Bigòl ·· - Group:
- Member
- Posts:
- 442
- Status:
| |
| Saltanatin Ordusu ArruolamentoGiacevano lì, in uno sperduto angolo di mondo, stremati dalle marce forzate e dal sentiero impervio, avvicinati solo da qualche mormorio e da un pasto frugale consumato in silenzio. Nessuno aveva voglia di parlare, mentre il sole moriva tra i monti e le ombre, di pari passo con le inquietudini della giornata, sembravano allungarsi come nere dita pronte a trascinare nell' buio qualsiasi cosa lambissero. Se gli avessero detto che quella giornata iniziata a tracannare birra da un ambulante sarebbe terminata in quel modo, Albrich avrebbe di certo risposto con una tonante risata di pancia. Eppure, contro ogni aspettativa era lì, seduto di fonte ad un focolare spiritato, a ridosso di un labbro di roccia ancora calda del sole pomeridiano. Era partito come era giunto, senza il becco di un quattrino e senza il bisogno di dire addio ad una città per cui non era mai stato più di un visitatore. Il fuoco del bivacco mormorava ;tutt' attorno il deserto, le piane e le polverose montagne sembravano affogare in un mare di notte. Oltre i quieto covare del fuoco, l' orizzonte sbiadiva; la realtà perdeva i propri confini ed i propri limiti. Era come se la luce, risucchiata dietro le creste dei monti, privasse la terra di forza vitale, lasciandola piena di vuoto e silenzio.
Lunghi brividi gelidi correvano lungo la schiena del nano, ben avviluppato nella sua lacera mantella di iuta quasi a ridosso delle braci, che sputavano lapilli e vapore. L' aria era satura dell' agonia di un mondo che lotta invano per emergere dalle tenebre. Era una sensazione strana, inquietante: solo il pallido zampillare di un fuoco di sterpi gli ricordava di essere ancora parte di quel mondo, di quella realtà che lentamente moriva nel ventre della notte. Albrich, tremante di un freddo che esisteva solo dentro si lui, tolse dal tascapane la sua lunga pipa dal braciere bombato, riempiendola sino all’ orlo dell’ odorosa mistura che teneva ben sigillata nel porta tabacco nel suo cinturone. Sentiva la necessità di riempirsi i polmoni di fuoco, giusto per ricordare alla sua anima di essere ancora attaccata al corpo. Tutt’ attorno, sino alla soglie dell’ oscurità, vi era profondo silenzio e quiete : la truppa, fatta eccezione per un paio di anime che parevano non trovare pace, già russava fragorosamente. Era stato un viaggio lungo e spossante e la maggior parte degli uomini scelti da Tulunay appena preparato il loro giaciglio erano stati ben contenti di affidare ai sogni la cura del proprio corpo e del proprio spirito. Albrich sapeva che quella di chiudere le palpebre non sarebbe stata affatto un’ ingenuità: se l’ istinto non lo ingannava, il viaggio del giorno seguente sarebbe stato almeno altrettanto massacrante e una buona dormita non avrebbe fatto altro che giovare alle sue ossa stanche. Eppure era altrettanto sicuro che, pur provandoci, non sarebbe riuscito a chiudere occhio; sentiva dentro di sé il tocco gelido di quella notte stagliava oltre il balenare del fuoco. Il buio, l’ indefinito, quella grande paura che giganteggiava oltre le porte della luce era come se gli strappassero il cuore dal petto e lo strizzassero esattamente come uno straccio sporco, stillandone i ricordi, facendoli emergere. Perché quando la mente perde le briglie della realtà, il passato si mescola con il presente e rivive nella grande e densa oscurità che sussurra tutt’ attorno. La notte era immensa e trasparente, come un grande specchio nero in cui si riversavano senza distinzione i ricordi più dolorosi e le memorie più felici di un tempo che Albrich credeva svanito per sempre. Ecco che in lontananza si stagliano le nebbie delle sue montagne; ecco che Vercigna, la sua Vercinga, risorge in tutto il suo splendore dalle ceneri che la soffocavano, rivendicando il proprio seggio tra la ruggente bufera del Nord. Lontano, oltre il bivacco, il vento sembrava portare le voci di gioia dei nani radunati per un brindisi all’ osteria, le canzonacce sconce, cantate a squarciagola, le risa e il tintinnio delle coppe di birra; ma ad esse si mischia il latrato del fuoco che divampa all’ interno della sua Vercinga, cancellando per sempre quello che era stato il suo mondo. Un acre sbuffo di fumo azzurrognolo si gonfiò nell’ aria ferma sino a svanire, tramutandosi in un rigagnolo che saliva contorcendosi verso l’ alto, senza forma né dimensione.
