Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

The Sting

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Il Senzanome
view post Posted on 18/1/2014, 20:49




pov: Hal {png}

« Birra. »

Il barista si girò per mandarlo a quel paese... poi continuò a girarsi quando lo ebbe visto con attenzione. Capita quando ci si pulisce le unghie con un coltello da macellaio lungo quanto il suo avambraccio. Ancora più se suddetto coltello risulta sporco di macchie marrone scuro, come ruggine - o sangue. Il suo viso barbuto si aprì spontaneamente in un ampio sogghigno quando l'uomo dietro il banco, un omone dalla vita come un barile e con due braccia robuste come ciocchi di legna, occhieggiò preoccupato prima l'arma e poi il suo viso. Sentiva una sensazione di giustezza pervaderlo, la lieta consapevolezza che quanto stava facendo era ciò per cui era nato.

Fanculo Killibert Gnam, fanculo i nidi di demoni, fanculo ad "Harmond Joll" e fanculo pure a quegli altri due imbecilli! Lui era Hal Brosnar, il fottuto Macellaio di Belspur. Lui -lui!- aveva ammazzato quarantatré persone in un mese e scaraventato l'intera dannata città nel terrore prima che lo acciuffassero. Il coglioncello lo aveva tirato fuori dal gabbio prima che lo impiccassero? Bene, bravo, grazie - e fanculo! Dopo la storia di Aberan non si sarebbe avvicinato a cento metri dal bastardo. Tranne per sgozzarlo e nutrire i porci con le sue viscere, s'intende.

Il grattare del vetro sul legno del bancone lo distolse da una lieta fantasia con cui uno spilungone dagli occhietti azzurri e i lineamenti carini si ritrovava bruscamente senza naso, occhi oppure orecchie. Prese il boccale senza guardare né ringraziare, lo portò alle labbra e tracannò nettare amaro come un pupo alle tette della madre. Ah, sapore di libertà! Faceva diventare tutto più bello e scintillante, come polvere d'oro gettata sul mondo. Era un uomo libero, adesso: libero di ubriacarsi, andare a puttane, sgozzare chiunque volesse. È perché no, forse poteva iniziare da quel buco di cittadina...
Fu solo quando ebbe finito il boccale che lo vide.

« Sput! »

Sputò di colpo tutto quello che aveva in bocca, annaffiando il barista. Un sol istante per riprendere fiato, poi lo sfortunato omone si ritrovò acciuffato per la collottola e quasi scaraventato oltre il bancone, venticinque centimetri di acciaio intrisi di tetano infilati su per la narice fin dove era possibile senza trarre sangue e il suo alito fetido sibilante a muso e naso.

« Chi ti ha detto di metterlo nel boccale, eh? » ringhiò. « CHI?! »
« N-n-non h-ho f-f-f-fat-t-to n-n-nulla i-io, l-le a-a-assicuro c-che... »

Urlò come un pazzo, gettando il barista terrorizzato - e inutile, cazzo! - a terra con un impeto bestiale. I suoi occhi folli di rabbia dardeggiarono nel locale facendo abbassare sguardi e alzare mani ai pugnali - ma no, non era lì.
Uscì dalla locanda come un indemoniato, guardando in strada in entrambe le direzioni. Nulla! « Dannato bastardo figlio di puttana...! » sibilò.

Un tizio lo guardò come si guarderebbe un folle, la mano sull'elsa dello spadino da signora che l'effeminato portava alla cintola. Hal scoprì i denti, mandandolo a ruzzolare all'indietro e scappare di corsa per la strada, poi si diede una calmata e si pulì la bocca col dorso della manica. Il coltellaccio tornò nel suo fodero, nascosto alla vista dei passanti. Aveva già dato abbastanza spettacolo.

Lentamente abbassò lo sguardo sul boccale, ancora stretto nella sua sinistra, e sul foglietto incollato - chi sa come! - sotto il fondo.

Φ
L'ingratitudine potrebbe condurti alla morte. Forse é meglio se raggiungi i tuoi amici.


pov: Tapster

La città, quale splendido campo di battaglia.
Affaccendati in quel labirintico intreccio di vicoli e viuzze v'è un nugolo di calzolai, bottai, armaioli, stallieri, commercianti, lavandai, guardie cittadine, mercanti e mercenari intenti a dare collettivamente vita al più intricato dei meccanismi viventi. Sono mille ingranaggi ognuno movente al proprio ritmo, scopo e intento, che si avvicinano e si scontrano in tutti i modi dell'iterazione umana: che sia il cortese inchino rivolto da una guardia ad una gentile signora di passaggio poco più in là o un meno cortese « E 'sta un po' attento dove cammini! » gettato da sopra la spalla da poco entrata in collisione col tuo petto. Ma che tu sia un nobiluomo o il peggiore dei malfattori, c'è una cosa che ti accomuna agli altri: un posto da chiamare
casa.

Può essere una reggia o una parca stanzetta in una locanda, o persino il fondo lastricato di stracci di un vicoletto umido, non importa - purché sia tuo, solo tuo, un santuario ove ripararsi del mondo esterno. Non questa volta, perché nella tua casa c'è qualcosa di estraneo.

Monete, conio di Basiledra, messe in bella vista su una superficie prima vuota - e un biglietto.

Φ
Ti ho osservato negli ultimi tempi. Hai buone qualità talento e sei tenace - ma puoi fare di meglio.
"Le mille grazie", Laslandes nord, il 15 alle 9 di sera. Chiedi di Rosanna.


pov: Al Pachouli

La lettera era nella cassetta dei ferri chirurgici.
Un semplice rotolo di pergamena stretto attorno ad un bastoncino di legno e tenuto chiuso da un singolo tratto di corda. Inserito - deliberatamente, è ovvio - nei possedimenti personali del medico assieme ad una singola moneta, conio di Basiledra.

Al signor Azed,
Spero che mi possa perdonare per questa intrusione dei suoi spazi personali: temo che la scarsità di tempo mi privi di opzioni più educate. Necessito dell'operato di persone in possesso di competenze estremamente specifiche anche se non del tutto legali, e mi è giunta voce che un suo "amico" potrebbe essermi di grande aiuto.
Qualora egli sia interessato ad una serie di incarichi altamente remunerativi, la prego di comunicargli di presentarsi a "Le mille grazie" alle ore nove del 15 c.m., chiedendo di una certa Jasmine. La signora saprà condurlo in un luogo riservato ove discutere di aspetti poco prudenti da affidare al semplice inchiostro.
Ringraziandola anticipatamente,
Φ



pov: Garret

La prima regola nel camminare in quartieri malfamati è mai dare retta ai mendicanti.
« Signore! » Di tutte le specie e sottospecie che abitano le stradine, le viuzze e i vicoli poco raccomandabili delle città del continente di asgradel, essi sono di gran lunga i più seccanti, rognosi, infidi e azzeccosi.« Signore! Signore! Signore! » Cedere alla tentazione significa automaticamente lanciare un razzo di segnalazione in cielo capace di attirare come per magia ogni accattone e mendicante nel raggio di chilometri, assicurandosi l'accerchiamento da parte di un cospicuo capanello di forme mal vestite e assai maleodoranti. « Signore! Signore! »
Certo, se quei mendicanti sono anche bambini...

« Signore! Signore! Signore! Signore! »

...allora il destino è segnato: circondato, come nel peggiore degli incubi. Decine e decine di braccia scure (e non per la carnagione della pelle) che s'innalzano a palmo rivolto verso il cielo, come un muro di picche invalicabile anche al più glorioso dei cavalieri, ognuno protesa da un piccolo demonieto saltellante e squittente caricato a molla. Oh, e c'è anche lei:

la bambina.

« Signore, questa è per lei. »

Con estrema cura la bambina aprì il palmo dell'uomo e vi infilò un piccolo sacchetto di tela, richiudendo la sua ruvida mano con delicatezza. Poi la bambina ridacchiò e scappò via. Meno di cinque secondi dopo il capanello di bambini era scomparso.
All'interno del sacchetto, una moneta d'oro coniata a Basiledra e un semplice biglietto:

Φ
Ne vuoi ancora? Ho un lavoro per te.
"Il Cammello Sputante", Laslandes nord, il 15 alle 9 di sera. Presentati come Rogard.


pov: Killibert Gnam

« E se non vengono? »

La moneta si fermò bruscamente nelle sue dita, paralizzata nel mezzo di un passaggio da indice a mignolo sulle nocche della mano. Non cadde; solo, rimase ferma.
Killibert Gnam alzò lentamente lo sguardo sul viso di Jonny Bo. Era giovane, vent'anni neppure, tuttavia già ladro di cavalli con esperienza decennale. Un professionista, per così dire: navigato ed esperto in un campo che vede i lupi solitari come lui, di solito, fare una brutta fine. Ora lo guardava spaesato, con una distinta nota di incertezza negli occhi - la stessa che albergava in quelli di Ron, seduto su una cassa a fare manutenzione a quella sua balestra.

