Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

A Nation of Thieves - demônio, dall'abisso

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view post Posted on 1/5/2015, 23:40




( Città di Dorhamat, Spiaggia Iguana )
pov - Mathaus

« Qualche problema, amico? »
Mathaus alzò lentamente il capo, squadrando malamente il pirata che gli aveva parlato. Era evidentemente ubriaco, uscito dalla caotica taverna per prendere una boccata d'aria o per orinare, come lui. Il cranio rasato malamente e il labbro spaccato indicavano che si trattava di un uomo avvezzo alla lotta, ma ciò non impedì all'irascibile Mathaus di sputare ai suoi piedi, intimandogli chiaramente di girare al largo. Il pirata rispose con un'espressione vagamente offesa, ma poi decise di lasciarlo in pace scrollando le spalle e voltandosi in direzione di un capanello di signorine chiaramente alticce quanto lui.
Mathaus digrignò i denti, lamentandosi sommessamente con un basso rantolo gutturale; appoggiò la fronte contro la parete di legno esterna dell'edificio, reclinandosi stancamente su di essa mentre terminava di pisciare. Gli faceva male - incredibilmente male. Forse stava persino sanguinando, ma era difficile accertarsene per via dell'oscurità. Pensava di riuscire a trascinarsi lontano da occhi indiscreti, ma quel dannato pirata doveva avere udito i suoi grugniti di sofferenza. Non aveva bisogno di alcun aiuto, lui.
Non dalla gente di Dorhamat; non poteva fidarsi di nessuno, ora più che mai. L'arcipelago era sempre stato un ricettacolo di traditori e bugiardi, pronti a vendere i propri fratelli per una manciata di monete, ma ultimamente la situazione era drasticamente degenerata. Dorhamat aveva sempre avuto una sorta di astruso codice della pirateria, come una tradizione non scritta fondata sull'orgoglio che anche i senza casta possono avere; quel genere di dignità, ormai, aveva abbandonato quelle spiagge. La malattia aveva infine raggiunto anche le isole che si affacciavano sullo Zar, trasformando molte persone in mostri e demoni del Baathos: dicevano che si trattava di una maledizione divina, ma i bene informati giuravano provenisse dal Plaakar, o dal Surgun-zemat.
Al diavolo, pensò Mathaus, sempre più confuso. Da qualunque parte provenga, questa pestilenza ha masticato il cervello di tutta la gente.
E, in effetti, era così: Dorhamat non era mai stata così autodistruttiva. La sua popolazione non era mai stata particolarmente diligente, o desiderosa di esserlo, ma ciò cui stavano assistendo era assolutamente senza precedenti: come presi da una frenesia collettiva, la città e i suoi abitanti erano in preda di una sfrenata necessità di eccessi - come se dovessero godere degli ultimi momenti che restavano loro prima di mutare in bestie assetate di sangue. Un caos ubriaco e irrazionale dilagava a macchia d'olio pressochè incontrollato: risse e incendi erano triplicati nel numero da quando la consapevolezza della malattia aveva fatto breccia nelle loro menti, e neppure l'ascesa di Guillherme Lopes de Santos ad Ammiraglio degli Onesti sembrava essere stata capace di frenare le mutazioni (quantomeno tra i nobili, come spesso annunciavano gravemente i suoi sottoposti).
Mathaus si tirò su le brache, passandosi una mano sugli occhi. Questa città è completamente impazzita, riflettè. Lui era soltanto un marinaio a bordo della Corallo, ferma nel porto da quasi quattro settimane. Aveva terminato il denaro già da un pezzo, ma miracolosamente non si era mai trovato in ristrettezze; c'era sempre un giaciglio caldo per lui nelle bettole, le braccia amorevoli di una prostituta pronte ad accoglierlo, alcool e monete d'oro da scommettere ai tavoli da gioco. Non sapeva dire come ciò fosse possibile, ma era congruo con quanto stava accadendo attorno a lui: erano tutti diventati matti, e generosi. Ogni giorno si aspettava di trovare il quartiermastro della Corallo che chiamava a rapporto lui e i suoi fratelli per una spedizione o una razzia, ma ciò non era ancora accaduto.
Scosse il capo, cercando di riprendere equilibrio; i dadi lo stavano aspettando.
Macchie nere gli passarono davanti agli occhi, lasciandolo intontito per diversi istanti: ultimamente accadeva sempre più spesso. Si sentiva malato, forse febbricitante. L'ennesimo grugnito spazzò via i suoi timori; si trattava sicurametne del prezzo che il corpo stava pagando per i suoi recenti eccessi.
Quando varcò l'ingresso della locanda, si era già dimenticato dell'orina nera che aveva pisciato pochi istanti prima.

A NATION OF THIEVES
demônio




( Città di Dorhamat, residenza Almovàr )
pov - Levi, Robert, Berzenev, Aegis

La pioggia cadeva rumorosamente sul patio, rinfrescando l'interno del palazzo coloniale; l'arsura che normalmente attanagliava i quartieri più appartati di Dorhamat - quelli più distanti dal mare, e quindi difficilmente mitigati dall'oceano - era stata spazzata via da un'umidità pesante, ma non per questo spiacevole. La residenza si trovava appollaiata in cima a una minuscola collina circondata da alte palme verde scuro, ma le nuove guardie erano riuscite a raggiungerla prima che l'inaspettato acquazzone li cogliesse senza riparo.
Gli Almovàr erano una delle famiglie più benestanti dell'arcipelago; influenti e astuti, essi si erano sempre trovati a stretto contatto con il governo della città, e non era un caso se l'attuale Governatore e Roberto Aguinaldo Almovàr (l'attuale partefamilias) fossero grandi amici. La casa che fungeva da dimora era soltanto una dei tanti possedimenti, poichè ciò che aveva reso grande - e ricca - la loro famiglia erano le piantagioni da zucchero situate su ben tre isole.
Il capo della servitù non si fece attendere: per quanto la residenza fosse protetta da un basso muro di cinta, i cancelli in ferro erano sempre aperti; quando Carlozo - l'anziano governante - aprì le doppie ante d'ingresso, le nuove sentinelle furono accolte formalmente nella dimora degli Almovàr.
Erano stati reclutati senza clamore, preferibilmente tra gli uomini non nativi di Dorhamat; Roberto pareva particolarmente interessato a evitare interessi conflittuali con le varie fazioni della città, poichè sapeva che la prudenza non era mai troppa - soprattutto in sua assenza. Quello era a tutti gli effetti il loro primo giorno di lavoro.
Non persero troppo tempo nei convenevoli: Carlozo - che parlava con un forte accento Dortan nonostante la sua voce fosse vagamente tremante per via dell'età - spiegò loro le abitudini della servitù e della signorina Ophèlia, gli orari dei pasti, l'ubicazione dei loro alloggi; lo sguardo austero del ritratto di Roberto Aguinaldo, posto sopra un ampio camino in pietra, li squadrò per tutto il tempo. Accanto a lui v'era un secondo quadro, ma un drappo nero lo copriva interamente, lasciando intuire che il periodo di lutto per la scomparsa della moglie (Lucilla Diana Almovàr) non era ancora terminato. L'abitazione era pulita e moderatamente elegante: non mancavano mai librerie, divenetti e scrivanie. Per quanto non fosse ostentata, la ricchezza degli Almovàr era decisamente evidente.

« Da questa parte, prego. »

Il governante chiuse le presentazioni quando alle loro orecchie giunse ovattato il dolce suono di fortepiano. Un leggero sorriso parve turbare il volto dell'anziano Carlozo, ma sparì in fretta. Guidandoli lungo i corridoi, resi grigi dalla luce che filtrava dalle numerose finestre, la melodia si fece via via più forte; era un motivo triste ma appassionato, e benchè colei che lo suonava fosse piuttosto valida, anche un orecchio inesperto avrebbe potuto cogliere dei saltuari errori nelle note. Paradossalmente, tuttavia, ciò sembrava dare corpo all'intera musica - come se anche il pezzo stesse soffrendo come la sua musicista.
Silenziosamente, il servo si fece da parte per permettere loro di osservare la tredicenne Ophèlia Almovàr - colei che avrebbero dovuto proteggere fintanto che suo padre fosse stato assente per i suoi misteriosi affari.
La ragazzina aveva capelli lunghi e neri, leggermente ricci, raccolti sul fondo in una corta coda. Aveva una corporatura esile, ma era piuttosto alta per la sua età; la sua pelle era pallida, palesemente in contrasto con quella scura, brunita e spesso olivastra degli altri abitanti di Dorhamat - come una bambola, tenuta spesso al sicuro nella propria dimora isolata. Vestiva di un semplice abito scuro lungo sino alle ginocchia, forse anch'esso scelto in osservanza della cerimonia funebre per sua madre.
Quando si accorse che non era sola, la ragazzina sollevò le mani dal fortepiano lasciando soltanto un dito su un tasto affinchè la nota rimanesse a lungo sulle corde; si voltò appena, scrutando i loro volti senza mai pronunciare parola. La sua espressione era inerte, quasi congelata: gli occhi nocciola spaziarono su ognuno di loro, tornando infine a concentrarsi sul piano.
Quando riprese a suonare, tutti poterono constatare che nessun errore venne più commesso nell'esecuzione dello spartito.


