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Fetiales; il terzo Ahriman, Contest Settembre 2014 - Viaggio

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view post Posted on 6/9/2014, 20:21
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Sono uno di tanti;

un pendolare che si alza tutte le mattine
e si presenta alla stazione sbagliata,
ad un orario mancato,
per aspettare un carro che non passerà,
ma che potrebbe cambiare la sua vita.

L'anima romantica del mondo
dipende da questo trantràn quotidiano.


ZcuKFyj


« Disponeteli ad ettagono, poi tornate nella terra. »
Reek era un uomo alto, pallido e magro, con braccia e gambe sottili come quelle di una marionetta e l'andatura di chi è troppo indaffarato per guardarsi intorno. Si faceva accompagnare da sette famigli scheletrici che a causa della differenza di statura sembravano persino più in carne di lui, e che trasportavano ciascuno il corpo senza vita di un mendicante, seguendo pedissequamente le sue indicazioni. Poggiandoli in terra, Venatrix poté osservare le espressioni di ciascuno di quei cadaveri, congelate in una smorfia di eterna sorpresa; i loro occhi erano ormai grigi e già animati da quella consapevolezza spaventosa che pervade lo sguardo di chi è morto da qualche tempo. Gli stessi occhi di un bambino che si sveglia da un incubo terribile, ed è ancora incapace di distinguere la realtà da ciò che gli ha mostrato il sogno.
Solamente qualche mese prima, assistendo agli abietti rituali di quel negromante, avrebbe reagito con severa indifferenza. Non era mai stato di persona nell'Akeran, ma ricordava perfettamente tutto ciò che gli era stato detto dai suoi fratelli, quando ancora viveva insieme a loro.
« Guardati bene dalle terre meridionali di Theras, Rubietentia. » lo ammonivano spesso, quando l'argomento faceva timidamente capolino fra le loro conversazioni « Quelle sono terre nelle mani dei demoni, ormai. Sono pochi quelli che ancora ci vivono, e per di più non fanno altro che rivoltarsi contro i propri compagni, rubando, uccidendo, costruendo prigioni o facendo largo uso di schiavi. »
Lui ascoltava attentamente, cercando di immaginarsi una realtà così barbarica. Nella sua mente si dipingeva un quadro dove signori dei demoni grandi come palazzi tiranneggiavano sulle razze inferiori, troppo potenti per essere fronteggiati. Se li figurava mentre brandivano gigantesche fruste di fuoco sui propri schiavi, ricoprendoli di cenere e assordandoli con la propria voce.
« Perché non interveniamo, dunque? » chiedeva con sincera ingenuità, stando ben attento a non lasciarsi infettare dalla negligenza che pareva aver attanagliato i suoi compagni più vecchi e deboli « I demoni non sono forse il nostro nemico più atroce? »
« Sarebbe inutile. » gli rispondevano rapidamente « L'Akeran è destinato a morire, indipendentemente dal nostro intervento. È divorato da deserti rocciosi che si ampliano di giorno in giorno, strangolato dal fetore di centinaia di paludi e ferito dalle costruzioni di quei pochi uomini che si ostinano ad abitarlo. Gli Déi e la natura stessa hanno rinunciato alla pretesa di poterlo risanare, dunque cosa speri che potremmo compiere noi? »
Discussioni come quella si ripetevano di quando in quando, scoraggiando il drago da qualsiasi idea di bonificare Theras; anzi, ogni volta che veniva nominato l'Akeran la sua mente si popolava immediatamente di visioni di povertà, sporcizia e crudeltà. Col tempo aveva iniziato anche lui a credere che a Sud non vi fosse più nulla da salvare, e nessuna ragione per cui intervenire. Il viaggio che aveva compiuto negli ultimi mesi, però, aveva cambiato molte delle sue opinioni e dei suoi atteggiamenti, mettendo lentamente in moto gli ingranaggi arrugginiti del suo pensiero.
Così, osservando Reek disporre i cadaveri in un ettagono per compiere un rituale profano e disgustoso, ne rimase inorridito.