Albrich si accorse di stare fissando il nulla; si sentiva vuoto, stanco, come se la sua anima se ne fosse volata via in un nugolo di odoroso fumo. La fragranza morbida ed allo stesso tempo intensa del tabacco a poco a poco abbandonò la sua bocca. L’ ultima esalazione di quel tiro prepotente gli inondò la bocca un sapore familiare, che sapeva di casa; era la mistura che si soleva preparare tra le valli in cui era nato quella che lentamente si consumava nel braciere, ricca di fragranze che gli riportavano alla memoria gli anni che furono: la delicatezza degli aghi di pino, il sentore forte del ribes nero essiccato e il profumo selvatico dell’ uvaspina. Stinse con violenza il braciere nelle tozze mani, sino a che le nocche non gli divennero bianche. Ebbe d’ un tratto l’ impulso di scaraventare la pipa al suolo e calpestarla sino a che non fosse stata ridotta in pezzi. No, non poteva starsene lì, a fissare il passato con il vuoto negli occhi! Non avrebbe lasciato che il suo cuore si rinsecchisse come un acino d’ uva per piangere anni che ora non erano più! Eppure, non riusciva a smettere di cullarsi in quei profumi dimenticati che la notte sembrava amplificare. Se una parte di lui voleva costruire il proprio futuro, qualcosa di nascosto e recondito desiderava ancora ardentemente il passato; perché il nano in cuor suo sapeva, malgrado avesse visto le stelle emergere dai cieli di tutto il continente, malgrado avesse vissuto il mondo a modo suo, tutt’ ad un fiato, di essere solo, completamente solo al di fuori dai propri fasti.
Rifletteva in silenzio, Albrich, con uno sguardo che sembrava voler squarciale il fitto drappo della sera. Si poneva domande a cui sapeva di non poter dare risposte, domande che nessuno al di fuori di lui poteva capire. Perché tutt’ attorno il mondo sembrava assopito, cullato dal mormorio del fuoco. Anzi no, a ben guardare non proprio tutti dormivano. Vi era una giovane nana dal piglio malinconico che scrutava le tenebre proprio accanto a lui; senza un motivo apparente, Albrich si chiese quali fantasmi affollassero quella mente inesperta. Stette un istante a fissare i capelli ordinati, il volto accigliato di fronte alla realtà che si spegneva. Poi, improvvisamente, la sua lingua si mosse da sé, battendo poche, imbarazzate parole sul palato impastato dalla veglia.
" Notti come queste riescono sempre a riempirmi di malinconia ..."
La sua voce riverberò profonda nell’ aria. La lasciò un po’ fare.
" Dicono che del buon tabacco sia la migliore cura contro il freddo e la nostalgia ... perdonalmente non vi credo poi molto...Peró devo ammettere che questa miscela é davvero sensazionale: uvaspina essiccata, scorza di rosa canina...”
Porgerle l’ imboccatura della pipa fu quasi un gesto inconsapevole, così come lo era stato dare fiato alle proprie parole. Forse aveva semplicemente bisogno di parlare con qualcuno di quello che una volta era stato, di confidarsi. Fatto sta che qualcosa, un desiderio viscerale, lo spingeva a far sbocciare tesi sorrisi verso quella nana dal viso accigliato.
“ Mi fa pensare alla mia terra ... "
Continuò, sorprendendosi di quanto quelle parole fossero scaturite con tanta facilità.