QM POINT ::
Benvenuti alla quest!
Come detto, la storia si colloca poco tempo dopo la "presa di potere" di Guillherme Lopes de Santos a capo degli Onesti - un gruppo arrogante e autoritario di uomini che si arroga il diritto di tenere l'ordine a Dorhamat; la pestilenza che infatti sta flagellando l'Akeran è infatti giunta anche nell'arcipelago, mietendo numerose vittime; off-game si tratta ovviamente della Tentatio e del suo effetto corruttivo, ma questo è un segreto che sono in pochi a conoscere! Per tutti, infatti, questa è soltanto una inspiegabile malattia.
Come si era intuito dal bando, venite tutti reclutati come guardie private di Ophèlia. La ragazza è figlia di un importante imprenditore, ora inspiegabilmente assente dalla città, e si teme che i recenti disordini possano nuocerle. Potrete apprendere di più sul perchè durante la quest, indagando o facendo le domande giuste ai png.
Sentitevi liberi di descrivere come preferite l'arrivo a Dorhamat (o eventualmente la vostra permanenza se decidete di essere già sul luogo) e il colloquio meramente introduttivo con il governante della casa (non è mandatorio). Per due di voi (HIG e Allea) questa è anche l'occasione per valutare le vostre capacità (come se non le conoscessi già... ma vabbè) e assegnarvi la fascia energetica. Allea, Berzenev è stato un po' complicato da collocare: ho pensato che lui - o meglio, il bambino controllato da lui - non venga reclutato come gli altri, ma si trovi già nella residenza Almovàr come "figlio" o "amico del figlio" di qualcuno della servitù, portato là per tenere compagnia a Ophèlia (nonostante l'eventuale differenza d'età tra i due). Hai carta bianca, ma sentiti libera di scrivermi per dubbi o ulteriori spunti.
Siete liberi di concordare qualcosa tra voi - conversazioni o quant'altro. Avete tempo 5 giorni (quindi sino a mercoledì 06/05 compreso).
 
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view post Posted on 3/5/2015, 23:29
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A NATION OF THIEVES
demônio



« Spiegamelo di nuovo, fratellone. » sbuffò il Re dei ratti, lasciandosi andare contro una colonna.
Erano lì da una ventina di minuti, in un salone che doveva servire a dividere l'abitazione dei padroni dall'ala della magione adibita ad alloggio per la servitù. Il pavimento a scacchiera era tanto lucido che ci si poteva agevolmente specchiare, cosa che Caposorcio era stato tentato di fare per poi abdicare a tale decisione, rendendosi conto che non avrebbe giovato alla sua immagine il farsi sorprendere in certi atteggiamenti non già da Corvobianco -ché lui lo conosceva bene- ma dalle due donne che li accompagnavano e che erano lì per la loro medesima ragione. Ragione che, a ben vedere, quel ragazzo dai capelli fulvi e gli
occhi infossati non riusciva a comprendere a pieno.
« Spiegami perché siamo qui. »

Per la prima volta da quando erano stati introdotti in quella sala con la preghiera di aspettare l'arrivo del governante, Corvobianco sollevò il capo dal libro che stava leggendo. Chiunque altro si sarebbe spazientito a quell'ennesima richiesta, ma lui no. Si limitò a sorridere con la consueta bonomia all'indirizzo del suo fratellino e, richiudendo il libro, rispose con più buona grazia di quanta non se ne sarebbero aspettata le due donne che assistevano a quella scena singolare.
« Ti ricordi che, mentre noi due e Suzaku eravamo impegnati a occupare la nostra attuale base sul Canale di Qatja-yakin, ci chiedevamo che fine avesse fatto Thevlad? »
A queste parole, Caposorcio rispose annuendo e tirando fuori un temperino con cui iniziò a incidere un pezzo di legno, anche questo venuto fuori dalle sue tasche.
« Bene. Thevlad era venuto a Dorhamat a cercare informazioni circa una certa spedizione diretta alla Baia del Pirata. Pessimo tempismo, il nostro Principe. »
« Come al solito. » ridacchiò il fulvo, continuando a incidere il suo pezzo di legno.
« Come al solito. » concesse il corvo, senza spazientirsi.
« In quei giorni era viva a Dorhamat una sorta di sommossa. Così, quando il principino è tornato, ne ha parlato con y'Negesydd »
Caposorcio annuì di nuovo, stavolta senza commentare.
« E noi, adesso, siamo qui a controllare come vanno le cose. »
Conclusa la sua breve spiegazione, Corvobianco abbassò nuovamente il capo, tornando a leggere.

« Ho capito perché siamo qui. » riprese Caposorcio poco dopo. « Ma vorrei sapere perché siamo qui, se cogli la sfumatura. »
E, lanciando uno sguardo a Imrahil e Lorelei, entrambe in piedi a pochi passi di distanza da lui, aggiunse: « E perché ci siano loro, anche. »
Il Corvo fece per rispondere ancora una volta ma in questo caso fu la mano bianca di Lorelei a fermarlo.
« A questo posso rispondere io, se permetti. » Poi, rivolta a Caposorcio, riprese. « Dovevamo raccogliere informazioni e lo abbiamo fatto fra la popolazione. Ci serviva sapere anche cosa ne pensano ai piani più alti. Almovàr è una personalità di spicco a Dorhamat. »
L'icona della Spada, che alcuni conoscevano come Aleijferia e pochissimi come Lorelei, fece tintinnare i pendenti che aveva alle orecchie mentre scuoteva il capo, spostando i ciuffi dei suoi capelli biondo cenere.
« In questo modo potremo scoprire quale sia la reale situazione in città dopo l'avvento degli Onesti. »
Corvobianco annuì con un sorriso, lui stesso non avrebbe saputo spiegarlo meglio. Quanto a Caposorcio, il giovane si limitò a stringersi nelle spalle con aria poco convinta. Fu solo a questo punto che intervenne Imrahil. La Perla d'Alcrisia, stretta in una veste da avventuriera che metteva in risalto le sue forme -cosa a cui non era abituata e che la metteva visibilmente a disagio- si stacco dalla colonna a cui era appoggiata e ottenne immediatamente l'attenzione di Caposorcio -al contrario, Corvobianco abbassò il capo, come sempre faceva per evitare di incontrare gli occhi della giovane.
« C'è un'altra cosa. Prima di riaccompagnarmi da Laur-- » la ragazza si interruppe, i suoi occhi si abbassarono pudicamente. « ...dal Capitano de Graaf » riprese, con le guance imporporate, « il Senzavolto mi ha parlato di un altro avvenimento. Qualcosa che ha a che fare con i demoni. »
A quella rivelazione, la reazione fu inversa rispetto a quando Imrahil aveva preso la parola: Caposorcio e Lorelei abbassarono lo sguardo, entrambi turbati dal riferimento all'essere privo di volto che sembrava sussurrare all'orecchio di Laurens de Graaf ogni notizia diffusasi su Theras, mentre Corvobianco aveva sollevato lo sguardo di colpo alla parola demoni.
Fu precisamente in quel momento che un membro della servitù si affacciò nel salone, accennando appena un inchino, più per abitudine che per vera deferenza.
« Il governante è pronto per accogliervi, sono arrivati anche gli altri. Vi aspetta nell'altra stanza. »

Gli altri, scoprirono poco dopo, erano un bambino e due uomini, entrambi dall'aspetto curioso anche se per motivi differenti. Il vecchio governante della casa li guidò fino alla stanza da cui proveniva la musica che avevano sentito propagarsi fin nel corridoio. A vedere la bambina che stava suonando, la stessa che avrebbero dovuto proteggere, Imrahil, Lorelei e Caposorcio ebbero un sussulto. Da parte sua, Corvobianco non fece caso all'abito luttuoso portato dalla ragazza, né tanto meno alla pausa che aveva preso dalla sua musica o all'occhiata glaciale lanciata sui presenti. Il suo unico pensiero erano i demoni e il suo desiderio di incontrarli. Era molto, troppo tempo che non andava a caccia. Soltanto quando la musica fu terminata, a un colpo di gomito di Lorelei, che il Corvo si riscosse, tornando presente a sé stesso e alla situazione. Così, fisso i suoi occhi sulla giovane proprio mentre Imrahil si inchinava.
« Pensala come vuoi, fratellone » gli sibilò all'orecchio Caposorcio,
« Ma questa bambina mi fa venire i brividi. »
Il Corvo annuì impercettibilmente.
« Tutta questa casa fa venire i brividi. » sussurrò di rimando,
ma nella sua voce c'era una diversa intonazione.
Sembrava quasi soddisfatto.


Un agile post di introduzione. A fare le veci di Laurens, per questa quest, saranno Imrahil, Lorelei, Caposorcio e Corvobianco. Per il momento mi risparmio lo specchietto, lo aggiungerò al prossimo post.
 
