Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Fetiales; Ab incubis daemonibus, Dall'abisso

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view post Posted on 26/4/2015, 14:39

Esperto
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Oltre la Barriera.

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Mi chiamo Raven e sono una Vestale anziana di Taanach.
Si sanno poche cose sul mio conto, poiché il vincolo sacro del mio ordine mi impone il silenzio; io stessa, nel tacere, ho trovato una pace interiore che a poco a poco si è impadronita del mio essere fino ad annullare la donna che ero stata in precedenza. Non ricordo la mia infanzia, conservo immagini sbiadite della mia vita fino al mio ingresso nel Tempio, porta ignota che mi ha consentito l'accesso a una nuova vita annullando la scialba esistenza precedente. Di me conosco il profondo silenzio che scandisce le mie giornate, immobili e identiche nel volere del dio, le rare occasioni in cui la mia voce arrochita è esplosa nel disegno cupo di una profezia o del contorto linguaggio che accompagna una Visione.

Io sono Raven, e non ricordo altro di me.

Solo una cosa so per certa: sono morta.

Sono morta accanto ad altri cinque pazzi in una terra infernale dimenticata da qualunque dio e dagli uomini, e che tale dovrebbe rimanere. Per la prima volta dopo tanti anni i miei occhi sono tornati a vedere, ultimo scherzo di un demonio senza pietà. Ho visto la mia morte, ho visto l'oscurità scivolare negli occhi dei miei compagni fino a divorarne il flebile bagliore della vita, li ho visti cadere e ho visto il cielo rosso sopra di me chiudersi in una morsa fatale.

Io sono morta, lo so.

E ora che cammino, e respiro e sento, stordita dalla paura di ciò che è accaduto, strozzata dalla consapevolezza che tutto ciò sia sbagliato, mi sento un abominio.

I miei occhi sono ciechi, come sempre, ma impressa a fuoco nella mia coscienza c'è l'immagine mai veduta eppure assurdamente reale di una donna che non dovrebbe essere lì, una donna che si cela in una persona che non è lei, una strega che forse è un abominio ancora peggiore di quello che mi sento vivere dentro.

Devo tornare a Taanach.

La mia voce tornerà a parlare per condannare quella creatura dell'inferno a ciò che si merita.
Chi disturba la morte non aspetti altra ricompensa che la morte stessa.


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La carovana procedeva a scossoni e sobbalzi da ore interminabili sotto il sole cocente dell’Akeran. Il tanfo degli animali che trascinavano sfiniti i carrozzoni si univa all’acre odore dei mercanti sudati e impolverati per il lungo viaggio e al pungente aroma delle spezie chiuse con cura nei sacchi di iuta e nei bauli accatastati sul fondo del carro dove Raven, accucciata, pregava sommessa.
Quasi più per abitudine che per fervore religioso, ogni giorno l’anziana sacerdotessa levava lo sguardo al sole pur non vedendolo, cercando di calcolarne la posizione per intonare le sue preci allo scadere delle ore canoniche del rito del Tempio di Taanach: un po’ per scandire il tempo, e un po’ per mantenere il contatto con se stessa e il mondo circostante, per non precipitare negli incubi e nella follia che le divorava l’anima.


Ciò che aveva vissuto al Buco del Diavolo era qualcosa che andava ben oltre la sua capacità di comprensione, al punto che sovente si domandava quali degli eventi trascorsi fossero realmente accaduti, e quali frutto di allucinazioni o sogni perversi.
Un’entità di malvagità inenarrabile, un luogo terrificante regno di demoni e incubi, un viaggio impossibile verso la morte e ritorno.

Quest’ultimo ricordo era ben più nebuloso e raccapricciante di quanto Raven potesse accettare; accanto a lei ricordava le presenze terrorizzate della ragazzina e suo padre, di quel vigliacco che avrebbero fatto meglio ad abbandonare nel primo dirupo, del giovane pallido amico della bambina demone, del coraggioo guerriero che aveva scatenato la furia dell’Ahriman.
E più potente di tutte, la figura centrale di quel viaggio infernale: Chrysotemis, la saggia e venerabile Madre, l’anziana sapiente che aveva voluto vendicare la morte della giovane infelice deceduta sotto le sue cure. Questo era ciò che Raven e le altre giovani novizie avevano sempre creduto: ma alla fine di quella missione suicida era apparso chiaro che sotto la maschera sacra della madre si celava un essere ben più pericoloso e malvagio, la Strega tornata più volte dal regno dei morti, colei che doveva aver strappato tutti loro dalle grinfie del’inferno dopo che l’Ahriman, stanco dei suoi giochetti, li aveva uccisi tutti.

Raven sospirò e tentò di stiracchiarsi: il carro era scomodo e le sue vecchie ossa urlavano di dolore.
Taanach non doveva essere lontana: doveva tenere duro e tornare al più presto in città a riferire quanto accaduto, prima che la Strega potesse nuocere ancora.
Perché nonostante ormai fosse convinta che Zaide avesse davvero riportato lei e forse gli altri in vita dal regno dei morti, non le era affatto grata per quel servigio. Raven era una vestale anziana, una donna senz’ombra: aveva fatto voto a T’al di rinunciare alla sua vita e alla sua voce per servirlo, e aveva condotto una clausura ineccepibile adempiendo ad ogni dovere sacro e mondano che le veniva imposto dalle Madri o, all’occorrenza dai Beik.
Obbedienza e dedizione, accettazione e silenzio erano i dogmi delle sorelle che abbracciavano la casta delle vestali senza voce.
E resuscitare per mano di una strega malefica dopo essere stata ingannata sulla natura e lo scopo di quella missione non rientrava nella sua visione del mondo. Quella notte molti atti orribili e contro natura erano stati compiuti, e ora toccava a lei come prima cosa denunciarli nel tentativo di porvi rimedio.

- Scendi vecchia, siamo arrivati.

La voce gutturale del suo accompagnatore la destò da un dormiveglia agitato e carico di oscuri presagi; l’aria tiepida della notte la abbracciò con un miscuglio di odori diversi ed ella respirò a pieni polmoni quella brezza dal profumo di ibisco e caprifoglio che aveva imparato ad associare all’idea di casa.
Il carrettiere la aiutò di malagrazia a smontare dal trabiccolo: nell’istante in cui aveva compreso che quella donna impolverata e cieca raccolta ai margini della regione non aveva con sé il becco di un quattrino, aveva perso la deferenza untuosa con cui l’aveva accolta nell’apprendere la sua appartenenza all’ordine delle Vestali. Ma avrebbe riscosso il suo debito, quelle vecchie streghe muffite potevano starne certe.

- Raven? ... Mia signora...siete davvero voi?

Un affrettato scalpiccio di piedi leggeri accompagnò il gridolino soffocato di una ragazza, la cui voce Raven riconobbe subito per quella di Leeda, una novizia molto promettente appena entrata nella casa delle Vergini.
Le sorrise, e si appoggiò a lei con un gran sospiro.

- Mia signora, ma voi siete ferita...Vi accompagno subito da Freya, lei deve avere qualche unguento per darvi sollievo...andiamo.

- Io...No, no...Devo prima sapere. Ragazza mia, dimmi: lei è tornata?

C’era una nota di urgenza nella voce di Raven che indusse Leeda a scrutarla con attenzione.
Il viaggio doveva averla sfiancata, e le mille insidie affrontate nelle lune precedenti avevano lasciato il segno su quel corpo anziano e affaticato.

- Lei, mia signora? Intendete dire…

- La strega! - la interruppe con un soffio l’anziana vestale. - La strega malefica! Non è chi dice di essere…

Leeda deglutì, guardandosi attorno spiazzata.
Sentiva un disagio acuto montarle dentro, mentre il pensiero tornava a quella notte di tempesta in cui Madre Chrysotemis era tornata sola al Tempio raccontando un’atroce storia di rapimenti e perversioni perpetrate al Buco del Diavolo. La sua voce stentorea aveva rimbombato nel refettorio una sola volta, narrando le nefandezze dell’Ahriman e le torture a cui lei stessa e il suo gruppo erano stati sottoposti, incrinandosi appena nel raccontare che delle sorelle che l’accompagnavano aveva perso ogni traccia.

Ma ora Raven era tornata, e sembrava fuori di sé.

Dunque l’Ahriman aveva davvero avuto il potere di dilaniare la potenza di una Veggente, deturpandone la ragione e il pensiero?

Rabbrividì.

- Venite con me, mia signora e sorella - mormorò cauta. - Freya si prenderà cura di voi.





La testa china su un’antica pergamena che ricopriva l’intero tavolo, Duilio non si accorse quasi del parlottare dei suoi uomini a pochi metri da lui. Corrugò la fronte, cercando di trovare un senso a quelle vecchie mappe muffite reperite nella prestigiosa biblioteca della Chimera, a pochi passi dal suo palazzo, ma il desiderio di sbriciolare quelle testimonianze incartapecorite di un’altra epoca gli faceva prudere le mani.
Sbatté il palmo aperto sul tavolo, esasperato, e il brusio cessò di colpo.

- Una mappa. - sbottò frenando la rabbia. - Non ho chiesto altro che una dannatissima mappa dell’Akeran. Queste sembrano scritte da Ogron il Savio in persona, da tanto sono vecchie.

- Mio Tsar, la Biblioteca della Chimera è la più…

- Lo so, lo so! - Duilio si coprì gli occhi con una mano per scacciare la stanchezza e l’esasperazione. - La più bella e ricca biblioteca della regione. Ma io sono un soldato, mi servono informazioni pratiche! - sibilò, mostrando con la mano aperta le preziose filigrane che ornavano una pergamena assai pregiata dal punto di vista artistico e storico, ma ben poco strategica.

- Kaspar sarà di ritorno tra poco, mio Tsar - rispose con una punta di nervosismo il dux Salem. Aveva mandato il giovane Kaspar a cercare delle mappe militari presso tutti i mercanti della città dietro minaccia di fustigazione se si fosse presentato ancora a mani vuote. - Purtroppo a quanto pare i Beik non avevano particolare interesse nell’organizzazione militare della regione - aggiunse con disprezzo, dando voce a un pensiero comune tra i legionari.

- I Beik hanno governato una terra diversa in un’epoca diversa. Ma la storia muta il suo corso con la rapidità delle maree, e l’Akeran deve adeguarsi.

Le sue innumerevoli cicatrici parvero rilucere come fiamme nella luce rossa del tramonto di Taanach, come a confermare le sue parole sulla mutevolezza dei tempi: lui stesso si era eretto dal fango dell’umiliazione schiavista combattendo e mostrando il proprio valore, fino a raggiungere la sua attuale carica. Niente gli era stato regalato, né lui interpretava la propria posizione come un privilegio.
Era un uomo di fatti, Duilio, non di parole.

- Ehm…- tossicchiò l’attempato prefetto circondariale Laachan, visibilmente a disagio. - Avete poi deciso cosa fare della vecchia vestale, mio Tsar?

Duilio strinse i pugni, irritato. Non bastava un’orda di demoni scatenatasi di punto in bianco a devastare l’intera regione. Non bastava doversi trovare a fronteggiare la completa impreparazione tattica e militare di un’intera città, o dover riorganizzare l’intera milizia nella legione che avrebbe dovuto difendere il fulcro mercantile dell’Akeran dall’invasione demoniaca. No, ora doveva pure sostenere l’indicibile seccatura di quel gruppo di religiosi che mendicavano alla sua porta.

- Lasciatela in cella - ordinò. - Deciderò il suo destino nei prossimi giorni. Oppure - sbottò, stringendo e sbriciolando un lembo consunto della pergamena sul tavolo - quando mi avrete trovato una maledetta mappa dell’Akeran.


Benvenuti!
La quest si pone come seguito della precedente quest Fetiales - Thar, ma non è strettamente necessario che abbiate seguito la quest se avete almeno letto il riassunto reperibile qui. Tutto ciò che sapete, a meno che non abbiate partecipato alla spedizione precedente, lo sapete per sentito dire, pettegolezzi sussurrati nelle bettole, voci corse tra i mercanti. Notizie vere, false, deformate dalla paura o dalla malizia. Ciò che a Taanach si sa per certo è che l'ordine delle Vestali è in profonda crisi per via della disastrosa spedizione al Buco del Diavolo condotta da Madre Chrysotemis, dove solo lei ha fatto ritorno fino ad oggi. Ora anche la cieca Raven è tornata, ma al Tempio pochi sembrano disposti a credere alla sua teoria del complotto secondo cui Chrysotemis sia la strega Zaide, colpevole della morte di tutti gli avventurieri al suo seguito. Il racconto di Raven, pieno di contraddizioni, non regge, e la donna viene accudita premurosamente nel timore che l'esposizione alla malvagità demoniaca l'abbia resa pazza. Nei dintorni del tempio si racconta che l'anziana vestale abbia raggiunto da sola il palazzo dello Tsar, la nuova guida di Taanach, per chiedere udienza a Duilio in persona, e da allora nessuno ha più sue notizie.

Per questo primo turno ambientate i vostri personaggi nel contesto; in confronto dovrete anche decidere cosa vogliono fare i vostri pg, se indagare sulla faccenda andando a parlare con le vestali o con i legionari, saperne di più presso i mercanti o qualunque altra azione di gdr vi venga in mente.
Per qualunque domanda il confronto è aperto qui.

Buon divertimento!
 
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view post Posted on 2/5/2015, 17:30
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Cavalier Fata
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Fetiales ~ Ab incubis daemonibus
« Theras Universalis. »

« Questo? » il robusto mercante soppesò un bel moschetto, controllandone la canna alla luce del sole. « Hai occhio ragazza. Questo è un vero gioiellino, direttamente dalle officine naniche. Guarda qua, meccanismo a ruota, ricarica in mezzo minuto... uno dei più veloci nella sua categoria. » ne parlava quasi fosse una specie di figlia da maritare a qualcuno d'importante. Usava un linguaggio a dir poco affettuoso nei riguardi di quell'arnese, al punto da ammaliarmi senza troppi problemi.
« Spara proiettili di ferro fuso da venti millimetri; Questa roba ti spappola un Caduto a cinquanta metri e rimanda la sua anima dritta dritta dal buco di culo da cui è uscito. » annuii, convinto di avermi completamente coinvolta con quell'ultima affermazione.

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Taanach mi aveva sorpresa per la diversità storica e politica rispetto al Sultanato. L'eredità culturale dell'intera zona mi risultava aliena, confusa per certi versi, laddove ogni strada e ogni quartiere nascondeva una varietà di genti e di lingue a me ignote che, a stento, riuscivo a rendermi conto di ciò che percepivo. Tuttavia la vita non scorreva gioiosa e festosa come l'avevo vista a Qashra, l'ombra dell'assalto demoniaco lì era più forte, onnipresente, e la quotidianità di chiunque ne era inesorabilmente colpita e cambiata. La carovana a cui ci eravamo uniti io e Kirin, pur essendo mercantile, aveva una scorta armata impressionante: l'Akeran era diventato un terreno di guerra vero e proprio dove ogni giorno, ogni istante, decine di morti venivano reclamati dall'Abisso.
Nonostante quella non fosse la mia patria, né la mia gente, il mio voto di cavaliere e nemica giurata delle amenità non poteva lasciarmi impassibile a quei problemi. Sapevo, dentro di me, che non sarebbe stata una buona idea immischiarmi negli affari delle città libere, ma rimanere in disparte e aspettare che il mondo crollasse pezzo dopo pezzo non riuscivo a sopportarlo. A Dortan potevano anche avere a cuore solo e unicamente i propri territori, i feudi, i titoli nobiliari... ma se fosse caduta Taanach cosa avrebbe impedito a un esercito insaziabile di spazzare via la futile resistenza del defunto regno?
Ogni pietra sana sulle mura di quella città era una pietra sana a casa mia. Quella, che piacesse o meno, era la verità.

« Lo prendo. » risposi, con un sorriso a mezza bocca. « Avete chiesto dieci pezzi d'oro? »
L'uomo annuii da sotto la corvina barba, tenendo la mano verso di me per ricevere il pagamento.
« Ho sentito che ci sono stati dei problemi in città, vorrei andare a parlare con i legionari, sapreste indicarmi la strada? »
Nel domandare poggiai sul palmo proteso un sacchettino di cuoio tintinnante, gli ultimi risparmi che avevo con me.
« Duilio? Occhio ragazza, con quelli non si scherza... comunque devi andare al Palazzo della Chimera, non penso tu possa sbagliarti. »

Passò un paio di minuti e istruirmi su come raggiungere il luogo, perdendosi lui stesso un paio di volte durante la spiegazione. Era una persona affabile, lo si capiva dalla gentilezza e dal parlare schietto, ma anche lui risentiva dell'atmosfera opprimente di quei giorni. Quando ebbe completato di illustrarmi il percorso mi congedai con un inchino, muovendomi rapidamente tra la folla. Kirin, probabilmente, si sarebbe diretto dalle Vestali da quello che mi aveva detto arrivati in città: doveva avere delle conoscenze o qualcosa di simile all'interno della sorellanza, ma temevo che la mia presenza sarebbe stata inutilmente inopportuna. Se tutto fossa andato come speravo, cosa alquanto difficile invero, mi sarei offerta di richiedere aiuto per le popolazioni del sud una volta tornata in patria, ma la generale diffidenza e la crisi politica non avrebbero affatto agevolato le mie buone intenzioni. Se volevo fare qualcosa per Taanach avrei dovuto rimboccarmi le maniche e mettermi in prima fila.

Lo stile con cui era costruito il palazzo non aveva niente a che fare col resto della città. Sembrava appartenere a un’epoca diversa o, se non altro, edificato da una cultura completamente differente. Pur amante dell’estetica e dell’arte, la mia attenzione non poteva andare che all’organizzazione militare istauratasi con la scomparsa dei precedenti padroni delle città libere. Serviva una grande capacità logistica e una suddivisione molto definita per riuscire a reggere in una situazione caotica come quella, esattamente il genere di nozioni che occorrevano a un Dortan ridotto a combattere con eserciti allo sbando, ridotti all’osso e divisi. Se fossi riuscita a ottenere anche solo un minimo di visibilità presso lo Tsar, aiutandolo, avrei realmente potuto sperare in un futuro prospero. Senza collaborare nessuno di noi avrebbe retto il colpo, era inutile continuare a ingannarsi o fingere che non ci fossero demoni in procinto di sciamare su di noi da ogni direzione… Edhel, Akeran, Dortan, solamente un pazzo avrebbe perseverato nel fare una differenza. Quella non era una battaglia per il controllo di una città o di una nazione. Era la battaglia per Theras, e io avrei fatto la mia parte.

I Legionari stanziavano proprio davanti al palazzo, nel cortile interno, intenti a discutere tra di loro senza dare troppo peso a quello che accadeva in città. Erano un manipolo ristretto, probabilmente soldati assegnati alla guardia e non un vero e proprio distaccamento, dall'aria particolarmente minacciosa e agguerrita nonostante l'esiguo numero. La cosa che mi colpì maggiormente furono le armature, drasticamente diverse da quelle usate nel Dortan, che sembravano vertere molto più sulla mobilità che non sulla mera pesantezza. Erano dettagli, sottigliezze a cui nessuno avrebbe mai davvero prestato attenzione, eppure saltavano ai miei occhi in maniera ossessiva, prioritaria. Con la mancina sistemai meglio i capelli, raccolti in una crocchia sul retro della testa, avanzando lentamente con aria falsamente tranquilla.

Mossi lentamente una mano come segno di saluto, per farmi notare.
« È permesso? Mi chiamo Azzurra e, se mi è concesso, vorrei darvi una mano... »
Come se essere bionda, dalla pelle candida e arrossata dal sole, non fosse abbastanza per identificarmi come una straniera, persino il mio forte accento continentale sfatava ogni dubbio sulle mie origini.
« Altolà! Chi diavolo sei e cosa vuoi? »
Due legionari dal fisico scolpito e dall'aria poco amichevole mi si pararono davanti. A parlare era un uomo dal mento pronunciato e mascolino, un filo di barba incolta e capelli completamente rasati sul cranio. Mi fissava con piccoli occhi scuri in un misto di curiosità e perplessità. Aveva la pelle olivastra e indurita dal clima secco, il che lo faceva risaltare ancora di più contro la mia esile figura minuta.
Alzai le mani d'istinto, meccanicamente.
« Vengo da Terra Grigia, sono qui in viaggio e ho sentito che ci sono problemi, per usare un eufemismo. » lentamente mi ricomposi, abbassando le mani. « I miei signori, i Lancaster, hanno tutto l'interesse alla stabilità della provincia e ho pensato che, forse, potevo offrirmi di dare una mano a titolo completamente gratuito. »
Passai lo sguardo su entrambi i soldati.
« Sempre che sia possibile, chiaramente. »
« Problemi? » i due si scambiarono una breve occhiata di traverso, quasi stessero decidendo la mia sorte sul momento. « Sei una dannata spia o una ragazzina che gioca alla guerra? Cosa ci fa una signorinetta del Dortan da queste parti, eh? »
A quelle parole provai un forte desiderio di reagire in maniera piuttosto focosa, ma mi trattenni. Era chiaro che, sotto l'apparenza, anche i legionari sentivano la pressione crescente che aleggiava sopra tutta Theras.
Inclinai la testa di lato, muovendo lo sguardo alle mura del palazzo, con fare calmo. « Sono un cavaliere, non una dama. » impegnai particolare enfasi nella parola cavaliere. « E se fossi stata una spia dubito fortemente che vi avrei rivelato la mia provenienza e le mie intenzioni. Ero in viaggio da Cuashrà per visitare Tanasc quando ho iniziato a sentire di demoni, di gente scomparsa e cose non propriamente felici... quindi mi sono rivolta alle uniche persone che, a mio dire, possono mantenere l'ordine in questa città, ossia voi. »
Spostai nuovamente lo sguardo sui due, sfoderando un sorriso sottile ma amichevole.
« Potete sempre rifiutare il mio aiuto, del resto la mia è solo una mano protesa in un gesto d'aiuto... rifiutarla sarebbe alquanto scortese. »
Dovevo aver colpito nel segno, e pure in pieno, visto che gli uomini parvero rimanere piuttosto spiazzati dalle mie parole, guardandosi vicendevolmente in viso con aria interrogativa. Qualche istante dopo mi fecero un cenno perentorio con la testa, indicandomi la parte interna della struttura.
« Seguici e non fare cose stupide. »


Cambiavano le persone, le lingue e le culture. Ma quello che non cambiava mai era l'assoluta refrattarietà umana nel fidarsi del prossimo. La scusa dell'Akeran era un esercito di demoni che li assediava da ogni dove, ma quella del Dortan ancora mi sfuggiva pienamente.


dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: 2 Resilienza 1 Tenacia (3)
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100%
Stato Emotivo: Neutrale.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda. (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga. (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale. (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)
• Moschetto. (Arma a polvere nera, da distanza,) [Schiena]

Passive in uso:
- La Pucelle de Basiledra: E' una voce roboante, un ruggito di orgoglio, un vessillo sgargiante nel mezzo della distruzione. Quanto successe a Basiledra fu monito per tutti di quanto, a vincere le guerre, non sia solamente la spada, ma anche chi la spada la tiene in pugno. Tenere alti gli animi, non arrendersi nemmeno quando tutto sembra oramai perduto, financo che la terra stessa si apra sotto i nostri piedi, noi combatteremo, noi non ci arrenderemo, prendendoci cura gli uni degli altri, spalla a spalla, perché è così che sono gli uomini, è così che devono essere: eroici.
[Passiva Talento Guardiana I - Fiducia. Capacità di infondere fiducia negli animi, anche nel cuore della battaglia] (Utilizzi:6-1=5)


Attive usate: ///

Note:Avrei voluto fare un incipit diverso, ma sono venute a mancare le condizioni :( tuttavia ho cercato di costruire comunque qualcosa di interessante, almeno spero! Il focus principale di questo post era di far capire come Azzurra stia iniziando a vedere non più tanti piccoli territori ma un sola grande Theras e, come tale, che ogni aiuto fatto a Taanach sia un aiuto fatto a casa. Ho voluto inserire anche un piccolo cenno all'ambientazione dell'abisso, che spero sia gradevole, soprattutto quel simpatico mercante che fa riferimento alla fazione dei Caduti!
Spero sia stata una piacevole lettura!
 