« Verranno. » disse. « D'altronde, siamo venuti anche noi, no? »

La moneta riprese a girare fra le sue dita. Neppure un giro più tardi la porta segreta si aprì con uno schianto e un'ombra furibonda si frappose alla luce proveniente dal resto del bordello. « TU! » sputacchiò Hal, puntandogli contro uno dei suoi coltellacci da macellaio. L'assassino entrò a grandi passi nello stanzone, sbattendo alle sue spalle l'accesso nascosto. « Figlio bastardo di una cagna zoppa, non ti è bastato scaraventarci in un pozzo di demoni, eh? Cosa cazzo pensavi di fare, lurido... »

Oh, certo. si disse Killibert alzando gli occhi al cielo. « Hai ricevuto una moneta e un biglietto? » lo interruppe con un secco cenno della mano. « Entrambi in un posto che pensavi fosse sicuro al cento per cento? »

Hal si fermò di botto, l'attenzione calamitata su quello che reggeva tra le dita: una moneta.
Conio di Basiledra, ovviamente.

« Benvenuto nel club. » disse Killibert con uno sbuffo divertito.



Laslandes è l'unico avamposto dei Territori Meridionali ad aver resistito sia al deserto sia alle guerre, cosa che lo classifica immediatamente come la città più strategicamente importante del Sud per quanto riguarda i passaggi di merci e di denaro. A tal proposito: per "conio di Basiledra" intendo monete coniate e punzonate nell'Impero Toryu, ma non necessariamente provenienti dalla capitale.

Il Cammello Sputante non è (a dispetto del suo nome) una taverna da bassifondi, bensì una delle più grandi locande in città. Le mille grazie é un bordello del quartiere benestante, stile orientaleggiante. I due edifici non distano granché l'uno dall'altro.

Il nostro incontro si svolgerà in una stanza nascosta accessibile dalla cantina delle mille grazie. Il mio pg -Killibert Gnam- è già nella stanza, assieme a tre png chiamati Hal, Ron e Jonny. I metodi per arrivarci sono differenti per ciascuno di voi tre:
    Garret ~ Alla locanda ti danno una moneta d'oro identica a quella già ottenuta, una cassa di vino e l'indicazione di consegnarlo al bordello - la tua copertura è quella di garzone.
    Tapster ~ Tu vieni attualmente scortato come cliente dalla bella Rosanna;
    Vahram ~ Idem, ma con diversa 'dipendente'.
    Killibert ~ Io.

@Vahram: sono stato parecchio in dubbio su come contattare il tuo alter ego, ma considerato che é già successo che qualcuno collegasse i due -e che il mio pg é lui stesso un'identità segreta- ho ritenuto plausibile convocare Al Patchouli tramite il Dottor Azed.

Titolo:
CITAZIONE
The Sting
 
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Lenny.
view post Posted on 24/1/2014, 21:45




The Sting ~


Tapster si rigirò la moneta tra le dita, meditando su quanto fosse stato stupido e impulsivo da parte sua aver accettato una sfida del genere. Forse, avrebbe detto qualcuno della Terza Bolgia, aveva contribuito il fatto che lui fosse effettivamente un tipo impulsivo. E stupido. Ti ho osservato negli ultimi tempi. Hai buone qualità talento e sei tenace - ma puoi fare di meglio. Oramai conosceva a memoria il contenuto breve -sin troppo- della lettera trovata in casa pochi giorni prima così come non aveva la più pallida idea di chi e perché avesse osservato i suoi infruttuosi "lavoretti" messi in atto negli ultimi tempi a Basiledra. Un paio di furtarelli qui e lì scegliendo posti nei quali nessuno lo conosceva, anche se aveva sempre saputo fare del suo meglio con il borseggio. Che il mandante della missiva -la mandante- fosse una delle sue vittime? No, impossibile, almeno a giudicare dal tono lapidario della lettera. Certo è che allontanarsi dalla capitale per un po' di tempo in cerca di fortuna non era una idea malvagia, e il fatto di non avere una famiglia né chissà quale patrimonio da lasciarsi alle spalle avevano contribuito alla sua decisione finale. Decise di non decidere. Avrebbe lasciato la scelta completamente in mano alla sorte lanciando una di quelle monete in aria: testa o croce, partire o restare, rischiare o dormire.

« Croce. »

Mormorò sconsolato, ben conscio che ciò voleva dire restare a Basiledra. La sorte aveva deciso per lui di non partire, di ignorare il fatto che una certa Rosanna in quel momento residente a Laslandes, per qualche sconosciuto motivo, lo avesse seguito, osservato, spiato. Che questa persona si fosse intrufolata di soppiatto nella sua stanza al secondo piano della Terza Bolgia senza farsi vedere da anima viva, per poi lasciargli un biglietto che poteva significare tutto e niente.

« Bah..tanto sapevo che andava a finire così! »

Sbottò all'improvviso, già pronto a mettere mano alla sua sacca da viaggio.

__ _ __

Quattro giorni e mille imprecazioni dopo, Tapster si trovò finalmente tra le labirintiche straducole di Laslandes. La città era proprio come ne avevano parlato i mercanti della carovana a cui si era aggregato durante il viaggio: fetida, inospitale, feroce, incandescente. Come una baldracca da bassifondi. E tanto per restare in tema, fortunatamente non ci mise molto a farsi indirizzare al bordello delle Mille grazie. Diede una rapida risistemata al suo completo di velluto beige, che sfruttò per ripulirsi le lenti degli occhiali dalla polvere cittadina. Non avrebbe mai voluto entrare in un posto del genere con addosso l'aria trasandata dei viaggiatori. Si chiese se fosse davvero il caso di chiedere subito informazioni sulla fantomatica Rosanna che lo attendeva lì dentro. Ma il fatto che dopo il viaggio gli fossero rimasti solo pochi spiccioli e che fosse stanco e provato dal sole cocente del sud, gli fecero decidere di posticipare il tutto di un paio d'ore. Aveva bisogno di rilassarsi...e i bordelli erano pensati apposta per quello.

Non ci volle molto prima che le mille grazie, rendendo onore al nome del bordello, piombassero tutte assieme sul nuovo arrivato circondandolo con sguardi laidi carichi di significato e sussurri maliziosi. Una situazione che avrebbe causato rossore sulle guance di qualsiasi uomo ma che Tapster riuscì a gestire con malvelata indifferenza. Il suo sorriso si allargò da un orecchio all'altro mentre si rivolgeva al branco di donne moltodipocovestire che lo attorniava.

« Oh credetemi belle signore, in questo momento c'è una festa nei miei pantaloni, e vorrei davvero invitarvi tutte! »

Commenta ridacchiando, per poi rivolgersi alla più vicina e abbozzare un inchino, prendendole delicatamente le mani. Da perfetto teatrante, la sua espressione si fece improvvisamente triste.

« Ma ahimé, sono in cerca di una sola nascosta tra voi.. » Continuò, facendo scivolare una delle monete trovate in casa tra le mani della donna. « ..il suo nome è Rosanna..sareste così gentile da indicarmela? »

Un coro di gemiti scontenti risuonò attorno a Tapster, accompagnato da smorfie di dispiacere... e un risolino. Pochi istanti dopo un paio di mani si affacciarono da dietro le sue spalle, posandosi delicatamente sopra gli occhi di lui.

« Salve, mio affascinante signore. » bisbigliò all'orecchio del ladro una seducente voce femminile. « Mi dicono che v'è una festa da lei: pensa che potrei avere un invito? »

« Mi creda, un evento del genere sarebbe più che piacevole. Per entrambi, ovviamente. »

Le rispose Tapster abbozzando un sorriso. Effettivamente -pensò- Rosanna o qualcuno a suo nome si era preso la briga di osservare le sue qualità a Basiledra, prima di recapitargli la missiva. Forse sarebbe stato quindi altrettanto interessante scoprire le qualità di Rosanna -sotto le lenzuola- prima di accennare alla lettera...ma sin troppo subdolo per i suoi gusti.Come diceva sempre suo padre "chiama cric un cric, e vanga una vanga. Ma non chiamare mai prostituta una prostituta: la loro vita è già difficile, e un po' di cortesia non fa mai male".