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view post Posted on 4/5/2015, 10:40
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[A nation of thevies - Dorhamat, locanda]
Sgranò gli occhi. Il suo cuore stava galoppando.
La luce che filtrava dalla finestra era velata, plumbea, un'atmosfera spaventosamente simile a quella di Taos e per un momento il pistolero credette di stare ancora sognando. Era forse passato un mese dal suo arrivo a Dorhamat ed erano trascorsi non più di due cicli di luna dal suo ultimo sogno agitato. Difficile a dirsi, però, dato che il tempo per Levi era diventato un alternarsi confuso di veglie strazianti, seguite da sonni pelagici, preceduti da sbronze nubilose. A quanto pare, però, l'ultima non abbastanza solenne da riuscire a placare il suo accalorato inconscio.
Dalle camere accanto provenivano gemiti sommessi. Dal piano di sotto un cozzare di bicchieri, un pestare di stivali e una cacofonia di risa e grida assordanti accompagnavano le note altalenanti di una sonata spassosa, animando il locale. Ma Levi non riusciva a sentire niente di tutto questo. La sua mente era altrove, rapita dallo sciame di pensieri che gli ronzava fastidiosamente nelle orecchie. Aveva bisogno di sedersi, così si sporse dal bordo del letto, reggendosi la testa e massaggiandosi freneticamente la fronte. Se chiudeva gli occhi, il volto di Cliff Jefferson appariva ancora abbastanza nitido, così come le parole fioche del vecchio pistolero. "Traditore" l'aveva apostrofato nel sogno, incendiandolo con uno sguardo carico di riprovevole disprezzo. "Verme!" gli aveva urlato, paonazzo.
Gli ultimi rivoli gelati finirono di scivolare lungo il collo del pistolero, richiamandolo alla realtà con un brivido. La camicia era incollata al suo petto, zuppa di sudore. Per fortuna almeno la nausea stava scemando, così Levi pensò che alzarsi sarebbe stata un'ottima idea. Mosse i primi passi, sgranchendosi gambe, braccia e schiena, fino a quando i suoi occhi non incontrarono i propri, riflessi ad un vecchio specchio lercio. Il pistolero non riuscì a guardarsi in faccia per più di qualche misero istante, distogliendo in fretta lo sguardo da quel volto che tanto disprezzava. Il volto di chi nella vita si era macchiato di un atto della peggiore, oscena vergogna, e ogni volta che gli si presentava l'opportunità ribadiva il concetto, continuando a peccare e a ferire la propria volontà, come se il patto al quale era legata la sua anima lo costringesse come un impervio mulinello costringe una nave alla deriva, e dal quale la sua coscienza non poteva deviare la propria rotta, obbligando alla rovina la vela maestra del suo cuore. "Non ho più un'anima da redimere" pensava il pistolero, "mi restano solo voci disturbanti e volti contrariati nella memoria, da affogare nel whisky". Ma diavolo, quanta ragione avevano quelle voci e quei volti. Troppa, per permettere loro di perseverare nella legittima rampogna nei suoi confronti. Presto o tardi l'avrebbero fatto impazzire per il senso di colpa, ne era certo.


Gli stivali lo condussero nell'unico luogo dove i suoi problemi avrebbero forse potuto trovare una soluzione, o quanto meno una tregua. Mentre scendeva le scale, le assi del pavimento scricchiolarono, producendo un motivetto inquietante. I tacchi consumati rimbombarono a tempo, accompagnando i passi cadenzati del pistolero in un ritmo languido. "Suonano una marcia funebre" ammise Levi con un leggero sospiro, come gli succedeva di pensare ogni volta che i suoi stivali di pelle baciavano il legno navigato. D'altronde lui era un dispensatore di morte e quel motivetto non stonava affatto con la sua figura spettrale. Ma quanto la odiava, quella sonata dannata.
Ancor prima di arrivare al dafarn - l'angolo delle osterie dove veniva versato l'alcool - l'odore greve del tabacco, colorito da quello rurale della birra, liberò le narici screpolate di Levi e bagnò i suoi occhi gonfi. Il mondo diventò d'un tratto torbido, pennellandosi di una fine nebbia lacrimosa, ma per Levi quella facciata di mondo era fin troppo familiare da non dover essere esaminata a fondo. Distinse le sagome dei peryglon, intenti nei loro sollazzi da taverna, e quelle appartate degli yfwyr, con le spalle piegate sui fondi dei loro bicchieri vuoti, bocca aperta e sguardo perso nel vuoto. Era come osservare una schiera meditabonda di fanatici adoratori di daimon. Individuò le loro ombre disaccorte sporte sul bancone pregare per un ultimo giro sulla piccante giostra della dipendenza. Eccole, le anime tormentate di Dorhamat. Levi si mosse verso di loro, prendendo posto in mezzo a quel gregge disperso.
Il pistolero era sempre stato affascinato dal penetrante intuito degli osti, ma quel giorno ne rimase addirittura folgorato. Ancor prima di arrivare al bancone, un bicchiere colmo di whisky era già pronto ad aspettarlo. Il bettoliere gli sorrise compiaciuto, trovando comica l'espressione esterrefatta sul volto del dannato. Dopo tanti anni di onesto lavoro, per l'oste quel mestiere era diventato un'abitudine. Per lui, avere a che fare con ubriaconi, teppaglie e con le dipendenze dei peggiori disperati era divenuta una cosa naturale, una tappa obbligata del suo quotidiano, uno snodo essenziale nell'equilibrio stesso della sua esistenza; tanto che ormai gli bastava un'occhiata superficiale per capire di che cosa il suo cliente avesse più bisogno. Levi si chiese se per lui sarebbe mai stato così. Distolse gli occhi dal bancone e a malincuore spinse lo sguardo oltre i lembi dello spolverino, dove solo lui sapeva che una pistola maledetta riposava in una vecchia, fottuta fondina. Si sarebbe mai abituato ai suoi clienti quotidiani?. Sarebbe mai riuscito a dispensare morte ingiusta con la stessa naturalezza con cui l'oste dispensava whisky agli astanti?. Si sarebbe mai abituato al peso insopportabile delle anime dei cento innocenti che avrebbe dovuto trascinarsi sulle delicate spalle della coscienza per il resto dei suoi giorni?. "No. Mai". Deglutì saliva acida, raschiando la gola arsa e tossendo di rimando. Di colpo, avvertì un malore profondo. Sentì il suo stomaco rivoltarsi e il cuore spremersi come un'arancia acerba. Un malessere che non poteva essere annegato nei fiumi dell'alcool. Il suo richiamo. Come quando da bambino osservava ipnotizzato gli ingranaggi dei macchinari al vecchio ranch Morrison e il buonsenso gli sussurrava di non infilare le dita tra i raggi in azione, ma quanto più questo gli ordinava di non farlo tanto più cresceva in lui la tentazione istintiva e irrazionale di inzupparci dentro tutta la falange; anche quel giorno, nella taverna, accadde esattamente la stessa, identica cosa. La mano tremolante scivolò lontano dal bancone, spostandosi lentamente verso il calcio di sandalo levigato. Levi ingaggiò una guerra interiore per fermare la sua estremità, ma quanto più si sforzava tanto più la mano veniva attratta in quella danza esotica. Il richiamo si faceva sempre più forte. Il pistolero cominciò a sudare freddo, i suoi occhi vibravano come quando un amante è ormai prossimo all'orgasmo ma cerca con tutte le forze di ritardare l'atto. Nascose i suoi lineamenti sotto le tese del cappello. La pagina numero venti del taccuino era ancora vuota, l'aveva controllata prima di uscire dalla sua camera, ma questo significava poco o niente perché a tormentarlo in quel momento era la sua altra maledizione. Le dita erano ormai a un palmo dalla pistola, i polpastrelli accarezzarono il metallo freddo del diavolo. Da lì a non molto si sarebbe voltato, con l'arma spianata, e avrebbe sputato fuoco sugli astanti, mietendo anime innocenti fino a quando la fame del demone non si sarebbe infine saziata.


All'improvviso un silenzio assordante esplose nella sala, divorando la taverna in un boccone. Shank, il pianista, fu l'ultimo ad accorgersene e per qualche istante ancora sciorinò il suo animo giocondo in una scala armonica di folk Dorhamatiano.
Un uomo, dal fondo del dafarn, prese allora la parola, graffiando la quiete generale, e, balbettando insicuro, presentò le sue questioni. La mano di Levi era ferma a mezz'aria, disinvolta, così il pistolero colse l'occasione per allungarla nuovamente sopra il bancone. Alzò gli occhi in direzione dell'oste, temendo che questo lo stesse osservando. Era sicuro di non avere un'ottima cera ora che la lotta selvaggia che aveva ingaggiato contro le tenebre che invadevano gli abissi più profondi del suo subconscio era finita, e l'ultima cosa che desiderava era attirare l'attenzione. Il silenzio seguito all'ingresso dell'uomo balbettante aveva distratto il richiamo del diavolo, evitando una strage. "Sia benedetto il cielo" Sorrise rassicurato il pistolero, frenando l'impulso festoso e repentino di saltare addosso a quell'uomo e riempirlo di baci. Il bettoliere non badava affatto a Levi, il suo interesse era fisso sullo straniero e, cosa che trovò assai strana, il suo sguardo era carico di vomitevole disprezzo. Questo convinse il dannato a voltarsi.

«...po-poiché ne-necessito di una persona va-valorosa...»

Il signor Balbettante non poteva avere meno di quaranta primavere sulle spalle. I pochi ciuffi di capelli che gli restavano in piedi avevano il colore smorto del granito, raccolti in piccole ciocche, sparse sopra le orecchie. I suoi occhi sembravano affaticati e le borse sotto di essi erano gonfie di stanchezza. Rughe si diffondevano sulla sua pelle ambrata, trangugiando la giovinezza senza alcuna pietà. Le guance gli ricadevano, pesanti, oltre i bordi della mascella. L'uomo vestiva elegante, anche se era evidente che non apparteneva ai ranghi nobili della regione. "Forse è un maggiordomo" Ipotizzò Levi. L'unica certezza, al momento, era che quell'uomo era intimorito. E come biasimarlo, dopotutto stava parlando da solo, in mezzo a ubriaconi e casinisti, trafitto da decine di occhiatacce traverse. Qualche peryglon si era permesso addirittura di sputargli ai piedi.

