Esalò il suo ultimo respiro, l'alito dell'uomo odorava di rape e di patate, Edhir gli sfilò delicatamente la lama dal collo, quasi non volesse fargli del male, rimase lì ancora un attimo, fissò negli occhi quell'uomo che aveva tentato di ingannarlo, lo sguardo stava diventando opaco, sul suo viso il ghigno era scomparso, era apparsa la paura di uno che ha avuto appena il tempo di capire cosa stesse accadendo, troppo veloce, troppo improvviso per poter contorcere il viso, ma abbastanza lento da poter percepire il freddo dell'acciaio e udire il sussurro di Edhir:
"che possa esserci qualcosa dall'altra parte"
se lo augurava davvero. Edhir non aveva niente contro quell'uomo, almeno, non prima che avesse provato ad ingannarlo, non gli piacevano le persone che ci provavano, ma era stato al suo gioco e lo aveva lasciato fare e si era lasciato fregare le monete. L'uomo al ritorno era troppo impegnato a vantarsi coi suoi compari di quale maestria nell'oratoria avesse utilizzato per distrarre lo stolto mezz'elfo mentre gli cambiava le carte, e non si accorse che Edhir lo seguiva indisturbato, saltando di tetto in tetto. Arrivato a casa l'uomo trovò una prostituta ad accoglierlo, la portò in casa, la svestì e con fare animalesco ne usufruì; Edhir rimase li ad aspettare che finisse mentre si mangiava una mela rubata. La sua intenzione era riprendersi le monete e magari anche qualche altro avere del truffatore, senza ucciderlo, ma la cosa cambiò quando la prostituta richiese il pagamento per i suoi servigi e lui con un manrovescio la buttò a terra sputandoci sopra dicendo:
"Stupida puttana"
il sangue color rubino colava dalle labbra di lei, luccicava come tante piccole perle mentre le scendeva sul collo, le dava un aria graziosa, quasi fosse un gioiello. Quando il truffatore fu solo per Edhir non fu difficile aprire la finestra ed entrare nella stanza da letto, attese con tranquillità nell'ombra, quando finalmente il truffatore si mise a dormire lui era lì, che lo aspettava, quello stolto non si rese neanche conto della sua presenza e spense la candela; a quel punto non aveva che l'imbarazzo della scelta. Optò per tagliarli la gola, sarebbe morto quasi istantaneamente, un taglio preciso, Edhir si mise di fianco al letto, si avvicinò alla faccia dell'uomo abbastanza affinché questi si accorgesse di lui e aprisse gli occhi, in quel momento Edhir lo baciò sulla fronte, mentre con la mano sinistra lo sgozzava, emise solo un sospiro sommesso dal sangue che stava entrandogli in gola. Fu in quel momento che per un attimo Edhir pensò di aver visto il volto dell'uomo mutare, prendere le fattezze di un altro uomo, incredibilmente simile alle descrizione che sua madre attribuiva al padre:
"Devo essere stanco" si disse, "andrò a dormire"
La notte fu agitata, si rigirò più volte nel giaciglio, l'aria era umida nella torre e odorava di muffa, muschio copriva ogni parete, ma di sicuro lì, ai limiti della città, sarebbe stato al sicuro. Quando finalmente prese sonno sognò una piazza, piena di gente, gente che non riusciva a vedere bene, non distingueva volti, sesso o razza, sentiva sole le voci, tantissime voci confuse, che si accavallavano, fino a quando oltre la gente, dall'altra parte della piazza non vide una ragazza coperta da una lunga tunica, con il cappuccio calato fin sotto gli occhi, ma riuscì ad udire chiaramente la sua voce:
"Seguimi, tranquillo"
Edhir cercò di attraversare la piazza, ma le persone glie lo impedivano, la ragazza era veloce, andava verso il bosco, Edhir cercò di raggiungerla, di parlarci, ma non ci riusciva, non poté far altro che vederla sparire in lontananza, ma la sua voce era ancora limpida nella sua mente:
"Seguimi Edhir, devi seguirmi"
Si svegliò di soprassalto, era sudato, e le prime luci dell'alba filtravano attraverso le feritoia oramai quasi completamente coperta dall'edera, creando uno strano gioco di luce ed ombra all'interno della torre, era ancora sconvolto per il sogno, scese al pozzo e si rinfrescò il volto, riflettendosi un attimo sul fondo e si rese conto di essere stato fermo da troppo tempo, almeno tre giorni, quindi prese le sue cose, si preparò per il viaggio e si mise in cammino
"Dove posso andare sta volta?"
decise di dirigersi verso il bosco, dove era andata la ragazza, proseguire per quella direzione, non aveva una meta precisa e ciò lo divertiva, nel bosco poi stava bene, sarebbe stato solo, non poteva che fargli bene... Camminò per giorni prima di incontrare un altra città, si rifornì di vivande e riempì la bisaccia con acqua pulita, riuscì pure a sedurre una giovane fanciulla dai capelli corvini con cui si intrattenne la notte. Il rapporto era finito da un pezzo, la luna era alta nel cielo e la ragazza giaceva ancora nuda sul letto, con delle piccole gocce di sudore che le scendevano lungo i piccoli seni, quando Edhir sgattaiolò fuori dalla finestra per riprendere il cammino. Da quella notte, la prima volta in cui sognò la voce di Velta, ogni notte la voce tornava, una volta era un omaccione con la barba, una volta una fanciulla avvenente, a volta una semplice voce nel vuoto, che gli indicava la strada da seguire. Edhir non amava essere comandato e aveva provato a non seguire la voce, cambiare strada, prenderne un altra, ma non resisteva a lungo, la voce si faceva sempre più prepotente, e a volte giocava con la sua mente, era convinto fosse lei a farlo, non poteva essere altrimenti.
Dopo molti cicli di Luna Edhir arrivò in una radura, con al centro un lago, l'erba era verde e l'acqua sembrava fresca, ma aveva qualcosa che non ispirava fiducia ma decise lo stesso di risposarsi lì, quella notte mangiò coniglio con erba cipollina, era un pasto ghiotto che non faceva da tempo, in fondo era sempre in cammino e aveva poco tempo per cucinare. L'atmosfera di quel luogo lo metteva in soggezione ma comunque decise di dormire la quella sera, si diresse verso un grosso albero, pareva vecchio, che aveva radici grosse come il suo busto, scavò un rifugio di fortuna sotto una di esse, e si coprì con un manto di foglie, per mimetizzarsi, ma tenne la testa fuori, rivolta verso l'acqua, e nella mano sinistra il suo pugnale, non si fidava di quel luogo e non si sarebbe certo fatto cogliere alla sprovvista. Avrebbe riposato ad occhi aperti, così avrebbe potuto recuperare energie e nel mentre stare vigile.
Sentì qualcosa di caldo e umido sul viso, in un attimo il suo pugnale era alla sua gola, e le zanne di lei alla sua, erano stretti un abbraccio mortale, faccia a faccia, l'alito della tigre sapeva di carogna, il manto era lucente e morbido. Si fissarono negl'occhi ed Edhir provò qualcosa di famigliare in quello sguardo, pensò fosse lei, ma non ne era sicuro. Poi la tigre allentò la presa dal collo di lui e si sedette, a quel punto non ci furono dubbi, era tornata, lo aveva seguito? Edhir era contento di vederla, le diede un paio di carezze e poi si riassopì poggiando la schiena su quella di lei aspettando che la voce tornasse per indicargli la via...