« Ma a essere sinceri qui il vero invitato sarei io. » Si portò una mano all'interno del pastrano ed estrasse la lettera, che porse a Rosanna. « "Tenace e talentuoso"...sono curioso di sapere in quale campo, mia signora. »

« Mio signore, penso sia ora di scoprirlo. » disse la donna in tono cospiratorio, sorridendogli lievemente. « Mi segua. »

Gli prese la mano e lo condusse oltre il foyer, scatenando una salva di risolini alle loro spalle. Si lasciarono alle spalle scale e paraventi, balconate chiuse da muri di filigrana e stanze delimitate solo da veli sottili... finché non giunsero nel seminterrato. Con efficienza Rosanna si diresse verso una delle pareti e schiacciò quattro mattoni in una sequenza precisa, aprendo una porta segreta nel muro. Con la mano indicò l'apertura.

« Ti aspettano. »

« E io che credevo fosse semplicemente attratta da me. Sapevo che ci doveva essere la fregatura. »

Tapster fece spallucce, tirando un lungo, sconsolato sospiro.

« Ad ogni modo è stato un piacere conoscerti, Rosanna. Arrivederci. »

Le disse infine, pronto a incamminarsi verso la porta. Mentre incespicsva goffamente nelle sue stesse parole, fu allora che Rosanna lo baciò. Un bacio in apparenza innocente, le labbra appena premute sulle sue guance. E fu allora che Taster sentì la carezza dei suoi capelli rossi sul volto e sul collo. Una parte di lui maledì il momento in cui aveva estratto la missiva, boicottando -almeno per il momento- una dolce notte passata sotto le lenzuola con la bella Rosanna.

« Al nostro prossimo incontro, straniero. »

Le sorrise di rimando e strizzò l'occhio, senza aggiungere altre -inutili- parole.
Per poi raggiungere la porta. Senza mai voltarsi indietro.



Edited by Lenny. - 25/1/2014, 19:18
 
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view post Posted on 27/1/2014, 14:00

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The Sting ~ Monete, vino e bordelli

Bambini, tanti bambini, troppi bambini avevano accerchiato il giovane ladro. Quando sparirono, il ragazzo prese aria nei polmoni, respirando di nuovo. Quella vista gli aveva riportato in mente la propria infanzia, vissuta per le strade.
Mai nella vita aveva chiesto denaro ma molti dei suoi amici erano stati mendicanti. Davanti agli occhi, scorrevano immagini di un passato mai dimenticato e doloroso. Fra i piccoli senzatetto, chi non riusciva a cavarsela veniva preso sotto l' "ala protettrice" di un ladro o una banda criminale e costretto a mendicare. Giornate intere passate sotto la pioggia battente, al freddo gelido o al caldo cocente in cambio di un pezzo di pane e un tetto sulla testa. La tragedia più grande però era vedere quegli stessi bambini mutilati, sfregiati, tenuti in condizioni pessime perché si ammalassero, alcuni sparivano; tutto questo, solo per un facile guadagno di aguzzini senz'anima.
Era la Capitale, una città-stato in continua crescita, che non si faceva scrupoli a lasciar indietro chiunque non fosse stato al passo.
Tornato al suo presente, Garrett aprì il sacchetto lasciatogli da una ragazzina; il contenuto era un messaggio e una moneta. Lesse il biglietto con attenzione, era un invito; rigirò la monetina nelle mani più e più volte, finché non divenne tiepida e non ne memorizzò forma, dimensione, taglio. Un'invito, un'incontro in una locanda. La cosa sembrava promettente.
Strappò immediatamente il pezzetto di carta, per sicurezza, prendendo la decisione di avviarsi immediatamente per il luogo dell'incontro, una locanda dal nome pittoresco.
Un paio di giorni prima dell'incontro, era già sul posto, in una città nel deserto. Si tenne a distanza, da buon ladro, sfruttando i tetti degli edifici circostanti, avrebbe cercato di prendere un vantaggio, seppur minimo, in caso di pericolo.
Il Cammello Sputante, questo il nome del posto, apparì al Ratto niente di più e niente di meno di una locanda, come ce ne sono a centinaia. In quel posto non c'era nulla di sospetto, nulla di anomalo, ad eccezione dei molti avventori che si trascinavano con loro molto denaro, pronto ad essere speso in traboccanti boccali di birra o nei migliori liquori che quel posto aveva da offrire. Alla sola vista dei clienti, che entravano ed uscivano, uno strano prurito attraversò le mani del ragazzo, fremeva per rubare qualcosa ma avrebbe aspettato. Il tempo per agire sarebbe arrivato.
Il giorno dell'incontro, Garrett attese, ben oltre il tempo necessario, che fossero passati svariati minuti dall'ora dell'appuntamento. Prima di fare la propria entrata in scena, sperava di riuscire a vedere un altro ladro, altri professionisti, come lui ma nessuno dei clienti che aveva visto passare per quelle porte diedero l'impressione di esserlo.
Varcata la soglia, il giovane si ritrovò davanti il suo desiderio proibito: un mucchio di tasche da svuotare e gente troppo allegra per reagire. La cosa era tanto semplice da sembrare una trappola: forse tutti, li dentro, erano ladri.
Gli abiti, riadattati per l'occasione, lo rendevano simile a qualsiasi altro avventore, semplici modifiche per passare inosservato. Questo, gli permise di nascondere i grimaldelli, legati alla cintura, sembravano semplici pendenti ornamentali, il mantello copriva lo spara-rampini fra le pieghe, persino l'armatura non sembrava più la stessa.
In fondo al locale, dietro il bancone, un uomo borbottava tanto forte da sovrastare il vociare dell'intera taverna, il viso contratto in una smorfia di rabbia, le guance si gonfiavano e sgonfiavano tanto velocemente da sembrare due piccoli motori a scoppio, di tanto in tanto, sbatteva un pugno sul bancone facendo tremare i bicchieri vuoti difronte a lui. Divertito dalla scena del pover'uomo che imprecava tutti gli dei che conosceva, nei modi più fantasiosi e coloriti che avesse mai sentito, Garrett si appoggiò al bancone, osservando il monologo scurrile finire, prima di attirare l'attenzione del locandiere e chiedere da bere. Quella sera c'era del lavoro da fare e un po' di coraggio liquido non dispiace mai.
Il locandiere servì il giovane, senza neanche guardarlo in faccia, mentre con gli occhi cercava qualcuno o qualcosa, che doveva esserci ma non c'era.

"Comunque, io sono Rogard.
Sono sicuro che avete qualcosa per me..."


Esordì Garrett, attirando l'attenzione del locandiere.
L'altro si girò, diventando paonazzo, gli occhi spalancati in un misto di stupore e rabbia, la bocca serrata non nascondeva il digrignare dei denti, evidente dalla mascella che incessantemente si muoveva in tutte le direzioni. Sbatté entrambi i pugni sul bancone, rovesciando boccali e bicchieri semivuoti sul piano ed iniziò ad urlare verso il ragazzo, lamentandosi del suo ritardo. Il Ratto fu stupito da tutto questo ma le risposte alle sue domande arrivarono con un calcio ben piazzato al suo fondo schiena, mentre veniva cacciato da una porta secondaria della locanda. Appioppatagli una cassa di vino, il locandiere spiegò al giovane, riferendosi a lui come ad un fattorino, dove consegnare la merce. Gli ordinò di volare, minacciandolo con la promessa di un calcio ancora più forte.
Garrett fu tanto stupito dall'accaduto che non riusciva a parlare e, quando l'altro ebbe finito di abbaiargli contro gli ordini, si girò in silenzio, guardando la cassa che aveva in mano. Una moneta gli fu infilata nella saccoccia e s'incamminò verso il bordello, destinazione finale del carico di vino.
Arrivato a "Le Mille Grazie", umiliato dell'essere trattato come un qualunque fattorino, il ragazzo evitò di proposito il portone principale, recandosi sul retro alla ricerca di un'altra porta. L'entrata di servizio era protetta da guardie dall'aspetto poco intelligente ma non fecero domande alla vista del ragazzo, sul cui volto era stampata un'espressione seccata. I buttafuori fecero un cenno al ragazzo, indicandogli la direzione da prendere, accompagnando il gesto con due parole: "di là".
Il lungo corridoio era affollato e brulicava, oltre che di guardie, di ragazze poco vestite che non si facevano troppi problemi a correre a piedi nudi sul pavimento freddo, a donare un sorriso, un occhiolino o anche solo un sguardo interessato ad un fattorino sfregiato con gli occhi di due colori diversi, i tanto in tanto, una di quelle sgattaiolava dentro una porta, chiudendola immediatamente dietro le spalle, oltre il legno e il metallo, in ogni stanza, la promessa di una notte di passione.
Garrett non sembrò neanche far caso al mondo di lussuria e piaceri che gli ruotava attorno , avanzando a passo deciso verso le cantine, dimenticando, di volta in volta, le nife zampettanti che gli passavano affianco: il lavoro, va svolto con professionalità, qualunque esso sia.
Arrivato a destinazione, nella penombra umida e fredda, non ebbe il tempo di guardarsi attorno per capire dove poggiare la cassa, che una voce alle suo spalle gli fece tendere le orecchie.