«...che pro-protegga la signorina O-Ophèlia Almovàr, fino al ritorno del pa-padre.»

Il tono era alquanto distaccato e sbrigativo, lo stesso signor Balbettante aveva parlato quanto più in fretta la balbuzia gli aveva permesso. Inoltre il suo monologo non era stato accompagnato da alcun gesto del corpo. Quell'uomo avrebbe desiderato essere in qualsiasi altro posto all'infuori di quella putrescente taverna di periferia. Eppure a spingerlo fin laggiù, Levi avrebbe scommesso il suo bicchiere di whisky, non era stato soltanto il dovere. Nei suoi occhi stanchi brillava una luce rammaricata, quella di un uomo che aveva sfidato la feccia delle taverne con la speranza - ormai calante - di trovare la persona adatta alla sua ricerca, e stupire la sua signora. A circondarlo c'erano però i peggiori malandrini del paese, e ormai il signor Balbettante era convinto che quel giorno sarebbe tornato a casa a mani vuote, deludendo Ophèlia Almovàr.
Levi si alzò.

«Naturalmente»
Insistette il signor Balbettante.
«tutti voi sa-sapete che la famiglia Almovàr è una famiglia be-benestante, la ricomp-»
«Lo faccio io»
Lo interruppe bruscamente il pistolero.

Levi raggiunse il maggiordomo e lo spinse fuori dalla locanda, nonostante gli evidenti boccheggi di protesta dell'altro. Il dannato si voltò, incrociando per l'ultima volta lo sguardo accigliato dell'oste e il bicchiere di whisky sul bancone. "Non oggi" Li salutò, chiudendo i battenti dietro di sé. "Oggi il mio cuore ha bisogno di qualcosa di molto più forte dell'alcool per ritrovare la pace". Trascorsero forse cinque secondi, quando Shank riprese a suonare il piano e la festa proseguì, come se niente e nessuno l'avesse mai guastata.
Tra tutte le domande che gli avrebbe potuto fare, il signor Balbettante presentò forse le più interessanti.

«C-Chi siete?»
La voce tremante, ma ora gonfia di nuovo entusiasmo.
«Mi chiamo Levi»
Il tono fermo, calmo, sicuro.
«Siete un ca-cavaliere?»
Il pistolero lo squadrò con stupore. Non aveva l'aspetto di un pirata, sicuro, ma tanto meno quello di un cavaliere. Indossava la stessa camicia da un mese, aveva lasciato crescersi la barba, indifferente, non aveva uno scudiero e men che meno possedeva un destriero. Come poteva scambiarlo per un cavaliere?
Per un attimo rimase in silenzio.
"Sono un pistolero"
Avrebbe potuto rispondere, ma evitò con saggezza.
"E se tu fossi entrato nella taverna solo qualche istante più tardi avresti assistito alla mia maledizione"
«Esistono cose che non hanno un nome.
Ma sono anche un guerriero, se è questo che ti preme sapere. So combattere»

«Io mi chiamo Ra-Ramon. Sono un se-servo della fa-famiglia Almovàr»
I suoi occhi acquistarono vigore, per un attimo.
«P-Perché avete accettato?»
Poi si corrucciarono di nuovo, studiandolo con sospetto.
«Non mi avete dato il te-tempo di spiegare la ri-ricompensa»
Finalmente la domanda cruciale. Levi sospirò compiaciuto, dopotutto Ramon non si era rivelato uno sprovveduto e in tempi bui come quelli era già qualcosa.
«Il mio cuore è incorruttibile. Il mio onore non ha prezzo. Le mie scelte sono guidate dalla giustizia»
Recitò, tralasciando le clausole obbliganti del patto con lo Schiavista.
"E perché l'oro è sporco del sudore dei dannati"
Ma anche quel pensiero lo lasciò perdersi nel vento.
«Quindi s-siete davvero un ca-cavaliere»
Ramon sorrise, pienamente soddisfatto.
Levi abbassò gli occhi, contrariato.
"No. Non lo sono"





[A nation of thevies - Dorhamat, residenza Almovàr]
L'ultima volta che il richiamo ferino della condanna l'aveva colto alla sprovvista era successo due anni prima. Era capitato di sera, al tramonto, mentre Levi preparava un fuoco da bivacco lungo una strada dissestata. In quella circostanza, per fortuna, il dannato non era in compagnia di nessuno e riuscì a controllare la tentazione con sufficiente facilità. Il demone era poi rimasto silente per tutto il tempo fino a quel pomeriggio a Dorhamat, anche quando si era presentato per Levi il momento di sparare o di uccidere. Il diavolo era restato in disparte, a osservarlo, frigido, come il freddo condottiero temerario che era stato in passato, mai, di certo, il servo di nessuno, men che meno di uno sporco umano; a lui piaceva cacciare, sorprendere e distruggere, e quando lo faceva divorava le proprie prede senza alcun pudore. Per questo motivo il diavolo non avrebbe mai accettato di aiutare il pistolero a superare i suoi stupidi e umani dilemmi morali, anzi, godeva nel vederlo soffrire, e quanto più la fermezza di Levi vacillava tanto più il dominio del demone sulla sua anima perduta si espandeva.
Il dannato era convinto che il richiamo non si sarebbe presentato per altri mesi - forse anni - a venire, anche se sapeva molto bene che, prima o poi, avrebbe dovuto infine saziare la fame crescente del diavolo. La certezza che quel giorno il demone non l'avrebbe più importunato l'ebbe quando Carlozo, il governatore, lo condusse attraverso i corridori della residenza degli Almovàr. Una melodia malinconica riempiva il palazzo. Penetrò il cuore impolverato del pistolero con la stessa brutalità con la quale un piccone sfonda una parete di roccia, riempiendo di commiserazione anche gli angoli più bui della sua anima. In quelle note si poteva assaporare la stessa sconfinata passione delle sonate di Shank ma, a differenza della musica del pianista della locanda, quella della ragazzina trasmetteva tristezza, insicurezza e cupezza. E come poteva una tredicenne di nobili origini che viveva in una reggia fiabesca, circondata da decine di servi a sua completa disposizione, essere tanto afflitta?. Levi sentiva il bisogno di scoprirlo e il dovere di aiutarla. Per un attimo pensò a Rose, lontana chissà quante miglia, e il suo sorriso si illuminò come quello di un tredicenne, ma poi si spense di nuovo, quando si accorse che per quanto si sforzava non riusciva a imprimere ai suoi ricordi una concreta nitidezza."Il tempo è il peggior assassino".
Il pistolero si esibì in un rito che Ramon avrebbe definito ca-cavalleresco. Si inginocchiò davanti ai piedi della signorina Ophélia Almovàr, levandosi il cappello e stringendo un pugno davanti al cuore. Levi le giurò fedeltà, promettendo di proteggerla.




the Gunslinger
B (-5); M(-10); A(-20); C(-40)

Fisico 75/75
Mente 75/75
Energia 150/150

Passive
- capacità di difendersi da più attacchi fisici o da attacchi fisici inaspettati (6/6)
- capacità di comprendere classe e talento del bersaglio (6/6)
- difesa psionica passiva (6/6)
- le tecniche attive di classe causano una malia psion di compassione nel bersaglio (6/6)

Attive
-
-

Equipaggiamento
- Revolver (6/6), nella fondina al suo fianco destro
- Armatura naturale, pelle coriacea
- Arma naturale, artigli retrattili (retratti)
- Cinturone (36/36), munizioni per il revolver

In breve
Levi viene reclutato da un membro della servitù e scortato fino alle stanze della signorina Ophélia

Note
i termini in corsivo sono in lingua gallese, per caratterizzare il personaggio. Sono termini utilizzati nel far west. Sono in gallese perché non lo so, però mi piacevano. Per quanto riguarda il discorso del richiamo del diavolo spero di aver dato bene l'idea. Non si tratta di possessione o roba simile, ma è un qualcosa di profondo, che influisce sul subconscio, come una tentazione irrazionale. Infatti è bastato un semplice sconvolgimento sensoriale come il passaggio da un'atmosfera cacofonica ad una silenziosa, a disturbarlo.


 
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Caccia92
view post Posted on 6/5/2015, 00:05






« ...sogni la vita e la vita sogna te...dall'alba in picchiata...notte accoglimi... »
Un paesaggio brullo, arido e secco si estendeva per miglia e miglia verso l'orizzonte. Il sole si ergeva alto nel cielo, circondato da una corona di nubi bianche. La sua luce cadeva perpendicolare e lasciava nascoste le ombre sotto i rispettivi proprietari. Nemmeno un filo di vento giungeva a spezzare il caldo monotono di quella giornata. La terra aveva dato poco spazio alla vita in quel deserto di sale e pietre: qualche albero avvizzito e un paio di uccelli rapaci che volteggiavano a bassa quota. Gli animali avevano avvistato una preda, ma si tenevano a distanza di sicurezza. Sapevano che, prima o poi, l'uomo sarebbe crollato di stenti.
« ...dall'alba in picchiata...su vetri e polvere il mio viaggio finisce... »
Robert continuava a barcollare in avanti. Nella testa risuonava quella fastidiosa canzone e lui non poteva fare a meno di canticchiarla. Di tanto in tanto il suo sguardo puntava una zona desertica, affascinato dalle visioni di un'esistenza che non era la sua. Anche la canzone non era sua, ma i versi sgorgavano senza sosta dalle labbra. In quel momento tutti i ricordi, le sensazioni e le paure dell'ubriacone di nome Andreas De Morrin appartenevano a lui e sarebbero state sue fino al calare della notte. Poi, irrimediabilmente, sarebbero svanite nel mondo dell'onirico.
Robert allungò una mano...

