagni che dobbiamo ancora liberare domani dal conte abbiano bisogno di un nuovo inizio. Se possibile voglio donar loro un'abitazione nuova, esclusivamente loro. Spero solo che abbia le forze di portare a termine questo progetto.



In realtà c'era una seconda motivazione per rifiutare un piano tanto intelligente. Gli schiavi erano persone a cui era stato tolto tutto e per questa ragione uno dei primi desideri sarebbe stato giusto quello di rivendicare il più possibile. Perché due schiavi liberati, quindi uguali avrebbero dovuto avere case diverse? Ciò potrebbe generare invidia, risentimento ed altre influenze negative che potrebbero minare l'unità di quella città. Perché il progetto della nuova città funzionasse, era necessario, anzi, obbligatorio fornire a tutti le stesse condizioni e privilegi.

Fece un cenno all'oste per portargli altre due birre, visto che Tigran sembrava essere fuori combattimento ed Elenie gli fece capire che non aveva voglia di bere altro. Nell'attesa si concesse il lusso di ripensare ai suoi passi negli ultimi mesi. Aveva trovato uno scudo a Taanach, ma prima aveva dovuto lottare per far parte del clan Goryo. Poi aveva trovato un nuovo alleato che aveva condiviso un passato molto più tragico del suo e di cui poteva fidarsi. Rimaneva una sola questione in sospeso, ovvero il conte.

Senti, adesso come la mettiamo con il nostro amico conte? Ci sarebbe uno scambio da seguire e dubito che il nobile abbia voglia di liberarsi di forma gratuita della mercanzia. E tu Elenie, cosa pensi di fare adesso che hai ritrovato la tua libertà?



Quella sarebbe stata l'ultima domanda di quella giornata, iniziava ad essere stanco ed aveva bisogno di riposare. Aveva l'impressione che domani non sarebbe stata una giornata facile.
 
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view post Posted on 11/1/2014, 17:24
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Aper army
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(Vahram [pensato], Tigran, Ydins, Elenie, [aramano])



Sì, sentii sollevato. Sebbene le loro storie fossero molto differenti, i due ex schiavi riuscivano ad intendersi a meraviglia.

«Mi sento di darti un altro consiglio, achper, anche se forse si tratterà di qualcosa che conosci già.» Rispose Vahram. «Tra gli schiavi si possono trovare persone provenienti dalle più disparate formazioni professionali, come te e me. Anche tra i manovali possono celarsi fabbri, armaioli, sarti, artigiani, agricoltori... Persino il comandante del Cartello Mamūluk, Zuben, prima di diventare schiavo guerriero lavorava come contabile in un laboratorio tessile in Turkmania. Più gente e professioni riusciremo a radunare, più possibilità avremo di costruire una comunità solida. Nei prossimi giorni ne parlerò anche al Cartello. Di certo saranno disposti ad aiutarci. Un braccio armato come il nostro potrebbe rivelarsi estremamente utile.»

Era ben intento a proseguire quel progetto. L’idea di ricostruire una nuova famiglia lo riempiva di una piacevole emozione nuova, spontanea. Qualcosa che aveva ormai dimenticato da tempo: la gioia.

Ydins riprese a parlare. «Senti, adesso come la mettiamo con il nostro amico conte? Ci sarebbe uno scambio da seguire e dubito che il nobile abbia voglia di liberarsi di forma gratuita della mercanzia.»

«Io non parlo a vanvera.» Replicò Varham con tono serio e eloquente. «Il conte domani porterà i suoi schiavi nel posto prestabilito, con tutti i documenti che li riguardano.» Assaporò con sorsi misurati la sua birra. «E se non lo farà, sarà peggio per lui. Non sa con chi ha a che fare.»

Se il conte non avesse rispettato i patti, non avrebbe avuto nemmeno il tempo di pentirsi. Vahram non si sarebbe disturbato a scomodare gli uomini di Tigran, gli avrebbe piantato volentieri lui stesso una freccia nel cuore; e gratis, per giunta.