"Sei venuto!"

Il ladro si volto e dal buio emerse una ragazza, bella come poche, la sua voce riecheggiava cristallina nel vuoto. Non pensava che in quel posto avrebbe trovato qualcosa di così bello. Per un secondo si osservarono a vicenda. Se il Ratto avesse creduto nell'amore, non avrebbe perso tempo ad infatuarsi, invece, sorrise alla donna, squadrandola e soppesandola come avrebbe fatto con qualunque altro oggetto prezioso, un'opera d'arte di innegabile valore. Lei prese la cassa, avvicinandosi con grazia al ladro che cedette, senza troppo sforzo, il fardello. Una volta poggiata la cassa, quasi come se questa avesse fatto scattare un congegno, nel muro si aprì un passaggio nascosto.

"Io aspetto qui."


Disse la ragazza, invitando il nuovo arrivato ad addentrarsi nell'apertura.
Garrett indugiò un'ultimo sguardo per ammirare ancora una volta la bellezza esotica che aveva trovato in quella squallida cantina, quasi dispiaciuto di dover lasciare quel bottino in mani di altri, prima di voltarsi ed attraversare il buco nel muro.
 
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view post Posted on 29/1/2014, 17:27
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Aper army
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Է Խայթել ~ The Sting ~ Քրեական

(Vahram [pensato, lingua aramana], Jasmine, Killibert Gnam, Harmond Joll, prostitute.)



5rdp


«Aaah... Ma chi me lo fa fare...»

Vahram non si dava pace. Camminava avanti e indietro per la strada principale del quartiere a luci rosse continuando a stazzonare nervosamente con le sue grosse mani lo strano biglietto che aveva in tasca. Omar, il suo assistente, lo aveva trovato nella cassetta dei ferri chirurgici il giorno stesso in cui erano giunti a Laslandes. Probabilmente qualcuno doveva avercelo messo di nascosto mentre il medico si era allontanato in qualche vicolo a orinare.

Non che quel messaggio lo turbasse, certo che no, il nome del famigerato sicario e assassino Al Patchouli girava e rigirava in continuazione dalle bocche giuste agli orecchi giusti. Grazie ad amici fidati, lui stesso amministrava e indirizzava la rete di contatti tramite cui potenziali clienti sarebbero stati in grado di contattarlo. Ogni volta che si spostava, la notizia del suo arrivo lo precedeva anche di settimane. A dire il vero i tempi di comunicazione erano abbastanza mutevoli, in genere dipendevano dalle distanze o da su quanti contatti poteva contare nella città di destinazione. Nel Perwaine, ad esempio, non gli era difficile procacciarsi clientela.

Chiunque desiderasse i suoi servizi, poteva rivolgersi comodamente a una cerchia affidabile nel giro malavitoso del proprio comune di residenza. In seguito, i membri di questa cerchia – spesso essi stessi ex datori di lavoro o collaboratori di Al Patchouli – notificavano la richiesta a un certo Dottor Azad, un medico tuttofare itinerante che era stato indicato dall’assassino stesso come il suo contatto principale. E poi, hop! All’ora e nel posto stabiliti compariva un possente e taciturno guerriero nero dal volto coperto in grado di portare a termine qualsivoglia compito gli venisse chiesto.

Ben pochi avrebbero potuto collegare quel bonario e generoso medico dispensatore di ampi sorrisi e pozzo inesauribile di facezie all’efferato mastro risolutore dagli occhi gelidi, il freddo e cerusico architetto di piani impeccabili di nome Al Patchouli, detto la Volpe degli Altopiani.

Ma per chiunque sarebbe stato ben più impensabile anche solo immaginare cosa si nascondeva dietro al mutevole volto di quell’attore eccezionale. Non un sicario, non un ladro, non un assassino, ma un mostro temprato negli orrori della guerra, addestrato a sopravvivere in condizioni ben oltre i comuni limiti umani; un essere privo di sentimenti ed emozioni, strappatigli dall’anima sugli insanguinati e meravigliosi tavoli di tortura irti lame e tenaglie dell’Impero Sulimano. Una creatura plasmata tramite rigorosi metodi scientifici per divenire lo schiavo perfetto e il guerriero perfetto.

Un mamūluk.

Ogni medaglia e riconoscimento per i suoi meriti militari passati erano ancora ben visibili: marchiati indelebilmente a fuoco sulle sue braccia.

La sua età d’oro nell’Armata dei Lancieri Neri era ormai tramontata, sprofondata nell’oblio insieme all’Impero. Ora era libero, e ogni giorno che passava errando da città in città, da strada a strada, rispecchiandosi nella sofferenza dei disperati e nei sorrisi dei bambini, realizzava sempre più cosa significasse essere umano. Cosa significasse non avere un padrone.

Grazie alle formidabili qualità di trasformista acquisite in anni e anni di servizio nelle Squadre Speciali Mamūluk, tentò di vivere l’esistenza che più si addiceva alle sue capacità. Il Dottor Azad forse era l’espressione di un suo qualche inconscio desiderio di essere normale, di svolgere un lavoro che lo ripagasse con nuove effusioni di sentimenti: altri sorrisi, altri ringraziamenti, altra riconoscenza... Premi che gli sembrava di non aver mai ricevuto in vita sua.

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Al Patchouli rimaneva però la sua principale fonte di guadagno. Chi era del giro o aveva il privilegio di riuscire a farsi spifferare le giuste informazioni spesso arrivava a rintracciare e ad avvicinare direttamente tale Dottor Azad.

Alcuni sprovveduti lo approcciavano direttamente o tramite galoppini – di solito i nobili –, ma altri clienti interessati ben più giudiziosi lo contattavano con più discrezione. Quando questi dovevano inviargli offerte di lavoro, lo facevano nei modi più disparati. Usare mendicanti, bambini, prostitute, tagliaborse e altri “terzi” era uno dei metodi più classici, ma gli era capitato di ricevere messaggi anche tramite bizzarrie come: cani, scimmie, piccioni o altri animali addestrati, frecce o dardi con foglietti legati, scritte sui muri, strambi marchingegni, palline, scatole, bottiglie, sacchetti, panini imbottiti, bambolotti... insomma, qualunque cosa in grado di recapitare un messaggio evitando il rischio di essere messa sotto torchio dal destinatario.

Ai suoi occhi indagatori, però, ognuno di questi approcci raccontava un’intera storia sul proprio aspirante datore di lavoro.

Il metodo “infilo un biglietto tra le tue cose più preziose per dimostrarti che sono in grado di raggiungerle come e quando voglio” lo catalogava tra i classici.

Ladri... Ombre della notte, forse...

Dal carattere formale del messaggio sul biglietto, quella assomigliava a una comunissima richiesta di un servizio remunerato.

Il problema era un altro.

nyrh


«Odio i cretini che pianificano gli incontri nei lupanari...» Pensò seccato.

Davanti a lui s’apriva la porta d’entrata del bordello chiamato “Le mille grazie”. A vederlo non sorprendeva che fosse una delle case di piacere più popolari di Laslandes. Era un edificio immenso, alto piani su piani. Dalle ampie finestre e colonnati decorate di arabeschi e mosaici raffiguranti voluttuose scene orgiastiche si affacciava uno stuolo di prostitute avvolte in succinti abiti in tessuto trasparente. Schiamazzavano e si proferivano in civettuoli risolini, adescando i passanti nella strada sottostante richiamandoli, salutandoli e talvolta abbassando provocanti il reggipetto, facendo onore al nome del postribolo.

Mille grazie: gambe a ribocco, duemila braccia e mille dolci petti sparsi per mille letti – benché i numeri fossero certamente... millantati – ingrassavano di monete sonanti un già prospero esercizio in grado di fornire sia sciatte marchettare a prezzi abbordabili per i meno abbienti, sia eleganti cortigiane di lusso.