¤ ¤ ¤

...per prendere una bottiglia di whisky. Il locale puzzava di piscio e sudore, ma poco importava. C'era abbastanza passera per tutti, specialmente in quei giorni di trambusto e sfacelo. Puttane vecchie, giovani, more, bionde, guerce, monche...persino bambine. Ah, quanto adorava le bambine, con le loro guancette rosse, i capelli corti e le labbra sottili. Sì, avrebbe scelto una di loro in mezzo al gruppo sui divanetti. Ma il denaro? Il denaro dove lo trovava?

¤ ¤ ¤

...il denaro...cosa?
Era difficile mantenere un contatto con la realtà quando ogni minuto il paesaggio cambiava. Stranamente non percepiva il sapore dell'alcool sulla lingua, forse Andreas non aveva bevuto dalla bottiglia. Interessante. D'altro canto, l'unico modo per interagire con le visioni era guardarle, studiarle, capirle. Sebbene i ricordi fossero al sicuro all'interno della sua mente, ciò non significava un totale controllo sull'esistenza a cui erano appartenuti. Spesso poteva solamente "assaggiare" la superficie della memoria, sperando di ottenere qualcosa di più della semplice ombra di un uomo morto. Era così la sua vita, un continuo frammentarsi di immagini, odori e suoni che non lo riguardavano. Ma non poteva lamentarsi: essere un individuo diverso dal giorno alla notte era un'esperienza stranamente appagante. Lo faceva sentire potente, onnipresente, unico.
Trovò uno spiraglio e si dissetò di ricordi.

¤ ¤ ¤

...faceva male, molto male. Il labbro sanguinava e la testa ronzava per la botta contro il muro. Non riusciva a capire...lui non aveva fatto niente. Si era ritrovato in mezzo ad una rissa ingiustificata, a prendere pugni e calci da chiunque. Per tutte le sirene...stava sanguinando troppo. Perché nessuno lo aiutava? Un panno, una benda! C'era così tanta gente lì intorno, perché lo lasciavano a morire come un cane? Buio, c'era tanto buio...e le urla, le grida...stavano svanendo...

¤ ¤ ¤

Robert si massaggiò il labbro pizzicante. La nuca pulsava e gli occhi dolevano, colpiti dai raggi del sole. Guardò in alto per osservare il volteggiare ipnotico di una coppia di rapaci. Forse gli animali percepivano il puzzo di morte che emanava in quel momento. Perché lo avevano...perché avevano lasciato Andreas de Morrin solo come una bestia? Anche i più crudeli e depravati criminali sarebbero stati mossi da un principio di altruismo vedendo un uomo ridotto in quelle condizioni. Forse lui non comprendeva appieno le emozioni umane - da molto tempo gli risultava difficile - eppure sapeva che, anche per una bettola squallida, un comportamento del genere era alquanto singolare.
« ...sogni la vita e la vita sogna te...cosa sta accadendo a Dorhamat? »
Spirò un lieve moto d'aria e il sole parve incupirsi all'improvviso. Gli uccelli, che fino a quell'istante si erano accompagnati a Robert, fuggirono lontano. Dal sottosuolo, dall'etere o forse dalla bocca dello stesso Robert, scaturì un suono buio e incorporeo.
« Questa è la domanda giusta. »
Da un'espressione mutata in smorfia grottesca, il viso di Robert tornò ad essere umano. Gli strappi dal mondo reale a quello onirico davano sempre una sensazione di vuoto allo stomaco. Si ricompose e prese a riflettere su quanto aveva appena visto, tentando di scacciare il ricordo del sangue che colava copioso dietro la testa.
« Sarebbe interessante...uhm...dare un'occhiata. »
Stranamente, sperò di ottenere un assenso come risposta. Era da diversi anni che non inseguiva uno scopo. Il vagabondaggio lo aveva portato in diverse regioni, ma sempre assecondando il caso o le opportunità. Riprendere un senso logico nella vita sarebbe valso più di un raro liquore.
Seguì un altro, inusuale, colpo di vento.
« Ti servirà l'aggancio adeguato. »









{Dorhamat, residenza Almovàr}
probabilmente estate; un'ora imprecisata





Era giunto a Dorhamat dall'entroterra, a digiuno e senza un soldo. Molti dei forestieri in quelle condizioni erano considerati spazzatura e morivano nel giro di poche settimane. Ma Robert non era un uomo qualunque. Non necessitava di cibo, acqua, denaro o riposo. L'unico suo bisogno - e, per dire la verità, non era nemmeno un suo bisogno - consisteva nell'individuare la zona di città più nascosta e meno considerata. Tuttavia, per quella specifica visita, doveva necessariamente cambiare le sue...abitudini. Aveva cercato immediatamente una locanda affollata, un posto dove saltuariamente si trovavano offerte di lavoro affisse sotto forma di foglietti alle travi o dietro il bancone. Purtroppo a lui serviva un lavoro specifico per ottenere le informazioni di cui aveva bisogno e l'offerta non doveva provenire da una persona qualunque. Così aveva atteso diverso tempo. Ogni giorno tornava alla locanda e si sedeva nello stesso posto, allo stesso tavolo, nascosto dall'ombra. Il proprietario del locale aveva imparato a lasciarlo in pace, i clienti lo ignoravano e le vicende si susseguivano. Poi, come richiamato dalla sua presenza, un uomo era giunto a proporre il lavoro che desiderava. L'offerta era stata presentata pubblicamente e un mercenario di nome Ignazius aveva colto l'occasione al volo. Ma Ingazius non si era più svegliato dal suo sonno.

¤ ¤ ¤

...sembrava un tipo a posto, quell'uomo. Ben vestito, portato, con la parlantina degli altolocati. Il lavoro sembrava semplice: fare da guardia ad una villa aristocratica in cui era contenuto qualcosa di prezioso. Una ragazza, se aveva capito bene. La paga era ottima e di quei tempi non bisognava andare tanto per il sottile. Con tutto il fermento che c'era giù al porto, ritrovarsi al verde era un attimo. Aveva accettato senza ripensamenti. L'appuntamento era per il giorno seguente...

¤ ¤ ¤

Il giorno seguente pioveva a dirotto e il caldo secco aveva lasciato il posto ad un'umidità bollente. Robert ripassava mentalmente ciò che aveva appreso rileggendo i ricordi di Ignazius, il mercenario della locanda. Nel frattempo, fingeva di correre a perdifiato per trovare riparo nel porticato della residenza Almovàr. Insieme a lui, altri erano accorsi per accettare il lavoro di guardiano. Era un dettaglio previsto, eppure percepiva una nota di irritazione sotto il familiare velo di apatia. Domande oscure presero a vorticare nella sua mente: cosa avrebbero detto? Chi erano? Doveva prendere adeguate contromisure?
Un sibilo gelido si intrufolò nei dubbi.
"La notte è di mia competenza. Concentrati sul presente."
Quasi non si accorse di aver oltrepassato il cancello dell'abitazione. Arrivò sull'uscio di casa in ritardo di qualche secondo rispetto agli altri individui, in tempo per l'incontro con il maggiordomo. Li accolse un vecchio signore dai modi gentili.
Accedendo alla dimora Almovàr, Robert si sentì avvampare. Era da molti anni che non percepiva il calore e l'accoglienza di una vera casa, una sensazione perduta da qualche parte nel passato. I suoi occhi si concentrarono sulla mobilia raffinata e sul salone d'ingresso, individuando un ritratto che raffigurava probabilmente il padrone di casa. Un secondo quadro, curiosamente coperto da un drappo nero, era posto accanto al primo.
Il governante, che si chiamava Carlozo, stava spiegando con minuzia fiaccante i dettagli del loro lavoro. Robert aveva necessità di una stanza singola per la notte, ma avrebbe chiesto in seguito quella cortesia. Si avviarono - governante e sentinelle - lungo un corridoio in penombra che si affiancava alla struttura principale. Mentre camminavano, una canzone malinconica e spezzata coprì a poco a poco la distanza che li separava dalla loro destinazione. Erano note di un pianoforte, note che avvolgevano il silenzio, lo comprimevano lentamente e poi cadevano a terra come lacrime. Robert scosse appena il capo, senza un motivo apparente.
"Musica. Odio la musica."
Carlozo, ad un certo punto, si spostò per permettere al gruppo di osservare il motivo della loro presenza nella residenza Almovàr: una ragazzina di circa tredici anni, pallida e magra, vestita di scuro. Era lei a suonare il pianoforte ed era lei che Robert doveva proteggere. Quando il suo sguardo incrociò quello della ragazza, non provò assolutamente nulla. Non si sorprese.

Attese pazientemente la fine della musica. Il Divoratore di Sogni attendeva con lui.








Post introduttivo. Le parti separate sono ovviamente i ricordi assorbiti dal Divoratore e presentati nella mente di Robert. Il mio personaggio è facile e al tempo stesso difficile da interpretare: se da una lato risulta apatico e insensibile, dall'altro è soggetto a strani comportamenti che spesso non gli appartengono.
La prima sezione di testo è puramente personale. Nella seconda Robert si sostituisce ad un mercenario che aveva accettato il lavoro di guardiano. All'interno della casa rimane in disparte e in silenzio.
Aggiungerò lo specchietto quando sarà necessario.