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view post Posted on 3/5/2015, 22:26

Hear me Quack!
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Ad Incubus Demonibus - Taanach




Taanach, tempo era una striscia di terra, quattro casupole appiccicate assieme con sputo e sabbia, ora il passaggio quasi obbligato di qualunque carovana mercantile della regione. Almeno era questo, quello che il vecchio Yakup aveva sempre detto ad Aruj. Suo padre parlava di quella città con tale disprezzo, da convincere il giovane che vi fosse qualcosa di sbagliato laggiù. All'epoca, il futuro pirata riusciva solo ad immaginare come potesse essere, un tempo: nei suoi pensieri, poco più di un castello di sabbia, costruito a dimensione d'uomo.
La prima volta che la visitò, rimase folgorato dalle dimensioni di Taanach. Non era tanto per la grandezza della metropoli in se, non sapeva dire con certezza se fosse più o meno grande di Qashra, ma fu la dimensione di qualunque oggetto lì presente a colpirlo. Vissuto quasi sempre fra i nani, aveva già visto gli uomini ma non riusciva ad immaginare un mondo che non fosse ad altezza di nano.
Col tempo e le visite sempre più frequenti, però, aveva imparato ad apprezzare quella città, il suo liberalismo, i mercati all'aperto ricchi di vita, dove era bello perdersi in un bagno di folla, i bassifondi e i suoi personaggi caratteristici, con cui era bello dimenticare il presente, in chiacchiere e canti stonati.
Erano passati ormai una decina d'anni, da quando aveva messo piede a Taanach per la prima volta, di quella città conosceva quasi tutto, eppure, scendendo dalla nave, il capitano non riusciva a non provare la stessa identica sensazione esaltante e agorafobica allo stesso tempo. L'odore del sale che si mischiava a quello umido e sudaticcio dei marinai, tutti indaffarati sotto il sole cocente, il vociare e gli schiamazzi degli uomini che si passavano casse piene faceva eco alle onde che si infrangevano placide contro il molo. Quel luogo, in quel momento, lo riempiva di serenità.
"Ci si vede in giro, tembeller!" Una mano in tasca, l'altra a reggere il sigaro già acceso, a pochi centimetri dalla bocca, così Aruj salutò la ciurmaglia che pigramente scendeva a terra. "E non fate troppo casino!" Concluse con falsa serietà, mentre le risate e le grida di festa s'alzavano nel porto. Gli ultimi traffici avevano portato parecchio denaro, buona parte era, fortunatamente, ancora nella cassa comune, il resto era suddiviso fra l'equipaggio, ben contento di spenderlo al più presto in alcolici, cibo e piaceri carnali. Nella mente di Aruj, l'unica preoccupazione era che quegli stronzi non si facessero catturare: la città era invasa dalle guardie e troppi soldi potevano insospettire, soprattutto in quel periodo di tumulti. Sembrava quasi un miracolo essere entrati in città, con tutta quella sorveglianza, e sarebbe stato un vero peccato se qualcuno avesse trascinato l'intera ciurma affondo con se, arrivati a quel punto. Anche se, in fondo, c'era ben poco di cui aver paura, quegli incoscienti sapevano essere discreti quando lo volevano, gli altri sapevano correre abbastanza bene da non farsi accalappiare. Un ultimo sguardo alla nave ormeggiata al sicuro, tanto per scrupolo . Quella a Taanach, si prevedeva una settimana tranquilla.
Mentre s'avviava verso il centro, il nano, cacciò di tasca un foglio, una lista con diverse calligrafie, dove un po' di gente aveva scritto quello di cui ci sarebbe stato bisogno per il viaggio. Occuparsi delle spese era compito di Aruj, conosceva ancora qualche mercante disposto a fargli un buon prezzo, in virtù dei tempi in cui, anche lui, commerciava merci legalmente, ed era anche l'unico che sapesse far di conto velocemente, senza farsi fregare.
Prima di quello, però, c'erano cose più importanti! Erano passati solo pochi minuti dal suo arrivo, che il nano già s'era buttato nella sua taverna preferita. L'osteria era quasi vuota, a quell'ora, ma si sarebbe riempita per mezzo giorno, nel frattempo, Aruj si sarebbe informato sulle ultime novità dai soliti quattro brutti ceffi a cui si scioglieva la lingua dopo una mezza pinta di quella birra dolciastra che facevano in quel posto: gli abitudinari, lì, li conosceva da un pezzo e sapeva che erano fonti quasi affidabili, quando non erano sbronzi marci. Anche se persino l'oste spesso mentiva, pur di scucire qualche pezzo d'oro in più al primo cretino che si fosse fatto abbindolare dalle sue storie.
Era passato un po', da che il nano aveva messo piede in quella città. Molte cose erano cambiate, come in tutto l'Akeran e non c'era neanche da chiedersi il perchè. A sentir parlare gli avventori del posto, la nuova gestione della città aveva portato più male che bene. Solo a sentirne parlare, il nano sbuffava e sbatteva i pugni, la situazione era la stessa di Dorhamat. Nei racconti e nelle vicissitudini narrate spuntavano fuori sempre un paio di nomi e un paio di cariche, che divennero in breve familiari anche al pirata. Le storie spaziavano dal nuovo Tsar alle vestali, da una certa Raven ai legionari. Chiunque parlasse attribuiva la colpa dei recenti avvenimenti a questo o quello, in un turbinio di fatti e informazioni confuse e mezze verità. Tutto questo finchè, tutto ad un tratto, non venne fuori che le vestali fossero responsabili di tutto il casino dei demoni nell'Akeran.
Solo a sentire quella storia, Aruj quasi si strozzo con la sua stessa birra. Non riusciva a crederci!
Le storie, non finivano qui. Infatti, alcuni aggiunsero che Madre Chrysotemis volesse partire di nuovo. Nessuno di loro sapeva il perchè e l supposizioni sembravano essere al centro di mille discussioni e qualche scommessuccia. Ciò che alla fine di quella bevuta era chiaro era che c'erano validi sospetti che lo Tsar volesse demolire il culto delle vestali e che questa Madre "Qualcosa" aveva le sue ragioni per tornare a combattere i demoni o fuggire.
Aruj aveva sentito abbastanza e quel posto sembrava stringerglisi attorno.
Aveva bisogno d'aria, aveva bisogno di ragionare.
E poi, fu un attimo, ringraziò i compagni di bevuta, pagò l'oste e, quando mancavano ancora un paio d'ore a mezzo giorno, il nano non voleva che abbandonare quel posto e dimenticare tutto. Mentre era già sulla porta, però, un vecchio con la voce rauca e graffiante, che non aveva proferito parola fino ad allora, disse di provare con un certo Kajus, da cercare ubriaco perso al Puledro Impennato, ma, prima che quelli avesse il tempo di finire, Aruj gli aveva già sbattuto la porta in faccia.
Uscì fuori, in strada, cercando di lasciarsi alle spalle quelle storie.
Non era affar suo. Si era guadagnato una bella vacanza e non si sarebbe fatto mettere in mezzo.
Sguardo basso e le piccole gambe che si muovevano veloci, non guardava la strada, nè tanto meno sapeva dove andare anche se, dopo aver sentito quelle storie, sentiva il bisogno impellente di ottenere informazioni che non provenissero da quattro ubriaconi stipati in un'osteria. Fu allora che riprese in mano il pezzetto di carta stropicciato che aveva in tasca: era arrivato il momento di andare a trovare qualche vecchio "collega".
Dei mercanti e di quel che dicevano non c'era da fidarsi e Aruj questo lo sapeva: a quelli non fregava niente della politica, finchè non intralciava i loro interessi; a loro fregava solo dei soldi ma, a parlar di soldi con un mercante, significava essere truffati. In quel momento, il nano sentiva che aveva di meglio da fare per evitare qualsiasi coinvolgimento nella faccenda, eppure il ronzio in testa era incessante e la curiosità gli faceva prudere il cervello. In fondo, lo sapeva, non era la curiosità a muoverlo ma quella sua strana tendenza a mettersi nei guai.
Il nano raggiunse i mercati in un battibaleno, zigzagando fra la gente alta che a stento lo notava. Da quel momento in poi, fu un fare la spola fra un banchetto e l'altro, parlando con qualunque onesto commerciante che si degnasse di rispondere sulla faccenda. In un'ora, però, non riuscì a cavare un verme dal buco: per lo più non sapevano niente, chi aveva ascoltato qualche pettegolezzo se ne fregava altamente e quelli che sapevano vendevano informazioni da poco a prezzi esorbitanti. Solo un paio riposero effettivamente alle domande ma, a quel punto, Aruj non sapeva se era più folle chi le aveva raccontato quelle baggianate o chi ci avrebbe creduto.
Un certo tipo, un mezzo venditore ambulante di cianfrusaglie religiose, che portava al collo cinque o sei collanine di altrettante divinità, parlava di cospirazioni e verità scomode. Questi disse che una la vecchia veggente era sparita e nessuno s'era preoccupato di cercarla. " Per le sorelle è meglio che sia scomparsa. Solo gli dei sanno, quale fardello porta con se quella povera donna!" E così dicendo, il venditore di reliquie baciò tutte assieme l'effigi religiose che gli penzolavano sul petto, alzando gli occhi al cielo.
Poi, venne il turno di un'altro onesto lavoratore: un gioielliere ben scortato che vendeva patacche, spacciandole per vero oro, ma che al dito aveva diverse pietre incastonate in anelli preziosi. Dal viso del suo ultimo cliente, un muratore con le pezze al culo e i vestiti ancora sporchi di calce, si capiva che era un uomo ben disposto a prestar denaro, senza farsi troppe domande, per poi spezzar le gambe a chiunque non avesse saldato il debito. Questo qui, senza troppi giri di parole, aggiunse alle notizie sacrifici umani e un grosso carico di disprezzo per Duilio, lo Tsar. "La vecchiaccia è già bell'e morta, te lo dico io" Aruj avrebbe voluto sparargli in faccia e veder aprirsi un bel fiore rosso al posto della bocca, mentre quelli, con un gesto sbrigativo, lo cacciava. Il nano si limitò a ridergli in faccia, mentre lasciava nelle mani di una donna in fila dietro di lui qualche pezzo da otto, osservando il viso dello scortichino diventare paonazzo dalla rabbia.
Dopo tutto quel girare e far incazzare usurai, il pirata cedette alla fame. Solo quando venne il momento di decidere in quale osteria sarebbe andato a mangiare un boccone, si ricordò delle parole del vecchio. Valeva la pena di farsi un giro al Puledro Impennato.
Qualche chiacchierata e qualche indicazione sbagliata dopo, Aruj si ritrovò ad imboccare un vicoletto, nel bel mezzo del quale da un muro sporgeva un'insegna tutta storta raffigurante un cavallino rampante, malamente intagliato sul legno. Dietro la porta mezza scassata, il nano si ritrovò difronte una situazione quanto mai familiare: tipi loschi riempivano il locale, il puzzo di alcol misto a sudore riempiva l'aria, grida e bestemmie intramezzavano conversazioni fatte a mezza voce. Il pirata prese un bel respiro, quasi rassicurato nel vedere quel posto, prima di accomodarsi al bancone. Non c'era stato bisogno neanche di cercarlo, Kajus, accasciato sul bancone con la testa fra le mani a blaterare e a muovere le braccia, quasi volesse scacciare mosche invisibili. La tenuta da lavoro ancora sporca e il colorito acceso del suo viso, lo facevano spiccare in quel locale pieno di ladri e tagliagole. "Sei mesi...Sei mesi via...E poi qui...E come se io non ci fossi...Stupida ragazzina...Sei mesi... " Tremava tutto, sobbalzava, cercando di parlare al di sopra dei propri singhiozzi, strascicando le parole come un'ancora sul fondale. Poveraccio, doveva essere a pezzi. Il nano, si era appena seduto che quelli gli sfornò un rutto da pelleverde e Aruj dovette trattenere le proprie risate e un complimento sarcastico, difronte a quella prova di raffinatezza.
"Problemi con una donna, eh?" Il pirata prese un grosso sorso dal boccale, propinatogli ancor prima che potesse chiedere qualcos'altro, senza far troppi complimenti. "Ah, come ti capisco!" A quest'altro sorso, il tonfo del bicchiere sul bancone fu tale da far girare un uomo in fondo al locale e a svegliarne un'altro addormentato su un tavolo, appena dietro il nano. "Non sai se strozzarle o amarle ..." Buttò infine uno sguardo verso Kajus, cercando di scrutare qualche reazione in quell'uomo accartocciato su se stesso, che sobbalzava e poi gonfiava le guance, lasciandosi andare a sbuffi dall'odore acidulo di alcol misto a vomito ributtato giù chissà quante volte. "Orospular!" Il commento misogino e colorito, in perfetto nanico, destarono l'interesse dell'avventore ubriaco. " Eh...cos...cosa? " Balbetta l'uomo, destato dal suo torpore alcolico termini provenienti da chissà quale buco maleodorante. Era quello che pensava, glielo si leggeva negli occhi lucidi e vitrei, arrossati e socchiusi da litri e litri di vino, birra o qualunque liquore avesse ingerito fino a quel momento. Poi, dopo aver trovato il filo dei pensieri, o quello che ne aveva una mezza parvenza, si gettò a capofitto in un discorso senza senso. Furono minuti interminabili per il nano, che occupò il tempo ad abbuffarsi di cibo schifoso, preparato con non troppa cura, accompagnato da svariati boccali di deliziosa birra. Quell'altro parlava e parlava, singhiozzando e ruttando, fermandosi di tanto in tanto a bere un sorso di un qualche liquore scuro, riprendendo immediatamente appena Aruj gli faceva un cenno di assenso o pronunciava qualche monosillabo per fagli capire d'aver compreso il concetto. Quando ebbe finito di elogiare le mille qualità di quella Freya, sembrò finalmente arrivare ad un punto. " Sono preoccupato per lei. Quando la vecchia è tornata, capisci, le cose sono cambiate. La vecchia intendo la madre reverenda, la tizia che è partita per l'inferno e ci è tornata. E poi se ne torna quell'altra vecchia, no, la veggente cieca, e se ne esce che la prima vecchia non è la vecchia solita ma la strega che però era già morta due settimane prima. E che è, chiedo io? Morti che tornano, vecchie che spariscono...Io sono solo un giardiniere! E adesso la vecchia - la veggente - si è fottuta con le sue mani e ha scavalcato la prima vecchia, e se n'è andata al palazzo da quello nuovo - quel Duilio - a protestare. Che idea di merda! Lo sanno tutti, tutti!, che quell'infame vuole radere al suolo il tempio e farci sparire dalla circolazione..." E mentre il giardiniere ubriaco sproloquiava, qualcuno da dietro si girava e tendeva le orecchie. Al sol sentir pronunciare il nome dello Tsar, parecchi lanciarono occhiate di disappunto, quelli al bancone si alzano e si allontanano, stringendo ancora i bicchieri, l'oste abbassa immediatamente lo sguardo, fingendosi indaffarato ad asciugare un boccale. L'aria si fece subito pesante e anche un pirata come Aruj, abituato ad ambienti ben più pericolosi, percepì l'improvvisa tensione che s'era venuta a creare. Duilio non doveva aver una bella fama nei dintorni.
Non c'era altro da chiedere al povero giardiniere ed era meglio svignarsela, prima che la situazione degenerasse. Aruj lanciò qualche moneta sul bancone, diede una pacca all'uomo ubriaco, che salutò pigramente, e prese la porta.
Che le voci fossero vere o false, il nuovo Tsar era al centro di tutta quella faccenda.
Il cervello gli prudeva ancora, mentre muoveva i propri passi verso il Palazzo della Chimera. Qualunque cosa vi fosse stata lì, la settimana di placida fannulloneria si prospettava ben diversa da quella che il nano aveva programmato.








Aruj Shadak

Status fisico: 75%
Status mentale: 75%
Energia: 150%

Passive in Uso:

Attive in Uso:

Riassunto/Note: Descrizioni superflue e raccolta di informazioni varie. Mi scuso del post decisamente troppo lungo, sarò più breve in futuro.



 
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view post Posted on 3/5/2015, 22:58





Theras era un luogo sorprendentemente vasto.
Il silenzio nel quale aveva passato gli ultimi giorni a bordo della carovana venne intorpidito dal vivace schiamazzare della città ancora prima di raggiungerla. Spostò lo sguardo dal suolo all'orizzonte: Taanach palesava la sua maestosità. I suoi pinnacoli, infiammati dal rossore del tramonto, produssero in lui una forte eco di meraviglia. Le ruote si fermarono prima di imboccare la strada per il cuore della Città Nuova. Lì si allontanò dalla carovana senza preoccuparsi di formulare un qualsiasi tipo di congedo o forma di addio. Era solo, e tale sarebbe rimasto ancora a lungo.
Il suono degli stivali contro la pietra della strada sanciva l'inizio di un ennesimo, anonimo capitolo della sua vita. Muovendo il primo passo dinanzi a sé, dove la strada si snodava in un dispersivo dedalo di lastricato, prese ad assaporare l'aria di Taanach, acre e vivace come le voci che senza posa si coprivano vicendevolmente. Ambientarsi in un luogo di tale imponenza, vasto, eterogeneo come quello rappresentava quasi una sfida; nell'ultimo anno non aveva messo piede in un complesso che si avvicinasse lontanamente alla grandezza di Taanach. Ben presto si trovò a camminare da solo in compagnia di decine e decine di persone che sapevano esattamente dove andare e cosa fare, mentre lui si limitava a proseguire, imboccare una strada dopo l'altra, nell'attesa di trovare qualcosa che potesse farlo entrare in contatto con una realtà che appariva sempre più distante. Gli occhi balzavano dagli elementi architettonici che si dilungavano verso il cielo alla polvere del suolo, tentennanti e spaesati. Ambientarsi in un luogo tetro e solitario come le rovine di Velta fu cosa certamente più semplice; non riusciva a conciliarsi con il perenne brusio irregolare che scandiva ogni respiro della città, tuttavia non ne era disdegnato. Al contrario, l'immagine di centinaia di uomini e donne che si affaccendano nella stabile, lineare quotidianità di un giorno come mille altri, evocò in Sivhas il ricordo di Fysis, prima che tutto accadesse.
La vita del vagabondo era troppo incerta, quella del cittadino era troppo certa. Sospirò sommessamente, continuando a guardare con occhi vispi il panorama che andava evolvendosi man mano che proseguiva per le strade.

Svoltato l'ennesimo angolo, ormai oltrepassata la periferia, si trovò davanti un'osteria dalla quale proveniva il suono di uno strumento a corde. In parte per la sete e in parte per la musica, decise di sostarvi. La taverna era nutrita di clienti, ma il clima era particolarmente quieto; la maggior parte degli uomini stava seduta ai tavoli ad ascoltare la voce di un musicista, probabilmente un bardo girovago. Se ne stava seduto, con la schiena contro il legno di una colonna. Le sue dita tozze e unte toccavano le corde dello strumento con una grazia inaspettata, aveva lo sguardo di chi quel mestiere lo fa da sempre. Era un nano di mezz'età, la fronte rigata dagli anni e le guance bruciate dal sole, ma gli occhi di un verde ancora vivo.
Il Grigio si mise comodo: i gomiti contro il tavolo e il pugno destro contro la guancia. Amava le storie.

«Io non c'ero, ma quanto segue è nient'altro che la verità» esordì, aggiungendo un sorriso apparentemente sincero.
Raccontava la sua storia accompagnandosi con le note della piccola chitarra che aveva.
Evidentemente parlava di un avvenimento recente, ma Sivhas era arrivato troppo tardi per capire esattamente quale fosse l'argomento. Lo sentì narrare di sparizioni e di creature appartenenti alla morte, di complotti, di un'ordine di sacerdotesse e di una donna in particolare. Probabilmente molto di quel che diceva era pura invenzione, sebbene la sua terminologia sciolta rendesse la storia più intrigante, il contenuto incerto avrebbe abbindolato solo gli stolti. Una coppia di uomini dal volto rosso di vino, seduta al tavolo adiacente, farfugliava circa lo stesso avvenimento; tuttavia, anche loro non sembravano avere effettivamente idea di cosa stessero parlando.
Sivhas si dimenticò per un attimo della grandezza di Taanach e della sua gente. Voleva sapere di più: se non altro, sarebbe stato un ottimo incentivo a conoscere il posto.
Si mise in piedi, voltandosi e appoggiandosi al tavolo dei due con una bizzarra informalità. «Dov'è il tempio di cui parlavate?»
Fra un'insensatezza e l'altra, furono in grado di fornire sufficienti indicazioni. Si spinse via dal tavolo senza dire una parola, seguito solo dallo sgualcirsi dell'impermeabile.
Dopo aver dato un'ultima occhiata ai colori della locanda, uscì nello stesso silenzio in cui era entrato.



Status Fisico:
Danni subiti: - Corpo
Danni subiti: - Mente
Risorse.
Energia: 100% | Corpo 125% | Mente 75%
CS:
Vehemens[Guanto d'arme artigliato]: Braccio sx (coperto dall'impermeabile)
Vepres[Catena di rovi]: Arrotolata lungo Vehemens

Tecniche Attive utilizzate: -

Passive usate:
Riassunto: Nulla di particolare, un piccolo cenno alla mia giocata di arrivo e uno ancora più piccolo al background; Sivhas si dirige al tempio delle vestali.
 
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view post Posted on 12/5/2015, 15:24

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Fu con una certa irritazione che il dux Salem abbandonò la sala del consiglio per incontrare una persona condotta all’interno del palazzo da due legionari di guardia.
Allontanare gli sconosciuti era la parola d’ordine, e se fosse stato per lui quella regola sarebbe stata applicata giorno e notte con la più ferrea disciplina; ma dato che Duilio aveva più volte ribadito che la fortezza doveva dare l’impressione di essere sempre a disposizione del popolo, per quanto fastidioso, talvolta le guardie concedevano a soggetti particolarmente interessanti o raccomandati di attraversare il grande cortile e ottenere breve udienza.

Ovviamente quello sgradevole compito spettava ai duces.

I legionari non si erano sbilanciati nel descrivere la persona che aveva chiesto udienza, ma gli parvero leggermente imbarazzati per qualche ragione: e quando spalancò la porta di noce e ferro sul suo studio privato il suo fastidio cedette per un istante spazio allo stupore: davanti a lui vi era un cavaliere lucente e a modo suo possente, nonostante la statura minuta; tuttavia i lineamenti aggraziati e la bocca di rosa che stridevano in netto contrasto con il resto della figura rivelavano senza ombra di dubbio il sesso di quell’apparizione.
Salem rimase sbalordito senza darlo troppo a vedere: mai gli era capitato di incontrare una guerriera di quel rango - perché sul suo grado di nobiltà non c’era alcun dubbio - nelle terre di Taanach e limitrofe. Vezzi e curiosità di quel genere potevano essere più frequenti a nord, negli antiquati feudi dortaniani forse.
Ma non nell’Akeran.