Ydins infine si rivolse alla ragazza.

«E tu Elenie, cosa pensi di fare adesso che hai ritrovato la tua libertà?»

La mezz’elfa fu presa alla sprovvista. Tutti gli avvenimenti di quella giornata accaddero tanto repentinamente da lasciare la ragazza alquanto spaesata.

«I-Io...? Non saprei, ecco... Non ho la minima idea di dove sia la mia famiglia. Lavoro nella casa del conte da quando ero piccola. Ho solo mio cugino Letho. E anche i miei amici, che si trovano ancora nella casa. Sono preoccupata per loro... Spero che il conte non gli faccia nulla dopo ciò che è successo oggi... Al momento non riesco a far altro che pensarci.» Disse, congiungendo le mani, angosciata. «Spero che domani il conte mantenga la sua parola... Non potrei mai sopportare se tutti dovessero soffrire per causa mia... Non voglio nemmeno immaginare in che modo il conte potrebbe ritorcere la sua rabbia su di loro. Una volta riuniti potremmo restare con voi. Non sappiamo fare molto, soprattutto io... però sappiamo badare a noi stessi! Vi assicuro che non vi daremo fastidio!» Dichiarò, estasiata. «Ydins, il tuo progetto è incredibilmente affascinate! Dare il massimo per aiutarvi dopo ciò che avete fatto per noi mi sembra il minimo! Va bene?»

Vahram anticipò Ydins. «Io non ci vedo nulla di male, achpers. Finché non troviamo la nostra città, potremmo ospitare gli schiavi liberati al Cartello Mamūluk, noi abbiamo sempre pronti dei letti liberi e dei lavoretti pagati. Niente di criminoso, ovviamente. È un posto sicuro, non preoccuparti.»

Poi si rivolse al nano. «Stasera è meglio che anche tu dorma al Cartello. Dopo la nostra impresa di oggi, è meglio addormentarsi tra amici che con degli sconosciuti. Sarai nostro ospite.»

La serata procedette tranquilla. Quando videro che l’ora si era fatta troppo tarda, Ydins e Elenie aiutarono il povero Tigran a sdraiarsi dentro al carretto e partirono alla volta del Cartello Mamūluk dove li aspettavano delle stanze accoglienti e dei letti morbidi. Elenie passò la sua prima notte da libera nell’ansia, in attesa della fatidica mattina.

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Il giorno dopo, prima di mezzogiorno Vahram e Ydins raggiunsero puntuali il luogo dell’incontro, ma ad attenderli non trovarono gli schiavi e i documenti, ma una decina di sicari prezzolati pronti a scannarli. Erano solo dei poveri tagliagole di strada, pagati una miseria per fare lavoretti sporchi senza fare domande.

Inutile dire che i due ex schiavi gli tolsero di mezzo in men che non si dica.

Il conte non aveva rispettato l’accordo e aveva ben pensato di dare una bella lezione a quei luridi miserabili che lo avevano oltraggiato, sottraendogli pure una delle sue schiave più preziose.

Vahram però manteneva sempre la parola. Quella notte i due ex schiavi avrebbero preparato al conte una bella sorpresa.

Ecco fatto il mio ultimo post prima della sortita nella casa. Scusa le autoconclusività nei tuoi confronti.

 
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view post Posted on 16/1/2014, 18:11
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Aper army
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I due ex schiavi, Ydins e Vahram assalirono la villa del conte, liberarono gli schiavi e uccisero il nobile schiavista e sua moglie.
Difficilmente la città di Portalorica scorderà questa vicenda.

Qui sono narrati i fatti accaduti quella notte dal punto di vista di ognuno dei protagonisti:

Ceppi troppo pesanti.
Ydins ~ L'assalto alla villa e la liberazione degli schiavi


Una causa per cui uccidere.
Vahram ~ L'infiltrazione nella camera padronale e l'assassinio del conte Fernand Kuhbach.