 
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Allea
view post Posted on 6/5/2015, 08:20




A Nation of Thieves
demônio


Eveline Furtop non ha avuto una vita facile, sicuramente, le sue mani sono piene di calli e screpolate a causa delle lunghe ore passate a pulire i panni della famiglia Almovàr, instancabile per anni ed anni. È una buona donna e, per certi punti di vista, anche una brava madre.
Christopher Furtop non riesce a trovare facilmente una precisa ragione per non volere bene a sua madre, semplicemente ha sempre voluto di più.
È cresciuto vedendo la quantità di beni e di amore che Ophelia ha sempre avuto a sua disposizione e lui, alla tenera età di undici anni e tre quarti, non ha smesso di lavorare nemmeno un giorno della sua vita.
Christopher è gracile, ancora lontano dalla pubertà, e sebbene non sia un bambino brutto non risulta nemmeno esattamente piacevole alla vista. Ha i capelli marroni scombinati, i vestiti sempre pieni di strappi e i denti gialli.
Spesso e volentieri lo si può trovare con il viso pieno di fango per ragioni misteriose che nessuno comprende (Chris non vuole certo rivelare loro il suo passatempo preferito, andare a rotolarsi nel fango poco dietro la collina, con la scusa di andare a comprare qualcosa in città, non è mica stupido).
Eveline non ha tempo di starlo a controllare così attentamente ed è facile per lui sfuggire alle attenzioni flebili della madre per allontanarsi dalla tenuta.
Le uniche volte in cui deve essere perfettamente sistemato, in cui può mettersi i suoi unici vestiti puliti, è quando deve giocare con Ophelia.
Non ha motivi nemmeno per odiare Ophelia, ma è una ragazza e non gli piacciono le ragazze. Il figlio del mugnaio gli ha detto che cambierà idea in futuro, ma Ophelia è troppo fragile, troppo graziosa, non vuole mai rotolarsi nel fango né fare qualcosa di divertente.
«Lei è l'unica ragione per cui ti permettono così tante libertà» gli ha detto una volta sua madre, con uno sbuffo. Aveva le mani sporche di farina e con ogni movimento nevoso per spostarsi i capelli dalla faccia riusciva a sporcarsi sempre di più «la signorina ha bisogno di compagnia. Ci hanno tenuto qui così tanto tempo per questo»
Non ha mai avuto il coraggio di dirle che lui avrebbe voluto andarsene.
Christopher Furtop, tutto considerato, è un bambino normale. Non ha avuto la fortuna di nascere in una famiglia come quella di Ophelia, ma allo stesso tempo ha un tetto sopra la testa e del cibo dentro lo stomaco. Come tutti i bambini sogna una vita piena di avventure, vuole diventare un cavaliere e, possibilmente, salvare una principessa.
Christopher è un bambino come tutti gli altri.


_



Dietro la collina, a qualche minuto di camminata, in mezzo ad un piccolo e folto bosco, c'è una piccola radura.
Christopher ci va spesso, semplicemente per prendere una piccola boccata d'aria. Solamente per riprendersi un poco dalle mansioni giornaliere, non ci rimane abbastanza a lungo da essere rimproverato, sta sempre attento.
È una radura nascosta, il suo piccolo paradiso.
Quando va lì, quel giorno, c'è qualcun altro.
È una bambina, ma è diversa da Ophelia. Sembra molto piccola, non può avere più di cinque anni, e i suoi capelli sono sporchi e trasandati, dovrebbero essere biondi ma il fango li ha ormai resi di un colore irriconoscibile.
C'è del sangue incrostato nelle sue mani, come se avesse scavato per giorni, o avesse conficcato le unghie ripetutamente in qualcosa di molto duro.
Per un secondo non può fare a meno di pensare che deve avere fatto incredibilmente male.
«Ao, stai bene?» chiede, avvicinandosi piano. Forse dovrebbe chiedersi come sia possibile che ci sia qualcuno lì, perchè questa bambina non si sia ancora mossa, ma Chris non è mai stato un bambino brillante.
L'altra non risponde a parole, si limita a piegare la testa leggermente, guardando ogni suo singolo movimento. Il peluche che tiene tra le mani penzola dalle sue braccia e sembra guardarlo con altrettanta attenzione.
«Se non me stai a risponde non ti posso aiutà» dice, la sua parlata un po' rozza che prende il sopravvento. È nervoso, ma non sa perché. Ogni passo sembra essere più difficile del precedente.
«Ho paura» bisbiglia la bambina, a quel punto, stringendo il peluche tra le sue braccia. Il sangue delle sue dita risalta incredibilmente con il rosa sbiadito del pupazzo.
La foresta non è certo posto per una bambina così piccola, forse si è persa. Forse è scappata da un gruppo di venditori di schiavi.
Vuole avvicinarsi di più, ma c'è qualcosa che non va.
«Da dove vieni?» le chiede, allungando una mano come a toccarla. I suoi gesti vengono più a scatti ora, con una certa riluttanza «che cosa c'è di cui essere spaventata?»
Lei non risponde, ma comincia a camminare verso di lui, forse percependo la sua riluttanza ad avvicinarsi.
Dovrebbe fare qualche passo indietro, scappare da lei, ma è ridicolo. Cosa può fargli esattamente?
Nota solo dopo che la bambina non ha nemmeno le scarpe, che i suoi piedi sono sporchi e pieni di graffi come se avesse camminato giorni tra la steppa.
Quando è vicina, abbastanza vicina che, allungando una mano, potrebbe toccarla, lei sorride. I suoi denti sono l'unica cosa bella di lei, bianchi e puliti, una precisa serie di denti da latte perfettamente disposti.
«Vuoi scappare, bambino?» chiede una terza voce, ma Christopher non vede nessuno «io posso aiutarti»
Quando sente della stoffa che gli tocca il viso è già troppo tardi.



Christopher Furtop sparisce per un giorno intero. Eveline se ne rende conto solo alla sera, ma passa tutta la notte a cercare il figliolo scomparso, aiutata da qualche altro membro del personale.
Non sembra essere da nessuna parte, e stanno già cominciando a pensare che il bambino sia perso: vittima di un qualche mostro che abita i boschi o di qualcosa di ben peggiore.
Chris riappare il primo pomeriggio del giorno dopo, non sembra ricordare dove sia stato o cosa sia successo. Non sembra trovare nulla di particolarmente allarmante nella sua scomparsa.
Quando gli chiedono da dove provenga il pupazzo che ha tra le braccia si limita a rispondere che non lo ricorda.
Sua madre sembra pensare che l'abbia rubato, altri credono che fosse di Ophelia quando era piccola. Altri ancora non hanno tempo da perdere al pensare al figlio della governante.
Chris stringe forte a sé il suo nuovo pupazzo, e nessuno sembra essersi accorto del fatto che i suoi occhi non sembrino veramente mettere nulla a fuoco.


_


Potrebbe esserci del merito nel possedere direttamente la piccola Ophelia, ovviamente, ma è come una partita di scacchi, non attacchi direttamente il re, devi controllare il terreno e capire che tipo di avversario hai di fronte.
Quindi Berzenev attende e osserva.
Nessuno sembra più far caso alla sua presenza, dopo un po', e se a volte il piccolo Christopher sembra quasi svegliarsi per qualche secondo ci vuole poco a rimetterlo in riga.
A volte succede, è un terribile effetto collaterale e un'altra dimostrazione di come Berzenev abbia bisogno di diventare più forte. La sua precedente trasportatrice, un giorno, si era addirittura rovinata grattandosi così forte la testa da fare uscire sangue.
Chris è più buono e a volte, per questo, Berzenev lo premia lasciandogli qualche minuto di libertà, dopotutto non è un mostro senza cuore. Chris voleva già scappare di casa, voleva di più, ed è stato facile per lui inserirsi in quei desideri, in quei sogni.
Quindi è lì, ed osserva. Ophelia è una bambina silenziosa, un po' timida, ma questo non fa altro che aiutarlo, è sempre più facile controllare quelli che non hanno una personalità spiccata, le persone si fanno sempre meno domande.
Si sta quasi preparando a spostarsi sul suo vero target, quando improvvisamente avviene una cosa inaspettata.
Berzenev non capisce che cosa vogliano, per quale motivo siano stati chiamati, e anche se con il suo Trasportatore ha sentito un paio di conversazioni sulla paura del padrone per la piccola Ophelia, ritiene che sia solo una perdita di tempo.
«Madre, perchè sono qui questi signori?» chiede ad Eveline, attraverso la bocca del bambino e guardando insistentemente la porta che da' verso l'ingresso.
Eveline non lo guarda, continua a lavare e a Berzenev va benissimo così. Non ha ancora esattamente capito, dopo anni ed anni, come far fare delle espressioni facciali ai suoi portatori. È più difficile di quanto possa sembrare.
«Sono qui per la nostra sicurezza, Chris,» risponde la donna, asciugandosi il sudore con il dorso della mano (è una brava lavoratrice, la utilizzerà come una delle sue prime schiave) «sono combattenti venuti per proteggerci»
Sono una spina nel fianco.