- Sono Salem Ag'ahrd, dux dello tsar Duilio - esordì con voce rude e pratica, cercando di trasmettere contemporaneamente alla sua interlocutrice l’importanza del suo titolo e la sua mancanza di pazienza nei confronti dei perditempo. Le indicò una sedia di fronte a lui, sul lato opposto della spoglia scrivania di ulivo, e le riempì spartanamente un bicchiere d’acqua e arancia. - Chi sei, straniera? Mi è stato riferito che hai informazioni. Di che si tratta? Bada che non è un buon momento per le chiacchiere.

Se la donna era rimasta turbata dalla sgradevolezza del suo anfitrione certo non lo diede a vedere. - È un piacere incontrarla. Io sono Azzurra Rougelaine... e invero non ho mai detto di possedere informazioni, bensì di potervi aiutare, gratuitamente, a sistemare quel piccolo problema con le vestali. - sospirò. - Ho un amico che mi ha accennato a quello che potrebbe essere successo al... - continuò gesticolando in cerca del nome che cercava. - Buco del diavolo? E ho come l'impressione che una mano possa farvi comodo. Specie se nessuno potrebbe mai collegarla a voi.

Salem rimase ancora una volta sorpreso dall’eloquenza della giovane. Il suo accento curioso gli ricordava una spedizione di anni prima, oltre le città del mare, oltre i territori dei nani. Rougelaine...No, quel nome non gli diceva niente. Tuttavia sembrava conoscere fatti che per ragioni di quiete pubblica erano stati taciuti ai più, nonostante le voci popolari avessero già ingigantito la cosa fino a proporzioni ridicole.

- Al buco del diavolo? Signora mia, non c'è prova che qualcuno sia effettivamente ritornato da quel posto maledetto, se non Madre Chrysotemis e la vecchia pazza che l'ha accompagnata… - Non credeva che la ragazza fosse una cialtrona, ma qualcosa non filava comunque nel suo discorso. - E dov'è il tuo amico? Conducilo qui, e vedremo se davvero è una fonte attendibile.

- Il mio amico è andato dalle Vestali, almeno credo.Abbiamo una divergenza d'opinione su chi sia meglio aiutare questa circostanza. - Gli occhi limpidi della ragazza sostennero lo sguardo di Salem come chi non abbia nulla da temere né nascondere. - Ma credo che vi fosse invischiato anche lui, solo che non ho le prove per dimostrarlo.

Dopo una breve pausa durante la quale il dux continuò a fissarla con crescente interesse, ella proseguì: - C'è un esercito di demoni che assedia la superficie, il Dortan è squassato da una guerra fredda tra fazioni, in questo momento credo che ogni pista, anche quella meno logica, valga la pena di essere battuta. - gettò un’occhiata distratta verso la fronte assorta di Salem, che annuì lentamente. - Credetemi, non è il momento di fare gli scettici. Ditemi cosa volete scoprire e datemi la logistica per farlo, io ci metto la faccia e la reputazione di cavaliere.

Era un’offerta di aiuto allettante e inaspettata.

Un’alleata in grado di mescolarsi alla gente senza essere collegata direttamente alla Legione.

Una potenziale spia per un doppio gioco utile sia alla causa del Tempio che a quella dei demoni.

Duilio doveva conoscerla, e lui doveva assicurarsi che tutti sapessero che quel cavaliere era sotto la sua personale custodia. Sembrava una manna dal cielo: tutto ciò che gli serviva era una carta vincente per mettersi in buona luce di fronte a tutta la gerarchia dello tsar, e scavalcare gli incompetenti che lo affiancavano impedendogli di brillare in tutta la sua grandezza.

- Chi siete, mia signora? - domandò piano, con deferenza, come se temesse di scoppiare con la sua voce spigolosa la fragile bolla di sapone delle sue speculazioni.

- Azzurra de Rougelaine, ve l'ho detto, ma se preferite posso dirvi che sono la pupilla di Ryellia Lancaster. - affermò con orgoglio raddrizzandosi nella corazza lucente. - E che pur di vedere tutti quei demoni tornare da dove sono venuti non mi fermerò davanti a niente.





Gli incappucciati confabulavano al riparo da sguardi indiscreti sotto le fronde di un antico sicomoro nel centro del giardino dietro al Tempio delle Vestali.
Era da poco passato mezzogiorno, la quiete del luogo sacro pareva permeare l’aria di un manto di pace e sacralità palpabili perfino al pagano più scettico, e le tre figure simili a ombre scivolavano con leggerezza sul sentiero di terra battuta quasi senza far rumore.

- Siamo d’accordo, allora.

La voce giunse alle orecchie del nano appostato dietro al capanno degli attrezzi di Kajus flebile ma distinta.
Era stata una fortuna per lui incontrare il capo giardiniere delle Vestali sbronzo marcio alla locanda: dopo essersi accomiatato da lui il suo passo pesante e malfermo lo aveva raggiunto in uno dei mille vicoletti della città vecchia, e quella guida barcollante e annebbiata era stata comunque utile a districarsi nel dedalo dei famigerati bassifondi di Taanach fino a un ingresso secondario che portava direttamente ai giardini.
Aruj ebbe appena il tempo di scrollarsi di dosso l’ingombrante peso dell’ubriaco che cadde su una branda di fortuna sistemata nel capanno per le pennichelle pomeridiane e si apprestò a raggiungere il tempio, quando il movimento di quelle tre figure ammantate di nero lo aveva indotto a fermarsi non visto dove si trovava.

- Possiamo contare sulle anziane, anche se il loro contributo sarà più simbolico che altro…

- Già, non hanno preso bene la storia di Raven.

- Ma dobbiamo stare attente alle ragazze, alcune di loro subiscono il fascino della malefica…

- Sssst! Abbassa la voce - sussurrò una delle incappucciate guardandosi attorno circospetta.

Aruj potè scorgere i suoi occhi azzurri e penetranti scrutare il giardino come se temesse di veder arrivare qualcuno. - Non possiamo mai sapere quanti occhi ed orecchie abbiano le piante.

- D’accordo. E’ deciso, allora. Se l’antica profezia di Raven è corretta, dovrà essere tra due giorni allo scoccare dell’ora nona.

La figura più alta annuì, e una morbida voce maschile mormorò: - L’ora del sole nero.

- Che T’al sia con voi.

- Che T’al sia con voi.

E silenziosi come ombre scivolarono via nella pesante quiete pomeridiana.




La fronte di Duilio era corrugata, specchio dei suoi molteplici confusi pensieri. Era un uomo pratico, un uomo d’armi. Le decisioni che soleva prendere sul campo di battaglia erano fulminee e perentorie, con un solo gesto intere schiere di legionari si scagliavano contro i nemici o si mettevano in salvo, con una sola parola decideva le sorti di un prigioniero di guerra.

Ma quella situazione spinosa tradiva il suo lato più debole e umano, e lo infastidiva.

L’anziana veggente che si trovava in una cella dietro suo ordine deperiva ogni giorno di più, e non era sua intenzione lasciar morire una vecchia di stenti all’interno del suo palazzo. D’altra parte, si era chiaramente dimostrata essere una sobillatrice dagli intenti poco chiari, e secondo la sua politica, ciò che non era chiaramente interpretabile in un senso o nell’altro andava fermato. Taanach non aveva più bisogno di magia e superstizione, mentre quella donna - Raven, la chiamavano - faceva onore al suo nome di uccellaccio del malaugurio spargendo paure legate ad arcani misteri che puzzavano terribilmente di stregoneria occulta.

Non era tollerabile.

- La portiamo fuori - decise laconicamente, accompagnando le sue parole con un gesto brusco rivolto al prefetto Laachan.

- F-fuori, mio tsar? Intendete…

- Si organizzi la passerella. Ora!

Laachan impallidì impercettibilmente, poi con un breve inchino si congedò per andare a preparare la prigioniera.

- Perdonate il momento di particolare tensione, Mademoiselle De Rougelaine. - disse poi con aria assente accennando un gesto di scuse verso Azzurra, in piedi accanto alla finestra. - E’ stato un piacere conversare con voi, e sarebbe per me un onore se voleste accompagnarmi ad assistere a questa spiacevole incombenza.

- La...passarelle? - domandò educatamente la ragazza.

Duilio annuì, lo sguardo incupito verso le lievi nuvole pomeridiane che si addensavano all’orizzonte.
Taanach non aveva forse mai assistito al corteo di umiliazione e rabbia che i soldati chiamavano scherzosamente “passerella”, ed era giunto il momento di mostrare con un gesto forte qual era il nuovo corso della città alla gente. Raven avrebbe sfilato in corteo scortata dai legionari per le vie della città, mentre a gran voce un araldo avrebbe declamato i crimini di cui era accusata: stregoneria, negromanzia, ostruzionismo, procurato allarme e menzogna. Scalza e privata delle vesti cerimoniali delle vestali, avrebbe camminato tra le urla e gli sputi del pubblico eccitato e inferocito vestita di una corta tunica di canapa grezza, gli occhi ciechi invano rivolti al sole, i lunghi capelli argentei sciolti sulle spalle avvizzite.

- La passerella, Madame, è il segno distintivo di un paese civile. Una grande espressione di democrazia, dove il popolo stesso deciderà la sorte della condannata.

E se ciò che pensava della gente di Taanach si fosse confermato quel pomeriggio, il peso di un rogo sarebbe ricaduto sulle spalle di un intero popolo, lasciando le sue integre e incolpevoli.



Eccomi! Mi spiace che abbiate dovuto attendere oltre una settimana, ma la (spero momentanea) assenza di Shinodari mi ha costretta a modificare una parte del progetto, portandomi via più tempo del necessario.
Comunque, potete assistere nella prima parte alla presentazione di Azzurra al palazzo dello tsar secondo dialoghi concordati in privato; nella seconda Aruj ascolta una conversazione molto privata dal sapore complottistico (si tratta di tre incappucciati, verosimilmente due donne e un uomo); nella terza parte vedete la decisione di Duilio di sottoporre Raven a una sorta di giudizio popolare, facendola sfilare in maniera umiliante per le strade di Taanach nella certezza che la gente avrebbe decretato la sua colpevolezza e di conseguenza la morte sul rogo.

Il primo post spetta a Name Less, che dovrà descrivere la passerella con gli occhi del suo personaggio. Sei ovviamente invitato a chiedermi tutti i dettagli di cui hai bisogno, ma sei liberissimo di interpretare l’evento a tuo piacimento. Il tuo pg può assistere o anche intervenire direttamente. Hai 4-5 giorni per elaborare e postare (se riesci entro sabato è meglio, così ho il weekend per impartire ulteriori istruzioni).
Last Century dovrà attendere il post di Name Less, ma se nel frattempo desidera approfondire il dialogo con Duilio possiamo ovviamente farlo in confronto o in privato.
Jedi invece deve decidere se Aruj, pago di quanto ha visto e sentito, vuole approfondire la faccenda (e quindi a te la mossa in confronto, in qualunque direzione tu voglia andare) o svignarsela imbattendosi così anch’egli nella passerella e attendendo dunque il post di Name Less.

Per qualunque domanda ci vediamo in confronto!
 
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view post Posted on 18/5/2015, 11:35

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Mi rimbombano le orecchie di un silenzio assordante.
Mi trovo in una stanza grande, troppo grande per la mia solitudine senza uscita, forse una segreta metri e metri sotto il palazzo dello tsar. Non odo il frusciare del vento, né il canto degli uccelli o il ronzio delle mosche. Solo il mio stesso sangue che pulsa nel cuore, martellante come un’incudine percossa da un pesante martello senza pietà, come un uccellino agonizzante sul freddo selciato, inesorabile clessidra che conta i miei ultimi istanti di vita.
Da quanto tempo sono quaggiù?
Poche ore? Giorni? In cielo splende la luna o arroventa il sole?
Sepolta viva in questa segreta sono più cieca che mai, e il mio corpo è stanco di trascinarsi lungo le pareti fredde in cerca della più minuscola traccia di vita.
E’ inutile.
Li sento, stanno arrivando a prendermi.
Non hanno mai avuto intenzione di ascoltare la testimonianza di una messaggera del dio, e per questo verranno puniti: T’al mi lascerà morire per mano loro, ma la lama gelida della sua giustizia ricadrà sulle loro teste presto o tardi.
Stanno arrivando, ho iniziato a percepire l’odore della paura e del sangue prima ancora che decidessero le mie sorti: credono di umiliarmi torturandomi così?
Io Mi chiamo Raven e sono una Vestale anziana di Taanach.
Io sono Raven, e non ricordo altro di me.

Solo una cosa so per certa: sono morta.




- Avanti vecchia. Duilio ha decretato che il tuo destino venga deciso a furor di popolo. Cammina.

La voce secca di Salem giunse alle orecchie di Raven come un pungolo. La luce abbagliante del meriggio le penetrava nelle ossa e negli occhi vuoti facendoli lacrimare dopo tanto buio.
Sotto i piedi riparati da sandali sottili e consunti poteva sentire l’acciottolato caldo della strada: si trovavano dunque nella piazza grande, dove abitualmente si teneva il mercato di Città alta.
Ma le grida che le piombavano addosso da ogni dove non erano i chiassosi richiami dei mercanti. L’ombra della folla incombente raggiungeva perfino i suoi deboli sensi, storditi dall’effluvio palpabile di odio, sudore ed eccitazione che serpeggiava tra la folla.

Insulti e risate la percuotevano come bastoni, parole isolate emergevano nella confusione come sputi diretti alla sua persona, e Raven sospirò.
La gente era volubile, e un capro espiatorio era quanto di meglio una folla spaventata e schiacciata dal terrore dell’ignoto potesse chiedere.

Non sono io il nemico, voleva gridare Raven. Non sono io il demone che sta corrodendo e divorando le nostre terre e le nostre genti.

Ma sapeva che nessuna parola sarebbe valsa ad alleviare l’umiliazione che la attendeva.

Mosse i primi passi strattonata dalla corda di Salem che le cingeva i polsi: non era tanto stretta, al punto che avrebbe forse potuto liberarsene con poche mosse, ma a che cosa sarebbe servito? Si avviò, docile come un cagnolino, dietro al severo dux.
Sapeva che da qualche parte l’occhio vigile di Duilio stava osservando lei e la folla nel tentativo di capire quali sentimenti si agitavano tra la gente di Taanach; era un individuo assennato, da quel poco che Raven aveva potuto cogliere di lui, l’uomo giusto al momento giusto in una città assediata che non aveva ancora accettato o compreso di esserlo.

Era lei, Raven, ad essere la donna sbagliata nel luogo sbagliato: si era illusa di poter confermare l’autorità delle Vestali sul potere esecutivo della città, di tornare ad affiancare i nuovi capi con il saggio consiglio della parola divina.

Non poteva essersi sbagliata più di così.

Taanach non aveva più bisogno di lei. Non aveva più bisogno delle Vestali probabilmente. E forse non comprendeva nemmeno più la necessità di volgere la propria anima a una religione.
All’improvviso qualcosa di duro alla tempia la tramortì per un istante, e subito dopo avvertì qualcosa di vischioso e sgradevole colarle lungo la guancia fino alle spalle: le grida di scherno si moltiplicarono, e Raven seppe che quell’uovo marcio non era che l’inizio del suo purgatorio.
Cadde più volte, inciampando nei suoi stessi piedi e intralciata dalla moltitudine di oggetti che le venivano scagliati contro: ortaggi, uova, fanghiglia o peggio ancora. Forse addirittura animali morti.
Raven cercò di camminare, camminare e basta ignorando il supplizio che le rigava le guance di sporcizia e lacrime, cercando di togliersi dalla testa le acute grida che accompagnavano i suoi passi.

- Strega, strega!
- Al rogo le streghe di Taanach!

Non sono io la strega, pensava inutilmente. Non sono io…

E poi un fischio prolungato sovrastò gli schiamazzi e qualcosa accadde.
Alle grida sguaiate di gioiosa ferocia si sovrapposero strilli di spavento e dolore, e sentì la fune strattonarla con violenza di lato. Le voci imperiose dei legionari intimavano alla gente di allontanarsi, di stare calmi e indietro: ma invano. Raven si sentì spintonare da più parti, per la prima volta inconscia di quanto stesse accadendo, e poi il tonfo di qualcosa di pesante accompagnato da strilli di orrore davanti a lei anticipò di un istante l’urto del suo piede seminudo contro una carcassa riversa a terra.

Una pozza di sangue si allagò sotto il corpo scosso da spasmi di Salem Ag'ahrd, pugnalato a morte sotto il sole di Taanach.



QMpoint.
Con questo post mi sostituisco al previsto post di Name Less portando avanti nel contempo gli eventi.
Raven ha iniziato la passerella di umiliazione che le era stata riservata, che nell’idea dei legionari doveva essere una lunga camminata per le vie principali della città esponendola allo scherno e al lancio di verdura marcia, uova e simili da parte della folla. Logisticamente, due file di legionari in armatura leggera accompagnano i lati del corteo per impedire alla folla di avvicinarsi troppo, davanti a Raven cammina il dux Salem in pompa magna conducendola con una corda, chiude il corteo Duilio in portantina assieme ad Azzurra. A un tratto però qualcuno invade il corteo (nel momento degli strilli): si tratta di cinque figure incappucciate che ostacolano repentinamente l’avanzata dei legionari, e prima che qualcuno abbia tempo di reagire, Salem cade a terra colpito dritto al cuore da un pugnale, due incappucciati si avventano su Raven liberandola dalle corde ed è il caos.
Nel vostro post, oltre a descrivere la scena dal vostro punto di vista (liberamente interpretabile) dovete iniziare a definire la vostra posizione (come vi ponete nei confronti della situazione? dei legionari? delle Vestali?) e decidere come agire. Ci vediamo in confronto per definire le vostre mosse e elaborare il post entro sabato!
 
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view post Posted on 24/5/2015, 16:19
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Cavalier Fata
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Fetiales ~ Ab incubis daemonibus
« Theras Universalis. »

« Quella donna, Czar, mi incuriosisce. » affermai, mentre camminavo al seguito del legionario. « Avete mai sentito parlare della corruzione? Una specie di morbo, una piaga virulenta rilasciata dai demoni che si instilla nella mente. Ammetto di averne solamente ricevuto racconti casuali e poco certificati... ma se quella Raven fosse infetta? »
L'idea della corruzione si era diffusa tra la popolazione, non ne sapevo molto ma anche Kirin aveva accennato a qualcosa del genere durante i nostri discorsi. Il che, in termini più semplici, non era altro che l'esigenza di conoscere il mio nemico.
« Lungi da me venire in casa vostra e darvi consigli non richiesti ma, con permesso, nel Dortan abbiamo avuto già problemi simili. Il mio suggerimento è quello di avere i piedi in due staffe: fatela sfilare nella passerelle, condannatela se colpevole ma, dietro a tutto, andate a controllare ciò che vi ha riferito, per folle che sia. » era chiaro che lui, come cesare di Taanach, avesse le mani legate per certe questioni. Io mi stavo implicitamente offrendo di indagare per suo conto, ottenendo di fatto il duplice effetto di rendere un favore alla legione e salvaguardare la città da una possibile infiltrazione demoniaca. Non avrei potuto auspicare niente di meglio. Lo Tsar parve aprirsi molto a quelle domande, l'avanzata inesorabile dell'abisso lo turbava, e la cosa non poteva che ripercuotersi in una certa preoccupazione che non riusciva a colmare. La sua voce era decisa, esprimeva una grande fierezza d'animo, eppure le parole tradivano l'inquietudine e l'incapacità di far fronte in maniera efficace a tutte quelle minacce intestine.
« La catastrofe che ci prepariamo ad affrontare è una delle peggiori che abbia mai incontrato nella mia carriera di soldato...E vi assicuro, Mademoiselle de Rougelaine che ne ho viste parecchie. Non abbiamo un vero nemico, non conosciamo i numeri del suo esercito, né le armi di cui disponga. »
Espresse anche il suo timore riguardo a Raven, la vestale, poiché la possibilità che fosse corrotta era concreta e avrebbe potuto cercare di ammaliare il popolo o, peggio ancora, di contaminarlo spandendo la piaga in maniera incontrollata. Concluse con una richiesta, che altro non era se non il suo modo di accettare l'aiuto offertogli.
« Mademoiselle...Cavaliere. Mi sembrate una donna di alti valori e grande competenza, e non siete di Taanach: il vostro aiuto potrebbe rivelarsi fondamentale in questo momento. C'è una persona che conosce la verità su quanto accaduto a Raven...Madre Chrysotemis. Non concede udienza da quando è tornata dal suo viaggio, ma tra due giorni si terrà un grande concilio in occasione del compimento di un'antica profezia. Le Vestali apriranno le porte del tempio e la Madre in persona accoglierà questuanti e pellegrini da tutta la regione: recatevi da lei, e trovate il modo di parlarle. In privato, se doveste riuscirci. In caso contrario, qualunque informazione riusciate a strapparle sarà preziosa. »
Volevo rincuorarlo, il suo sostegno nel prossimo futuro sarebbe stato importante se non essenziale. Aveva delle armate che il Dortan poteva solamente sognare, ora che si ritrovava frammentato e diviso in una moltitudine di piccoli domini in perenne litigio, eppure Duilio non sembrava sentirsi all'altezza di difendere la sua città.
« Le vostre legioni sono forti e stanno rendendo servizio all'intero continente. Se i nobili del Dortan non fossero impegnati a pestarsi i piedi a vicenda avrei fatto tutto il possibile per inviarvi soldati e rifornimenti, ma il destino ha voluto diversamente... quindi, per quanto poco possa valere, voglio fare la mia parte. »
Poi annuii, sorridendogli.
« Madre Chrysotemis. » ripetei, tra me e me. « Come desiderate, cercherò di capire cosa sta succedendo. »
Nel giro di pochi istanti stavamo già uscendo dal palazzo, su una elegante portantina, per seguire la passerella della vecchia Raven.

[ ... ]



Il sole caldo e la luce del giorno illuminavano la città e i suoi abitanti in maniera particolarmente intensa. Non ero abituata al calore del meridione, tanto che dovetti sventolarmi con la mano per sopperire un minimo al clima piuttosto impietoso nei confronti di chi, come me, proveniva dalle pendici dell'Erydlyss. persino la pelle del viso, naturalmente candida, aveva preso un bel colorito rosa chiaro e sembravo quasi arrossita per un perenne imbarazzo. Ma lo spettacolo esotico e tutt'altro che banale, si scontrava con la ferocia della folla e le grida ingiuriose nei confronti della vecchia: Taanach doveva veramente odiare le streghe e chiunque praticasse arti oscure. La vicinanza all'abisso, probabilmente, aveva risvegliato una sorta di inquisizione popolare, oltre che una naturale diffidenza per chi praticava la magia, e pur non volendo prendere le parti di nessuno non mi sentivo affatto di biasimare quella gente. Ogni giorno dovevano lottare per rimanere vivi, chiusi tra le mura di una città che funzionava sia da culla che da prigione, costretti a seppellire decine e decine di figli, mariti e padri a ogni assalto. Nessuno avrebbe potuto reggere un simile fardello senza esplodere, anche se a farne le spese sarebbe stata una donna che, almeno all'apparenza, sembrava a stento capace di reggersi in piedi. Certo, non spettava a me giudicarla, eppure mi faceva una certa compassione vederla in quello stato pietoso.