Vahram sapeva bene che quel tipo di attività erano ricettacoli più che consueti per le cosche malavitose che era abituato a frequentare, ma nonostante ciò, quando si trattava di dover entrare in un bordello la paranoia s’impadroniva di lui. Non poteva farci nulla: era la sua fobia, la sua maledizione. Ogni volta terribili ombre di agguati nei piaceri del talamo, letali insidie nascoste dietro curve seducenti lo tormentavano. Rivedeva quel dannato tatuaggio a forma di cobra sul petto di ogni prostituta. Aveva il perenne timore che qualche suo nemico fosse venuto a conoscenza della sua debolezza e lo stesse attirando in una trappola.

Vahram si passò cogitabondo la mano sulla fine cicatrice che segnava il suo mento. Da quando aveva ricevuto quel biglietto, Vahram riservava metodicamente parte delle sue giornate appostato a osservare di nascosto quell’edificio come un ossesso.

Gli parve di notare di tanto in tanto loschi movimenti, segno che là dentro trafficava un qualche nucleo criminale, ma forse queste supposizioni erano solamente frutto delle sue paranoie...

Al Patchouli quella sera giunse alle Mille grazie alle nove spaccate, in perfetto orario, come era sua consuetudine. Data la natura del luogo in cui doveva entrare, aveva modificato di conseguenza la sua solita tenuta lugubre, foderando il mantello grottescamente logoro con nuovo tessuto nero di buona qualità e aggiustando il proprio costume al fine non dare nell’occhio. Conciato in quel modo ridicolo, piuttosto che a un sicario o un avventuriero, assomigliava a un miliziano della guardia cittadina intabarrato alla bell’e meglio per sfuggire anonimo a una monotona ronda o a una moglie gelosa per cercare braccia più accoglienti tra cui abbandonarsi. Aveva pure lasciato la sua preziosa lancia nel carro, per defilarsi meglio.

Restava però lì ritto in piedi in mezzo alla strada, titubante, riluttante a varcare la porta.

«Ehi, laggiù! Yuhuuu? Uomo nero, perché te ne stai là fuori solo soletto?» «Cosa aspetti? Accomodati dentro, siamo qui ad aspettarti.» «Suvvia, non ti mangiamo mica.»

Le ninfette alla finestra non ci misero molto a notarlo. Appena tre di loro iniziarono a invitarlo con schiamazzi civettuoli e ampi gesti provocanti, tutte le altre le seguirono a ruota accanendosi sul guerriero solitario come tanti pescatori intenti a incitare forsennati un pesciolino indeciso a entrare nella rete.

Vahram buttò gli occhi al cielo. «Aaah... E va bene...»

Piuttosto che restare lì sotto quella pioggia di lusinghe a logorare la propria copertura, prese un lungo respiro e decise di entrare.

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Esotici e soavi profumi mescolati a un’ammaliante musica dal ritmo lento e afrodisiaco si sostituirono bruscamente al fetore di urina, immondizia e sterco di cavallo che aleggiava fuori in strada.

L’interno delle Mille grazie era a dir poco spettacolare. Guarnito in ogni dove di sete, tappeti screziati, panche e triclini imbottiti e cuscini di ogni foggia e dimensione. I diversi piani del bordello, contornati da ricchi cornicioni, si innalzavano sopra di lui come cieli di un qualche paradiso lussurioso. Più si salivano le scale di quel palazzo, più ci si avvicinava alla sublimità di quel luogo: i piani divenivano sempre più accoglienti e lussuosi.

Una gran folla di gente popolava il salone principale; non solo prostitute, ma soprattutto clienti, alcuni riccamente vestiti, altri meno. Appostati in punti strategici si potevano notare un buon numero di sorveglianti, defilati in modo da non disturbare i clienti, ma pronti a intervenire nel caso qualche avventore eccessivamente alticcio si mettesse a molestare la mercanzia. Stavano con i petti in fuori e le braccia muscolose conserte dietro alla schiena; alcuni restavano immobili in silenzio, altri si svagavano parlando giovialmente con le ragazze.

Minimi dettagli, indizi che solo chi ha passato buona parte della propria vita in catene sa riconoscere, tradivano la provenienza di diverse guardie e prostitute.

Schiavi. O forse schiavi liberati.

«Di certo questo è un bordello di quelli seri. Altro che quei soliti lupanari tipici dei bassifondi pieni di baldracche tumefatte e disperate. Qui le sanno trattare come si deve le proprie lavoratrici.» Constatò tra sé e sé.

Vahram poteva dirlo con confidenza: anche lui era un assiduo frequentatore di bordelli, prima del suo... incidente, s’intende. A gestire quell’attività doveva essere una persona esperta. Qualsiasi fosse il passato di quelle ragazze – professioniste, figlie o mogli vendute per saldare qualche debito o schiave acquistate – sembravano vivere e lavorare in un ambiente oltremodo rilassato. Ad animare l’atmosfera vi erano risate e sorrisi, non la sensazione opprimente e piena di patema di certi altri posti.

Non arrivò nemmeno a fare tre passi che un nugolo di prostitute stormirono intorno a lui per accoglierlo come si deve.

«Ciao! Sei nuovo? Non ti abbiamo mai visto qui.» «Vuoi favorire qualcosa da bere o da mangiare prima del servizio, guerriero misterioso?» «O forse hai già messo gli occhi su una di noi?» «Oppure su due?»

C’era d’aspettarselo...

In un istante si ritrovò in un vorticare chiassoso di colori, pelle nuda, provocanti lusinghe e morbidi e profumati seni femminili che lo assediavano da ogni parte. Vahram ebbe un sussulto e ringraziò di avere il volto coperto in quel momento: sotto quegli occhi sbarrati – apparentemente allupati – nessuno avrebbe potuto scorgere l’espressione contratta di puro sgomento della sua bocca. Si accorse si star stringendo come un ossesso il pomolo della scimitarra sotto il mantello.

Gli ci volle un gran sforzo di volontà, facendo appello alla sua proverbiale freddezza di maūluk, per superare quel breve attimo di spaesamento. Individuò sbrigativamente la prostituta dall’aspetto più affidabile, la tirò a sé con la maggior delicatezza che gli riuscì e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio.

«No, vi ringrazio, ma... sto cercando Jasmine.»

Questa lo guardò con aria capricciosa. «Umf, che peccato...»

Fece per staccarsi da lui ma Vahram la avvicinò di nuovo.

«Ehm... e fai presto...» Aggiunse, preoccupato nel vedere che le altre ragazze non avrebbero tolto l’accerchiamento tanto presto.

Questa accarezzò il braccio coperto dalla cappa e si strusciò su di lui con fare ozioso, dando alla pelle dello straniero un indiscreto saggio delle sue curve. Poi sorrise arcuando placidamente la schiena e mettendo “accidentalmente” in mostra le proprie bellezze – come per far dispetto all’ultima richiesta del guerriero – poi si allontanò dalla torma, scomparendo in un corridoio.

Pochi minuti dopo, la piccola folla si aprì per far luogo alla persona che Varham aveva chiamato. Al suo arrivo ogni paia di occhi dell’atrio si spostarono su di lei.

Una donna di scultorea bellezza scolpita in curve sinuose e perfette, portamento elegante e raffinato, occhi da cerbiatta vispi e indomabili, setosi capelli neri che dispensavano sbuffi di soave profumo a ogni movimento.

«Io sono Jasmine.»

Si avvicinò sinuosa, ipnotizzando chiunque la guardasse con le sue movenze, poi si fermò davanti al guerriero e inclinò delicatamente il capo.

«Mi cercava?» Domandò.

Vahram rimase incantato da quella visione, nonostante l’inquietudine che non accennava ad abbandonarlo. Quella sì che era una prostituta di lusso. Gli sorse per un attimo la curiosità di quanto sarebbe potuta costare anche una sola notte con lei.

Di certo era una ragazza sveglia, un’intermediaria perfetta su cui gente che vorrebbe rimanere discreta potrebbe affidarsi sotto giusto compenso per compiti di particolare delicatezza.

Il guerriero si rivolse a lei avendo cura di non farsi udire dalle persone circostanti.

«Barev aper, aghjik. Non sono qui per favrorire dei vostri... Ehm... Insomma...» Con un cenno la invitò ad appartarsi in un posto defilato. «Devo parolarvi in privato.»

Si spostarono in un angolo appartato, tagliato dal resto della sala e celato da pesanti tendaggi.
Vahram si guardò ancora meticolosamente intorno con circospezione prima di proseguire.

