in riferimento a
Fetiales; ʤɛna
Xari, a malincuore, premette il grilletto della pistola.
Il calcio in ferro scattò lentamente verso la camera d'otturazione, sprigionando la scintilla che accese la polvere da sparo al suo interno. Il calore crebbe a dismisura in una frazione di secondo, scatenando così uno scoppio che liberò il piccolo, tondo proiettile.
La pallottola sfuggì dalla canna con una fiammata di fuoco e polvere sulfurea, macinando i centimetri che la separavano dal cranio del cieco, sfortunato Mehmet Şahin.
Un fischio fu tutto ciò che annunciò l'impatto del metallo sulla sua carne - un foro di sangue che avrebbe istantaeamente sradicato la vita dall'avido nano. Un'esecuzione vigliacca: la mano del boia che agisce secondo la condanna comminata.
Ciò che seguì, tuttavia, costernò il pirata: l'irrazionale carica di Şahin sembrò ignorare completamente l'aggressione subìta alle proprie spalle, costringendo Alexei ad avvilupparlo con un fuoco magico ed incandescente che ne rivelò le reali sembianze; sotto i loro occhi, Mehmet si contorse convulsamente trasformandosi in una creatura orrida e raccapricciante - marcia, consumata sino al midollo dai propri vizi. Era uno scheletro divorato dalla malizia e mutilato dalla corruzione - la caricatura di un nano disegnata da un artista infernale. Attonito, Drenthe abbassò la pistola: era assolutamente incapace di distogliere lo sguardo da quei resti, proprio come nessuna parola avrebbe potuto uscire dalle sue labbra.
« Tale è il potere nel nostro nemico. »
Ecco la conferma di tutto ciò che aveva letto a proposito della Tentatio: la saggistica Maegon aveva descritto quella catàbasi con minuziosa attenzione, glissando tuttavia sull'irreversibilità di quel sentiero oscuro. Per un istante, Xari rabbrividì nonostante il forte caldo della giungla del Plaakar: neppure un'incrollabile forza di volontà avrebbe potuto vincere quel potere, una volta immersovi completamente. Combattere la Tentatio era come camminare lungo una fune sospesa sopra la fine del mondo: se avesse attinto troppo alla sua forza, essa l'avrebbe inghiottito.
"Sii come un promontorio roccioso contro il quale si abbatte continuamente l'instancabile marea.", recitò. La metafora gli rammentò chiaramente i lineamenti della dea di ʤɛna; ricordò perfettamente l'ira che lo aveva trascinato nella sala del filatterio, la rabbia che aveva schiacciato al suolo le colossali sentinelle Maegon e la passione bruciante che lo aveva afferrato assaporando il profumo di quella donna, così vicina a lui. Era stato ad un passo dall'oblìo, ma solo ora se ne rendeva pienamente conto.
Con deliberata lentezza, il pirata rinfoderò la sputafuoco. Si sentiva terribilmente spossato, svuotato: se Mehmet era stato corrotto dalla Tentatio, ciò significava che il Ciclo era ancora un pericolo - ma non solo. Tutto ciò che aveva appreso dalla sua avventura onirica nella ʤɛna del passato non era morto con il dissolvimento della memoria; la marea corruttrice stava nuovamente erodendo il Velo - o la Trama magica - di Theras, ruggendo sempre più forte.
Stava giungendo un uragano, e probabilmente non esisteva porto sicuro che potesse dare rifugio ad alcun marinaio.
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« La famiglia Macedo-Soares possedeva Tos, », disse, guardando il cielo. « una piccola isola dell'arcipelago di Dorhamat. »
L'incessante movimento delle fronde degli alberi cullava il pirata con assoluta amorevolezza, aiutandolo a riordinare i pensieri e a memorizzare i dettagli fondamentali di quella storia. Avevano impiegato diverse ore a condividere ciò che avevano vissuto all'interno della memoria, ricostruendo come minuscoli tasselli di un gigantesco indovinello la stupenda difficoltà degli ultimi avvenimenti. Il Ciclo, il Baathos, la minaccia che pendeva ora sopra il continente meridionale; gli riusciva particolarmente complicato immaginare la Sognatrice (ora poteva finalmente dare un nome certo alla regina di ʤɛna) come una terribile signora dei demoni, ma il potere indiscusso che gli aveva mostrato era sufficientemente ultraterreno da prendere per vere le parole di Alexei (il rosso salvatore) e Lamrael, che l'aveva combattuta.