Ad un tratto, proprio mentre il lancio di verdure macilente e altri disgustosi frutti, le urla furiose parvero mescolarsi a quelle di panico. Immediatamente drizzai il collo per vedere cosa stava succedendo: nella confusione vidi solamente Salem, uno dei dux della legione, cadere al suolo e un numero imprecisato di persone a volto coperto che si gettavano su Raven. I miei peggiori timori si erano avverati, qualcuno aveva deciso di liberare la vestale e lo aveva fatto in pubblica piazza, assassinando a sangue freddo un uomo, sotto ai miei occhi. Senza nemmeno chiedere permesso a Duilio saltai giù dalla portantina lanciandomi contro la folla, lasciando che le gomitate e gli spintoni mi aprissero un varco sino al ferito. Sapevo che la cosa giusta da fare sarebbe stata impedire a Raven di fuggire, ma non potevo lasciare che un uomo spirasse in quel modo, non senza provare ad aiutarlo. Mi lanciai in ginocchio accanto a lui, impattando piuttosto bruscamente al suolo con le ginocchia, portando immediatamente le mani sulla ferita. Il sangue usciva copioso, imbrattandomi i guanti e scorrendo rapidamente sul metallo lucido della corazza. Lo avevano colpito al cuore, con un affondo netto e preciso, senza alcuna pietà né esitazione, non avevo mai visto nessuno essere così tanto freddo e spietato nei confronti di un'altro essere umano... Taanach correva un pericolo ben più grave di quello che potessi anche solo immaginare.
Incanalai le mie energie sul palmo delle mani, riversandole all'interno del corpo di Salem nel disperato tentativo di fermare la devastante emorragia che lo stava dissanguando, ma non ero certa che i miei poteri potessero sopperire a un colpo del genere. Pregai, mentalmente, che riuscisse a sopravvivere. La legione aveva già perso molti buoni soldati per salvare il mondo libero dall'oscurità, e Salem non avrebbe dovuto essere tra loro.

Ebbe un sussulto, un fremito, e quasi credetti di averlo perso. Poi, per miracolo, riaprì gli occhi e mi guardò incredulo... era al limite umano e, probabilmente, senza cure ulteriori non sarebbe riuscito a sopravvivere ancora a lungo, ma se non altro era fuori pericolo nell'immediato. Tirai un profondo sospiro di sollievo, mentre con lo sguardo cercavo i responsabili di quell'insano gesto. All'improvviso, dal nulla, la voce di Aruj si erse sopra le grida di panico generale; il nano aveva estratto le armi e, senza porsi troppe domande si era frapposto tra me e gli aggressori per evitare che qualcuno potesse attaccarmi a tradimento. Il suo arrivo era come un raggio di sole nella tempesta. Aprì il fuoco e colpì alle gambe un paio degli incappucciati, facendoli finirecarponi, ma il resto di loro assieme a Raven approfittarono del caos generato dileguandosi tra la folla.
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I legionari, come se non bastasse, si avventarono sul nano disarmandolo e impedendogli di colpire ulteriormente i fuggiaschi. Immediatamente provai a prendere le sue difese

« Aruj? » strillai poi ai legionari. « Il nano è con me, mon dieu, proteggete il ferito! »
Mi tirai in piedi, afferrando la spada lordandone l'impugnatura involontariamente, troppo lenta per riuscire a bloccare la vestale in fuga assieme agli aggressori.
« Zut! » mi voltai nuovamente verso i soldati « Portate via il vostro comandante, adesso. Ha subito un colpo mortale, deve ricevere immediatamente cure appropriate. »

Imprecai mentalmente per l'inadeguatezza dei legionari in quella specifica circostanza, ma del resto erano stati colti completamente alla sprovvista, l'unica cosa che mi restava da fare era bloccare il più vicino dei prezzolati, quelli feriti alle gambe, che si muovevano più lentamente.
Aruj sbraitò qualche altra cosa a me incomprensibile, probabilmente una qualche bestemmia o esortazione contro gli uomini che lo avevano bloccato, mentre caricando a testa bassa placcai uno dei fuggitivi, rovinandovi assieme al suolo. Odiavo profondamente quel genere di persone, meschine e squallide al punto da accoltellare un uomo a tradimento. Lo bloccai salendogli a cavalcioni sul petto. Con la mancina gli afferrai il cappuccio strattonandoglielo via dal volto, mentre con l'altra mano, libera dato che nella caduta avevo lasciato andare la spada, cercai la daga d'emergenza per minacciarlo.

« Chi sei?! E perché avete liberato la donna? »

Sotto al cappuccio c'era il viso di un giovane ben curato, ma il suo sguardo sembrava trasmettere qualcosa di sinistro e inquietante. Era come se non riuscisse a capire la gravità della situazione, né a sentire il dolore non indifferente della pallottola conficcata nella gamba. Prima che riuscissi a estorcergli qualsiasi parola, però, una schiuma bluastra gli colò dalle labbra e, nel medesimo istante, spirò davanti ai miei occhi. Istintivamente gli portai le mani ai lati della bocca, per impedirgli di mordere veleni o quant'altro, ma era già troppo tardi. Quel bastardo vile aveva preferito suicidarsi che finire nelle mani della legione.

« Accidenti! » frustrata lanciai un pugno sul ciottolato della strada, scaricando in quel modo la sensazione di fallimento. Avevo ancora il fiatone per lo scatto e per la colluttazione, oltre che i guanti impregnati di sangue che iniziava a diventare denso a causa del gran calore. Mi tirai in piedi, non senza qualche difficoltà, recuperando la spada e riponendo il coltello. Probabilmente quel giovane si era suicidato sfruttando una capsula di vetro nascosta sotto la lingua: ai tempi in cui frequentavo ancora i salotti nobiliari avevo sentito di donne che nascondevano potenti veleni dentro dei piccoli anelli, il sistema era, probabilmente, simile. Tuttavia, data la particolare regione geografica, non potei fare a meno di pensare si trattasse di un veleno di origine animale, come un serpente o un ragno. Ma, in fondo, non importava sapere come era morto, ma solamente che non avrebbe potuto dirci niente.
« Piacere di rivedervi, Aruj, seppure non in splendide circostanze... » poi, voltandomi verso Duilio con aria piuttosto remissiva, continuai. « Sì è suicidato. Hanno preso la donna e hanno quasi ucciso il dux... ma se non altro sono riuscita a salvarlo. » ero piuttosto affranta dal non essere riuscita a impedire la fuga e temevo di aver deluso profondamente lo tsar. « Ordini? »

Poi, notando la reticenza degli uomini verso Aruj, mi limitai ad aggiungere poche parole in sua difesa. « È fidato, signore, voleva solo aiutare. »
Per tutta risposta il nano borbottò, indignandosi, maledicendo gli aggressori.



dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: ///
Stato fisico: 125%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 100% - 20% = 80%
Stato Emotivo: Frustrata.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda. (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga. (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale. (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)
• Moschetto. (Arma a polvere nera, da distanza,) [Schiena]

Passive in uso:
- Sigillo Benedetto - Grazia: Lo spirito umano è forte, indomito, capace di compiere le più mirabolanti imprese e costruire le più complesse architetture. Cade e sempre si rialza, vinto nel corpo ma invincibile nell'animo e nella fede. Esso è guidato dalla luce del Sovrano, benedetto con la Grazia di un futuro radioso disegnato attraverso la guerra e la distruzione, in un ciclo che solamente l'uomo stesso è destinato a fermare. I più devoti si prenderanno cura degli altri, allorché tutti, un giorno, possano finalmente ascendere al divino.
[Passiva del Campione: Guarigione Vigorosa. Azzurra potrà usare con la potenza pari al consumo usato per lanciare le tecniche di cura, di qualsiasi natura e risorsa esse siano] (Utilizzi:6-1=5)


Attive usate:
- Orazione della Fede - Risana Benedicti: Un canto divino più potente, che s'innalza ben oltre la normale guarigione usata dalla maggior parte dei chierici. Il potere scaturito da questa manifestazione divina richiede un dispendioso sacrificio spirituale per essere compiuto e non va utilizzato con leggerezza: tale guarigione è riservata solo ai casi più gravi, più difficili, che si possano incontrare combattendo nel nome del Sovrano.
Azzurra potrà guarire un danno Alto da se stessa o da un alleato. La cura si manifesterà come una serie di piccole effigi luminose, dalla forma animale, che risaneranno all'istante la parte lesa.
[Pergamena del Campione: Cura Incisiva. Potenza Alta. Risana Fisico. Attinge a Energia. Natura Magica]


Note: Riportato come dal confronto, spero sia una buona lettura!
 
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view post Posted on 24/5/2015, 20:04

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Ad incubus Demonibus - Vergogna


Uomini incappucciati, piani segreti e un giardiniere ubriaco che, se non fosse stato messo fuori gioco dall'alcol, avrebbe seguito il nano fino a Bathos e ritorno, Aruj pensò che quello che aveva visto e sentito era più che sufficiente. La cosa importante era tenersi lontano dalle vestali e dalle guardie, trovare quanto prima i propri compagni e finire la giornata in una bettola a cantare dei grandi pirati, bere e gozzovigliare fino al mattino.
Taanach non gli interessava, era solo un punto di scambio, un crocevia obbligatorio su una rotta più grande che lo avrebbe portato molto lontano dall'Akeran. La questione dei demoni, però, lo intrigava e lo lasciava perplesso. Streghe, magia, buchi d'inferno, di questa roba non ne aveva mai capito un accidenti, eppure alcune parole gli erano rimaste impresse: "l'ora del Sole Nero".
Che fosse un'eclissi?
Gli uomini e i loro stupidi rituali e stregonerie! Guardavano il cielo in cerca di risposte: il sole, la luna, le stelle. Persino il loro stupido calendario era basato sulla luna. Non che vi fosse nulla di male ad osservare il cielo. Le profondità siderali e i suoi astri da sempre avevano aiutato i marinai a tracciare la propria rotta, il movimento delle nubi era utile a capire la direzione dei venti o se una tempesta incombeva. L'Abisso non era solo infondo al mare ma lo si poteva scrutare anche nella terribile oscurità di un cielo senza luna.
Camminava, arrovellandosi le cervella su cosa potesse significare "sole nero" e, senza rendersene conto, si ritrovò in una delle strade principali, gremita di gente.
La folla sembrava essersi radunata per una sfilata o una parata che a breve sarebbe passata di lì. Molti fremevano, impazienti, altri si alzavano sulle punte per guardare oltre il muro di spalle e teste.
Aruj non era un grande amante della calca, soprattutto se in mezzo c'è gente più alta di lui, il che, essendo basso persino per lo standard nanico, significava che odiava i bagni di folla. Da bravo fuorilegge, inoltre, preferiva restare nei vicoli e nelle strade secondarie, lontano dagli sguardi e dalle lame affilate delle guardie.
Si voltò, in cerca di una stradina da imboccare, ma dietro di lui un muro invalicabile di gambe bloccavano il passaggio. Così bloccato, in mezzo a tante persone, non potendo tornare indietro, si fece largo fra la gente che si spostava senza opporre resistenza, forse scambiandolo per un ragazzino curioso, fino ad intravedere fra una foresta di mani e dita la strada.
I suoi saltelli e il suo continuo mettersi sulle punte fecero girare un paio di spilungoni, che lo guardarono incuriositi e sorridenti e protesero le braccia in avanti per prendere il nano sulle spalle, prima di accorgersi della folta barba e un'occhiataccia carica di sete omicida. Nei loro sguardi Aruj lesse un cambiamento netto, in un misto di disgusto, paura e delusione. Ecco un'altra ragione per evitare le folle.
Mentre la massa uniforme di uomini, donne e bambini si agitava, un'anziana donna incatenata e al guinzaglio come un cane, scortata da un manipolo di guardie. Più dietro una lettiga trasportava un uomo dalla faccia quadrata e i lineamenti duri e una donna. L'uomo non l'aveva mai visto ma la donna, col suo viso fanciullesco e gli occhi blu, i capelli biondi che scendevano sull'armatura, la conosceva già.
Che l'Abisso lo portasse alla dannazione, se quella donna non era Azzurra. Era dal loro primo incontro che quella ragazzina sembrava seguire ogni suo passo: sempre nell'occhio del ciclone, sempre in prima fila per lo spettacolo. Aruj e Azzurra sembravano condividere la stessa fortuna, nell'essere le persone giuste al posto sbagliato.
Il nano seguì la lettiga, facendosi largo fra la gente, in mezzo al lancio di frutta e verdura marcia di vario genere, nonché uova e tutto ciò che avrebbe potuto puzzare e far male allo spirito. Un altro spettacolo di umanità varia che Aruj si sarebbe risparmiato. L'odio che provavano verso la vecchietta in capo al corteo lo aveva già visto: molti pirati e marinai considerati tali avevano affrontato passerelle simili, prima di raggiungere il patibolo. L'odio della massa incanalato su una sola persona, i cui crimini, spesso, erano ben poca cosa, rispetto alle malefatte di chi stava in alto e giudicava. Seguiva la lettiga il nano, fra le urla e gli schiamazzi, assordato e confuso, finché il panico non agitò la folla.
Come pecore inseguite da un pastore, la gente iniziò a correre in tutte le direzioni, spingendo e sgomitando, salendo gli uni sugli altri, calpestandosi a vicenda. Furono solo le dimensioni ridotte e la posizione favorevole che evitarono al nano di essere travolto da quei caproni impazziti dalla paura.
Finalmente era in prima fila per osservare meglio. Un uomo riverso nel proprio sangue, le guardie in fila ordinata, nonostante il caos attorno a loro, gente incappucciata che tentava di tagliare le corde che immobilizzavano la vecchia. Ad una prima occhiata, i cappucci sembrarono gli stessi degli strani tizi che confabulavano al tempio: mantelli comuni, dello stesso colore, senza fronzoli o abbellimenti.
Fu un attimo e il nano bevette un sorso dalla fiaschetta, caricandosi di una grinta innaturale. Si intrufolò nella mischia, l'Affondanavi fra le braccia e un urlo rauco fra le fauci. "Non c'è niente da vedere qui" Disse, spintonando le guardie per farsi largo, sfruttando la confusione creatasi per guadagnare una posizione ancor più favorevole. "Ilerleyin lütfen" Il sangue gli ribolliva nelle vene e il cuore batteva all'impazzata, come i tamburi che preannunciano la battaglia. Azzurra era già in ginocchio, tutta intenta a salvare l'uomo atterrato e il pirata le si mise vicino, a coprirgli le spalle, nel caso gli attentatori si fossero lanciati in un secondo attacco. "Dovremmo smetterla di incontrarci così, genç kız." E mentre Aruj parlava, rivolgendosi in modo gentile all'umana per cui aveva imparato a provare affetto, già stava mirando il suo cannone verso gli assalitori. Un piccolo gruppetto, tutti ravvicinati, sarebbe stato un gioco da ragazzi colpirli tutti. Cinque colpi in canna, cinque bersagli.
Sparò, premendo il grilletto consecutivamente e compiendo un piccolo arco difronte a se con l'arma. Aveva esitato, però, abbassando la mira all'ultimo: non li voleva morti. Quegli occhi blu visti nel giardino del tempio delle Vestali, le voci che aveva sentito sullo Tsar; avrebbe dovuto puntare il fucile verso le guardie, avrebbe dovuto sparare al moribondo.
Era troppo tardi per ripensarci. Due incappucciati furono azzoppati e caddero a terra, gli altri assieme alla prigioniera liberata furono protetti da uno scudo cristallino e trasparente che fece rimbalzare i proiettili, piantandoli nel suolo.
Infine, delle mani, da dietro, afferrarono il nano e lo spogliarono del suo equipaggiamento. Le guardie lo immobilizzarono e gli strapparono con violenza qualunque armamentario avesse addosso, Kilij di famiglia compreso.
"Aruj?" La voce di Azzurra era un sussurro sotto i ringhi di rabbia e il dimenarsi del nano, che scalciava senza toccar terra. "Il nano è con me, mon dieu, proteggete il ferito! " Neanche le parole della giovane guerriera furono d'aiuto, mentre i cagnacci di Taanach stringevano Aruj in una morsa dalla quale non sarebbe riuscito a fuggire con la sola forza. La ragazza si lanciò all'assalto dei fuggitivi feriti, abbaiando ordini verso i bastardi inefficienti che avrebbero dovuto tenere la situazione sotto controllo ma che, invece di acciuffare gli attentatori, sembravano essere più interessati ad Aruj: il nano pazzo, che parlava strano e sparava senza pensarci troppo.
"Aiutate la ragazza, salaklar!"
"Oppure ridatemi la mia sputafuoco e lasciatemi fare il vostro lavoro"

Fu solo allora che e guardie lo lasciarno. Un silenzioso ordine li aveva fatto mollare la presa, quello dalla faccia quadrata e lo sguardo duro sembrava essere il loro capo. Non doveva esser un grande chiacchierone quel tizio, nè tanto meno l'anima della festa, sempre che qualcuno ce lo avesse invitato. Azzurra fece rapporto direttamente a lui, il che fece intuire al nano che dovesse essere il più alto in grado lì in mezzo, non che la pomposa lettiga con la quale aveva chiuso quella parata di vergogna ed ignominia avesse lasciato troppi dubbi al riguardo.
Dux. Chi era il superiore del Dux?
Il tizio dalla faccia quadrata non poteva che essere lo Tsar, Duilio.
Aruj gettò uno sguardo preoccupato ad Azzurra, mentre quella garantiva per lui.
Maledetta ragazzina, s'era affidata al peggiore sulla piazza! La doveva avvertire, lei doveva sapere tutto quello che si diceva su Duilio e le Vestali, il Sole Nero, Raven, il rituale.
Non era quello il momento, lei era entrata nelle grazie dello Tsar e quella posizione sarebbe stata utile, qualunque cosa sarebbe avvenuta.
Un ultimo pensiero corse ai compagni, chiusi in chissà quale taverna a godersi pinte e pinte di birra, la compagnia di qualche giovane fanciulla e il delizioso cibo locale. "Dovevo restarmene in quella taverna ad ubriacarmi." Sbottò il nano, in un borbottio quasi incomprensibile.
"Che se li prenda l'Abisso!" Si tolse di dosso la polvere rossastra dai vestiti, cecando di ricomporre l'ampio gilet akeraniano tutto sgualcito, maledicendo tutto e tutti.
Ancora un volta, i guai avevano raggiunto il pirata.








Aruj Shadak

Status fisico: 75%
Status mentale: 70%
Energia: 145%
CS: +4 -> 0

Passive in Uso:
Nano Pistolero ~
Chi ritiene Aruj un combattente temibile nel corpo a corpo, non l'ha mai visto impugnare il suo archibugio. I poveri malcapitati che han dovuto affrontare la pioggia di ferro rovente sparata dal nano, sembra che possano parlare solo con i pesci, ormai.
Accerchiato, in inferiorità numerica, senza alcun tipo di supporto, il pirata non sembra essere affatto in difficoltà, riuscendo a colpire i propri nemici contemporaneamente e in qualunque direzione. I compagni del Capitano narrano che lui è solito ripetere la stessa frase: "Accerchiati? Bene! Significa che potremo attaccare in qualunque direzione".
Se tutto ciò non dovesse bastare e qualche sciocco pensi che le frecce nella faretra, in questo caso i proiettili nel pallottoliere, possano terminare, si sbagliano: Aruj sembra portare con se una scorta illimitata di pallottole, di cui alle volte persino lui dimentica di avere; tasche, borse, piccoli sacchetti, non c'è contenitore usato dal pirata in cui non si possa trovare almeno un colpo e della polvere da sparo, che sia di riserva o semplicemente lasciata lì per disattenzione. Molti pensano che, se si riuscisse a prendere per il piedi il nano e a scuoterlo per abbastanza tempo, dai suoi vestiti potrebbe uscire una santabarbara sufficiente ad abbattere un esercito.
(Abilità Personale 7/25: Passiva (6 utilizzi)di Tiro Multiplo, solo armi a distanza
Abilità Personale 8/25 : Passiva (6 utilizzi) di Munizioni infinite, solo armi a distanza)


Attive in Uso:
Grog ~
Il rimedio preferito da tutti i parati e marinai al largo di Dorhamat, si dice possa curare un gran numero di malattie che affligge gli uomini di mare. Un miscuglio di acqua pulita, cannella, distillato di zucchero di canna, limone e lime, nonostante la sua alta gradazione alcolica, sembra assere davvero un toccasana per chiunque lo beva, risultando particolarmente dissetante in piccole dosi.
Alcune storie narrano che il capitano Aruj abbia modificato leggermente la ricetta, traforandolo in vero coraggio liquido, capace di donargli ancor più precisione nel colpire o, alle volte, rimediargli una sonora sbronza.
(Abilità Personale 5/25: Natura Psionica, Power Up alle CS "Maestria nelle Armi" (Costo: Variabile -> Medio; Energia + Autodanno Mentale))

Riassunto/Note: Mi scuso immensamente per il ritardo e il post non molto diverso dal confronto. Mi spiace molto anche per Name Less, è sempre bello conoscere nuovi PG.



 
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view post Posted on 31/5/2015, 22:15

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Cinque anni prima
Grauenhal, periferia occidentale di Taanach Vecchia



Si dice che la più pericolosa delle creature non sia la feroce pantera delle ombre, né il mortale basilisco dagli occhi di fiamma. No, niente di tutto ciò. Ciò che zanne e aculei intrisi di veleno possono fare alla carne non è nulla in confronto all'atroce sofferenza che può causare un cuore ferito, un'anima annerita dalla paura e accecata dalla vendetta.
Non esiste creatura più pericolosa di una donna abbandonata.

E in cerca di vendetta.

Le giornate erano trascorse lunghe e tediose, in quel tetro palazzo chiamato Grauenhal. i primi giorni Caelian si aggirava nelle immense stanze della fortezza in rovina, ma piena di quel fascino intatto che solo i luoghi perduti possiedono. Osservava il suo viso perfetto nei grandi specchi argentei di quelli che, secoli prima, erano stati i saloni da ballo; cercava sul suo volto candido un segno di stanchezza, una ruga, una cicatrice delle mille battaglie della sua vita, ma la superficie liscia rifletteva solo un ovale di pura bellezza, gli occhi come due stelle splendenti e una cascata di capelli d'oro fino. Non vedeva nient'altro che il sogno segreto di qualunque fanciulla al mondo: la bellezza e la giovinezza eterna.

Ma i giorni erano diventati mesi, e Caelian si struggeva nella solitudine di quel tetro maniero, quel luogo che non molto tempo prima aveva chiamato casa, insieme all'unica persona al mondo che avesse mai amato. Che l'avesse mai amata. o almeno, così credeva.

Ogni mattina, lo specchio le restituiva l'immagine di una ragazza talmente bella da togliere il fiato, il ritratto della giovinezza, dell'amore e della serenità. Il riflesso di una purezza incontaminata e intoccata dagli anni e dagli eventi. Finchè una mattina, con un urlo selvaggio, Caelian si scagliò con i pugni chiusi contro il vetro levigato, incurante del dolore e del sangue che prese a colarle lungo i polsi fino a macchiare l'abito bianco. Colpì e colpì sempre più forte, finchè le schegge non le furono penetrate nella carne e dello specchio non rimase che una distesa di frammenti acuminati che finalmente riflettevano l'immagine che lei aveva di se stessa: una donna ferita, a pezzi, distrutta nel cuore e nella mente.