«Mi hanno detto di rivolgermi a voi. Qualcuno ha richiesto un servizio da Al P...»

Il dito della ragazza si posò sulle labbra del guerriero un soffio prima che dicesse una sola parola di troppo.

«Niente nomi, questa notte.» Ammonì con un dolce sussurro.

A quelle parole il suo volto si adombrò, i suoi occhi divennero di gelidi e penetranti. “Niente nomi”? Che significava? La cosa puzzava sempre di più: la faccenda sembrava farsi molto più losca di un comune incarico.

Per un attimo tentennò, indeciso sul da farsi. Il suo sguardo squadrò diffidente la donna che aveva di fronte, poi passò sulla sala gremita di gente, alla ricerca di occhi sospetti o indiscreti puntati verso di loro; quando appurò che nessuno li stava spiando, riprese il suo fare artificiosamente gioviale.

«D'accordo, aghjik. Siete voi il capo.» Ridacchio in tono ironico, alzando le mani con aria colpevole.

La prostituta porse la mano al suo ospite, nel più classico e regale degli inviti.

Varham fece per prenderla, come incantato dal fascino di quel gesto, ma all’improvviso si bloccò. Ebbe come un ripensamento improvviso. Il gesto abbozzato dalla sua mano protesa si trasformò in una goffa e sbrigativa, seppur cortese, esortazione ad andare avanti.

«Ehm... grazie, ma non disturbatevi. Vi seguo.» Borbottò.

Alle sue parole, Jasmine inclinò lievemente la testa e annuì, si avviò.
Superarono lussuosi corridoi dai cui lati provenivano soffusi respiri affannosi e gemiti sensuali, poi scescero una rampa di scale, intrufolandosi in intricati corridoi e passaggi sotterranei di servizio. Giunsero infine davanti alla disadorna parete di uno sgabuzzino.

La ragazza si alzò sulle punte dei piedi e cominciò a spingere delle precise mattonelle, che rientrarono nel muro come leve di un qualche curioso meccanismo. Una, due, tre quattro. Alla quarta, una sezione della parete s’incassò con un sibilo e si aprì scorrendo di lato. Jasmine entrò senza esitazione, come se quella prassi fosse una sua routine quotidiana.

«Sapevo che c’era sotto qualcosa d’interessante...» Pensò Vahram, che era stato ad ammirare con curiosità l’azionamento di quel marchingegno.

Dentro alla stanza segreta, una sommessa discussione s’interruppe all’istante. Quattro teste si alzarono per guardare il nuovo arrivato e la sua accompagnatrice. I quattro uomini si fissarono per un istante, poi Jasmine salutò ognuno di loro con un cortese inchino.

«Vi lascio soli.» Disse infine, e se ne andò, richiudendo il muro alle sue spalle.

Dopo un breve e pesante silenzio, uno di quegli uomini, un giovane dai capelli biondi, ruppe il silenzio.

«Be', piacere. Io sono Killibert Gnam, loro invece si chiamano Joan Butcher, Harmond Joll e Reginald Foe. Siediti pure.»

«Oh, adesso dobbiamo anche aspettare.» Bofonchiò l’uomo presentato come “Harmond Joll” un uomo nero come il carbone.

Vahram non disse nulla. Si proferì in un rispettoso e marziale inchino per poi sedersi nel posto libero più vicino alla porta, lontano da loro, scrutando silenziosamente i suoi misteriosi anfitrioni.

E aspettò...



 
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Lord Grommet Telkier
view post Posted on 5/2/2014, 20:35




pov: ??? {png}

Trovava l'intera situazione incredibilmente divertente.

Sette persone chuse in una sala. Due casse e un paio di assi di legno come tavoli, casse e barili per sedie. Ognuno è stato strappato ai confort delle loro case con promesse, lusinghe e tacite minacce. Ognuno ha ricevuto una moneta - conio di Basiledra - e un foglietto di carta, con le istruzioni per giungere in quel locale segreto. Era tutto molto misterioso, molto spionistico, con giusto quel pizzico di degrado qui e là che trasformava l'intera atmosfera ad un resumé basso delinquenziale.

Dedicò gli ultimi secondi ad assicurarsi che la sua tenuta fosse perfetta. La pozione dello skaa... quell'astuto meticcio cui nome gli era così difficile ricordare... aveva svolto il suo lavoro in modo sopraffino, ma c'era così tanto della sottile arte della manipolazione che il pover'uomo non capiva. Postura, sguardo, portamento, linguaggio corporeo, gestione degli spazi personali - oh, la lista pareva non finire mai! E questa particolare riunione recava sfide decisamente interessanti...

Il riflesso allo specchio mostrava un uomo in forma, sui trent'anni. Barba ben curata, fronte alta e spaziosa, scuri occhi dallo sguardo penetrante e mascolina mascella squadrata, con un deciso naso aquilino che conferiva al volto un'aria decisa. Decisamente dei bei lineamenti, sissignore, anche se forse un po' troppo scontati. Gli abiti che aveva indosso erano risultati una sfida decisamente più grande: d'altra parte gli individui che avrebbe incontrato non appartenevano al suo solito ceto sociale (neppure remotamente!), e non poteva certo permettersi di renderli indisposti fin dal principio. Alla fine aveva optato per un doppiopetto scuro e una camicia bianca - semplice lino, niente di particolarmente elaborato. Le maniche erano persino arrotolate sulle braccia, in un tentativo di avvicinamento sociale a mezzo tessile.

Diede un'ultima occhiata al suo riflesso, poi annuì coscienziosamente.
Poteva andare.

Entrò nella stanza allo stesso modo degli altri: dalla porta principale (e segreta). « Benvenuti. » disse inquandrando i presenti con un'unica occhiata - posizioni relative, postura della schiena e delle braccia, direzioni degli sguardi, segni rivelatori di animosità e altre emozioni. Sette persone, sette distinte personalità, con sette storie differenti e un'enorme variazione nello spettro delle reazioni... aah, non c'era niente come una bella sfida per smuovere il sangue nelle vene! Si mosse con confidenza, avanzando verso quello che in luoghi più raffinati sarebbe stato descritto come il posto a capotavola. « Dovete perdonarmi il ritardo: ho preferito assicurarmi che ciascuno di voi giungesse non accompagnato da personaggi meno... ah, discreti. » asserì, posando entrambe le mani sul rozzo tavolaccio. Un caloroso sorriso distolse il discorso, ma non l'attenzione, sull'eventualità e sulla sorte di eventuali impiccioni.

« Dato che nessuno di voi ha conoscenze fra i presenti, direi che le presentazioni siano tanto d'obbligo quanto d'uso. I miei saluti a Tapster, da Basiledra, che nel suo campo ha dimostrato talento e inventiva... assieme al mio augurio che ancor più talento e inventiva, adoperati per la causa che ci vede qui riuniti, conferiscano salute e prosperità alle tasche di noi tutti. » Un inchino formale seguì, omaggiando il ladro della sua più completa e totale attenzione - nonché di una sottile, sottilissima spintarella mentale.

« Dalle prospere lande del Perwaine abbiamo invece Al Patchouli, il quale ha acquisito nel suo campo d'interesse una impeccabile reputazione di risolvitore - ai limiti dell'infallibilità, invero. » Il suo sorriso, e relativo chinar del capo, recarono cortese ammirazione nello sguardo e un pizzico di fiducia nella mente - quella dell'arabo.

« Dall'Akerat il gruppo composto da Killibert Gnam, Joan Butcher, Harmond Joll e Reginald Foe - o 'i Pazzi', come alcuni li conoscono, per la loro dedizione nel completamento di ingaggi leggermente... insalubri. » Un tic poco salubre scosse per un istante l'angolo inferiore della palpebra di Harmond Joll, suggerendo assieme all'improvviso serrarsi delle dita sul legno la vaga impressione che suddette mani avrebbero di gran lunga preferito stringersi attorno al di lui (?) collo. Sorrise con malizia, insinuando nella sua mente piccoli frammenti di pazienza. 'Can che abbaia non morde', amavano dire i locali.

« Infine, ultimo in questa mia breve presentazione ma non certo nei miei pensieri, Garret detto 'il Ratto': collega del buon Tapster, esperto speleologo e specializzato in vie di accesso alternative. » All'inchino rivolto al ladro sfregiato, un movimento flessuoso per un corpo come il suo, aggiunse un seme di curiosità - stempiare quella brutta prudenza in un colpo solo avrebbe allarmato persino il più ritardato degli individui. Molto meglio cominciare ad intaccarla poco alla volta, nel caso particolare spingendo l'uomo ad aprirsi -leggermente- nei confronti dei presenti.