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Aveva iniziato il suo viaggio dalle Terre Libere, così bugiardamente nominate dalla Guardia Insonne. Il regime da loro istituito l'aveva costretto a partire frettolosamente e in tempi ben più brevi di quelli che si sarebbe concesso normalmente, ma aveva d'altra parte incoraggiato la sua intenzione a viaggiare in forma umana, muovendosi fra le persone piuttosto che fra le nuvole.
Aveva attraversato prati e campagne, scoprendoli un riparo più sicuro delle vie di città. Gli alti fusti del grano e le fronde degli alberi si erano rivelati più che sufficienti a nascondere il suo passaggio, e nemmeno una volta si era trovato al cospetto di un nemico, di un pauroso, o semplicemente di un altro viandante. Perché mai gli uomini si ostinavano a chiudersi nelle città che avevano costruito, anche quando queste iniziavano a rivelarsi troppo pericolose per essere abitate? Speravano forse che lo sguardo degli Déi non potesse occhieggiarli fra i vicoli sporchi di Basiledra? Oppure non accettavano che la natura li spregiasse con l'opprimente prepotenza dei boschi, preferendo una casa artificiale e nemica a un riparo superbo ma sicuro?
Quelle volte che si era trovato ad attraversare un villaggio, aveva preso l'abitudine di fermarsi agli angoli della strada e osservare le persone che si accalcavano febbrilmente le une sulle altre, povere e affaccendate. Le loro gambe si susseguivano veloci come i loro pensieri, mentre si attardava a valutare la vita che la razza umana aveva deciso di costruirsi: un'esistenza di patetiche contraddizioni e misere gratificazioni, facilmente estinta dai capricci di chi occupava in quel momento il trono. Non si fermava mai troppo ad articolare queste riflessioni, però, poiché sapeva che una tale abitudine si sarebbe presto rivelata pericolosa: a continuare a parlare con se stesso, avrebbe iniziato a darsi ragione.
Fortunatamente non era né muto né inabile, dunque abbandonava rapidamente il suo ruolo di eremita da marciapiede e proseguiva celere nel suo viaggio.
I Quattro Regni avrebbero dovuto essere il diamante della civiltà di Dortan, e invece si stavano spiegando innanzi ai suoi occhi come le pagine di una raccolta di guerre, odi e violenze. Se li lasciò alle spalle con un sentimento di amaro rimpianto, chiedendosi perché mai avesse tentato di difenderli in passato: gli interventi suoi e degli altri draghi avevano reso la razza umana pigra, indolente, viziata e numerosa.
Fu con questi sentimenti che si addentrò nel deserto dei See, incapace di interrompere il suo viaggio.
Aveva già appurato che dopo aver iniziato a pensare e camminare, non sarebbe più stato in grado di smettere di farlo.

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Aveva quindi varcato la soglia dell'Akeran con la triste impressione che i suoi sforzi fossero vani, e che Theras non meritasse affatto un suo intervento. Si era diretto verso meridione, dove gli era stato detto che il mondo era più in pericolo, e le sue aspettative su ciò che l'avrebbe atteso erano quantomai misere. Era convinto che il deserto sarebbe stato intervallato da afose paludi e distese rocciose, e che la parte più amena del suo viaggio fosse già terminata. Ciò che lo attese oltre il confine, invece, fu tutt'altro.
Naturalmente era a conoscenza degli eventi della "Riunificazione" e aveva sentito dire che i nani, dopo aver spezzato le catene che li avevano tenuti in schiavitù per secoli, avevano bonificato velocemente i territori dell'Akeran e li avevano resi nuovamente abitabili. Mai si sarebbe aspettato, però, di trovarsi innanzi al paradiso che lo accolse all'interno del Sultanato.
La terra era fertile, il sole splendeva e i campi erano irrigati da lunghi canali artificiali, all'interno dei quali i bambini si bagnavano e giocavano per sconfiggere il caldo. Le strade erano in gran parte piastrellate d'argilla (o quantomeno fatte di terra battuta), le persone erano amichevoli e il clima generoso. Nulla sembrava suggerire le atrocità che avevano recentemente dilaniato quelle terre, né tuttavia i nani si comportavano come se avessero dimenticato la loro storia.
Fra le strade della provincia di Qashra Venatrix si sentì a proprio agio e ben accolto, e parlando e osservando chiunque fosse disposto a dargli una mano nella prosecuzione del suo viaggio, capì perché apprezzasse così tanto quei luoghi e quelle genti. Le gambe dei nani si muovevano più lentamente di quelle degli uomini ed erano più tozze; allo stesso modo, però, i loro pensieri erano meglio articolati e più concreti. Gli abitanti dell'Akeran rispettavano la ricchezza e la fertilità del territorio come soltanto chi ha patito la fame saprebbe fare; loro che appartenevano a quella stessa generazione che fino a qualche anno prima era stata costretta a vagabondare per le paludi, a servire come schiavi o a morire in guerra, ora vivevano con l'intrinseco terrore di sprecare tutto ciò che il desiderio di Jahrir Gakhoor aveva realizzato.
Trattavano l'Akeran come un vagabondo affamato farebbe con un dolce pezzo di torta: assaporandola fino all'ultima briciola, senza sprecarne un solo grammo e onorando chiunque gliel'avesse donata. Non temevano le campagne come gli uomini di Dortan, né avevano paura della natura: la esaltavano invece con le proprie opere, deturpando il paesaggio solamente dove necessario e stando bene attenti a contenere la propria cupidigia.
Furono queste considerazioni a far cambiare idea a Venatrix. Per la prima volta si sentì a casa. Fu contento di aver preso la decisione di partire e rimpianse che il suo amico Raymond Lancaster non fosse lì con lui a godere di tutta quell'abbondanza.
L'Akeran meritava di essere salvato.
Proseguì il suo viaggio, quindi, andando sempre più a Sud.