" E inoltre mi migliora parecchio l'alito! Se vuoi favorire, fai un fischio al vecchio Albrich."
Una risata imbarazzata coronò quell’ assurdo tentativo di tessere un rapporto tra due individui che prima di quella notte nemmeno si conoscevano. In una violenta vampata di imbarazzo, Albrich si trovò a desiderare che la nana non avesse ascoltato le sue parole, che fosse rimasta immersa nei suoi pensieri. Il silenzio si frappose tra lui ed la destinataria delle sue parole.
“Ti ringrazio, Albrich... Mi piacerebbe provare...”
Albrich non nascose la sorpresa di vedere la timida mano della nana che raccoglieva la pipa dalle sue palme e se la portava alla bocca, lunga e fumante come era. Tra un breve colpo di tosse e l’ altro una nube azzurrognola avvolse il volto teso della nana.
”Io sono Arsona e vengo da Qashra. Tu invece non sei di queste parti...”
Albrich si limitò a scuotere la testa, osservando la notte cibarsi delle volute di fumo che uscivano dalla bocca di Arsona. Rise sinceramente quando la nana, espellendo con qualche colpo di tosse il fumo che le stagnava nel torace, gli restituì la pipa. C’ era qualcosa di irresistibile nel suo tono di voce dolce ed accondiscendete, in quella sincerità genuina che sapeva come cogliere l’ animo nel lato più morbido. Albrich sentì di potersi aprire, giusto un poco.
"Arsona..."
Sussurrò il suo nome. Non aveva nulla di familiare o di noto; eppure,sapeva che in qualche modo che lei era pronta ad ascoltarlo. Anche lei nella notte aveva visto qualcosa che le aveva fatto tremare il cuore, poteva capirlo dalle ombre che addensavano quei grandi pozzi neri dei suoi occhi.
" Esatto ... questi deserti non sono la mia casa... ma in un certo senso Qashra é la mia cittá..."
Quashra, la città che era stata eretta anche con il suo sangue, era ciò che di più vicino ad una casa potesse dire di avere. Sulle sue labbra sbocciò un sorriso ambiguo ed amaro. Levò il braccio verso l’ oscurità che strisciava più vicino, sempre più vicino.
“Vengo da laggiú, oltre le porte della notte. É un posto gelido, dalla terra sterile e dura. Lá vi cresce solo il muschio e la rosaspina...”
Lo specchio della notte proiettò il verde inteso dei licheni che emergevano dalla roccia chiara, il nereggiare degli alberi, lo splendore dei crinali. Sentì come se l’ oscurità gli avesse conficcato una spina nel cuore.
“Ma é da tanto, tanto tempo che non vi metto piú piede. Ho dormito sotto i cieli di tutto il continente, lontano dal posto infame che mi ha dato i natali... Avevo bisogno di capire in che direzione la mia vita stesse andando”
* Se almeno ora l’ avessi capito … * Avrebbe voluto aggiungere; ma l’ orgoglio e il ritegno fecero passare sotto silenzio quell’ ultimo frammento di frase. Lo sguardo ammirato di Arsona scosse la malinconia dei suoi pensieri.
“ Io mi sono arruolata nell'esercito pochi mesi fa, questa è la prima volta che partecipo a una missione ufficiale. Ti confesso che sono molto nervosa, Tulunay è un gerarca esigente. Mi chiedo che cosa ci si aspetti davvero da noi, siamo solo delle reclute...”
Albrich ascoltò attentamente, torvo, con gli occhi rivolti al suolo. Sentiva il suo animo risuonare con quella piccola sfumatura di preoccupazione, tanto che si sentì in dovere di sorridere, un ampio sorriso sdentato e bonario, e dissipare l’ oscurità in quelle parole.
"Ci sono misteri che la notte contribuisce a tenere ben celati. La nostra missione é di certo uno di questi..."
Il tono della sua voce era basso, ma pieno di tutta la gentilezza di chi vuole essere rincuorante.