« Quanto a me, potete chiamarmi Telden. » concluse con un sorriso.

Era tempo di essere subissato di domande.



Il vostro datore di lavoro possiede il dominio Ammaliatore al secondo livello e una passiva personale che rende molto difficile accorgersi ai bersagli di una sua malia di essere influenzati. Vi ha inoltre lanciato contro una tecnica 'persuasiva' che colpisce ciascuno di voi a potenza bassa, proiettando un'aura di confidenza e carisma.
 
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Lenny.
view post Posted on 11/2/2014, 07:45




The Sting ~


Quando Telden terminò l'eloquente presentazione di tutti quei loschi figuri riuniti nel retro di un bordello fatiscente, Tapster già avvertiva la mancanza del prosperoso seno di Rosanna. Non aveva mai amato dover "lavorare" in gruppo, e farlo con gente completamente sconosciuta non era una delle più rosee aspettative. Questo perché era troppo alto rischio che tra loro fosse presente un principiante pronto a far saltare in aria il piano, o uno troppo orgoglioso per seguire un ordine, o uno troppo idiota per comprenderlo. O il peggiore -e ahimé più comune- classico macellaio amante della violenza, pronto più che mai a sporcarsi inutilmente le mani di sangue. Di nemici e di alleati, magari, una volta che il lavoro fosse stato portato a termine.
Flint Tapster era un professionista. Aveva sempre fatto il proprio dovere da solo, sporcandosi le mani e la coscienza solo quando strettamente necessario. La maggior parte delle volte andava bene, ma se per falliva, il buon Tapster non poteva che dare la colpa solamente a se stesso.
Non era così stupido da accettare un incarico sconosciuto da gente sconosciuta assieme ad altra gente sconosciuta.

« Dunque sei tu la mente nascosta dietro tutto questo. »

Commenta Tapster, facendo un gesto ampio con le braccia. Non avrebbe accettato quel lavoro, ma Telden gli aveva dato un'impressione -almeno di facciata- abbastanza positiva. Forse lo stesso avrebbe detto per quel tale dall'aspetto curato di nome Al Ptchouli, e meno che mai per quell'altro avvinazzato di nome Garrett e di quelle sottospecie di tagliagole che si facevano chiamare i Pazzi. Ma nonostante tutto fece buon viso a cattivo gioco. Si sentiva più incuriosito che irritato dalla situazione.

« Piacere di conoscerti Telden, se questo è il tuo vero nome. Perché ci hai chiamati? »

« Ma la domanda più importante è 'Perchè farmi portare una cassa di vino, senza poterlo assaggiare? »

Si sentì in dovere di aggiungere il brillante Garrett.
E fu allora che Telden mostrò ai presenti l'unico dio che tutti in quella stanza adoravano: conio. Sonante, brillante, affascinante. Una cassa colma d'oro che fungeva solo da antipasto alla portata centrale che Telden era in procinto di servire. E Tapster aveva già l'acquolina in bocca.

« La ragione per cui siete qui é perché ho commesso un furto, e ho intenzione di commetterlo di nuovo. »

Asserì Telden. La sua mano s'immerse nel tesoro, levandosi e lasciandone scorrere monete sotto agli occhi dei presenti, seducendoli col tintinnio dell'oro sonante. Prese in mano una moneta, mostrandola ad ognuno di loro.

« Ma questa volta, con il vostro aiuto. Io vi domando: a chi interessa guadagnare qualche soldo in modo assolutamente illegale? »

2iscnck


« Oh-hoooo. »

Esclamò Tapster, lo sguardo dietro gli occhiali che brillava, avido, fisso sul malloppo. Fece un passo verso la cassa e ne afferrò una moneta. Dopo averla rigirata tra le mani e essersela stretta tra due denti, appurandone l'autenticità, la rigettò tra le altre.
Provava molti timori riguardo quella storia. Molte domande, molti sospetti, molti dubbi.
Ma l'oro aveva quello strano potere di riuscire a dissipare ogni traccia d'esitazione. Faceva parte della divina trinità che da sempre Flint Tapster adorava, assieme a donne e gioco d'azzardo. Incrociò le braccia dinanzi al petto, ben conscio dei pericoli che avrebbe corso sentendo il resto della storia. Ma si limitò ad ammucchiare quei mesti pensieri in un qualche remoto angolo polveroso della sua mente, almeno per il momento.

« Prima avevi la mia curiosità, adesso la mia totale attenzione.
Ti ascolto.
»

 
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view post Posted on 4/3/2014, 21:42
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Aper army
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Է Խայթել ~ The Sting ~ Քրեական

(Vahram [pensato, lingua aramana])



Sette individui sedevano insieme a lui in quell'angusta stanza. In genere a Vahram non piaceva lavorare in squadra, ma alle prime parole di quel nobile, quel Telden, fu indubbiamente chiaro che ciò che bolliva in pentola non si trattava di comune lavoro.

A quanto pareva, il gentiluomo dinanzi a loro non si era sforzato così tanto per assoldare mercenari, tagliaborse o tagliagole prezzolati , voleva invece radunare complici.
Al Patchouli non avrebbe avuto altri sette colleghi, ma sette compagni.

Non si lasciò lusingare dalle moine di Telden. Vahram aveva imparato che la malavita è un mondo spietato verso gli allocchi e gli sprovveduti. Mai fidarsi, soprattutto di una persona conosciuta solo una mezz'ora prima, e in particolar modo se questa è solita contattarti infilando biglietti in mezzo alla tua roba.

Avvertì la malia con cui Telden s'illudeva di poter conquistare il suo interesse e la sua curiosità. Non gli servì un grande sforzo per resistergli, era abituato a molto peggio. Nonostante ciò, finse comunque ammirazione e interesse, assecondando le aspettative del suo anfitrione; non desiderava certo offendere quel nobile senza prima aver scoperto le sue intenzioni. Avrebbe ascoltato ogni sua proposta con garbo e compostezza, poi avrebbe deciso sul da farsi.

Appena Telden scoperchiò la cassa stracolma di monete d'oro, sbarrò gli occhi dalla meraviglia. Raccolse flemmaticamente uno di quei gettoni lucenti e rimirò la sua purezza alla luce di una delle candele che illuminavano la stanza.
Vahram non era un uomo affamato di ricchezze o amante degli edonismi, utilizzava parte dei suoi guadagni – che sovente erano ben superiori a quelli di un comune artigiano – per acquistare il minimo indispensabile per vivere e investiva il resto per rimpinguare le sue scorte di merci e di sostanze preziose e peculiari da utilizzare per affinare il proprio arsenale tattico e offensivo, ma nel vedere tutto quell'oro altre idee gli vennero in mente: piani più grandi, progetti più ambiziosi. Emersero all'improvviso pensieri che mai aveva contemplato prima: la prosperità del Cartello Mamūluk, la città che sognava edificare insieme al nano urbanista Ydins, la sua attività a Taanach, forse sarebbe riuscito addirittura a costruirsi da solo un proprio giro d'affari.

La situazione stava prendendo una piega interessante.

Con un movimento flemmatico annuì, impressionato, fissando quel pezzo d'oro come in estasi. «Yay, sehre. Il vostro invito tenta anche me.» Esordì con la sua voce profonda e gracchiante, spalleggiando l'esclamazione del furfante chiamato Tapster. «Suppongo abbiate già in mente un obiettivo e un piano. Dico bene... aper?»

Con un gesto sbrigativo rigettò la moneta in mezzo al mucchio sonante, come se non provasse la minima ombra di rammarico o cupidigia nel separarsi da quel ben di dei. Tanti pensieri ronzavano come api laboriose nella sua testa, non mossi da ingorda avventatezza o dall'entusiasmo, ma da una morigerata assennatezza e riflessione.

Un furto o una rapina non lo spaventavano, sentì il desiderio di approfondire quella curiosa e losca intesa. Cosa aveva in mente quello strano nobiluomo?


Al Patchouli
Corpo (Illeso): Illeso
Mente (illeso): Interessato.
Energia: 100-5= 95%

Tecniche passive
[Mamūluk ~ Abilità razziale Umana (Controllo energetico)] Gli schiavi guerrieri sono vere e proprie macchine da guerra plasmate per affrontare irriducibili gli sforzi più inumani e le condizioni ambientali più estreme. Possono combattere senza posa per giorni interi. Raggiunto il 10% delle energie infatti, un mamūluk non sverrà. Ciò però non significa che non sarà stanco raggiungendo il 20% e non morirà raggiungendo lo 0%.