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Il Sürgün-zemat invece soddisfò ampiamente le sue peggiori aspettative.
Mano a mano che il drago proseguiva verso meridione, iniziò a sentire delle affermazioni inquietanti che si nascondevano fra le chiacchiere degli abitanti del Sultanato. Più si avvicinava ai confini del regno dei nani e più queste aumentavano, sia di portata che di quantità. C'era chi raccontava di aver visto demoni assalire famiglie indifese per divorarne le carni; chi sosteneva che i propri familiari erano impazziti e si erano rivoltati contro i propri parenti, compiendo una strage; chi aveva visto scomparire amici nel nulla, chi era stato costretto a migrare verso Nord e chi si trovava in una condizione di miseria.
Persino la terra iniziò a farsi più dura e brulla, solcata da ferite larghe decine di metri e priva di qualsiasi tipo di vegetazione. Fiumi e canali erano scomparsi e i villaggi si fecero mano a mano più piccoli e radi: nessuno sembrava volersi spingere sino a quelle terre, per alcuna ragione al mondo. L'influenza di Baathos sul Sürgün-zemat era evidente, persino per chi non avesse mai visto un demone in vita propria: la gente aveva paura, il cielo era grigio e le strade ricoperte di cenere. Ovunque vi erano mosche e insetti che si svolazzavano pigramente e si poggiavano su qualsiasi cosa capitasse loro a tiro: terra, animali e persone. Più di una volta il drago sentì che gli si poggiavano sulle palpebre, e fu costretto a scacciarle con gesti convulsi delle braccia: dubitava che persino tutto il suo fuoco potesse bastare per eliminare completamente quegli insetti.
Demoni e draghi di Theras sono sempre stati nemici antichi e primordiali, e benché Venatrix si fosse raramente inimicato una di queste creature, la sua presenza non passò inosservata. Più di una volta sentì su di sé gli occhi di entità malvagie ed invisibili, che lo seguivano chiedendosi quali fossero le sue intenzioni in quel luogo. Il suo naso prudeva fastidiosamente per l'odore di muffa e polvere e i suoi orecchi erano assordati da un acuto sibilo di origine imprecisata.
I demoni erano una piaga vivente per il continente di Theras; una gramigna che andava estirpata prima che potesse mettere radici troppo profonde. Le uniche informazioni che aveva su quella minaccia, però, erano le posizioni degli unici due accessi a Baathos di Theras: uno nell'Edhel e uno lì, a qualche giorno di viaggio di distanza.
Presto avrebbe raggiunto il cratere che si affacciava sull'abisso; l'entrata alle lubriche profondità del mondo; il cosiddetto Buco del Diavolo. Una volta lì, avrebbe chiuso quell'accesso.
Avrebbe salvato l'Akeran dai demoni.

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« ...in catene...non più...e mai più. »
Fu per tutte queste ragioni che il comportamento di Reek lo disgustò. Non per l'utilizzo dissacrante dei cadaveri, né per l'aver sfruttato le più bieche arti negromantiche; fu piuttosto per aver infettato quelle terre con quell'ambizione e cupidigia che aveva trovato solamente a Dortan, fra gli esseri umani. Come aveva potuto restare indifferente alla generosità dei nani? Possibile che la sua determinazione fosse tale da renderlo cieco a tutto ciò che non lo riguardasse direttamente?
Venatrix chiuse il proprio pugno in uno scatto e le figure di Reek, dei cadaveri e dei suoi scheletri sparirono nel nulla.
Per raggiungere il Buco del Diavolo aveva dovuto non soltanto viaggiare attraverso lo spazio, ma anche nel tempo: non gli era stato difficile richiamare le ombre di chi aveva percorso il Sürgün-Zemat prima di lui e lasciare che gli indicassero la strada. Aveva quindi avuto l'opportunità di osservare come Reek aveva spalancato le porte di Baathos in ragione del proprio egoismo, compiendo un rituale dimenticato e lasciando che i demoni sciamassero fuori dal Buco del Diavolo per ostacolare la "Riunificazione" dei nani. Quella guerra si era conclusa ormai da tempo, ma nessuno aveva osato tornare lì per porre una pezza a quanto aveva compiuto il negromante.
Venatrix si alzò e si diresse verso il ciglio del precipizio che spaccava la terra in due, affacciandosi sull'abisso. Guardò verso le profondità e lasciò che le profondità guardassero dentro di lui. La sua vista era abbastanza acuta da poter vedere i corpi dei demoni contorcersi sul fondo del Buco come vermi, e una zaffata di fetore nauseante alimentò tale convinzione. In lontananza poté osservare alcune creature salire in superficie, che reagirono alla sua presenza con paura e timore: umanoidi molli e bianchicci, con occhi bianchi e grandi bocche circolari zannute; il loro sguardo era carico di avidità, fame e febbre, e davano l'impressione di non possedere nemmeno le forze per camminare.