Non aveva chiesto lei quella vita, non aveva mai voluto quella bellezza maledetta.
La morte sul rogo, secoli prima, avrebbe dovuto essere la sua fine, prima che un'anima nera la strappasse dalle fiamme per farne il proprio mostro.
La morte tra le fiamme della cripta di Laslandes sarebbe stata l'occasione per distruggere quella vita fasulla che aveva imparato ad accettare nonostante tutto: ma ancora una volta, qualcuno l'aveva tolta dalle fiamme e consegnata ad una nuova esistenza. Zaide, la strega.
La donna che l'aveva presa per mano e portata a Taanach nonostante Caelian avesse cercato di distruggerla; la donna che le aveva regalato le giornate più intense e perfette della sua intera, lunga vita. Un sogno, null'altro che un sogno. Infranto ora dalla sua lontananza, dal suo colpevole silenzio: la solitudine e la gelosia attanagliavano la fanciulla togliendole il respiro, ma non era più disposta a sopportare ancora a lungo quella maledizione.
Gocce di sangue costellavano il pavimento segnando la traccia dei suoi passi nei lunghi corridoi del castello fino alle porte della grande biblioteca.
Caelian indugiò un momento sulla soglia, prima di spingere la pesante porta di legno massiccio: quello era un luogo sacro per Zaide, la stanza dove la strega si rinchiudeva per ore a leggere e studiare tomi arcani in lingue dimenticate, il luogo che racchiudeva l'intimità più profonda della donna che un tempo amava con tutto il cuore.

Era il luogo perfetto per l'inizio della fine.

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- Venite da questa parte, c'è qualcuno qui sotto!

- Laggiù, presto!

- Impossibile, saranno altri corpi come quelli dei due poveracci carbonizzati davanti al vecchio forno...

- No, no, respira!

- Cosa? ...Com'è possibile?

- Ma come ha fatto l'incendio ad arrivare fin qui?

- In realtà dicono che sia partito proprio da Grauenhal, dalle vecchie sale.

- Però...

Nell'aria l'odore di bruciato ristagnava da due giorni. Erano occorsi gli sforzi di centinaia di volontari per domare le fiamme e arginare il pericolo prima che la catastrofe coinvolgesse l'intero sobborgo. Le voci stanche di chi aveva lavorato fino all'alba per spegnere l'incendio si mescolavano a quelle eccitate delle iene che approfittavano della confusione per frugare tra le macerie in cerca di tesori, o di cadaveri da spogliare. Lo sconforto regnava sovrano dopo due giorni frementi nel vano tentativo di strappare alla morte i poveri corpi martoriati delle bambine rinvenute sotto la cenere. Quella mattina l’allegro vociare del quartiere popolare di Grauenhal taceva in favore di mormorii cupi, sguardi stanchi e sconsolati, frugare di vanghe e crepitii degli ultimi focolai accesi.
Non c’era bisogno di parole, in quello che sarebbe stato ricordato nella storia come il peggior incidente mai avvenuto a Taanach.

Una scena che il giovane soldato in congedo non avrebbe mai cancellato dagli occhi. Un anno intero di sacrifici, viaggi e battaglie al soldo dei più disparati signori dell’Akeran nell’attesa di tornare a riempirsi gli occhi della vista familiare del piccolo forno dei suoi genitori, dell’aia in cui le sue sorelle adottive alternavano giochi spensierati con le oche e piccole faccende domestiche; la camminata l’aveva sfiancato, ma non intendeva fermarsi finché le sue narici non si fossero riempite del fragrante profumo del pane appena sfornato.
Ma fu un acre puzzo di cenere e corpi bruciati quello che investì i sensi del ragazzo, distruggendo in un colpo solo ogni sua attesa e speranza.
Nell’aria aleggiava ancora la maledizione della strega, il grido acuto che aveva trascinato nel suo proposito di vendetta decine di vite innocenti.
Il giovane Salem rimase scioccato per alcuni istanti dinanzi allo spettacolo che la collina in macerie offriva dinanzi ai suoi occhi, mentre ciò che rimaneva dell’intera famiglia Ag'ahrd si poteva raccogliere in una mano: la vecchia pala di suo padre, la catena d’argento di sua madre e i resti carbonizzati di un cavallino che lui stesso aveva intagliato nell’ebano prima di partire soldato per la piccola Ella.
Ma fu un baluginare rosso di qualcosa di pulsante semisepolto tra la cenere ad attrarre il suo sguardo offuscato dalle lacrime. Un occhio di rubino, tanto vivido da sembrare vivo, lo scrutava dall’elsa di un contorto pugnale mai visto prima. Un siffatto oggetto non apparteneva certo alla semplice famiglia del fornaio.
Una vaga elettricità parve vibrare tra il pugnale e la sua mano, e una vera e propria scossa lo percorse quando liberò l’arma dalle macerie impugnandola saldamente: e una voce inudibile a chiunque altro gli percosse il cranio come l’eco di cento campane, stordendolo e lasciandolo qualche istante a terra tramortito:


- Uccidila. Uccidi la strega.



Oggi
Tempio di T’al, Taanach



Una folla silenziosa si era radunata fin dalle prime luci dell’alba sul piazzale antistante il Tempio adornato da centinaia di rose bianche e festoni di edera in occasione del gran giorno. Un evento del genere si ripeteva una volta sola ogni cento anni, e per nulla al mondo gli abitanti di Taanach si sarebbero persi il Raduno del Sole Nero. La profezia di una prescelta del Dio rivelava il momento designato della cerimonia, e leggenda e realtà si mescolavano nei racconti popolari nel tramandare fatti miracolosi e prodigi a cui si era assistito nel corso dei secoli durante quell’unica e irripetibile giornata mistica.
Era anche il giorno in cui le Vestali votate al silenzio scioglievano il loro vincolo per rivelare agli uomini la parola del dio, ma soprattutto il giorno in cui la Madre del Tempio si mostrava per accogliere questuanti, pellegrini e preghiere da tutto il continente. Chiunque poteva presentarsi a lei per chiedere una benedizione, offrire un voto, domandare giustizia o giudizio divino. E quando le porte del Tempio si schiusero, la magnificenza della Madre non deluse gli animi curiosi della gente assiepata sul piazzale anche solo al semplice scopo di vederla, di respirare la sua stessa aria, di sfiorare magari un lembo della sua tunica.

Chrysotemis sedeva in posizione sopraelevata, su un trono argenteo che metteva in risalto il colore vivo della sua lunga tunica blu cobalto intessuta di fili color di luna, prezioso dono di una delegazione di fedeli di Qashra. La sua maschera splendeva di luce riflessa grazie al raggio di sole che filtrava dai lucernari alti sul soffitto del tempio: un mormorio di stupore e ammirazione percorse la folla quando le piume di fenice posti ai lati della maschera ondeggiarono lievemente, svelando la scia di zaffiri e rubini incastonati a sottolineare la curva degli zigomi, che conferiva al volto celato di Chrysotemis un aspetto ancora più ultraterreno.
Le Vergini intonarono un canto di lode ispirato ai più antichi inni sacri di tutto il continente, suscitando grande commozione da più parti, e infine la cerimonia ebbe inizio.

La sacralità del momento rimase elevata per tutta la mattina, sebbene la sequela di richieste non sempre di particolare interesse incrinasse di tanto in tanto la grandiosità dell’evento con solenni momenti di noia, ma nessuno sembrava intenzionato ad andarsene, non prima dell’avvento del Sole Nero, il compimento della profezia della sacerdotessa prescelta.
Quando ad un tratto la lenta monotonia della processione di pellegrini venne interrotta da una visita inaspettata.
Un brusio spaventato ed eccitato allo stesso tempo percorse la folla, ma la maschera di Chrysotemis non lasciò trapelare alcuna emozione, se mai ci fosse stata.

- Invochiamo qui il diritto sacro di ospitalità del Tempio. - esordì la voce di una donna avvolta in un ampio mantello e dal volto coperto da un cappuccio scuro, come a prevenire la reazione di alcuni Khiṣyān, gli eunuchi preposti alla sorveglianza e sicurezza delle Vestali nelle loro incursioni fuori dal tempio. In effetti alcuni di loro si erano prontamente mossi attorno al trono in protezione di Madre Chrysotemis, ma la maggior parte non sembrava aver colto il possibile pericolo di quella nuova situazione. La stessa Madre levò una mano con un gesto rassicurante, e i Khiṣyān tornarono al loro posto guardinghi.

La donna avanzò con lentezza lungo la navata, accompagnata da altri tre incappucciati.

La tensione si tagliava col coltello, l’aria sembrava essersi cristallizzata in un istante immobile ed eterno mentre la folla tratteneva il respiro tra i brividi eccitati, per non perdersi una sola parola di quel momento: negli ultimi giorni non si era parlato d’altro che della presunta ribellione interna alle Vestali costituita dai misteriosi incappucciati, che a quanto si diceva intendevano contrapporre la voce della verità - ovvero Raven - alla menzogna di quella che per loro non era che un’usurpatrice, Madre Chrysotemis.

- Siamo qui per mostrare a Taanach la verità nel giorno della profezia della più grande sacerdotessa che il Tempio abbia mai avuto, colei che è ritornata dalla morte e dall’inferno per testimoniare la più nefanda delle menzogne che sia mai stata compiuta nel nome di T’al! - esclamò a voce alta la donna, puntando un indice accusatore contro Chrysotemis.

Una seconda donna incappucciata si fece avanti prendendo la parola: - Siamo qui per rendere giustizia alle parole non ascoltate di Raven la Pura, la Sacerdotessa che più di ogni altra merita di sedere lì dove una creatura malvagia e assetata di potere ci guarda e ci giudica, una mera usurpatrice nel Tempio più sacro dell’Akeran!

Lo sgomento percorse la folla.
Molti si guardarono perplessi, ma subito tornò il silenzio. Molti occhi presero a scrutare torvi l’imperscrutabile Madre, silenziosa dietro la barriera della maschera, avidi di saperne di più di quella torbida storia.

- Al cospetto del dio T’al, nel giorno della profezia e in attesa del suo compimento - esordì la voce maschile del terzo incappucciato, una figura alta e vigorosa che l’ampio mantello poteva a malapena celare - ascoltiamo la testimonianza di Raven, prescelta del dio, nostro vessillo e unica degna erede del ruolo di guida del Tempio.

Il rumore di centinaia di spettatori che trattenevano il fiato accompagnò lo svelarsi di Raven, che lasciò scivolare il cappuccio svelando il volto emaciato e scarno, i capelli radi e le ferite riportate due giorni prima nel corteo d’umiliazione a cui era stata sottoposta.

- Ho già infranto il mio voto di silenzio - gracchiò la voce roca dell’anziana profetessa, mentre il suo sguardo vuoto si soffermava sugli astanti paralizzandoli, ipnotizzati. - Ho infranto la sacra promessa nel tentativo di mettere in guardia la città, e coloro che dovrebbero tenerla al sicuro, dalla più grande minaccia che abbia mai messo piede a Taanach. - fece una pausa, tornando a fissare il punto in cui sapeva trovarsi Chrysotemis. - Ho spezzato il sacro vincolo, e il dio mi ha punita. La mia voce è stata gettata al vento, le mie parole calpestate tra le ortiche del sospetto, i miei ricordi negati e cancellati. Ma oggi, nell’ora del Sole Nero, T’al mi concede di parlare ancora una volta, libera dal voto. Ho seguito colei che si professa come Madre Chrysotemis al Buco del Diavolo non più di alcune lune orsono, - un basso mormorio interruppe brevemente le parole della Vestale, mentre i più informati ragguagliavano gli altri sulle vicende di cui tanto si era vociferato per mesi senza tuttavia averne mai conferma - un viaggio maledetto, senza luce. Ho creduto di agire per il bene, nella convinzione di seguire la nostra amata e stimata Madre. Ma ero caduta nell’errore più orribile. L’inganno di una creatura malefica ha offuscato la mia mente e quella delle giovani donne venute con noi, fino a condurci nella tana del più immondo dei demoni, e alla morte.

Alcune donne strillarono d’orrore e nascosero la bocca dietro le mani, ma continuarono a fissare Raven, avide di altri dettagli.

- Sì, siamo morte. Io, le giovani vergini Jahya e Amarantha, e forse anche i nostri accompagnatori. Siamo morte, dilaniate dall’abominio che regna nelle terre del sud, e tra le cui braccia la malefica strega ci ha spinte.

Raven tacque, gli occhi lattiginosi iniettati di sangue al ricordo degli eventi terribili che aveva appena rievocato.

La prima incappucciata continuò per lei: - Ciò che seguì è qualcosa di difficile da raccontare. Per noi che seguiamo la via della luce, la parola di T’al nel suo significato più puro e assoluto, accettare e comprendere quanto accaduto è arduo. Cosa può rendere la vita a un corpo distrutto e inanimato? Cosa può riportare una persona indietro dal regno dei morti? Un potere indicibile, sgorgato direttamente dalle viscere dell’inferno, malvagio e orribile come la strega che ne ha fatto uso per risvegliare dal sonno eterno Raven la Pura.

Anch’ella puntò un dito contro Chrysotemis.

- Qui ed ora noi ti denunciamo, Strega. Costei non è la Madre che tutti noi crediamo, ma la più immonda creatura che abbia mai messo piede nella nostra città! Riconoscete per quello che è la strega Zaide, la Strega di Taanach!

Un grido di paura si levò tra la folla.

Quel nome, sopito e quasi dimenticato da tempo, risvegliò istinti primordiali di terrore in quasi tutti gli astanti, che colti da sudori e spasimi di panico, presero a indietreggiare verso il portone del Tempio, creando assembramenti nella folla che invece da fuori spingeva per riuscire ad entrare e assistere più da vicino allo spettacolo. La gente iniziò a cadere e gemere, presa dal panico, gli occhi sbarrati fissi ancora su Chrysotemis (o la strega?) che lentamente aveva abbandonato la sua posizione seduta per ergersi terribile sulla folla. Il terrore scivolava a ondate sulla folla, ma in quel momento una nuova voce interruppe il fuggi fuggi.

- Belle parole, da parte di qualcuno che ha cercato di assassinare a sangue freddo un membro di rango della legione dello Tsar.

Sebbene i legionari non avessero avuto il permesso di presenziare alla cerimonia per ordine di Duilio, che voleva evitare conflitti tra il tempio e il palazzo, Salem Ag'ahrd e un manipolo di suoi seguaci si erano mescolati in incognito ai pellegrini. Il dux avanzò nello spazio vuoto della navata interponendosi tra Chrysotemis e Raven: - Non so cosa ci sia di vero nelle vostre storie dell’orrore, ma ciò che so è che siete un branco di fanatici assiepati attorno a quella che per me è l’unica vera strega qui dentro, che le vostre farneticazioni sono prive di alcun fondamento e che il vostro tentativo di assassinarmi verrà ripagato ora con la stessa moneta! Legionari!

Fuori dal Tempio, il cielo sempre più nero pareva rispecchiare l’oscurità che dilagava nel cuore degli abitanti di Taanach.



QMpoint.
La prima parte di questo post si riferisce a un personaggio assente dalle scene da qualche tempo: Caelian, una fanciulla immortale amata un tempo da Zaide e da questa abbandonata, la cui vendetta vedete riproposta qui. Per chi le ha lette o volesse saperne di più (non necessario ai fini della quest, segnalo solo per concludere il cerchio delle mie giocate), le giocate di riferimento sono Messa nera e Grauenhal, la Fortezza grigia.
Nella seconda parte invece assistete alla grande cerimonia tanto attesa, il Raduno del Sole Nero. Non credo ci sia bisogno di ulteriori spiegazioni, se non che nel punto in cui il post conclude sta iniziando una specie di tutti contro tutti: Salem assale Raven con il pugnale di cui si parla nella prima parte, tentando di colpirla al cuore; gli incappucciati e i legionari si scontrano tra loro; alcune vestali fuggono, altre dotate di poteri arcani cercano di intervenire con incanti di guarigione, protezione o attacchi mirati a coloro che sembrano essere più aggressivi; dalla folla emergono altri individui a sostegno della teoria degli incappucciati che cercano di raggiungere il palchetto dove si trovano la Madre e le Vestali; gran parte della folla tenta di fuggire schiacciandosi contro quelli che invece cercano di entrare. Il caos, insomma.
Voi avete totale libertà su come siete presenti alla cerimonia. Avete diritto a 1 o 2 SLOT TECNICA a testa da concordare in confronto, attendere eventuale reazione da parte mia, e 2 SLOT TECNICA a testa da utilizzare direttamente nel post come se si trattasse di un duello. Vi notifico che questo è il penultimo turno.
Per qualunque domanda ovviamente chiedete pure!
 
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view post Posted on 3/6/2015, 05:48
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Cavalier Fata
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Fetiales ~ Ab incubis daemonibus
« Theras Universalis. »

"Quando il sole diverrà nero, quando la follia scenderà in terra sotto l'ala nera del corvo, quando chi vedrà la luce desidererà non averla mai conosciuta..."
- Profezia del Sole Nero.

Non ho mai creduto alle leggende. Non ho mai creduto nemmeno alle favole o alle superstizioni, tanto meno alle profezie. Ritenevo che il destino potesse essere forgiato dagli uomini e dalle donne che lo vivono, e che anche un solo battito d'ali al momento giusto poteva cambiare il corso della storia... e, in parte, ci credo ancora adesso. Ma a Taanach, quel giorno, il Sole Nero avrebbe raccontato la sua verità con o senza il mio benestare.
E mentre la luce del sole si affievoliva, dando origine ad un macabro crepuscolo improvviso, la profezia vedeva la sua luce.

Taanach ~ Due giorni prima.



Uscendo dal palazzotto di Duilio, con le idee ben chiare in testa, mi diressi verso una fontanella pubblica per lavare il sangue dai guanti. Odorava in maniera pungente e fastidiosa di ferro, al punto tale da coprire persino il naturale sentore metallico delle protezioni, e volevo togliermelo di dosso il prima possibile. Avevo già deciso di fare una visita al tempio delle vestali, il giorno seguente, per cercare di far luce su quella situazione paradossale e pericolosa: se non fossi intervenuta probabilmente Salem avrebbe finito i suoi giorni in mezzo alla strada, mentre gli assassini vagavano liberi e immacolati per la città. Certo, scoprire che degli invasati disposti ad accoltellare un uomo a sangue freddo predicavano in qualche culto eretico scisso dalle vestali non era stato confortante, ma almeno sapevamo quale era il nemico.

L'acqua, tuttavia, non sembrava sortire molto effetto sul sangue e, ad una certa, la voce squillante e allegra di Aruj mi raggiunse da dietro una bancarella.
« Quel sangue non andrà via così ... » spuntò, salutando. « E puoi anche scordarti di quel blu acceso, il sangue asciutto non va piú via... » mi indicò una macchia amaranto sulla sua veste. « Come il vino. »
« Lo supponevo. » dissi, rassegnata all'evidenza. « State bene? Questa storia non mi piace per niente... » nel mentre, continuando a strofinare i guanti, non ottenni molto successo. « ...ci mancavano solo i dissidenti in questo momento. »
« Già ... i dissidenti... » rispose distrattamente « Ah, gli incappucciati! » mi afferrò per le spalle, cogliendomi piuttosto di sorpresa e facendomi schizzare qualche goccia d'acqua sul viso accaldato. « Hanno in mente qualcosa! Qualche strano rituale all'ora del Sole Nero » parve riflettere qualche istante prima di continuare. « Anche lo Tsar non é uno stinco di santo ... si raccontano storie in giro. »
Quelle parole mi turbarono. Qualunque cosa fosse il "Sole Nero" non preannunciava niente di positivo... certo, poteva sempre essere un nome melodrammatico per qualcosa di assolutamente normale, ma con un assedio da parte di milioni di demoni il "normale" assumeva un significato piuttosto ambiguo. « Sole Nero? Si riferiva a questo Duilio? ha detto qualcosa in merito a le vestali si distruggeranno da sole ... e sì, vengo dal Dortan, riesco a capire quando qualcuno ha un secondo fine... » aggiunsi, in risposta alla sua insinuazione sullo Tsar. « Pensavo di andare dalle vestali, ma lo stesso Duilio lo ha sconsigliato specialmente da sola... » lo fissai affilando lo sguardo. « ...avete impegni per domani mattina? »
« Quello sguardo, adoro quello sguardo » si infiammò a quella mia offerta. « Dove andiamo domani? »
« A trovare madame Crisommé, sperando che ci faccia entrare. Ma direi che assieme abbiamo buone probabilità. Siete con me? »
Gli strizzai l'occhio, complice.


Quella notte non dormii bene, purtroppo, poiché il pensiero di quello che sarebbe accaduto di lì a due giorni mi tormentava. Non riuscivo a capire come la situazione potesse essere così tanto grave, e come nessuno si fosse premurato di evitare una catastrofe del genere. La presenza di una persona corrotta all'interno delle mura cittadine avrebbe facilmente potuto portare alla distruzione l'intero paese nel giro di pochi mesi... potevo quasi immaginarmi quei germi maligni infilarmisi sotto la pelle e cercare di convincermi a fare qualcosa di orribile. Come accoltellare un uomo dritto nel cuore, senza pietà. Quella era una guerra che non competeva a me: io potevo combattere l'acciaio con l'acciaio, lottare contro qualsiasi armata senza timore, guidata dalla mia fede e dai miei ideali, ma come potevo affrontare un nemico invisibile che si nascondeva in bella vista? L'assenza di Kirin, in quel momento, era per me fonte di profonda incertezza. Non che Aruj non fosse fidato, anzi, ma Kirin conosceva quel mondo meglio di chiunque, sapeva i pericoli e le amenità che celava, mentre io non ero altro che una bambina ignorante che brancolava nel buio cercando di risolvere un problema a me alieno con una formula inadeguata.
A metà della notte mi alzai, non avevo già più sonno, e rimasi accanto alla finestra ad osservare il cielo stellato nel cuore dell'Akeran. Ponderai quale fosse la cosa giusta da fare, se abbandonare quella crociata oppure restare ed affrontare le conseguenze di quello che sarebbe potuto accadere. Nessuno mi avrebbe bloccato l'uscita, nessun legame mi avrebbe fatto piangere in notti intrise di rimorso, eppure non trovavo la forza di andarmene. La forza di essere, forse per una volta giustamente, egoista. Ma se tutti fossero fuggiti? Se ogni volta che qualcosa di spaventoso, o di troppo pericoloso per essere affrontato senza rischi, avesse messo gli occhi sul nostro mondo e tutti fossero fuggiti... cosa sarebbe rimasto, se non polvere e ricordi? La verità era che gli uomini, gli elfi e tutte le altre razze si affidavano così tanto a profezie e misteri solo per evitare ciò che faceva realmente paura: affrontare il futuro. E, qualunque cosa mi avesse atteso alla fine di quei due giorni, l'avrei affrontato e sarei tornata per raccontarlo. Del resto... non era quello il compito di una Testimone?

[ ... ]


L'incontro con Chrysotemis fu qualcosa di mistico. Inizialmente le vestali erano reticenti ad acconsentire alla nostra richiesta, volevano che tornassimo il giorno dopo, come tutti gli altri, ma non avrei atteso un secondo di più per sapere cosa tramavano Raven ed i suoi assassini prezzolati. L'unico modo che riuscii a pensare per costringerle ad ascoltarmi fu raccontargli di Kirin, lui aveva partecipato a quella spedizione infernale al buco del diavolo, e non era tornato da solo. In tutti quei discorsi c'era qualcosa che continuava a sfuggirmi, come se mi mancasse l'ultimo frammento per riuscire a collegare tutti i riferimenti. Il Sole Nero, T'al, Raven, Chrysotemis... era come se fossimo dentro il piano generale di qualcuno. O forse, semplicemente, stavamo percorrendo i passi di una profezia.
Chrysotemis, quando acconsentì a riceverci, apparve quasi eterea e intenta a leggere da un grosso libro. Le domande non parvero che seccarla, come se ogni parola uscita dalle nostre labbra non fosse che l'ennesima nenia già sentita. Avevo come l'impressione, forse persino non troppo assurda, che riuscisse a vedere nelle nostre menti, a carpire le nostre emozioni. Ai miei accorati appelli per ritrovare Raven non si scompose, anzi rimase impassibile dietro alla sua maschera, esprimendo solamente il suo rammarico per la presa di posizione dell'anziana. Dopo quello che le era successo non sfidavo a credere che avesse perso il nume della ragione, eppure non potevo spiegarmi appieno il comportamento dei suoi seguaci, quella ferocia selvaggia che avrebbe spazzato via ogni vita pur di adempiere allo scopo. L'unica cosa che mi scavò a fondo, di tutta quella lunga conversazione purtroppo infruttuosa, furono le sue parole nei miei riguardi.