[ Disilluso ~ Passiva di talento Stratega (Capacità di discernere le illusioni)] La sua integrità mentale e il suo inumano addestramento lo resero congeniale ad affrontare senza timore anche la magia o le malie psioniche. Per questo motivo, nel caso in cui si trovasse innanzi ad una illusione, sarebbe sempre in grado di discernerla come tale, pur non dissolvendola né distruggendola.

[ Imperturbabile ~ Passiva di talento Stratega (Difesa psionica Passiva)] Addirittura, esistono alcuni nemici talmente potenti da poter manipolare la mente di chi sta loro intorno senza neppure doversi impegnare per farlo: è un processo naturale, che avviene spontaneamente con la semplice vicinanza e si diffonde come un'aura passiva tutt'intorno a loro. Ma simili poteri non influenzano Vahram: si rivelano inutili dinanzi alla sua sterilità emotiva e la sua totale estinzione della percezione della paura.

Tecniche attive
[ Volontà di ferro I ~ Attiva di talento Stratega (Difesa psionica) ~ Consumo Basso] Difficilmente Vahram si lascia ingannare da allucinazioni ed effetti mentali. Anni di allenamento lo hanno reso capace di contrastare attacchi psionici anche di moderata potenza.


 
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Il Senzanome
view post Posted on 3/4/2014, 11:14




pov: ??? {png}

Sorrise maliziosamente quando persino il compassato aravo passò le mani nell'oro, cercandone con dita attonite l'ardente bagliore. Aveva scoperto ben presto che c'era poca differenza fra le bande di ladri locali e i ladruncoli skaa che infestavano il suo -ormai lontano- Impero: le loro menti semplici desideravano denaro, alcool e piaceri carnali, e sfruttavano il primo per ottenere gli altri due.

« Un piano e un obiettivo, si. » disse Telden rimettendo un'asse sulle due casse - una sola, affinché si potesse ancora vedere i riflessi dorati delle fiamme riflesse dall'oro sui visi dei suoi compagni. Estrasse un foglio arrotolato con cura da una tasca e lo spiegò davanti ai presenti, mostrando loro il volto duro di un uomo tratteggiato con rapidi tratti

« Signori, lasciate che vi presenti Reginald Vaash, terzo del suo nome.... »



the past.





Gli zoccoli di cinquanta cavalli da guerra battevano implacabili la strada polverosa, annunciando con il loro fragore che intralciarli equivaleva a morire. Non aveva dato ordini di rallentare quando erano giunti in città. Non esisteva alcuna ragione per farlo. Cavalcava alla testa di una squadra di due dozzine di uomini che precedevano tre carri corazzati e presidiati da armigeri, seguiti da altre due dozzine di cavallerizzi.
Chi non si toglieva di torno era semplicemente troppo stupido per non morire.

...Reginald Vaash, terzo del suo nome, figlio di Reginald e Josephine, fratello di Seraphine.
Cadetto di uno dei rami secondari della nobile Casata Vaash per parte di madre risiedente con il resto della famiglia a Castelgretto; esportazione principale: armi e mercenari. Un nobile di secondaria importanza, irrilevante ai fini della maggior parte delle macchinazioni politiche, che attualmente agisce come uno dei tanti furieri impegnati a rifornire le truppe di ritorno dal fronte... di
denaro.


Traversarono per le strade di Laslandes senza arrestarsi, costringendo i sudici abitanti di quella città di tende a disperdersi come ratti. Dalle feritoie dell'elmo avrebbe potuto vederli guardare la compagnia con occhi sgranati, fissando timorosi le armature lucide e le armi già sguainate - se si fosse guardato attorno. Ma le persone che lo circondavano erano solo ostacoli per lui, insetti da scacciare con fastidio. Una sola cosa aveva importanza per lui: scortare il suo carico a destinazione.
La villa fortificata apparve in lontananza. Reginald Vaash levò la spada in aria e la roteò due volte, facendo cambiare formazione alla colonna: i carri rallentarono e lo squadrone di cavalleria li circondarono da tutti i lati, nascondendoli dietro una selva di acciaio e crudeltà con precisione perfetta. Dall'alto delle torrette perimetrali fu dato l'allarme, avvertendo le guardie nel cortile. Il cancello si aprì, lasciando uscire una doppia colonna di alabardieri. Per quando lord Vaash e la sua colonna erano arrivati la piazzetta antistante il cancello era stata sgombrata con precisione militare. Nell'improbabile eventualità che una forza ostile avesse deciso di tentare la sorte nell'unico momento vulnerabile per la colonna, centocinquanta soldati fra fanti e cavalieri sul piazzale avrebbero rapidamente spinto gli aggressori ad una precipitosa ritirata. Preferibilmente nell'oltretomba preferito dalla loro religione.

La strada più agevole da Castelgretto a Basiledra passa per Laslandes. In città il convoglio risiede nella magione fortificata di Joffrey Fergusson, un vassallo dei Vaash. Mura alte sei metri, area circoscritta di metà ettaro, guardie armate ovunque. Tecnicamente la magione è a corte unica, ma la 'villa' ha un cortile interno ed essa stessa è più un fortino in miniatura che una struttura estetica. L'idea è che nessuno sano di mente oserebbe mai assaltare quelle mura.
Ecco perché noi saremo già all'interno.


Una volta che il cancello fu chiuso Reginald Vaash rinfoderò la spada e smontò da cavallo, per nulla intralciato dall'armatura pesante che aveva indosso. Immediatamente iniziò a gridare ordini ai soldati nel cortile, gestendo la folla con la perizia consumata di un comandante nato per il campo di battaglia. Un nitrito terrorizzato sovrastò improvvisamente la sua voce sterentorea, soffocando le sue parole. Lord Vaash si voltò di scatto, la lama sguainata automaticamente... solo per trovarsi di fronte il suo stallone da guerra imbizzarrirsi sulle zampe posteriori davanti allo stalliere terrorizzato. Le sue labbra si distorsero in una smorfia di disprezzo puro. Avanzando rapidamente fino al luogo dell'incidente, gettò l'imbecille di lato con un manrovescio e afferrò saldamente le redini con l'altra mano, costringendo l'equino muso e naso contro di lui. Non ci volle molto prima che il cavallo si calmasse: persino nel suo stato spaventato - e a proposito: come diavolo aveva fatto l'idiota a irritarlo? - lo stallone sapeva che disobbedire a lui era una sicura via per il dolore.
Come lo stalliere avrebbe scoperto prima che la giornata fosse finita.

« Stupido omuncolo. » sibilò Lord Vaash, guardandolo dall'alto in basso. « Ringrazia che sia di buonumore, o in questo momento sentiresti il morso della frusta. »
« Mi scusi, signore. »
« Portate via questo imbecille dalla mia vista. E voialtri al lavoro! » gridò. « Non abbiamo ancora finito! »

Le casse con l'oro sono immediatamente trasportate nella corte interna, poi nelle segrete. Per accedere nella corte interna bisogna essere servitori fidati di lord Fergusson o lord Vaash, con almeno cinque anni di servizio: noi non avremo queste credenziali. L'area in cui si trova la tesoreria è separata dal resto delle segrete da un unico posto di guardia con una lista di accesso estremamente stretta: noi non saremo su quella lista né potremo aprire quelle porte a forza. Il presidio della tesoreria è composto da dieci uomini, mentre almeno altri dieci sono a guardia delle porte effettive.
I Vaash credono...



the present.

« I Vaash credono che nessuno possa arrivare alla tesoreria partendo da dentro o fuori le mura perimetrali. » concluse. « Hanno ragione. Non esiste alcun modo in cui potremmo oltrepassare tutti quei livelli di sicurezza senza attirare tanti soldati da affogare nell'acciaio, persino se riuscissimo a fingerci servitori di palazzo. Da questo punto di vista sono assolutamente invulnerabili. »

Le labbra di Talden si aprirono in un ampio sorriso nel guardare il Ratto.

« Signor Garret, per caso mi è capitato di menzionarle le affascinanti peculiarità del sistema fognario di Laslandes? »



Piccolo scorcio del piano e presentazione del nostro simpaticissimo avversario di turno. Notare l'aristocratica affabilità e simpatia trasudante da tutti i pori. :caffè:

P.s.: il png vostro possibile datore di lavoro è parecchio straniero, quindi non sa bene come si dice 'arabo'.
 
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7 replies since 18/1/2014, 20:49   221 views
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