"Buco del Diavolo" era un nome romantico per quel luogo. La verità era che il Sürgün-zemat somigliava più a un gigantesco ragno affamato e rigonfio di veleno, in procinto di gettarsi sull'Akeran; l'accesso a Baathos ne erano il ventre e le budella, piene di sporcizia e di malattie. Lì il male si era come stratificato e veniva tenuto insieme dal caldo, dalla violenza e dagli insetti.
Niente di ciò che vide gli diede tuttavia l'impressione di essere pericoloso.
Cosa avrebbe dovuto temere? Quelle creature deboli e terrorizzate che a malapena riuscivano a farsi strada sino alla superficie? Erano quelli i tanto decantati demoni contro cui i suoi avi avevano combattuto? Non poteva negare la presenza del male in quel luogo... ma poteva ammettere con la stessa certezza che fosse "naturale"?
Piuttosto che signori dell'oscurità e della morte, quelle creature gli davano l'impressione di essere deboli, rancorose e malate. Come se la loro malvagità non fosse intrinsecamente dovuta alle loro origini, quanto piuttosto alle condizioni in cui erano state costrette a vivere, nell'umida oscurità di Baathos.
...Possibile che per i demoni ci fosse una possibilità di redenzione? Se fossero nati in qualsiasi altro luogo di Theras, sarebbero comunque cresciuti malvagi? Se Baathos fosse stato bonificato, avrebbero reagito con lo stesso rispetto e ardore della razza dei nani nel Sultanato?

« queste sono domande pericolose... توله سگ. »
La voce interruppe improvvisamente tutti i pensieri del drago, colpendolo con la stessa violenza di un pugno alla bocca dello stomaco. Era allegra e divertita, ma al tempo stesso antica e spaventosa; l'aveva sentita senza averla sentita, come se si fosse diffusa attraverso il male e la puzza che permeavano l'aria, e non tramite il suono. Aveva raggiunto la sua mente e l'aveva trafitta come con uno stiletto, provocandogli un dolore acuto fra le tempie.
« Chi sei? » chiese con aria sorpresa, cercando di riprendersi da quell'improvviso affondo mentale. La risposta tardò molto ad arrivare, infine giungendo in una lingua sconosciuta.

« ...عمومی »