" Ma per come la vedo io, se uno come Tulunay ci ha scelti, credo che un motivo ci sia".
Avvicinandosi al focolare, si ritrovò di nuovo faccia a faccia con la notte dell’ Akeran, fosca e spietata.
" Ci sono cose che solo l'alba puó sciogliere"
Era un sussurro, ora, la sua voce scura. E di nuovo l’ immaginazione ruppe il velo delle tenebre: l’ alba sembrò per un istante sorgere dalle creste polverose dei monti. Poi, altre parole sgorgarono, pure come acqua in un roboante torrente.
"Sai... é incredibile. Ho visto il sole sorgere dalle dune di splendidi deserti, l'ho visto emergere dalle nere profondità dell'oceano e riempire l'aria di luce ... ma non riesco a ricordare un'alba piú bella di quella che emerge dalle montagne tra cui sono nato"
La notte sembrò vibrare dello sguardo stupefatto di Arsona.
“Io invece non ho mai lasciato queste terre. Qashra è la mia casa, è dove vivo da quando esiste il Sultanato, a cui ho scelto di dedicare la mia vita ... A volte mi chiedo se non sia anche la mia prigione."
“Ma non è solo questo... Io.. non ho visto niente del mondo al contrario di te, Albrich, e il pensiero dell'ignoto mi fa paura.”
“Perciò ho deciso di arruolarmi nel reparto di Tulunay: per vincere queste paure.”
“Anche se non so più se il mio sia un viaggio o una fuga.”
Fu Albrich questa volta ad avere un sussulto al cuore. Quei brevi silenzi, la forza immensa di quelle parole dette a mezza voce gli fecero aggrottare le sopracciglia cespugliose. Lo stesso fuoco che prima ardeva nei suoi occhi, lo vedeva riflesso nelle pupille della nana. C’ era del coraggio nell’ ammettere ad un estraneo le proprie paure più recondite. Albich percepì la disperazione di un’ anima che voleva essere grande, che aveva la forza ed il coraggio per farlo ma che per qualche motivo ancora si voltava indietro a guardare ai giorni morti dietro il suo cammino. Quelle preoccupazioni, prima che il disastro di Vercinga lo gettasse in pasto al mondo, erano anche le sue: un lui più giovane ed ardito, certo;ma quel “lui” da qualche parte, riflesso in un frammento di notte, non era del tutto scomparso. Stette in silenzio sino a che il cuore della nana non ebbe riversato tutto il suo contenuto. Perché Albrich aveva imparato a sua spese che il cuore si un nano è capace di assorbire tutto, ogni emozione, ogni sensazione, proprio come una spugna e sono rari i momenti in cui l’ oscurità che vi stagna all’ interno trova una valvola di sfogo. Poi, quietamente, si rimise a parlare, con il suo solito tono cupo e meditativo.
“ In fondo ... il mondo non è poi un posto così entusiasmante …"
Ripensò a tutti gli spagli commessi, a tutti i giorni che si erano dissolti alle sue spalle senza lasciare traccia. Ripensò alle amicizie andate in fumo, ai nemici di cui aveva fatto scempio e trovò il numero di questi ultimi di gran lunga superiore a quello dei primi. Lentamente, si sforzò di sorridere, ma non venne bene.
"Chiunque teme ciò che non può conoscere; è un sentimento umano, che ci contraddistingue. Temiamo le cose che sfuggono alla razionalità,al senso comune ... ma ... questa, bada, è una mia opinione quindi, ti prego, prendila come tale..."
La sua voce aveva ripreso vigore; gli occhi, chiari come laghi montani, erano braci vive rivolte al regno delle tenebre, proibito alla comprensione umana.
"Credo fermamente che se riuscissimo a cambiare il nostro sguardo, il nostro punto di vista sul mondo che ci circonda ... bhe, ciò che prima ci spaventava a morte diventerebbe magnifico ed ... affascinante ."