« La presunzione di chi crede di poter risolvere i problemi del mondo con una spada e un cuore puro appuntato sul bavero non ha mai portato che dolore e distruzione. Domandalo a Kirin, se la sua purezza abbia mai salvato ciò in cui egli davvero confidava. Taanach non cadrà domani, né dopodomani, né mai.
Come la fenice si farà fiamma, si seppellirà nella cenere, e risorgerà più grande di prima.
»

A quel punto non mi restava molto da dire. Tutto quello che sarebbe potuto o dovuto accadere avrebbe avuto luogo l'indomani, durante la celebrazione centenaria del Sole Nero. Grazie agli studi nobiliari di scienze arrivai a supporre che si trattasse di una eclissi solare, un qualcosa che ricade sovente e che viene interpretata, almeno nel Dortan, come un cattivo presagio. Ma niente poteva anche solo prepararmi alla verità. La donna stava iniziando a spazientirsi e Aruj ebbe la brillante idea di accusarla di essere la strega di Taanach... potevo condividere le sue preoccupazioni ed i suoi timori, ma non era né tempo né luogo per discussioni del genere. Avevo la certezza che, volendo, le nostre vite si sarebbero spezzate come fuscelli al vento se sol quella donna avesse desiderato farci del male. Non saprei dire il perché, ma per la mia sicurezza e quella del mio compagno ritenni saggio trascinarlo fuori di lì rapidamente, con la promessa di presenziare alla cerimonia. Mai, in vita mia, mi era capitato di sentirmi tanto in soggezione davanti a qualcuno. Tranne Zoikar, ovviamente, ma certamente la storia era diversa e nessuno, a parte i presenti, rischiava la vita. Stavamo parlando di lasciare che Taanach finisse nelle mani di folli invasati e Chrysotemis pareva non averli minimamente a cuore. Contava solo quella stupida profezia, il Sole Nero. E intanto dozzine di uomini morivano ogni giorno per tenere quel tempio, Taanach e mezzo mondo libero lontano dalle grinfie dell'Abisso.

Tornai, poco dopo essere uscita dal tempio, alla locanda. Volevo trascorrere il resto del giorno a riposare, mangiare e passeggiare per la città. Fare un giro avrebbe aiutato la mente a rilassarsi, scacciato quei pensieri angoscianti e aiutatomi a ricordare per cosa combattevo. Mi sedetti fuori dalla locanda, in una panchina che costeggiava una strada piuttosto poco trafficata, specialmente nel primo pomeriggio, osservando i passanti con aria falsamente distratta. In una cosa, però Chrysotemis aveva ragione: non si può rifuggire al proprio destino. Inutile cercare scappatoie, alternative, mezzucci facili... è inutile persino rifuggire le cose, il nostro posto nel mondo era designato, tutto quello che potevamo fare era agire in modo tale che le nostre azioni portassero a qualcosa di positivo, di duraturo. Per noi e per gli altri. Forse il destino di Taanach era quello di subire la profezia del Sole Nero, e quello di Raven era riuscire a compierla. Io non lo sapevo, ma l'avrei provato sulla mia pelle di lì a poche ore con la certezza, unica ed irrinunciabile, che anche io avevo un destino da seguire.

Il destino di un Cavaliere.

Tempio di T'al ~ Giorno del Sole Nero.


Quando Raven irruppe alla cerimonia tutto iniziò ad avere un senso. E quando Salem apparì a sua volta, nel mezzo della folla, le mie certezze trovarono conferma. Le accuse mosse a Chrysotemis dai seguaci di Raven erano gravi, ma ricalcavano bene i timori espressi da Aruj il giorno prima. Tutto quello che potevo fare era assistere, impotente, al compimento di quella storia di cui, seppur involontariamente, avevo fatto parte. Prima che il tutto degenerasse afferrai il fucile, sibilando al nano poche semplici parole.

« Qui tira una brutta aria... cercate di smascherare la strega! »

Puntai il fucile verso l'alto aprendo il fuoco. Volevo evitare che i legionari massacrassero Raven e i suoi, anche uno stolto avrebbe capito, a quel punto, che la mascherata madre delle vestali nascondeva un segreto. Che fosse o meno Zaide non importava.

« Cerchiamo di calmarci tutti un secondo. Ci sono dei civili qui dentro! Raven è una evasa e i suoi seguaci sono accusati di tentato omicidio, ma ucciderli adesso non risolverà niente, duca. »


La polvere incombusta ricadde lentamente al suolo, come una sottile e irritante pioggia nera. Il suono dello scoppio lanciò la folla nel panico più totale, le urla si accavallavano le une sulle altre, le persone finivano schiacciate sotto una fiumana che spingeva da due lati contrapposti. Due legionari di Salem mi saltarono addosso, spintonandomi e appropriandosi del fucile, oramai scarico e inservibile, che avevo tra le mani.

« Non sono io il vostro nemico, cercavo di distrarre lei! » strillai, indicando Chrysotemis. « Sono tutte e due streghe! Dobbiamo fermarle! »

E Salem si avventò, feroce come non mai, contro il corpo inerme e indifeso di Raven, pugnalandola al cuore. In quel gesto, sistematico, meticoloso e freddo, compresi il mio errore. Una pugnalata, dritta al cuore, con una precisione e una brutalità tali che solamente un uomo senza più ragione, o forse con la ragione offuscata dalla pazzia, avrebbe potuto fare. Avevo salvato la vita a quell'uomo solo solamente per far si che la profezia, a suo modo si avverasse. Salem era diventato uno di loro, uno dei quelli la cui vita è oramai conclusa, dove non resta altro che una mente malata e ottenebrata da quelle parole. Uccidi la strega! Uccidi la strega!
Superai i legionari che mi avevano disarmata, scattando rapidamente in avanti e lanciandomi contro Salem con tutta la forza che avevo.

E così, mentre quell'incubo assumeva al forma di un giorno senza sole, l'ultima falcata mi portò a un passo da Salem. Incassai la testa nelle spalle, anteponendo lo spallaccio della corazza al mio incedere. Avrei cercato di gettarmi contro di lui con tutte le mie forze, per impedirgli di massacrare quella donna. In cuor mio sapevo che probabilmente i legionari mi avrebbero punita per quel gesto, non ero nemmeno certa se Salem fosse realmente corrotto o se, semplicemente, si fosse lasciato accecare dalla rabbia dilagante che avevo visto durante la passerella. Eppure non potevo lasciare che tutto finisse così, in un disastroso spargimento di sangue.
Un cavaliere non è solo un arma, è una rappresentanza, un simbolo. E mai, prima di quel giorno, avevo sentito così tanto il bisogno di una guida, di un ordine che mi imponesse di agire in una maniera piuttosto che in un'altra. Io, Azzurra de Rougelaine, temevo ciò che molti altri bramano tutta la vita.
La possibilità di scegliere da che parte stare.


dividerazzurrafinale_zps51a4e64f
B. 5% - M 10% - A. 20% - C. 40%

Capacità Speciali: ///
Stato fisico: 125% -10% (attacco fisico subito) - 20% = 95%
Stato mentale: 75%
Riserve Energetiche: 80%
Stato Emotivo: Atterrita, sorpresa.

Equipaggiamento:
• Spada Bastarda. (Arma bianca, spada bastarda) [Fianco]
• Spada Lunga. (Arma bianca, spada lunga) [Fianco]
• Braccio Corazzato. (Arma bianca, conta come maglio) [Sx]
• Pugnale. (Arma bianca, coltello) [Legato sullo schiniero Dx]
• Corazza Mista. (Protezione mista, metallo-stoffa, medio-pesante)
• Moschetto. (Arma a polvere nera, da distanza,) [disarmata]

Passive in uso:
///

Attive usate:
- Potenza dell'Esaltata: Il combattimento corpo a corpo è quanto di più nobile possa esserci. Mi è stato insegnato come brandire un'arma e fare di essa uno strumento di morte, come usare il mio corpo e farne uno strumento di morte, come combattere sino allo sfinimento prima di dichiarare una resa. Sfruttando il peso della corazza, dell'arma o anche semplicemente di qualsiasi cosa possa avvalermi, colpirò con rabbia inesorabile chiunque oserà opporsi alla mia avanzata, infierendo senza remore e senza pietà. In guerra c'è solo la guerra, e noi siamo soldati.
Azzurra attaccherà con ferocia il suo avversario, mirando a frastornarlo con un danno diretto di potenza elevata. Questo attacco mira a stordire il bersaglio infliggendogli un danno massiccio e localizzato.
[Personale 7/25. Consumo Alto. Attinge a Autodanno Fisico. Danneggia Fisico. Natura Fisica]


Note: Eccolo qui! Allora premetto col dire che ho tagliato molto, e comunque è venuto piuttosto lunghetto, che spero non disturbi. Ho cercato di far emergere più che altro una sensazione nuova per Azzurra, ossia la dicotomia tra il dover fare e il voler fare qualcosa. Lei ha sempre agito nel nome di qualcuno, vuoi la fede, vuoi i Lancaster, vuoi suo padre, e ora si trova a dover scegliere una parte. Legionari? Raven? Le Vestali? E non c'è Kirin a suggerirle quale sia la scelta giusta, facendola di fatto agire, citando dal post "una bambina che cerca di risolvere i problemi con una formula sbagliata". Mi è piaciuto molto affrontare questa cosa, è nuova ed emozionante. Per quanto riguarda il post, l'azione è semplicemente una spallata, a potenza Alta, a Salem nel tentativo di buttarlo a terra. Il post è pienissimo di citazioni, sia ad altre quest (in primi il "testimone" di Zoikar, della quest il trono che non trema) e poi anche altre, tipo il destino di un cavaliere... e ovviamente Liberi e Fatali, la OST di Edea, la Strega di FFVIII! Spero vi sia piaciuto!
 
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view post Posted on 5/6/2015, 23:06

Hear me Quack!
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Ad Incubus Demonibus ~ Smaschera la Strega



Aruj aveva seguito Azzurra fino al Palazzo dello Tsar, dove vide la ragazza entrare senza farsi troppi problemi. Quell'amicizia, quella fiducia che la giovane riponeva nella guardia cittadina, il nano non l'avrebbe mai capita o condivisa, non dopo quello che aveva visto e sentito.
Il pirata rimase pazientemente fuori, ad aspettare la sua compagna di disavventure. Di star fermo, non aveva proprio voglia e il sigaro sembrava non poter calmare tutta l'agitazione che si muoveva in quel corpo tozzo e piccolo. Il suo frenetico passeggiare, risultò contagioso per una guardia che si ritrovò ad agitarsi alla sola vista del nano.
Passarono una manciata di minuti e Azzurrà uscì. Aruj la osservò avvicinarsi ad una fontanella, prima di farsi avanti. Le sue mani ancora sporche di sangue, come parte dei suoi abiti, la guerriera cercava di lavar via con forza ciò che rimaneva della battaglia. "Quel sangue non andrà via così ..." Disse, il nano, cercando di cogliere alla sprovvista la ragazza, senza troppo successo.. "E puoi anche scordarti di quel blu acceso, il sangue asciutto non va piú via..." Sorrise, mostrando una vecchia macchia rossiccia sul gilet akeraniano, reduce di parecchie notti di baldoria. "Come il vino. Non aveva voglia di grandi discorsi, anche se sperava di tirar su il morale della ragazzina umana con un ghigno storto e qualche chiacchiera da nulla.
"Lo supponevo." Rispose lei, con un tono asciutto e rassegnato. "State bene? Questa storia non mi piace per niente ... Ci mancavano solo i dissidenti in questo momento." E il nano non ascoltava più, immerso nei suoi pensieri e ipnotizzato da quella scena tanto quotidiana, quanto irreale in quel contesto. Erano anni che non vedeva una giovane lavare qualunque vestito e nella sua mente, in quell'istante, sembrò che tutto fosse tornato alla normalità di una vita banale, fatta di routine. "Già ... i dissidenti..." Ripetè quelle parole senza pensarci, come un pappagallo che imita senza comprendere. "Ah, gli incappucciati!" Il collegamento arrivò in ritardo e le preoccupazioni riaffiorarono. Prese per le spalle Azzurra, senza ripensarci, facendola sobbalzare. "Hanno in mente qualcosa! Qualche strano rituale all'ora del Sole Nero" Si fermò un secondo, frenando la lingua che si muoveva più veloce dei pensieri. Abbassò gli occhi, rompendo il contatto di sguardi, doveva dirle la verità su qugli uomini in cui la giovane aveva riposto la fiducia. "Anche lo Tsar non é uno stinco di santo ... si raccontano storie in giro."
Rialzando la testa, per guardare la ragazza, il nano poté scorgere sul suo viso un sinistro turbamento. Entrambi erano coinvolti allo stesso modo, doveva sapere qualcosa. "Sole Nero? Si riferiva a questo Duilio? ha detto qualcosa in merito a le vestali si distruggeranno da sole ... e sì, vengo dal Dortan, riesco a capire quando qualcuno ha un secondo fine... " Tirò un sospiro di sollievo, nello scoprire che la ragazza non era una sprovveduta. Non che il nano pensasse davvero che un abitante del Dortan potesse essere ingenuo, però non riusciva a non provare una specie di affetto fraterno nei confronti della guerriera ragazzina. Pensavo di andare dalle vestali, ma lo stesso Duilio lo ha sconsigliato specialmente da sola... I suoi occhi cambiarono, cattive intenzioni, stretti a una fessura. ...avete impegni per domani mattina?"
"Quello sguardo, adoro quello sguardo" Un sorriso s'allargò spontaneo, facendo capolino dalla barba del nano. "Dove andiamo domani?"
"A trovare madame Crisommé, sperando che ci faccia entrare. Ma direi che assieme abbiamo buone probabilità. Siete con me?" Con un occhiolino e due parole, Azzurra aveva convinto Aruj a mandare al diavolo il gozzoviglio e il riposo. Non c'era bisogno di una risposta: erano in ballo, avrebbero ballato!
Una locanda sembrò un buon posto in cui riposarsi, prima di recarsi al Tempio. Il nano passò la serata a bere e, quando la gente iniziò a prendere la strada di casa, pagò l'oste perchè lasciasse il boccale e il barilotto di birra a disposizione per tutta la notte. Soldi ben spesi, a detta di Aruj, che adorava la birra dolce di Taanach. Eppure, nonostante la sonnolenza portata dall'alcol, dal placido tepore della serata e dal buio, riuscì a malapena a chiudere occhio. Per ore, dopo la chiusura, restò ad osservare le candele consumarsi e spegnersi. poteva udire i passi di Azzurra rimbombare nel silenzio, il russare sonnecchiante di altri avventori, ignari di ciò che li circondava.
La notte portò pensieri nel testone del capitano, la fantasia galoppava, occhi socchiusi ad immaginarsi eroe dell'Akeran, il nano che aveva salvato quell'arida terra dai demoni. Sogni ad occhi aperti più che veri pensieri e ben presto la sua mente volò al denaro e a tutti i desideri che avrebbe potuto esaudire: una nave più grande, una flotta da comandare, il mare, il cielo sereno.
Non se ne rese neanche conto e dormì.
Dormì, travolto dalla fatica della giornata.
Dormì, convinto di aver gli occhi aperti, finchè non si svegliò.
Il sole, ancora nascosto, illuminava il cielo in una tonalità di rosa pallido. Azzurra ancora dormiva e, a far compagnia al nano, c'era solo il locandiere. Un gesto e un fragoroso brontolio dello stomaco del nano furono sufficienti a quelli, che immediatamente scambiò il boccale con un piatto, subito riempito con una ricca colazione.
Il nano adorava quell'ora del mattino: il silenzio che sembrava pervadere quella realtà ovattata, il mondo ancora a letto. La quiete, prima della tempesta. Il suo cranio era totalmente svuotato da qualunque pensiero, le sue attenzioni rivolte al cibo caldo nel piatto.
Prima che Azzurra fosse pronta, Aruj ebbe anche il tempo di fumare l'ultimo sigaro, con tutta la lentezza che lo contraddistingueva, sciacquarsi il viso e dar la meritata mancia al locandiere.


S'avviarono presto, quando la città si preparava ancora per la giornata. Attraversarono le strade vuote, passando difronte agli svariati mercanti che allestivano i propri banchetti, le guardie che si davano il cambio e i barboni che, ancora nel pieno del sonno, si giravano dall'altro lato al loro passaggio.
Azzurra non aprì bocca per tutto il tragitto e al nano stava bene così. Chissà quando gli sarebbe ricapitato di godersi Taanach al risveglio, senza che vi fossero problemi da risolvere o una ciurma chiassosa a far baldoria.
Quando arrivarono al tempio la ragazzina andò verso la porta principale, senza pensarci troppo. Lo sapeva! Nessuno è perfetto e, per quanto provasse simpatia per lei, era troppo legata al suo essere un cavaliere, al concetto di giustizia e di lealtà: non c'era da stupirsi se aveva scelto la porta principale, invece di una più discreta porticina secondaria.
Oltrepassata la soglia, Aruj non potè non sentirsi piccolo per un secondo, ammirando l'architettura di quel posto. Gli umani sapevano cos'era la bellezza; un vero peccato che sprecassero il loro talento in edifici inutili quanto i templi.
Nel posto non c'era quasi nessuno e non fu difficile individuare una vecchietta che spazzava. Senza pensarci, il pirata si diresse verso di lei: se c'era qualcuno che sapeva tutto di quel posto, doveva essere lei. La donna, interrogata, rivolse allo straniero uno sguardo schifato, osservandolo dall'alto in basso e, senza degnarlo di una parola, si allontanò e tornò alle sue faccende.
Aruj rivolse uno sguardo stranito alla sua compare. "Sembra che la vostra razza non sia apprezzata. Forse è meglio se parlo io, che ne dite?" Risponde secca, accollandosi il compito di far le domande. "Fa pure ... sono barbari" Concluse fieramente il nano, che non aveva più di tanto voglia di fermarsi a far chiacchiere con delle fanatiche; lui preferiva altri approcci.
Mentre lei faceva le sue domande, la curiosità del nano cadde su due vestali in fondo alla navata. Stavano andando da qualche parte e lui non volle perdere l'occasione per spiare oltre la porticina in cui si sarebbero infilate. Questa volta, le due non lo degnarono di uno sguardo, continuando a camminare e a fissare nel vuoto. Non parlò, non fiatò, cercando di essere il più silenzioso possibile.
Aveva sentito parlare di veggenti cieche ma non ricordava bene quali fossero. Se le due donne non potevano vedere, avrebbe fatto centro: bastava seguirle in silenzio e forse avrebbe trovato Madre Chrysotemis. Le dita fremevano, però, doveva sapere se quelle erano veramente cieche o semplicemente troppo spocchiose per dar retta al nano. Così, il pirata mosse una mano ad altezza d'uomo, quasi sfiorando il velo di una delle due. Quella alzò la mano e il prode capitano ritornò bambino per un istante. Si sentiva piccolo, più di quel che già non fosse, piccolo e indifeso, come se la sua spavalderia gli fosse stata strappata via. "Colui che non porta rispetto per la casa del dio, non verrà accolto con rispetto. Colui che irride le sue ancelle, verrà irriso". Disse l'altra, ammonendo la sempliciotta curiosità di Aruj, prima di riprendere il proprio cammino e attraversare la porta.
La risposta intrigò il pirata ancor di più, nullificando qualunque sforzo delle vestali velate. Doveva seguirle, loro non erano semplici accoliti o novizie. Attese in religioso silenzio che quelle avessero attraversato la porticina, prima di infilarsi nella fessura, prima che si chiudesse. Vide un giardino, delimitato da una serie di colonne, al centro del quale sorgeva un tempietto dorato. Si guardò velocemente attorno, mosse un passo e ...
Una mano lo afferrò da dietro.
La presa lo scaraventò al suolo, difronte a se un uomo alto e muscoloso, abiti presi dirittamente dai mercati di Taanach. I lineamenti che sembravano scolpiti, si distorsero in un'espressione di disgusto.
"Spiegati" E senza far troppe cerimonie puntò la scimitarra affilata alla gola del nano.
"Non pensavo fosse proibito entrare" Aruj mise le mani avanti, figurativamente e letteralmente. Era abituato a scene del genere e non si sarebbe certo fatto tagliare la gola per una sbirciatina in uno stramaledetto tempio, dopo che aveva trafficato armi per mezza nobiltà del Dortan. " Come vede non sono del posto" Un sorriso innocente spuntò sul suo volto, nascondendo alla perfezione la lingua biforcuta con un fare da cherubino. "Classica curiosità nanica, non volevo offendere nessuno." Quella della 'curiosità nanica' era la sua preferita! Nessuno aveva mai fatto storie e lo aveva salvato da più di un brutto guaio. "Ero interessato nella vostra stupenda architettura e le vestali non hanno detto nulla ..." Concluse la scenata mettendoci dentro una mezza verità, che non guasta mai.
"Le vestali sono cadute nella trance preparatoria al rito di domani, sciocco. Ovvio che non ti hanno detto niente." In ritorno, il fesso parlava. Lo facevano tutti e nessuno ha mai capito che la miglior posizione per interrogare qualcuno è quella dell'interrogato. "E adesso sparisci, bello. La strada la conosci". Fu punzecchiato con la punta della lama e già voleva sparargli una bella fucilata in bocca. Avrebbe fatto il bravo, per Azzurra. "Certo, certo ..." Rispose, tagliando corto.
In cuor suo, il nano sapeva di meritarsi un applauso, se solo vi fosse stato un pubblico, ciononostante niente gli impediva di detestare un'altro cane che sapeva solo prendere ordini e abbaiare a comanda e borbottare in una lingua in cui nessuno l'avrebbe capito.
Avvicinatosi, poi, alla ragazza, la sentì confabulare di un certo 'cucciolo di drago' con altre due vestali, decisamente più simpatiche di quelle che aveva già incontrato, anche se non troppo felici della presenza del nano. "Meriterebbe una visitina e un po' di diplomazia nanica" Si intromise, senza ritegno e senza sapere di che stessero parlando, per poi ridersela da solo e accomodarsi affianco ad una delle giovani, noncurante degli sguardi di disgusto.
Kirin, il giovane ragazzo-demone akeraniano era al centro della discussione e bastò che Azzurra pronunciasse il suo nome per sciogliere la lingua alle due e convincerle a portarci al cospetto di Madre Chrysotemis.
La diplomazia Dortaniana funzionava decisamente meglio di quella nanica, almeno fra gli umani.
Le due li condussero per il chiostro che Aruj era riuscito già a vedere, sta volta senza essere interrotti da eunuchi zelanti, fino ad essere portati al cospetto della Madre.
Maschera in volto, a coprirle totalmente il viso, vestiti del tutto simili alle altre vestali, la testa china su un grosso volume. Senza parlare fece accomodare il nano e l'umana, restando in silenzio finchè Azzurra non aprì bocca. Le domande su Raven o sulla strega non portarono ad alcuna risposta, alcune non degne di nota, altre cantilene e profezie sibilline. "Quando il sole diverrà nero, quando la follia scenderà in terra sotto l'ala nera del corvo, quando chi vedrà la luce desidererà non averla mai conosciuta [...] Come la fenice si farà fiamma, si seppellirà nella cenere, e risorgerà più grande di prima"
Le frasi criptiche e i vaneggiamenti religiosi, però, non facevano per Aruj che cercò di incalzare invano la Strega, che in breve, forse annoiata, rese le menti dei due confuse ed agitate.
Fu l'ultima frase del nano, però, ad infastidire la vestale più di tutte. "É lei la strega, vero? Mi sembra di ricordare le parole di quel giardiniere ... Lei non é chi dice di essere" La risposta non si fece attendere e non fu piacevole essere lì mentre Madre Chrysotemis rispondeva, non per il pirata almeno. "Il ruolo di una Madre è sempre molteplice. Per alcuni sono la Saggia, la Buona. Per altri la Temibile. Per altri ancora la Verità. E se è vero che nel tutto alberga anche il suo contrario, io sono anche la Meschina, la Crudele, la Dolce e la Menzogna. Credi pure al tuo giardiniere, se è questo che la tua ragione ti suggerisce". Fu un attimo, poco più di un brivido, ma fece rizzare anche i peli del culo del pirata dalla lingua forse troppo lunga. Non avrebbero ricevuto altre risposte quel giorno ed era meglio non arrischiarsi a procedere in una conversazione sterile con una strega.
Per capirlo un nano, la situazione doveva esser seria.