 
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Ydins
view post Posted on 19/1/2014, 02:06




Unione anti schiavista - L'inizio non è male.



Località: Portalorica - Perwaine.
Orario: 18:49
Stagione: Inverno.
Status progetto: Prima fase - Esplorazione.



Il piano era riuscito, con un paio di contrattempi, come quell'allarme dato dalle donne intente a stendere, attirando così l'attenzione delle guardie. Il ritrovo era stato fissato nuovamente all'angolo di Gebbet. Il nano era giunto nella locanda prima dell'orario previsto e si era permesso di chiedere una salsiccia di tacchino oltre ad un bicchiere di birra. Si permise inoltre di ascoltare le conversazioni, c'erano pochi posti in una città dove le notizie correvano con più celerità ed uno di questi era indubbiamente uno di quelli dove scorreva alcool. Quale miglior olio per lingua del vino e della bionda leggermente fermentata versata in un boccale da una pinta?

La notizia del giorno era l'assassinio del conte, risultato ovvio, ma ciò che di più lo incuriosì è che molti collegarono l'avvenimento ad un antico debito del conte con la malavita locale. Praticamente la quasi totalità degli “informatori” escluse a priori il furto, poiché non furono uccise le donne di servizio, ne gli altri inservienti, le uniche vittime furono le guardie, la guardia del corpo Christian Rebic, il nobile e moglie. Il figlio era miracolosamente scampato all'abbraccio dell'oscura mietitrice e si era guadagnato una nuova cicatrice. Solo un tavolo parve avvicinarsi alla verità in maniera terribilmente pericolosa. Un mezz'orco disse di aver sentito la governante parlare di un intruso e le donne di servizio invece videro un nano scattare nella piazzola della fontana in direzione l'ala ovest, dove erano rinchiusi gli schiavi durante la sera. Quasi con la stessa perizia di un detective disse di ricordarsi di aver visto nel giorno precedente una donna venir punita dal conte e due persone si intromisero riuscendo a far liberare la donna, oltre a chiedergli di liberare gli altri. Disse che probabilmente lo scambio non era avvenuto e questi avevano dimostrato di fare sul serio.

Quella versione era sicuramente la più vicina al vero, ma anche esposta in assoluta minoranza. Non gli piaceva l'idea di andarsene da Portalorica, abbandonare il Perwaine per far calmare le acque, ma era anche la scelta più giudiziosa e sicura. Si, avrebbe proposto la stessa cosa al suo compagno nella lotta contro lo schiavismo.

Quando Vahram fosse finalmente giunto avrebbe comunicato senza indugio a voce bassa in modo da non avere altri ascoltatori oltre a quelli “invitati” al tavolo.

Ciao Vahram, abbiamo mandato un chiaro messaggio a chiunque voglia opporsi alla nostra causa o comunque cercare di fregarci. Qui ne ho sentite di tutti i tipi riguardo la morte del conte, ma uno si è avvicinato tanto da fare praticamente centro. Credo che per almeno sei mesi mi dovrò allontanare. E' un peccato, qui ci sono degli edifici interessanti da cui trarre idee.



Disse con un tono sinceramente dispiaciuto. Aveva imparato molto, ma doveva rimanere ancora in vita per portare a termine il suo scopo.

Senti, ho intenzione di farmi un giretto a Dorham, mi hanno detto che sia una città discarica. Potrebbe tornarmi comodo capire come possa una città, migliaia di vite e centinaia di case reggersi sui rifiuti. Ho bisogno di studiare questo caso. Che ne dici se ci ritroviamo la fra circa sei mesi? Nel frattempo proverò ad identificare degli altri obiettivi che meritano le nostre attenzioni.