Anche il suo sorriso sembrò riprendere vigore. Era certo che oltre il velo della notte la vita ribollisse: da qualche parte laggiù le lucciole danzavano sopra le spighe di fumento, i ciclamini fiorivano nascosti e profumati sopra una coperta di muschio. Nell’ oscurità crescevano i funghi lungo i sentieri solitari e la rugiada si depositava sui prati. Senza la notte, non poteva esistere il giorno.
" Che il tuo sia un viaggio di formazione o un fuga titanica, immagino che a questo punto non importi più. Forse saresti ancora in tempo per tornare indietro, per riappacificarti con la tua coscienza, ma sento che in te, Arsona... vi è come una grande forza, un fiume in piena che vuole rompere gli argini, una vita che pulsa e duole ... ma solo perché vuole andare oltre ..."
L’ aveva percepita prima, da quel forte senso di dubbio e dal coraggio che trapelava dalle sue parole ed ora stava riportando con voce bassa e serena la sua riflessione, ma la giovane nana sembrava ugualmente stupita. Albrich sorrise. Pazienza, prima o poi si sarebbe resa conto della propria forza interiore.
" Chiamala pure come vuoi : 'istinto','curiosità', ma è qualcosa che sai di non poter ignorare. E' un richiamo primordiale, che ti spinge a osare, ad incamminarti per il dannato mondo a voler cercare esperienze che da sempre ti hanno proibito di fare..."
Gli venne da sorridere. Era molto che non sorrideva più con tanta facilità.
"Solo allora potrai capire, a mio avviso, cosa sia realmente importante e cosa sia, al contrario, un miraggio, un' illusione."
Lo sguardo del nano, vivo, fremente, incrociò quello di Arsona.
"Scommetto ciò che vuoi che, comunque sia, non ti abbandonerai mai ai rimorsi.".
Si sentì svuotato, dopo quelle parole. Era una sensazione piacevole, in fondo. Si identificava molto in quella nana da sorriso facile e pieno di gratitudine; nelle sue iridi scure rivedeva sé stesso, anni orsono, con la stessa smania di liberarsi dai propri vincoli, di vedere il mondo, le stesse paure e gli stessi limiti . Le palpebre d’ un tratto gli si fecero più pesanti. Il torpore di uno sbadiglio gli salì dal petto sino alla mascella. Un ultimo sospiro di fumo e le ombre della notte parvero dissolversi.
"Se ne avrò l' occasione, sempre se sarai ben disposta ad ascoltarmi, ti parlerò dei miei viaggi."
Lo disse con il tono di una promessa; Arsona, una volta saputo dell’ ambiguità del mondo, non si sarebbe fatta scrupoli a sperimentarla lei stessa, ne era certo. Per questo era un compito importante da assolvere, quello di narrare le proprie avventure. Ma quella non era né l’ ora, né il tempo, né il luogo. Due brevi colpi sul terreno duro dove poggiavano i suoi glutei e il braciere della pipa era svuotato delle ceneri.
"Non aver paura della notte. L' oscurità, nelle grandi valli del Nord, odora di menta e origano selvatico; è un profumo incredibilmente buono."
Sentiva nelle sue orecchie il lamento dell’ erba, il respiro della nebbia che inondava le vallate in cui era cresciuto e vissuto. Se non le avesse lasciate, se non si fosse tuffato nell’ infinito, nella notte, non avrebbe mai scoperto le meraviglie e le grandi contraddizioni del mondo. Arsona, incantata, pensosa, parlò in tono soave.
“Sarai il benvenuto nella casa della mia famiglia, Albrich. Al nostro ritorno condivideremo le nostre storie bevendo il té, come si usa tra i nani di Qashra…”
*Ci conto* avrebbe voluto dire; ma si limitò ad avvilupparsi nelle proprie vesti, in attesa del sonno, con un sorriso pacifico stampato sul volto.
“Spero di poter sentire anch'io questo profumo, un giorno...Buonanotte, Albrich.”
“Sogni d’ oro, Arsona di Qashra.”