La situazione era intricata: l'Ahriman attuale pareva in qualche modo molto diverso da quello sorto dalla corruzione di un empio rituale officiato nel passato; il tempo aveva forse fortificato l'arcidemone, attingendo ai più oscuri poteri del Baathos, trasformandolo così in un essere capace di distruggere l'intero Akeran. Eppure, c'era ancora qualcosa di elusivo: la Tentatio sembrava una forza incontrollabile ed indipendente persino dai demoni. Xari ragionava in termini logici di praticità, faticando sulla formulazione di un concetto metafisico del quale aveva la prova fisica della sua esistenza (bastava osservare il cadavere del decaduto Mehmet), ma del quale non poteva afferrare le regole. Se Intet aveva tentato di sfruttarla per raggiungere l'Asgradel, in quale ordine di grandezza si collocavano questi poteri sovradimensionali? Quale ruolo avrebbero avuto esse sul momento presente, consapevoli che la Tentatio stava per scatenare le forze dell'Ahriman sul continente - e a quale scopo, poi?
Vi aveva riflettuto in silenzio per tutto il giorno; dopo ore di riflessione, aveva abbandonato l'argomento. Per quanto potesse essere intuitivo, quello non era il suo campo. Sapeva tuttavia dove andare a cercare alcune risposte - e, soprattutto, a chi chiederle.
« Come spesso accade nei borghi di frontiera, il loro governo era assoluto. Vivevano di commercio ed estrazione di coralli magici dai fondali costieri, molto ricercati dagli incantatori e dai mastri delle rune. »
Tornare alla civiltà era una lunga marcia attraverso l'insidiosa giungla del Plaakar, ma il viaggio di ritorno sembrava molto più agevole di quello intrapreso all'andata; i Maegon camminavano senza fiatare, parlando di tanto in tanto con Alexei nella loro lingua antica e seguendo le sue indicazioni. Il potere sopito della guida dai capelli cremisi sembrava persino in grado di tenere lontane le bestie feroci, poichè le Ayilar non osarono mai mettersi sulle loro tracce.
« Nella lotta con le Città Libere, tuttavia, i tempi mutarono. L'economia dell'isola venne distrutta, e qualcuno cominciò a delinquere; il malcontento crebbe, poichè la fame è più forte della ragione e persino i Macedo-Soares osservarono i loro forzieri svuotarsi rapidamente. » Xari osservò Alexei, seduto tranquillamente su un'enorme radice mentre l'intera colonna si riposava. « I signori di Tos decisero così di punire duramente i colpevoli dei piccoli furti: cominciarono con le fustigazioni, ed in breve tempo si assistette alla prima impiccagione. La situazione peggiorò esponenzialmente: gli uni incolpavano gli altri della carestia e del malgoverno, sino a quando, dopo l'ennesimo sabotaggio, i Macedo-Soares punirono con la decimazione i rivoltosi. »
Il pirata spostò lo sguardo verso i Maegon - creature così antiche ed una volta potenti da fargli credere di essere tornato nuovamente nella memoria.
« Ciò fu la proverbiale goccia che fece traboccare il vaso. In una triste notte, Tos si ribellò ai suoi signori, uccidendone molti e scacciando i superstiti.
Molti anni dopo, un caparbio giovane dei Macedo-Soares tornò sull'isola: gli esuli, dopo tanta fatica e povertà, avevano riguadagnato gran parte della fortuna perduta. Era animato da scopi lodevoli: voleva ricostruire ed aiutare quella che una volta era stata la sua gente. Ma il rancore ha lunga memoria, e la diffidenza è presto divenuta diverbio, poi ostilità. Il giovane non aveva alcuna colpa per le azioni commesse dai suoi ascendenti, ma l'odio di Tos gli costò comunque la vita - toltagli con la brutalità di una lama nella notte. »
Xari allacciò le dita sotto la nuca, poggiando le mani ed il capo sul ginocchio alzato.
« Questi Maegon sono una tua responsabilità, ma il loro ritorno provocherà molte conseguenze nell'Akeran; a dispetto della corruzione di Mehmet, raramente otterrai una reazione diversa da quella assunta dal nano.
Il sud non è ancora pronto per questa notizia. »
Il pirata sorrise serenamente.