Ophelia sta suonando e Berzenev si fa trasportare da lei quasi senza pensarci. Ophelia è esattamente il tipo di trasportatrice che lui cerca.
Composta, elegante, potente, silenziosa ed estremamente talentuosa. È la perfetta rappresentazione di cosa si merita lui, di cosa gli serve per prendere il suo reale posto nel mondo.
Quando arriva, però, vede che non sono soli, che non può, come al solito, cercare di sedersi vicino ad Ophelia, a volte anche per non dire nulla, solo per farle compagnia (per cercare di capire come potere meglio entrarle nella mente, ovviamente).
Finalmente, ora, può guardare chi sono questi nuovi soldati venuti lì per proteggerli. Sono più di quanti aveva sentito, e questo fatto già lo urta: le sue informazioni sono l'arma più potente che ha, se anche queste sono sbagliate di cosa si può fidare?
Per il resto non sembrano particolarmente pericolosi, non sono interessati dopotutto a lui, se è riuscito a passare inosservato per questi mesi può resistere qualche altra settimana.
Si renderanno conto che non c'è nessun pericolo per la piccola Ophelia e se ne andranno, lasciandolo libero, finalmente, di impossessarsi di lei.
Prendendo coraggio si spinge nella stanza, stando attento a non fare cigolare la porta, e con passi svelti si avvicina verso il piano forte. Si ferma prima di raggiungerlo, ovviamente, ma c'è qualche merito nel fare sapere ad Ophelia che è lì, qualche merito ad entrare nelle sue grazie.
Ho paura sente, improvvisamente nella mente del suo portatore, ma è facile zittirlo e se potesse Berzenev riderebbe.


EHskr1J
[B: 5%; M: 10%; A: 20%; C: 40%]
Corpo 75% Mente 125% Energia 100%
CS: 0

Attive e Passive

Note: Berzenev ha posseduto il figlio di una delle lavoratrici della casa, per potere osservare meglio (ed eventualmente possedere) la piccola Ophelia :bastard:
Okay, ho fatto quello che avevo detto e ho gli occhi strabbici :V
Buona Quest a tutti, compagnoni di grandi avventure <3



Edited by Allea - 7/5/2015, 00:10
 
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view post Posted on 15/5/2015, 00:17




( Città di Dorhamat, residenza Almovàr )
pov - Levi, Robert, Berzenev, Aegis

La signorina Ophèlia stava studiando, seguita da vicino da un insegnante privato; pagavano molto quell'uomo, giunto da Qashra sino a Dorhamat grazie ai facoltosi agganci della famiglia Almovàr nella capitale del Sultanato. Gli uomini colti scarseggiavano nell'arcipelago perchè la saggezza era una qualità che mal si sposava con la brevissima carriera di molti abitanti dell'isola: il Governatore, una volta, aveva tentato di imbastire un censimento ufficiale della popolazione - e i risultati, sebbene scarni e manchevoli, erano stati sorprendenti. L'età media non superava i trent'anni, a dimostrazione della precarietà delle loro esistenze.
Roberto Almovàr - e con lui sua moglie - avevano sempre cercato di promuovere la civiltà e il progresso sull'isola. C'era stato un tempo in cui la grande residenza era stata luminosa e affollata, sempre aperta per chiunque volesse proporre idee o condividere le proprie esperienze. Erano anni dove la presa dei nani sull'arcipelago era decisamente meno forte, ma, paradossalmente, anni anche ignari della crudeltà e della malevolenza correnti. Nonostante il naturale rigore che animava il vecchio maggiordono, Carlozo spesso veniva udito lamentarsi tra sè e sè del fatto che la repressione del Sultanato del "libero commercio di Dorhamat" (e quindi della pirateria che lo foraggiava) avessero generato i peggiori individui che lui avesse mai conosciuto.
"Il mare si è fatto più spietato, i suoi abitanti più crudeli, le loro azioni più efferate. Ne valeva la pena?"
Roberto non aveva mai prestato ascolto ai brontolii del fedele governante del palazzo: egli aveva sempre sognato Dorhamat come una città indipendente, dotata di proprie leggi e di un governo legittimo - non un fantoccio costretto a scendere a compromessi con i corsari e pronto a ricevere ordini dai nobili di Qashra. Organizzava quotidianamente ricevimenti e dibattiti pubblici, attirando persino i capitani più anziani; che costoro fossero presenti per convenienza o per sincero interesse, non era dato sapere. Dal canto suo, il paterfamilias approfittava sempre della situazione per gettare qualche seme e aspettarne pazientemente gli eventuali frutti.

Quei giorni erano da lungo tempo tramontati.
La residenza Almovàr ora era vuota e grigia come il cielo sopra Dorhamat; la servitù parlava di rado e sembrava desiderosa di star più lontano possibile dalla giovane Ophèlia: l'unico che le parlava regolarmente era Carlozo, guidandola lungo gli impegni quotidiani con la consueta pacatezza. La morte della madre aveva inciso moltissimo sul carattere un tempo solare della ragazzina, e la progressiva mancanza del padre l'aveva rapidamente costretta in una malinconica rassegnazione.
Ma c'era dell'altro: la riservatezza in cui Ophèlia si crogiolava aveva lentamente scatenato strane occhiate da parte dei numerosi servitori; forse, tutto era cominciato con la notizia delle prime mutazioni tra la popolazione. Il morbo che trasformava le persone in mostri infernali non aveva alcuna spiegazione apparente, così il misticismo e la paranoia avevano trovato terreno fertile nella mente della gente semplice. Con la inesorabile lentezza dell'acqua che scava il letto di un fiume, la convinzione che Ophèlia avesse "qualcosa di strano" cominciava a serpeggiare tra domestici e coppieri. "Senza il gatto, i topi ballano", diceva un vecchio detto: l'assenza di Roberto Almovàr - e del suo occhio vigile - stava sgretolando l'autorità della sua famiglia nella sua stessa casa; in un certo qual senso, non esisteva occasione migliore per circondare la figlia di sentinelle private scevre da preconcetti.

« La fiera del Tridente. »

Era trascorso l'intero pomeriggio e una notte da quando gli uomini reclutati da Roberto erano giunti alla residenza nobiliare.
La tempesta si era consumata e trascorsa via così com'era giunta, e l'oscurità aveva fatto altrettanto; per essere un incarico di sorveglianza, il lavoro si era rivelato decisamente leggero. La signorina si era mossa pochissimo, aveva parlato ancor meno, e aveva cenato da sola nelle proprie stanze; l'unica persona cui aveva rivolto qualche parola di cortesia - di distaccata amicizia, persino - era stato il giovanissimo Christopher Furtop. Alla fine, però, anche lui era stato accompagnato fuori da Carlozo. "La signorina è affaticata e si riposerà", aveva detto. Poichè v'era davvero ben poco che tutti loro potessero fare, erano stati decisi dei sommari turni di guardia e poi era stato lasciato loro campo libero su organizzazione e orari. Probabilmente, alcuni di loro avrebbero potuto perfino tornare in paese per divertirsi in una taverna o per dormire lontano dagli alloggi comuni che gli erano stati assegnati - se così avessero desiderato.
Il mattino seguente avrebbero osservato una Ophèlia decisamente più energica.
« Non posso permetterlo, signorina. », spiegava Carlozo, cercando di dissuaderla. « Perchè? », incalzava lei, già vestita di tutto punto per uscire dalla magione. « Uscire all'aria aperta vi farà bene, ma credo sia sconsigliabile-- » « Sono ben protetta! », esclamò la ragazzina, indicando le nuove guardie riunite nel salone.
« Non lo metto in dubbio, signorina, ma questa sarebbe la prima volta da quando vostra madre... » Carlozo tentennò: era evidente che non sapeva come toccare l'argomento senza intristire la piccola protetta. « Mio padre mi ha assegnato dei guardiani affinchè provvedessero alla mia incolumità, non perchè mi facessero da carcerieri. »
L'anziano governante sospirò: negli occhi nocciola di Ophèlia brillava la stessa caparbietà che muoveva le convinzioni di suo padre, molto tempo addietro. Per un istante, il maggiordono parve convincersi dell'assoluta assurdità di una simile richiesta associandola a un puerile tentativo di rivalsa nei confronti dell'assente Roberto, ma alla fine anche la sua incredibile diligenza dovette soccombere dinanzi allo sguardo della ragazzina.
« Non più di un paio d'ore. », sentenziò.
« E Christopher viene con me! »

( Città di Dorhamat, Quartiere del Tridente, piazza del mercato )
pov - Mathaus

Non ricordava dove aveva dormito; a dirla tutta, non ricordava neppure se avesse dormito.
"Ho bevuto troppo alcool", pensò. Anzi, quel rum doveva essere davvero scadente. Da un paio di giorni, ogni liquore sembrava aver perso di sapore; Mathaus se ne lamentava con chiunque gli capitasse a tiro, ma giustificava quella penuria con l'insolita abbondanza di spiriti che da qualche tempo gli capitava tra le mani. Non poteva chiedere "la botte piena e la moglie ubriaca", come si suol dire: la qualità poteva essere scarsa, ma almeno il suo bicchiere non era mai vuoto.
L'inoperosità, tuttavia, cominciava a pesargli. Mathaus bramava il mare: voleva poter tornare a respirare il vento e la salsedine, sentire l'acqua salata lambirgli la pelle e asciugarsi al sole raggrinzendola come vecchia carta per pergamene. "Troppo tempo... è trascorso troppo tempo dall'ultima volta che ho sentito il rollìo di una nave sotto di me"; in qualche modo, tuttavia, i piedi lo portavano sempre lontano dal porto - dentro un bordello o una taverna, magari, accompagnato da amici e conoscenti o, persino, da festosi uomini casuali.
Poco a poco, il respiro si era fatto affannoso; la vista era annebbiata, e i polmoni parevano in grado di inalare soltanto esalazioni catramose. Stava davvero male: barcollava senza una meta precisa, osservando il mondo dipingersi di bianco e nero e perdere così ogni tonalità; dentro di lui percepiva la confusione montare di pari passo con lo sdegno. Incrociava gli occhi di una dama e, nei suoi, vedeva ribrezzo. Quelli di un pirata tradivano scherno, quelli di un bottegaio allarmismo. "Questa città è impazzita", continuava a ripetersi. L'orgia di depravazione nella quale Dorhamat stava vorticando era nulla in confronto all'uragano di emozioni che stava turbinando nella mente di Mathaus, ormai incapace di tenere saldo il pensiero - come un naufrago che tenta invano di aggrapparsi al relitto galleggiante di una imbarcazione, mentre la tempesta lo trascina via prima di annegarlo.
« Il mercato... », farfugliò, trovandosi inaspettatamente nella larga piazza all'incrocio delle tre vie nel quartiere del Tridente.
"Sto davvero male", realizzò, cercando disperatamente un droghiere o uno speziale affinchè gli vendesse qualcosa per calmarlo.