La giornata del Rituale, arrivò infausta. Azzurra ed Aruj si ritrovarono nel bel mezzo del casino, non appena le cose iniziarono a peggiorare.
Raven e i suoi fedeli ribelli aveva deciso di presentarsi e agitare le acque non proprio calme. La vestale, portò alla luce tutto ciò che l'umana e il nano avevano cercato di strappare dalla bocca della strega il giorno precedente; tutto questo al cospetto di una forte presenza della guardia cittadina.
Lo scontro era inevitabile. L'odio serpeggiava da tempo e il nano si trovò ad essere testimone ed agente degli eventi di quel giorno.
Il Sole Nero stava per arrivare.
Non appena iniziarono gli scontri, Azzurra volle cercare di porre fine al caos, prima che la situazione degenerasse. Brava ragazza, lei, agiva in territorio straniero, per il bene di una città che non era la sua. Aruj avrebbe avuto sicuramente da imparare dalla sua gentilezza, anche se la cosa, non avvenne mai.
"Qui tira una brutta aria... cercate di smascherare la strega!" Prese il fucile la paladina e sussurrò il piano al pirata, prima di iniziare a sparare in aria.
L'esperienza dei giorni trascorsi non era servita ai due; si erano lasciati coinvolgere anche se nessuno voleva il loro intervento. Non importava quante botte o lezioni avrebbero ricevuto, Azzurra era troppo idealista e Aruj era troppo testardo: non si sarebbero tirati indietro all'ultimo.
Scattò il nano, sfruttando l'attimo di confusione creato dai colpi di fucile. Avrebbe preferito vedere uno di quei proiettili conficcato nella maschera di Madre Chrysotemis, piuttosto che sprecati nel vuoto ma la giovane aveva un atteggiamento troppo diplomatico per agire aggressivamente fin dall'inizio.
Raggiunta la strega, il pirata balzò, allungando la mano per strapparle la maschera, con un movimento veloce. Appena le sue dita furono a pochi centimetri dalla fine porcellana che ricopriva il viso di lei, però, una strana forza lo scaraventò all'indietro. Un muro invisibile si frapponeva fra il capitano e la vestale, che non dovette neanche muovere un dito per impedire l'attentato alla sua identità.
Aruj assaggiò la polvere ed aveva un sapore amaro.
Fece appena in tempo ad alzarsi in piedi, che il nano fu aggredito dall'amichetto che s'era fatto al tempio. "Bastardo, avrei dovuto infilzarti quando ne ho avuta la prima occasione!" Urlava e brandiva la sua sciabola con una sicurezza disarmante, gettandosi come un animale. Lanciò un fendente, che andò a vuoto. Aruj schivò il colpo, spostandosi di lato e sfruttando la piccola statura.
Gli occhi del capitano s'infiammarono di rabbia: quello schifoso cane idrofobo era stato fortunato una volta, non lo sarebbe stato una seconda. Imbracciò il fucile, già carico, e sparò l'eunuco dritto in pancia. Non c'era bisogno di pensarci, nè di mirare: una bella fucilata a corto raggio era tanto semplice da risultare istintiva per il nano.
"Avresti dovuto ,Köpek, ora è tardi!". E quello cadde, morente, con un buco grosso quanto un pugno. Nessuno gli aveva insegnato a non sfottere troppo un nano con una sputafuoco carica.
Non appena quelli toccò il suolo, un'altro uomo, simile nel vestire e nell'aspetto si gettò su di lui, le lacrime agli occhi e la parola 'fratello' che uscì dalla sua gola in un suono rauco e straziante.
Quello si alzò e iniziò a cantilenare qualche frase incomprensibile, una lingua sconosciuta, resa ancor più indecifrabile dal trambusto che circondava il nano.
E poi, lo vide. Suo fratello.
Fu come veder il tempo fermarsi, mentre la figura di Elias emergeva dalle ombre e tornare in vita.
Non credeva ai suoi occhi, era esattamente come lo ricordava: ancora un ragazzino dagli occhi vispi e svegli. Come fosse possibile, al nano non importava, quando questi allargò le breccia e gli si gettò al collo. Fu un istante e il capitano versò una lacrima, mentre il corpo del fratellino diventava sempre più caldo.
"Brucia, Aruj ... Aiutami" Sussurrò Elias, iniziando a divampare fra le braccia del fratello.
Fu un istante e il giovane nano era polvere. Ciò che restava era dolore.
Una fitta lancinante nel bel mezzo del petto di Aruj.
Fù come svegliarsi da un sogno ed abbassando lo sguardo, il nano vide il petto ustionato: tatuaggi, cicatrici, cancellati, sotto un mare di peli carbonizzati.
Faceva ancor più male dentro; mai avrebbe pensato di rivivere quella scena, nè lo avrebbe voluto.
I palmi a terra, il pirata strinse la polvere e digrignò i denti di rabbia, scacciando il dolore fisico.
Osservò il bastardo che aveva usato il fratellino innocente solo per ferirlo, mentre agitava la sua frusta.
Bevette un grosso sorso dalla fiaschetta, ingollando tutto il Grog che non colò sulla barba e sul petto ferito.
Quando il cane attaccò con la frusta, Aruj era pronto e deviò il colpo, sguainando il Kilij di famiglia, il cui filo brillò sotto il sole: quella, era una questione personale!
Con la testa leggera per l'alcol e infiammata dalla rabbia, il pirata si gettò come una belva sferrando un fendente diritto al petto dell'eunuco. Passatogli al fianco destro, poi, infierì ancora una volta, mirando al fianco.
Tutto ciò che voleva, in quel momento, era far soffrire quel bastardo, prima di decapitarlo e spedire quel che restava di lui alla famiglia, in una cassa piena d'esplosivo e un biglietto:

"Ha fatto incazzare Aruj Shadak"










Aruj Shadak

Status fisico: 55%
Status mentale: 65%
Energia: 110%
CS: +8 -> 6

Passive in Uso:
Rissoso ~
Non importa che sia una semplice scazzottata fra compagni di bevuta o un combattimento all'ultimo sangue, una volta lanciato il guanto della sfida, per Aruj diventa una questione personale. Il primo a lanciarsi nella mischia e l'ultimo ad arrendersi, il capitano sembra poter colpire con più cattiveria e forza ogni volta che viene ferito, quasi traesse potere dai colpi ricevuti.
Il capitano non sembra curarsi, inoltre, del protrarsi di queste azzuffate, così come di qualunque combattimento in cui sia coinvolto. Anche se ferito gravemente, infatti, il nano continua a combattere, ignorando il dolore con la stesa facilità con cui tracanna un bicchiere di rum.
(Abilità personale 4/25: Passiva ~6 utilizzi~ Power Up su danno a "Fisico" ricevuto, non autoinflitto, alle CS "Forza"
Passiva ~6 -> 5 Utilizzi~ Avanguardia: Resistenza)

Attive in Uso:
Giocare Sporco~
Seppur Aruj sia un pirata non troppo celebre, visto il numero copioso di corsari che infestano Dorhamat, qualunque oste si ricorda di lui: coinvolto troppo spesso in zuffe, riesce a seminare il terrore nei cuori dei poveri locandieri che vedono la propria bettola cadere nel caos, quando il nano inizia a menare le mani. Rissoso, molto più dei suoi colleghi, in queste occasioni il capitano predilige l'uso delle mani, più che del ferro, arrivando a disprezzare chiunque usi un'arma; per questo motivo, il nano riserva a tali soggetti un trattamento speciale: li disarma e li colpisce laddove fa più male.
Seppure sia stata ideata per punire i disonesti, la tecnica di disarmo è versatile anche in un vero combattimento, dissuadendo gli incuti che provano a fronteggiare fisicamente Aruj; se ciò non dovesse bastare e qualcuno dovesse ancora avere il coraggio di combattere contro il nano, un colpo basso, subdolo e veloce, può far pentire anche il più duro dei combattenti.
(Abilità Personale 2/25: "Natura Fisica, Danno Basso all'Equipaggiamento" (Costo: Basso; Energia)
Abilità Personale 3/25 "Natura Fisica, Danno Medio al Fisico," (Costo: Medio; Energia))

Grog ~
Il rimedio preferito da tutti i parati e marinai al largo di Dorhamat, si dice possa curare un gran numero di malattie che affligge gli uomini di mare. Un miscuglio di acqua pulita, cannella, distillato di zucchero di canna, limone e lime, nonostante la sua alta gradazione alcolica, sembra assere davvero un toccasana per chiunque lo beva, risultando particolarmente dissetante in piccole dosi.
Alcune storie narrano che il capitano Aruj abbia modificato leggermente la ricetta, traforandolo in vero coraggio liquido, capace di donargli ancor più precisione nel colpire o, alle volte, rimediargli una sonora sbronza.
(Abilità Personale 5/25: Natura Psionica, Power Up alle CS "Maestria nelle Armi" (Costo: Variabile; Energia + Autodanno Mentale))

Fuggiasco ~
Perennemente ricercato dalle autorità, Aruj ha sviluppato abilità elusive superiori alla media, riuscendo a liberarsi da qualunque vincolo fisico: siano essi corde, manette, catene, lucchetti; niente può tenere in gabbia il temibile corsaro. In Combattimento, la tecnica si rivela ben più utile, permettendo al nano di schivare qualunque attacco diretto alla sua persona: dal più banale fendente di spada alla più potente delle stregonerie, con l'impegno giusto, nessuno di questi ostacoli sarà d'intralcio al pirata.
(Abilità Personale 6/25: Natura Fisica, Difesa Fisica (Costo: Variabile; Energia ))

Riassunto/Note:Maggior parte del post è come concordato in privato/confronto.
Quando il secondo eunuco mi attacca, subisco il danno Alto, non avendo difese Psioniche, per poi utilizzare un Alto di PU (+8cs) e consumo due CS per un attacco fisico, più uso la tecnica 'Giocare Sporco' per aggiungere un medio al totale.
Mi scuso per aver postato oltre il limite.



 
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view post Posted on 8/7/2015, 10:20

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Il fuoco sopraggiungendo giudicherà e condannerà tutte le cose.
[Eraclito]


Principessa di morte, principessa di gelo. E di fuoco. Il fuoco che attanaglia le viscere di desiderio, il gelo che assidera l'anima per il timore di incontrare quello sguardo maledetto, quello stesso sguardo che un tempo bramavo come rugiada sulle mie labbra. Ricordo molto bene il momento in cui iniziai a guardarla con occhi diversi: fino a quel momento non era per me altro che l'orribile strega di Laslandes, la creatura della notte che l'uomo che allora chiamavo padre desiderava cancellare dal mondo. Ma quando vidi la morte in faccia, semicosciente sul gelido pavimento della cripta dove tutto era iniziato, solo allora la mia vita mi parve acquistare un senso. Stolta, cieca, folle ragazzina che ero.
Zaide. Principessa di morte. E' per te che ora non esisto più. Mi dicevano bella, un tempo non lontano. Principessa di fuoco. E nel fuoco ho gettato la tua nuova vita, la tua casa. Il tuo amore. Se mai mi hai amata come io ho amato te, guarda cosa hai fatto del tuo amore. Mi hai gettata al vento, come ogni cosa a cui tenevi. I miei capelli d'oro non esistono più, nessuno toccherà mai più la mia pelle, quella che tu chiamavi d'alabastro. Non ho più labbra con cui baciare la tua bocca, né bei vestiti o gioielli. Ho scelto di morire in un rogo, lo stesso rogo su cui tu, Strega, avresti dovuto ardere quando ti ho conosciuta. Non saprai mai quanto la sofferenza sia stata atroce; un giorno la pagherai, Strega, perché quando ho deciso di lasciare la vita per non vederti più, ho scoperto che la vita maledetta che mi è stata infusa non può abbandonarmi.


Uccidila. Uccidi la Strega.
Uccidila. Uccidi la Strega.
Uccidila. Uccidi la Strega.
La Strega.
La Strega.



La voce sepolcrale di un’anima disperata e perduta rimbombava nella testa e nel cuore di Salem, accecato da quell’ordine imperativo che lo spingeva a ruotare il capo e distogliere il volto da quella vecchia decrepita e ferita a morte sempre più insignificante ai suoi occhi per rivolgersi alla vera destinataria del messaggio che il pugnale, arcano messaggero di morte, chiamava come sua vera e unica vittima sacrificale. La Strega.
Quella che fino a poco tempo prima era nota al mondo come Madre Chrysotemis si ergeva sul suo trono, bella e sconvolgente come non mai: con una fitta dolorosa nel petto Salem riuscì a scorgere il fulgore dei suoi occhi verdi incastonati in un viso di avorio purissimo e la folta chioma ramata scomposta in una fiamma ardente che la rendevano simile a una Medusa più fiera e temibile che mai. La bellezza accecante di quella donna lo lasciava boccheggiante di desiderio e devozione, terrore e rispetto: ma una bramosia più forte gli bruciava la mano del pugnale, guidandolo a colpire quella creatura divina nell’ultimo bacio della morte. Lui voleva la Strega. La voleva amare, possedere, annientare...Il pugnale di rubino pulsava nella sua destra come una creatura viva, guidandone il passo e i pensieri: Salem non esisteva più, si sentiva fluttuare nel vento, perduto dietro a quell'ordine categorico di vendetta che non lasciava spazio ad alcun libero arbitrio.
Ma all'improvviso un colpo sovrumano lo riscosse dalla sua visione, e Salem si ritrovò atterrato e senza fiato sotto la fragile eppure possente figura della fanciulla straniera che lui stesso aveva accolto pochi giorni prima alla corte dello Tsar, la dortaniana Azzurra de Rougelaine. Il mondo ai suoi occhi cessò di rifulgere di quel bagliore soffuso che emanava la Strega e tornò a piombare nell’oscurità sempre più fitta e nel frastuono assordante delle urla e della battaglia: volgendosi verso il trono della sacerdotessa Salem non riuscì più a scorgere da nessuna parte Zaide, ma con la coda dell’occhio gli parve di notare la nota maschera della Madre dileguarsi dietro un gruppo di incappucciati. Fremente di rabbia, le mani che cercavano invano il prezioso pugnale perduto chissà dove, sputò sul viso di Azzurra prima di scaraventarla a terra con tutta la sua forza, dopodiché le si avventò contro nel tentativo di sgozzare con il suo kukri quella maledetta che aveva interrotto la sua visione omicida.
Dopotutto, pensò, una strega vale l’altra.
Dopo Raven avrebbe ucciso Azzurra, e infine Zaide.

- Muori, strega dei miei stivali - ringhiò velenoso nel portare l’ultimo assalto contro la ragazza.




Lo sguardo vuoto dell’eunuco morente era rivolto verso il soffitto, o forse oltre.
Guardava il cielo, quel cielo nero e rosso di sangue che opprimeva Taanach e il Tempio nell’ora più sanguinosa della profezia. “Fratello”, l’ultima parola che le sue orecchie udirono incuranti del fragore degli spari, dei gemiti e del cozzare di spade e armature. Sapeva che accanto a lui giacevano decine di fratelli e sorelle uniti a lui nell’ora dell’addio, ignari della morte che si accumulava al loro fianco sotto forma di corpi ancora caldi privati dell’alito vitale.
“Fratello”, sussurrò una voce al suo orecchio. Una voce di donna, la più dolce e soave voce che lui avesse mai udito lo accarezzava come miele, lo cullava come un bacio caldo d’amante e di madre allo stesso tempo.
“Fratello, alzati”.
E lui obbedì.
Camminò un’ultima volta nella navata, incurante dei colpi di frusta, delle percosse, degli spari che gli venivano rivolti contro. “Metti fine a questo scempio fratello, e uccidila. Uccidi la Strega.”
Trasognato e leggero come non si era mai sentito in vita sua, il giovane Kyshian trovò facilmente il pugnale con l’occhio di rubino sepolto sotto un mucchio di cadaveri inerti, e lo afferrò. Una sorta di corrente calda e dolorosa scorse tra lui e l’arma, rinvigorendone la sua presa sull’elsa. “Uccidi la Strega”, sussurrò la voce.
“Sì, lo farò”, rispose il cadavere.

Ed eccola la Strega: nella morte egli vedeva tutto con una chiarezza disarmante, e segreti, bugie e travestimenti non erano che un trascurabile velo davanti ai suoi occhi spenti.
Vide chiaramente la figura esile della Madre celata sotto l’indistruttibile maschera decorata dai più abili artigiani di Taanach.
Vide il volto che nascondeva la maschera, un volto pallido e segnato da più cicatrici di quante lui stesso ne avesse mai viste sul corpo di qualunque soldato, un viso un tempo forse bello, ma ora nient’altro che quello di chi ha vissuto troppo a lungo esperienze che mai avrebbe voluto esistessero.
E oltre questa seconda maschera, finalmente la vide: Zaide di Taanach, l’eterea bellezza sconvolgente che aveva affascinato e maledetto più persone di quanto lei stessa fosse a conoscenza, gli occhi verde smeraldo e la chioma rosso sangue.
Anche lei lo guardò, stupita di quell'inatteso contatto, quello sguardo morto che la spogliava rivelando ciò che lei effettivamente era - ed aveva dimenticato.
Erano a pochi passi di distanza, e Zaide parve riconoscere in lui qualcosa - o qualcuno - che credeva di aver sepolto anni e anni prima nell'oblio della sua coscienza.
Sorrise, mentre l’eunuco sollevava il pugnale: sorrise, e allargò le braccia come per accogliere la morte nel suo seno.

E poi l’inferno esplose.




Di coloro che sopravvissero all’olocausto, pochi seppero raccontare con certezza cosa realmente fosse accaduto in quei brevi attimi, e i racconti non combaciavano mai.
Di certo di seppe solo che dal pugnale di rubino esplose un’enorme lingua di fuoco che parve prendere vita avvolgendo ogni persona o oggetto che incontrasse lungo il suo percorso, un fuoco maledetto e indomabile che pareva alimentarsi dell’odio e della paura stessa della gente, una marea distruttrice che in breve riempì l’intero tempio del suo alito vorace e infernale. In molti giurarono di aver visto Chrysotemis, la falsa Madre, venire avvolta dal turbine di fiamme e bruciare senza un lamento fino a ridursi in cenere. Altri sostennero di aver riconosciuto in lei la strega Zaide, che nella vampa di fuoco ardeva in preda a una risata satanica, beandosi del fuoco che ne lambiva il corpo nudo e magnifico, mentre altri ancora erano certi di averla vista volare con le sue ali di fiamma nell'incendio maledicendo i presenti.
Ciò che accomunava tutti i racconti era il brivido freddo che aveva percorso gli astanti nell'udire le voci all'unisono delle vestali, vive o morte che fossero, che si alzavano spettrali in quel caos infuocato declamando le parole della profezia di Raven:

Quando il sole diverrà nero, quando la follia scenderà in terra sotto l'ala nera del corvo, quando chi vedrà la luce desidererà non averla mai conosciuta…

Qualcuno raccontò di un prodigio avvenuto nell’incendio: narrano ancora oggi le leggende che le fiamme prendessero a un certo punto la forma di un rapace, dicono alcuni. Un corvo, sostennero molti; una fenice, confermarono altri. L’unica cosa certa è che il prodigio di fiamma, una volta distrutto il soffitto del tempio, volò via nell’aria che andava pian piano schiarendosi e svanì nel nulla disperdendosi contro la luce abbagliante del sole di Taanach: il corpo di Chrysotemis, o Zaide, o chiunque fosse la creatura che aveva segnato il destino di tanti uomini e donne innocenti, non venne mai rinvenuto.




Io sono la Strega, sono la morte. La morte è cambiamento.


Non credo sia mai esistito un momento nella mia vita in cui mi sia davvero sentita a casa. E' sempre stato come se il mio destino fosse un eterno viaggio senza meta, e la mia esistenza una maledizione senza fine.

Io sono la strega, sono la morte. La morte è immobilità.


Sono sopravvissuta là dove molte giovani donne hanno perduto la speranza, il futuro e la dignità. Sono sopravvissuta ripetendomi che doveva esistere uno scopo, un perché. Non sono passati molti anni da allora.

Io sono la strega, sono la morte. La morte è verità.


Ero una bambina quando le porte di un luogo che era peggio di una prigione si sbarrarono dietro di me, relegando la mia infanzia in un inferno di brutalità, prima di scoprire la via del potere e della conoscenza. Credevo davvero allora che la magia e le arti occulte avrebbero condotto la mia vita al suo più supremo compimento. Invece, cosa resta di me?

Io sono la strega, sono la morte. La morte è silenzio.


Mi dicono che una volta avevo trovato un luogo da chiamare casa. Ma io non lo ricordo. Me l'hanno strappato, come mi hanno strappato la sola certezza che mi ero conquistata nella vita. E allora cosa mi resta, se non l'eterno vagare nel mondo senza fine, nutrendomi delle menti di coloro che mi ostacolano, come il Corvo divora le carcasse delle proprie prede?

Io sono la strega, sono la morte. La morte è un mostro.


Io ti Maledico, o ignoto viaggiatore che ti poni tra me e la fine dei tempi.
Che tu possa camminare in un baratro di nulla, vivendo una vita non più tua, priva di gioia e dolore, perduto nella nullità della tua mente svuotata da qualunque emozione capace di farti sentire vivo. Che le voci degli innocenti che hai calpestato in vita possano gridare la loro pena in eterno nella tua mente. Che nessuna spada, lancia o freccia possa arrecarti più dolore di quanto possa fare il mio sguardo.

Io sono la strega, sono la morte. E la morte è tormento.


Io ti Maledico, o ignoto nemico.
E la tua mente giacerà inerte tra le mie mani. Non esisterà per te incubo più orribile dell'esserti fermato dinanzi a me, perché non saprai mai controllare il terrore nero che schiaccerà la tua anima succhiandoti ogni speranza, né discendere la menzogna dalla realtà quando la visione che io richiamerò ti occulterà il senno, gettandoti nel baratro della follia.

Io vi Maledico.