« Ma io ho una soluzione. »
Qatja-Yakin; imbarcadero di çakıl
La notte era velata; mancavano ancora alcune ore all'alba, e la luna fendeva la notte con i suoi raggi d'argento ogni qual volta le nuvole aprivano uno spiraglio nella volta celeste. Dovevano essere rapidi: presto si sarebbero destati i pescatori ed i raccoglitori di molluschi per salire sulle proprie imbarcazioni e scendere il fiume, là dove era più profittevole fare il loro mestiere. L'imbarcadero di çakıl era un luogo tranquillo e poco frequentato: la maggior parte dei suoi clienti era gente comune che voleva spostarsi rapidamente da una sponda all'altra del gigantesco canale, risparmiandosi le miglia che li separavano dal fiume vero e proprio. Il villaggio di çakıl sorgeva infatti su un placido affluente la cui sorgente nasceva dalle profondità boscose del Plaakar, e costituiva un eccellente risorsa per gli abitanti del luogo. "Ghiaia": questo era il significato di quel nome nel dialetto Akeran; si trattava sicuramente di un appellativo azzeccato: l'intero suolo calpestabile nel minuscolo centro abitato - abbarbicato attorno al pontile - pareva interamente costituito da un polveroso fondo ghiaioso.
Ma çakıl era isolato; cheto; facilmente raggiungibile. Non poteva trovare stazione migliore.
« Presto, », sussurrò, facendo ampi cenni con la mano. « dobbiamo essere già lontani quando il gallo comincerà a cantare. »
Gli esuli Maegon si mossero solo dopo l'indicazione di Alexei; senza scambiare parola con un senzascaglie come lui, essi entrarono uno dopo l'altro nel ventre della Nereide. L'equipaggio del brigantino osservava dal ponte scoperto la veloce processione, ugualmente silenziosi. Non c'era traccia di alcun sentimento sui loro volti: essi non questionavano gli ordini ricevuti, neppure dinanzi ad uno spettacolo tanto stupefacente quanto la vista di una razza presunta estinta che saliva a bordo della loro nave.
La Nereide era una delle navi più veloci della flotta dei Prigionieri; era un brigantino a due alberi con lo scafo in rame, privo di armamenti e di zavorre inutili. Era un'imbarcazione per contrabbandieri, e ogni uomo a bordo era assolutamente fedele al consorzio commerciale creato da Xari e dai suoi compagni della Prigione Cobalto. Drenthe sapeva che avrebbe dovuto rendere conto di molte cose quando sarebbe tornato a Qashra: Jericho sarebbe venuto a conoscenza delle sue azioni in pochi giorni, e sebbene non avrebbe certo ostacolato il suo ex capitano egli avrebbe indagato a fondo nella faccenda. Xari non era sicuro di volere il suo amico mago a ficcanasare (troppo) negli affari dei Maegon. Non ancora, per lo meno.
I due avevano un accordo di massima: Xari poteva spendere la propria influenza presso i suoi vecchi sottoposti e sfruttarne i benefici soltanto se ciò non avesse arrecato danno o pregiudizio al sodalizio dei Prigionieri. Poichè ne aveva preventivamente discusso con Kara "Piccola Ape" (la capitana della Nereide), la decisione di prendere a bordo quei rettili non avrebbe provocato grandi ripercussioni.
« Siamo diretti a Barnàk -- », spiegò il pirata al rosso leader dei Maegon, una volta che furono tutti a bordo. « o barınak, "rifugio", nella lingua dell'Akeran. »
Il brigantino espletò con estrema efficienza e competenza le operazioni di partenza. Si comprendevano a gesti: Kara, una giovane donna dalla pelle color cacao ed una fiera capigliatura nera, comandava i suoi uomini senza avere la necessità di parlare: gesti e cenni erano più che sufficienti. In una manciata di minuti, la Nereide salpò dall'imbarcadero di çakıl senza aver spostato neppure un granello della sua famosa ghiaia. In alto, sopra la coffa, garriva una bandiera recante lo stemma del Sultanato e delle gilde commerciali di Qashra.
« È un minuscolo atollo roccioso non molto distante dalla foce del grande Canale; là possiediamo un covo ed un magazzino: provvederemo alla sussistenza dei nostri... ospiti. »
Sorrise, invitando Alexei ad entrare sottocoperta - verso le proprie stanze. Il viaggio sarebbe durato diverse ore e il sole era ancora ben lontano dal sorgere.
« Saranno al riparo da occhi indiscreti. », assicurò.
Ma non dai miei.