Venatrix non seppe cosa rispondere, quindi si lasciò sfuggire l'affermazione più banale che avrebbe potuto. « Cosa? » chiese attanagliato dal dolore che gli pervadeva la testa « Che lingua stai parlando? »
« Ma come, sei un اژدها e non conosci la lingua dei demoni, i tuoi nemici? Cosa sei venuto a fare qui, توله سگ...? »
« Io... » rispose lui, incapace di sottrarsi a quell'interrogatorio « ...sono qui per sconfiggere le creature come te. Chiuderò questo accesso a Baathos e impedirò al male di fuoriuscirvi. »
Ancora non riusciva a capire da chi proveniva quella voce, ma iniziò ad averne paura: chiunque fosse l'entità che aveva deciso di interagire con lui, sapeva della sua natura e delle sue intenzioni; inoltre, a differenza di tutti i demoni che aveva intravisto sino a quell'istante, non sembrava affatto intimorito dalla sua presenza. Anzi, pareva quasi divertito da quella situazione.
« E tu pensi che te lo lascerò fare? »
La voce rise e Venatrix sentì come se un serpente stesse attorcigliandosi intorno al suo collo, pronto a strangolarlo. Si portò istintivamente una mano alla gola, per proteggersi.
« Mi stavo giusto chiedendo se qualcuno sarebbe mai intervenuto per intralciare il ciclo di corruzione; ma un اژدها... sono passati secoli dall'ultima volta che ho assaporato la carne di uno di voi, توله سگ. E tu ti presenti alle porte di casa mia pensando di poter salvare tutti quanti, come un onnipotente salvatore. Ma che cosa sai in realtà? »
« Io... »
« Nulla! ...Nulla. Vieni qui pieno di belle intenzioni, riflettendo su una possibilità di "redenzione"... Redenzione?! Ma chi ti credi di essere, توله سگ? Baathos è il mio pascolo e sono secoli che butto mangime a queste creature perché crescano secondo la loro vera natura: piangendo, uccidendo e infettando la superficie, per poi morire nel peccato. Tu pecchi di vanità, توله سگ: sogni, e sogni solo per te. »
« Vanità...? »
« Ma certo! Tu e le tue patetiche riflessioni non fate altro che illudere gli altri e te stesso credendo che la via per la salvezza sia in un mondo più pulito. Esiste solo una via. »
« چرخه. Il Ciclo. »
« Il ciclo? Di cosa stai parlando?! »
Improvvisamente Venatrix venne colto da un'improvvisa agitazione. Che cosa gli era venuto in mente di andare sino a lì senza alcuna preparazione? Baathos era rimasto chiuso per millenni, e lui aveva scioccamente pensato che ormai non potesse contenere più alcuna minaccia. Ora sentiva la voce di un signore dei demoni dentro la sua mente, e quella sola presenza era per lui insostenibile: graffiava la sua anima e la lacerava come uno straccio, facendola a pezzi e impedendogli di ragionare freddamente.

« شما می دانید که هیچ چیز، توله سگ »
La voce continuò a parlare in una lingua sconosciuta, accecandolo e togliendogli l'aria. Iniziò a sentirsi debole e gli parve che le gambe non riuscissero più a sostenerlo.
« Non ti ucciderò. » disse con allegria, ridendo delle sue pene « Non se posso lasciarti maturare, prima. »
Improvvisamente il corpo di Venatrix si paralizzò, come se fosse stato stretto nella mano di un gigante. Si ritrovò incapace di respirare e sentì tutte le energie fuoriuscire dal suo corpo.
Era inerme, forse per la prima volta in vita sua.

« Sei convinto di essere al culmine del tuo viaggio, توله سگ, senza renderti conto che questo è appena iniziato. »
« Ma non preoccuparti, ho intenzione di costringerti a imparare di nuovo a camminare. »


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« Così desidera il terzo Ahriman. »

CITAZIONE
La scena racconta del viaggio di Venatrix da Dortan all'Akeran, menzionando gli avvenimenti di questa scena [link], che vengono rievocati grazie a questa tecnica:

CITAZIONE
In realtà, sono in pochi a poter dire di aver visto Rubietentia combattere. La maggior parte delle persone che l'hanno conosciuto sono state salvate da lui, oppure l'hanno semplicemente incontrato nel corso di uno dei suoi viaggi, mentre cercava riparo per la notte o si confondeva fra la folla. Egli è un viandante alla ricerca della propria meta e non ama dare sfoggio delle proprie capacità se non è necessario farlo; piuttosto, ama perdersi nel corso dei propri viaggi, scoprire cose che non credeva potessero esistere, assistere ai comportamenti umani e pensare a ciò che ha visto, dopo averlo lasciato dietro di sé.
Venatrix ama guardarsi intorno; sa di avere ancora un'infinità da imparare, e di essere ben lontano dal termine del suo viaggio. Così egli ha imparato a guardare distante, oltre il tempo e dentro le persone; ha imparato a conoscere ciò che lo circonda e a questionarsi sugli accadimenti dei luoghi e il passato degli individui. Non gli piace dare qualcosa per scontato ed è sempre aperto alle più grandi esperienze della vita: amare e imparare.

[Venatrix [...] può rievocare gli avvenimenti passati del luogo in cui si trova (abilità personale - illusione ad area magica a potenza e consumo Medi che ricrea gli avvenimenti passati del luogo in cui ci si trova)]

Naturalmente ho chiesto e ottenuto il permesso da Caccia92 di citare il suo precedente pg nel post. La scena è inoltre un importante tassello della campagna "Fetiales" e introduce l'antagonista principale della storia: il terzo Ahriman. Un signore dei demoni che, come tale, usa un linguaggio appropriato; qui sotto la traduzione dei termini:

توله سگ = cucciolo
عمومی = l'Ahriman
اژدها = drago
چرخه = il ciclo
شما می دانید که هیچ چیز، توله سگ = tu non sai niente, cucciolo (cit.)

 
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