QMpoint.
Ed eccoci giunti in chiusura di quest; mi scuso ancora una volta per l'infinita attesa ma spero che abbiate gradito questa giocata tanto piccola quanto significativa per il destino di alcuni personaggi e situazioni (Zaide, le vestali, il tempio...) che necessitavano di conclusione.
Il primo brano in corsivo è un pensiero di Caelian, la donna amata da Zaide responsabile della sciagura: sebbene di lei non resti niente più che un frammento immortale di anima conservato nel pugnale di rubino, la sua presenza è stata sufficientemente forte da corrompere l'intera vita di Salem, ridotto a mera marionetta nelle mani di Caelian, un essere infernale che altro non era che uno Shabaha (un'emanazione dell'Ahriman) sfuggito al controlo del suo creatore.
Azzurra non riesce ad impedire il primo attacco a Raven ma interrompe la visione folle che anima il legionario riportandolo alla realtà: l'attacco di Salem con il kukri è un attacco di potenza Alta (tecnica di natura fisica che fa danno fisico) volto a squarciarle la gola.
A raccogliere il pugnale e l'eredità della missione di Salem è dunque il cadavere ancora caldo dell'eunuco ucciso da Aruj, rianimato dalla voce e dalla volontà dello shabaha Caelian, tuttavia nel momento della pugnalata finale scoppiano l'inferno e il caos. Immaginate l'incendio come una vampata di fuoco incantato che prende vita dal pugnale e avvolge ogni cosa e persona come se fosse un essere vivo e senziente, un fuoco inarrestabile e devastante. Non sapete con esattezza cosa sia accaduto a Zaide: la sua sicurezza nell'accogliere l'ultimo abbraccio di Caelian fa sospettare che sapesse cosa aspettarsi dal pugnale e come contrastarlo, o forse che fosse semplicemente pronta ad accogliere la morte con tranquillità. Siete liberi di interpretare ciò che vedete come più vi aggrada, così come potete - o meno - udire le parole dell'ultima maledizione di Zaide scritte in corsivo alla fine.
Dopo l'incendio il Tempio è praticamente distrutto; molti superstiti si sono salvati nel crollo grazie all'esistenza del grande sotterraneo che avete conosciuto in precedenza, che ha permesso a molti di rifugiarvisi dalla disperazione in attesa della fine dell'inferno.
Come è facile intuire, l'ordine delle vestali non esisterà più. Le poche sopravvissute si disperderanno ai quattro angoli del continente in cerca di una nuova vita o rimarranno a Taanach celandosi sotto falso nome e ricostruendosi una nuova esistenza: seppur non secondo le previsioni, Duilio ha ottenuto ciò che auspicava, ovvero la chiusura del tempio e dell'ordine religioso più fanatico presente sul territorio. Il culto non è morto, ma è privato di ogni tipo di autorizzazione e ufficialità.
Dietro richiesta di Last Century, Azzurra può raccogliere un cimelio salvatosi dalla distruzione: può prendere il pugnale di rubino, il cui occhio incastonato non arde più di alcun soffio vitale ma sembra perforato e (si spera) definitivamente spento, oppure una reliquia a scelta che può trovare tra le macerie del tempio.

Dato il mio imperdonabile ritardo, la quest si conclude qui: siete liberi di scrivere un post finale per concludere la vostra avventura a Taanach se lo desiderate.
Vi assegno una ricompensa di 700gold a testa per il grande impegno e la passione dimostrata nel seguire la vicenda, mentre io declino ogni compenso da Qm; ho apprezzato moltissimo i vostri post, sempre ben articolati e avvincenti, che hanno contribuito a rendere la storia appassionante. Un eventuale post conclusivo vi frutterà una piccola ricompensa bonus che accrediterò sui vostri conti una volta postato.

Se avete domande in merito al finale, ci vediamo come sempre in Confronto!
Grazie ancora e alla prossima :)


Edited by Zaide - 8/7/2015, 17:24
 
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view post Posted on 12/7/2015, 06:07
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Fetiales ~ Ab incubis daemonibus
« Theras Universalis. »

« Dovresti buttarlo via, quell'affare. » una delle giovani vestali fuggite da Taanach si rivolse a me con aria tranquilla, nonostante l'incubo appena vissuto. « La sola idea che sia ancora in giro mi turba. »
Rigirai tra le mani quell'arma, oramai privata di qualsiasi potere, osservandone il rubino spezzato alla luce del sole. Sorrisi alla giovane vestale, che per sicurezza aveva gettato via il proprio vestito cerimoniale, al pari delle sue compagne, prediligendo abiti umili e irriconoscibili.
« Questo è la Storia. » le risposi, amichevolmente. « Con la esse maiuscola. È importante ricordarla, bella o brutta che sia... altrimenti tra dieci, cento, mille anni nessuno si ricorderà più di quello che è successo a Taanasc »
« E non sarebbe meglio? Sono impazziti tutti, il nostro tempio è stato profanato, l'ordine demolito... i demoni e l'Abisso hanno trionfato. »
Abbassai gli occhi a guardare le acque del canale che si infrangevano timidamente contro lo scafo della nave di Aruj. Quello che era successo mi aveva segnata profondamente, forse non esteriormente, ma nel mio cuore avevo scoperto che Theras era ad un solo passo dall'oblio, dal perdere la guerra per la sua sopravvivenza. Il Sole Nero non era altro che una delle mille cose che avevano afflitto e piagato l'Akeran e, tranne pochi, nessuno si sarebbe mai curato di soccorrere la città ed i suoi abitanti. Forse la vestale aveva ragione, sarebbe stato più saggio gettare quell'arnese infernale nelle acque e dimenticare di averlo anche solo visto. Eppure non volevo farlo.
« Forse. » mi appoggiai al parapetto con le braccia, osservando la riva poco distante. « Ma siamo ancora vivi. E continueremo a combattere per salvare questa terra. »
« Vuoi di nuovo combattere? Hai ancora il collo ferito e già vuoi tornare a combattere?! »
La ragazza, con gli occhi fuori dalle orbite quasi avessi detto la più atroce delle amenità, si avvicinò a me controllando la fasciatura che portavo attorno al collo. Ogni tanto faceva male, ma per fortuna il colpo era arrivato di striscio e non aveva reciso la gola ma solamente un grosso lembo di pelle. Forse sarebbe rimasta la cicatrice, o forse no, ma non mi importava molto, non quel giorno perlomeno.
« Mio padre diceva sempre che il male trionfa davvero quando i buoni smettono di agire. » aprii le braccia come a voler abbracciare il paesaggio incantato del Qatja-Yakin. « Darei mille volte la mia vita, se questo servisse a far diventare Theras un posto migliore. »
Quella, abbassando gli occhi, rimase silenziosa qualche istante, come se le mie parole l'avessero colpita profondamente. Poi, alzando la testa, mi sorrise di rimando appoggiandosi a sua volta al parapetto ad ammirare quello splendore a cui nessuno, per abitudine o per ignoranza, sembrava dare il giusto peso.
« ...un posto migliore. » ripeté, quasi come una preghiera sottovoce.
« Sono convinta che un giorno, molto lontano, questo mondo sarà un posto bellissimo dove vivere. »
« Un anno fa, quando ho iniziato questo mio viaggio nel mondo, credevo in cose molto diverse... ero razzista, ritenevo nani ed elfi esseri di seconda scelta, credevo che il Dortan dovesse essere il centro del mondo. » mi lasciai andare ad una lieve risatina, sinceramente divertita dalla mia superata mentalità retrograda, oramai parte di un passato che sentivo sempre più lontano. « Ma poi ho viaggiato, ho visto il mondo oltre l'apparenza. Mi sono lasciata sedurre dai colori di Cuashra, dalla biblioteca di Lithien... dall'Alcrisia illuminata dai raggi della luna. »
La vestale non disse nulla, chiuse gli occhi provando a immaginare posti in cui non era mai stata, lasciandosi trasportare dalle mie parole, dette quasi con le lacrime agli occhi e un brivido di commozione nella voce.
« Sono belle immagini, Azzurra. »
« Sì. » la guardai, con gli occhi leggermente lucidi. « Sono cose per cui vale davvero morire. »

[ ... ]

Affiancai Aruj pochi minuti dopo. Non ero abituata a stare in mare, però il vento che increspava le onde, gonfiava e vele e faceva ondeggiare i capelli mi dava un senso di libertà infinito. Volevo far sapere al nano quanto il suo contributo fosse stato determinante e che, da lì in avanti, avrebbe sempre avuto un posto a Terra Grigia e alla mia tavola.
« Aruj, posso parlarvi? »
Sfoderai il mio miglior sorriso.
« Volevo solo dirvi che vi devo molto, queste donne non sarebbero mai riuscite a raggiungere il Dortan senza il vostro aiuto. Vorrei potervi ricompensare adeguatamente, ma purtroppo per adesso posso solo darvi la mia amicizia ed eterna gratitudine. »
Pronunciai quelle parole col cuore, senza mezzi termini o falsa pomposità. Lì, immersi in un paesaggio esotico e fiabesco, non avevamo bisogno di mille titoli o smancerie. Eravamo stati compagni di viaggio, di battaglia, avevamo condiviso l'orrore di un incubo nell'Oneiron e ne eravamo usciti illesi. Pochi giuramenti al mondo avrebbero potuto valere tanto quanto quell'amicizia nata per caso, da uno sguardo e da un sorriso.
« Un giorno, quando non ci sarà più bisogno della mia spada per difendere Theras, mi piacerebbe salpare verso sud... verso l'ignoto, assieme a voi. Pensate alle meraviglie che ci aspetterebbero! Nuove culture, nuove terre magari! »
Scoppiai a ridere, scuotendo appena la testa come a voler sottolineare la puerilità di quel desiderio.

« Grazie, Aruj Shadak. Per questa e per mille altre volte a venire. Quindi questo... solo... »

Mi dispiace se non potremo mai viaggiare assieme ai confini del mondo, Aruj.
Il destino, Dio o forse il mero caso, oramai non lo so nemmeno più, hanno deciso
che la mia vita dovesse essere al servizio di un mondo in cui il male non cesserà mai di esistere.
Cerchiamo sempre di godere di quei piccoli momenti di meraviglia che ci vengono offerti,
di quelle piccole gioie come un sorriso, uno sguardo amichevole, che sembrano oramai più rari
di mille casse traboccanti d'oro.
Se il mio destino non dovesse farmi morire con la spada in mano, combattendo per questo mondo,
allora forse vi chiederò ancora una volta un passaggio su questa nave.
Quando sarò oramai vecchia e voi ancora un affascinante nano di mezza età, allora, vorrò lasciare
questo mondo e viaggiare verso l'orizzonte per un'ultimo viaggio.
È un bel pensiero, per chi come me sente la mancanza di una giovinezza soffocata nel silenzio e nel duro acciaio di una corazza,
sognare di finire i propri giorni laddove nessuno è mai arrivato.
E ci racconteremo ancora, Aruj Shadak, di quella volta che abbiamo visto l'Oneiron, dei Pari, degli Arconti, dei Corvi Leici,
dell'Abisso, di Taanach e delle fredde cime dell'Erydlyss... e altre mille avventure ancora.

Ma se quel giorno non dovesse venire mai, se dovessi morire prima,
navigate anche per me verso l'ignoto.
Portate la mia anima innocente laddove le mani macchiate dal sangue della guerra non possano più raggiungerla.
E lì, allora, vi ringrazierò di nuovo.

Per ora posso donarvi solo uno sguardo gentile e un sorriso complice, senza il coraggio di dire nient'altro che...

datsmile_zpsydfgrjs9
« ...grazie. »



Onestamente non so bene cosa scrivere qui. Mentre facevo il post credo di aver trasmesso, tramite le parole di Azzurra, ogni mio singolo pensiero, ogni nota di colore, ogni sfaccettatura di quello che ho vissuto sino ad ora sul Forum. Ringrazio Zaide per la concessione del pugnale e per avermi permesso di prendere delle vestali per salvar loro la vita, ringrazio Jedino, compagno di mille avventure, per la sua sempre disponibile presenza e per avermi dato modo di scrivere uno dei post, ad oggi, più sentiti che abbia mai fatto. Ho voluto fare questo post volutamente bypassando la fuga da Taanach perché non volevo "sporcare" quanto scritto da Zaide, preferendo far capire come sono andate le cose dal testo (la ferita alla gola, le vestali, la nave che viaggia verso terra grigia).
Quando ho iniziato questa quest non credevo che il finale sarebbe stato qualcosa del genere, che mi avrebbe toccato così tanto. Ma sono solamente che felice, felice e commosso, di aver costruito tanto assieme a voi. E molto, molto altro ancora costruiremo.

E non ripeterò troppe volte quello che Azzurra, per me, vi ha già detto con parole migliori: grazie.
 
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view post Posted on 16/7/2015, 12:39

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Ad Incubus Demonibus ~ Un brindisi


Il punto di ritrovo della ciurma era una stradina stretta non molto lontana dal porto; lì, a parte qualche lama pronta a tagliar borse o gole, in genere, non c'era nessuno. Le porte che vi erano, piccole rientranze in un altrimenti monotono corridoio, conducevano ai retrobottega dei piccoli negozietti e taverne che s'affacciavano sul molo. Quel giorno, il giorno in cui Taanach fu sconvolta per sempre, il vicolo era vuoto: Aruj e Aruj soltanto camminava irrequieto, consumando il pavimento sotto i suoi piedi, con passi pesanti e carichi di nervosismo.
Il pirata fumava e sbuffava, come le ciminiere in pieno inverno, aspirando il denso fumo del sigaro con grandi boccate e lasciandolo, poi, andar via, come se allontanando quel fumo, buttandolo fuori dai polmoni, potesse allontanare anche i pensieri e levarsi quel peso dallo stomaco.
Se solo c'avesse capito qualcosa di quello che era successo, sarebbe stato profondamente grato a Voljiund ma non era così, non avrebbe mai compreso la magia e della cosa non se ne crucciava più di tanto. La priorità, per lui, era diversa: trovare i suoi compagni e tornare alla nave il prima possibile. Star lì, fermo, in quella stradina sudicia e polverosa, sembrava esser la cosa migliore; se gli altri avessero avvertito il pericolo era lì che sarebbero andati, giusto? Doveva esser così! Quegli stronzi non potevano esser così stupidi da buttarsi in mezzo al fuoco. Nel frattempo, i minuti passavano e le preoccupazioni aumentavano.
Quando il primo lurido sorcio di sentina della sua ciurma si fece vedere, gli occhi di Aruj si riempirono di gioia. Non aveva mai pensato, prima d'allora, di poter essere felice di veder una di quelle canaglie ma, forse, non era mai stato davvero sul punto di perdere quella famiglia, raccolta pezzo per pezzo nelle bettole peggiori e nei bassi fondi più pericolosi di Dorhamat. Altri arrivarono subito dopo, l'aria trafelata e gli sguardi confusi, e il capitano già iniziava il conto mentale, a quel punto, sei erano già lì. Dei presenti, un mozzo si fece avanti, raccontando al capitano di come la ciurma s'era divisa durante la Passerella e di come alcuni non fossero stati più visti; altri sembrava si fossero presentati alla Cerimonia del Sole Nero, incuriositi dallo spettacolo. Il nano sentì una stretta al cuore, rimanendo, però, freddo e calmo all'esterno: chiunque fosse alla cerimonia, se non l'aveva visto fra i superstiti, era morto di certo.
Ad un ora dall'arrivo del capitano nel vicolo, una quindicina s'era radunata. Arrivavano alla spicciolata, in gruppi di due o tre, alcuni feriti, altri solamente storditi dagli eventi ma mani nessuno a troppa distanza l'uno dall'altro. Sembrava che tutti avessero avuto la stessa idea, nello stesso momento. Ah, quelle canaglie! Se Aruj era certo di una cosa, quella era come scegliere i compagni di disgrazia, nessun altro, se non loro, avrebbe attraversato l'inferno e ritorno col sorriso sulla faccia. Ognuno felice di rivedere il brutto muso di quello affianco, solo il capitano riusciva a vedere quell'ombra che avevano negli occhi, mascherata dalla comune spavalderia che univa quei vecchi lupi di mare.
Una decina ancora mancava all'appello, secondo i conti di Aruj, quando fece segno ai suoi di sbaraccare; un segno silenzioso nel baccano, che subito si fece quiete. Gli uomini, in genere chiassosi, abbassarono il tono, in un brusio sommesso. Qualcuno s'avvicino al nano, protestando: "Ma capitano ..." e il nano laconico ribadeiva l'ordine; qualcun altro faceva un nome o due, preoccupato, e il nano silenzioso marcava i passi, ignorando la domanda. Quando alla fine, uno s'alzo sugli altri, accusando il capitano di negligenza: "Aveva detto che nessuno sarebbe stato lasciato in dietro"
Aruj si fermò di colpo, digrigno i denti rumorosamente e si voltò. "Non ho lasciato nessuno indietro!" Urlò, abbaiando contro i propri uomini. Una vecchia taanachiana vestita di giallo, gli osservava seduta ad un balcone e, alla vista della scena, si rinchiuse per la paura. "Se quei köpekler sono stati così stronzi da non raggiungerci, allora ..." Il nano si bloccò all'improvviso, quasi gli si stringesse un nodo in gola. "Allora ... Sono morti ..." Quelle parole sussurrate con un fil di voce, riecheggiarono forti nei presenti. La piccola folla divenne subito muta.
Quella verso la nave, sembrò una marcia funebre. Tutti silenziosi, tutti con il capo chino.
I pirati camminavano in fila, all'unisono, con passi lenti e lievi, quasi strascicati. Sulle spalle di ognuno di loro il peso di una bara che, per quanto fosse immaginaria, piegava le loro schiene. Aruj li vide salire sul ponte, scrutando tutti loro con aria compassionevole. Tutti avevano perso qualcosa quel giorno.


Le vele gonfie e il vento in poppa, il sole alto e il mare liscio come una tavola.
Il nano poggiava i gomiti sulla balaustra a prua, stringendo bandana e lenti scure, penzolanti sul vuoto, mosse soltanto dal vento. Sotto di lui, le onde si piegavano, quasi seguissero il volere del capitano di portarlo il più lontano possibile da Taanach, mentre alle sue spalle una colonna di fumo nero s'alzava dalla città. Gli occhi del capitano, rivolti al cielo, scrutavano le nuvole in lontananza: il vento sarebbe stato a favore per un po'; gli uomini potevano riposare; lui poteva riposare. Era la calma dopo la tempesta.
"Aruj, posso parlarvi?" I capelli corti al vento, che brillavano al sole. Una voce gentile e dolce. Il sorriso di un'amica. Ah, Azzurra, era una gioia per gli occhi stanchi del capitano!
"Volevo solo dirvi che vi devo molto, queste donne non sarebbero mai riuscite a raggiungere il Dortan senza il vostro aiuto. Vorrei potervi ricompensare adeguatamente, ma purtroppo per adesso posso solo darvi la mia amicizia ed eterna gratitudine." C'è da dire che convincere la ciurmaglia a far salire delle donne sulla nave, fu ben più arduo di quel che si possa pensare: i pregiudizi, le superstizioni, i miti. Eppure il capitano era riuscito a convincere tutti, rischiando anche l'ammutinamento, pur di convincere quei topi di sentina, pur di aiutare Azzurra. Erano sopravvissuti agli eventi di quel giorno e, di sicuro, nessuno sarebbe morto per quattro suore vestite di bianco e una guerriera fin troppo coperta da attrarre "la sfortuna" su di se, eppoi, Aruj non era tipo da credere alle superstizioni.
"Un giorno, quando non ci sarà più bisogno della mia spada per difendere Theras, mi piacerebbe salpare verso sud... verso l'ignoto, assieme a voi. Pensate alle meraviglie che ci aspetterebbero! Nuove culture, nuove terre magari!" La risata che ne seguì, aveva dell'amarezza di fondo. Cosa spingesse quella ragazza a combattere così ardentemente per un mondo che ti mastica e ti sputa come si fa col cibo avariato, Aruj non l'avrebbe mai capito: lei aveva combattuto battaglie che non la riguardavano e, ancora, si ostinava a voler cambiare Theras, nonostante avesse visto il marcio in qualsiasi punto del continente; Aruj s'era semplicemente arreso all'evidenza, cercando di trarre profitto degli avidi bastardi che erano al comano, almeno questo era quello che credeva. Eppure, quella frase fece venir voglia al nano di cambiare il mondo, solo per poi esplorarlo assieme ad Azzurra: le avventure che avrebbero potuto vivere assieme, come quelle che si sognano da bambini; le isole sconosciute piene di segreti e misteri; popoli e culture ignoti, che aspettavano solo di essere scoperte; vite sospinte dal vento, come foglie fragili e leggere che galleggiano sull'acqua. La vita del marinaio è molto diversa da quella che s'immagina, quando per la prima volta si mette piede su una nave; la vita di un contrabbandiere costretto perennemente alla fuga, non era poi così emozionante. Il viso gioviale di Azzurra, però, era riuscito a far breccia nel cuore del comandante, instillando in lui quegli stessi sogni e desideri che la ragazza aveva confidato.
Aruj ricambiò il sorriso, d'altronde, a tutti è permesso sognare, anche ai pirati.
Grazie, Aruj Shadak. Per questa e per mille altre volte a venire. Quindi questo... solo...grazie.
Un sorriso, uno sguardo di comprensione, una mano sulla spalla.
Gesti umani, di gente che ha visto e ha vissuto l'incubo.
Gli occhi di Auj Shadak, capitano della Küçük Fahişe, pirata ricercato e spietato, si fecero lucidi.
Un sorriso largo quanto il mare, apparve sulle sue labbra, mostrando tutti i denti, compresi quelli finti.
Una lacrima scivolò lungo la guancia ruvida, fino a perdersi nella folta barba.
"Prego." Rispose laconico il nano, non sentendo il bisogno di aggiungere altro. "E non dite a nessuno che ho pianto o mi toccherà picchiare quel cani, finchè il buon senso non gli entrerà in testa" Concluse, irrompendo in una risata, di quelle che vengono dalla pancia ... O forse era il cuore?
Una mano alzata e un mozzo era subito lì, poche parole sussurrate all'orecchio e questi era già partito.
"Permettimi un brindisi" Disse il nano all'umana, mentre l'ometto era di ritorno con bicchieri ricolmi di birra chiara e densa.
Si schiarì la voce, con fare solenne, non riuscendo però a trattenere un sogghigno benevolo.

"Possa il tuo cuore esser leggero e felice,
Possa il tuo sorriso essere grande e non abbandonarti mai
Possano le tue tasche aver sempre una moneta o due
Possa inseguirti sempre la fortuna dei marinai!
...
A questa e a mille altre volte a venire."



Un vecchio brindisi marinaresco, un augurio sincero che veniva dal profondo.
Aruj non sapeva esprimere i propri sentimenti, non a voce.
Che bisogno c'era di cercar parole, quando qualcuno c'aveva già pensato?
Quello, era un "grazie" dei più sentiti e sinceri, qualcosa riservato agli amici e compagni di viaggio.
La sua ciurma, la sua famiglia, avrebbe sempre trovato un posto per Azzurra de Rougelaine.
Nel suo cuore avrebbe sempre riservato una nicchia tutta per lei.
Dopo tutto quello che avevano vissuto assieme.
Quel brindisi, quel momento, quel mare appartenevano a loro.













Azzurra ... Y U DO DIS TO ME? :cry:

Bellissima quest. Qualcosa da ricordare.
Far parte di eventi così importanti per l'Akeran è motivo d'orgoglio per il mio Pg, aver potuto scrivere assieme a voi, invece, è motivo d'orgoglio personale ed è per questo che ho voluto prendermi il mio tempo per scrivere. Non volevo fosse qualcosa di banale e raffazzonato.
Nonostante tutti i problemi, nonostante gli abbandoni, nonostante fossimo solo due partecipanti, la preferisco di gran lunga così.
Grazie a Zaide che, anche in dolce attesa, ci ha dato un'esperienza di gioco unica.
Grazie a Lasy che è riuscito a commuovermi.
Grazie davvero.

*Inchino*



 
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