Vahram poteva comprendere dallo sguardo del nano quanto il progetto di creare quella città per schiavi gli stesse veramente a cuore; avrebbe creato quel posto di pace e fratellanza, ma prima di fare ciò doveva trovare il posto perfetto ed approfondire ulteriormente le sue abilità legate all'ingegneria ed architettura. Non aveva mai progettato niente diverso da palazzi, adesso invece avrebbe dovuto pensare a strade, fogne, illuminazione, giardini, mura, protezioni, facilità di procurarsi risorse ed altri aspetti che non potevano essere sottovalutati ne affrontati senza la dovuta pianificazione.

Finalmente avrebbe iniziato a rendere onore al suo soprannome, ovvero l'urbanista.
 
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view post Posted on 19/1/2014, 20:40
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Aper army
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(Vahram, Ydins)



Vahram tornò nel carro e si cambiò i vestiti; non poteva girare per le strade con gli indumenti sporchi di sangue. Poi, scivolando tra le ombre dei vicoli bui dei bassifondi di Portalorica, raggiunse più rapido che poteva la locanda “L’angolo di Begget” e cercò di entrare con più disinvoltura possibile. Ydins era già lì ad aspettarlo seduto a un tavolo, davanti a una succulenta salsiccia di tacchino e un boccale di birra.

Si avvicinò e si sedette davanti a lui. A quanto pareva, anche lui era riuscito a compiere la sua missione senza troppi problemi.
Stava per raccontargli sottovoce dell’esito della missione, quando le chiacchiere degli avventori circostanti lo distrassero.

Stavano parlando di loro. Gli bastarono poche parole per capire che anche la sortita di Ydins era andata a buon fine. Quelle voci però non lo preoccupavano, aveva già pianificato di partire al più presto; doveva sparire per un po’, giusto qualche mese, finché le acque non si fossero calmate.

Avrebbe assistito il suo nuovo amico, certo, però a quanto pare Ydins aveva già anche lui in mente di lasciare la città.

«Ciao Vahram, abbiamo mandato un chiaro messaggio a chiunque voglia opporsi alla nostra causa o comunque cercare di fregarci. Qui ne ho sentite di tutti i tipi riguardo la morte del conte, ma uno si è avvicinato tanto da fare praticamente centro. Credo che per almeno sei mesi mi dovrò allontanare. E' un peccato, qui ci sono degli edifici interessanti da cui trarre idee.» Gli disse, appena Vahram si sedette.

«Mi sembra una scelta saggia, achper.» Rispose prontamente Vahram. «Anch’io mi ero già preparato a lasciare Portalorica. Però partirò domani, ho ancora alcune faccende da sbrigare qui in città. Ho intenzione di lasciare l’Akerat e andare a Nord, alla scoperta di nuove città in cui lavorare e alla ricerca di nuovi contatti.»

«Senti, ho intenzione di farmi un giretto a Dorham, mi hanno detto che sia una città discarica. Potrebbe tornarmi comodo capire come possa una città, migliaia di vite e centinaia di case reggersi sui rifiuti. Ho bisogno di studiare questo caso. Che ne dici se ci ritroviamo là fra circa sei mesi? Nel frattempo proverò ad identificare degli altri obiettivi che meritano le nostre attenzioni.»

«Uhm, Dorham dici? Si potrebbe fare. Lev, achper. E sia. A Dorham tra sei mesi. Nel frattempo non preoccuparti: i miei amici sapranno trovare un posto sicuro per Elenie e gli altri schiavi che hai liberato.»

I due amici si strinsero la mano con nuova ed entusiasta unità e ardore. L’impresa di quella notte aveva risvegliato nei due amici una nuova speranza, una nuova fiducia.

Quella fu l’inizio di una lunga e impervia strada, di un’ardua battaglia, di un sogno ambizioso.

Quando i due amici si separarono con il proposito di incontrarsi ancora, una nuova fiamma ardeva nei loro cuori.

Quella notte nacque il Popolo dei Fratelli Liberti.

 
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