E il sonno lo portò lontano, per quelle valli che credeva non esistessero più, lungo quei crinali scoscesi e quei picchi innevati che da piccolo sognava di poter valicare
Albrich (IMG:http://i39.tinypic.com/ypa9e.jpg) <div align="center">Classe: Guerriero Razza: Nano Talento: Avanguardia I CS: 1 Forza 1 Costituzione Stato Fisico: Illeso (100 %) Stato Psicologico: Illeso(100%) Stato Emotivo: Malinconico Energia: 55% Equipaggiamento: Mjolnir(Mano destra) Varja (Mano sinistra) Martelli da guerra. [riposti] Desperia, ascia bipenne [riposta] Tecniche attive: /// Tecniche passive: CITAZIONE Runa del Nerbo: (Talento I: Avanguardia) >> Passiva
Ciò che contraddistingue Albrich è chiaramente una straordinaria prestanza fisica. La muscolatura allenata oltre ogni dire di questo individuo gli permette infatti di brandire armi o scudi di dimensioni ragguardevoli, difficili da padroneggiare per qualsiasi altro. Ciò si traduce nella possibilità di utilizzare, ad esempio, due grosse asce - una per mano - senza risentire quasi del loro peso, oppure di portare senza fatica un grande scudo in battaglia. In termini tecnici, i possessori di questo talento potranno utilizzare armi di grandi dimensioni come se fossero equipaggiamenti normali.
Runa dell’Acume >>Passiva (Pergamena “Tattiche di combattimento”: il guerriero acquisisce le conoscenze necessarie a sfruttare tatticamente l'ambiente circostante. In uno scontro ciò potrà anche tradursi nell'abilità di vincere scontri fisici a parità di CS, grazie alla superiore conoscenza del terreno di scontro da parte del guerriero.)
Non c’ è nulla di più importante per un guerriero che entrare in simbiosi con il campo di battaglia, analizzarlo, coglierne le impercettibili sfumature che ad un occhio meno esperto, ad un animo meno temprato, sfuggirebbero come l’ acqua serpeggia silenziosa tra i bianchi ciottoli di un torrente; Se tale coscienza è essenziale per un combattente, per un nano, un infimo, sottovalutato nano, è questione di vita o di morte. Se per un nano tale conoscenza è questione di vita o di morte, per Albrich, nello scorrere impetuoso degli anni, è diventata una questione d’ onore. Con quasi un secolo alle spalle,con troppe cicatrici ancora aperte ed il forte sapore della guerra sempre e costantemente sulle labbra, Albrich ha visto davvero un sacco di cose. I suoi piedi hanno calcato la nuda roccia, le fredde vallate del nord, sono affondati nella neve fresca. Il suo animo non ha vacillato dinnanzi alla natura crudele dell’ Akeran, né dinnanzi al cupo squallore dei bassifondi più torbidi. Ovunque si trovi, è stato di certo in un posto simile, sebbene peggiore, del quale conosce a mente punti deboli e punti di forza. Il campo di battaglia non ha più segreti, per l’ orgoglioso Albrich Durno Jovill Saemund Brisgamet Rotghaar.
Runa della Razza: (Abilità Razziale) >> Passiva
La razza dei nani gode da sempre di una particolare predisposizione alla vita dura, cosa che li ha resi nei secoli famosi per la loro tenacia senza pari; abituati a vivere nelle condizioni più abiette (sotto terra, dove la roccia viva non offre occasione di coltivare o allevare grandi quantità di vegetali e animali), i nani sono col tempo divenuti meno sensibili delle altre razze alla fatica fisica. Ciò si traduce, all'atto pratico, in una resistenza alla fame, alla sete, all'affaticamento del corpo dovuto a lunghi viaggi o combattimenti estenuanti. In termini di gioco un nano non sentirà i morsi della fame, non avrà bisogno di bere se non quando gli aggrada e non risentirà della fatica durante il combattimento, anche qualora questo dovesse protrarsi a lungo; ciononostante sverrà al 10% delle energie come qualsiasi altro. Riassunto: Note: Chiedo scusa per il ritardo ma gli impegni cominciano a premere e io comincio a cedere... ma non temete,sarò attivo e presente più che posso
|