( Città di Dorhamat, Quartiere del Tridente, piazza del mercato )
pov - Levi, Robert, Berzenev, Aegis

« ANCHE QUESTA SETTIMANA, NUMEROSI NOTABILI SON CADUTI PREDA DELLA MALATTIA, RIVELANDO LA LORO VERA NATURA!
ESSI SONO...
»

Lo strillone degli Onesti gridava sopra il brusìo della folla, annunciando - com'era ormai ordine quotidiano fare - coloro i quali si erano trasformati. L'uomo mancava di particolare carisma, poichè era azzimato e tradiva un'arroganza ben più grande di quanto la sua carica sociale potesse concedergliene, ma la divisa ufficiale degli Onesti era un catalizzatore d'attenzione sufficiente. Tutti gli uomini della "nuova polizia di Dorhamat" indossavano vestiti da ufficiali piuttosto sgargianti e vistosi, ma Guillherme li cambiava così spesso che molti uomini finivano per confondersi e indossare uniformi in disuso. La mania per l'apparenza dell'Ammiraglio de Santos era così smaccata che molti pirati non avevano gradito quel palese tentativo di scimmiottare la sacralità (nonchè l'ufficialità) dell'uniforme regolare, ma Guillherme pareva sordo a quel genere di astio.
Uno di questi astiosi pirati si chiamava Vorin, ed era capitano della Disastro. Vorin aveva battezzato a quel modo il suo vecchio brigantino per via dei terribili sei matrimoni che aveva vissuto - cui erano seguiti altrettanti divorzi; benchè avesse abbondantemente superato i quarant'anni, Vorin era un corsaro ancora abile e astuto, che sapeva manovrare il timone come pochi altri nell'arcipelago; principalmente, però, le qualità che Vorin osteggiava in Guillherme Lopes de Santos erano le stesse per le quali quest'ultimo lo odiava: Vorin era uno dei nove Grandi Pirati di Dorhamat, faceva parte dei Flagelli Neri ed era fedele al Governatore.
Proprio per questo motivo, due marinai della sua ciurma osservavano con attento disgusto lo strillone degli Onesti fare i suoi annunci: Vorin aveva le mani legate, poichè non aveva nè il potere nè l'autorità per opporsi agli Onesti e al loro ammiraglio - mentre Guillherme sapeva perfettamente il fastidio che avrebbe generato mandare i propri uomini a gridare della sana propaganda nel quartiere controllato da Vorin e dal suo equipaggio.

« Gridano soltanto i nomi degli aristocratici che cadono, », spiegò Ophèlia a Christopher, facendosi largo nella folla grazie alla sua semplice presenza; la signorina Almovàr vestiva un comodo vestito ocra e bordaux, con una lunga gonna che copriva delle strette brache color sabbia. Nella mano sinistra reggeva un ombrellino bianco che la proteggeva dal sole, finalmente comparso nel cielo dopo l'inatteso acquazzone del giorno precedente. « ma tacciono delle perdite tra la gente comune. Lo fanno apposta. »
Il Tridente era un quartiere discretamente abbiente - per quanto potesse esserlo un distretto di Dorhamat: nonostante le vie fossero in terra battuta, i raggi solari erano così forti da seccare rapidamente il fango sollevatosi per via delle piogge. Tre vie si incrociavano in maniera scomposta e irrazionale, convergendo in una larga piazza ospitante un imponente mercato: bancarelle di ogni genere, organizzate senza un ordine preciso, attiravano la clientela più disparata da buona parte dell'isola, offrendo beni di qualsiasi tipo ad un prezzo adeguato. Nonostante non fosse il bazaar più grande di Dorhamat, la "Fiera del Tridente" era un appuntamento settimanale per buona parte della cittadinanza - dai semplici abitanti ai pirati più spietati.
« Mio padre veniva spesso qui di recente. », disse Ophèlia. Sembrava particolarmente a suo agio: doveva aver aspettato a lungo che le venissero assegnate delle guardie personali per poter muoversi liberamente in città. « L'ho letto nel suo diario; credo riguardi i motivi delle sue assenze... Le sue più frequenti ossessioni. »
Sembrava non sapere cosa stesse cercando: ferma in mezzo a un sentiero ritagliato tra un'esposizione e l'altra, la ragazzina parve per la prima volta indecisa.
« Scriveva di un pirata famoso... di un manufatto magico in pezzi, e del signor Laroche. »

( Città di Dorhamat, Quartiere del Tridente, piazza del mercato )
pov - Mathaus

« ...JEREMIAH JENSON, RODRIGO BONNTRAIR... »
« Per tutti gli abissi, taci un istante... », si lamentò Mathaus, franando contro delle vettovaglie esposte su una bancarella. Naturalmente, lo strillone non lo udì esattamente come lui non ascoltò le rimostrante del venditore.
« ...LOUISE DALAMBERT, PATRICK LAROCHE, MAURICIO CATALDO NEGUILAR... »
Il moribondo pirata era davvero al limite della sopportazione; la nausea lo stava travolgendo con la stessa intensità di una frana; il volto era stravolto, le orbite oculari due pozzi neri e rossi. Si trascinava lungo la via senza neppure accorgersi del vomito che gli colava dagli angoli della bocca distorta dal patimento, boccheggiando per la bile che risaliva spinta dall'odio e dal risentimento.
Era stanco; voleva riposare. Tutto ciò che lo circondava era un caleidoscopio insensato privo di colori; riusciva a percepire chiaramente soltanto le occhiate insistenti della folla che lo giudicava, e lo condannava.
Gli occhi di Mathaus vedevano soltanto occasioni sprecate: osservavano ciò che avrebbe potuto esser suo, ciò che aveva sempre desiderato, ma che non avrebbe mai potuto possedere.
E veniva deriso per questo.

Qualcuno lo urtò - lo prese per la collottola, gli urlò qualcosa direttamente nell'orecchio destro.
Inconsapevolmente, Mathaus lo allontanò con il braccio. "Lasciami in pace", pensò, ma tutto ciò che udì uscire dalle sue labbra fu un ruggito di pura malevolenza; la mano che aveva spinto il seccatore era diventata più grande, la sua pelle più nera, le sue dita sormontate da terribili lame ossee. Fumo nerastro fuoriusciva da minuscoli tagli sugli avambracci, come sfiatatoi di una piccola balena; le narici vennero inondate da un forte odore di bruciato, mentre il suo intero aspetto cambiava trasformandosi in qualcosa di molto più perverso e infinitamente pericoloso di un pirata.
Sì, quello che macchiava la sua mano artigliata era del sangue. Caldo, bollente, appena sgorgato dalla gola dell'uomo che lo aveva insultato.
L'incantesimo si spezzò, e Mathaus tornò perfettamente a vedere, udire, percepire... e odiare.

( Città di Dorhamat, Quartiere del Tridente, piazza del mercato )
pov - Levi, Robert, Berzenev, Aegis

Buona parte della piazza non si accorse del caduto finchè qualcuno non si mise a strillare; con le grida cominciò il panico, e il panico generò il caos più totale. La gente prese a fuggire in maniera disordinata, accalcandosi lungo le vie e gettando all'aria le bancarelle. Molti di loro neppure compresero quale minaccia avesse scatenato tanto disordine, ma per alcuni il mostro fu troppo vicino per reagire prontamente.
Tra di loro vi fu Ophèlia.

Quando mutò e cominciò la propria carneficina, Mathaus distava soltando pochi passi da lei. Si trovava oltre dei cesti di frutta, dietro il bancone di un commerciante paffuto che venne presto separato dalla propria testa prima ancora di riuscire a voltarsi.
Alla giovane Almovàr capitò quasi la stessa cosa; il demone caricò oltre il fruttivendolo senza neppure vederla, cercando irrazionalmente bersagli migliori. La carica la colpì al volto, facendola rotolare diversi metri più in là del tutto inerte.
Tutto ciò che udì prima di perdere i sensi fu il grido dello strillone degli Onesti, abbarbicato in cima a una piramide di casse:

« Il contagio! FERMATE IL CONTAGIO! »


QM POINT ::
Turno piuttosto lungo e ricco di informazioni.
Molto semplicemente, dovete combattere contro Mathaus, trasformatosi in demone: non siate autoconclusivi; consideratelo a tutti gli effetti come un boss, seguendo così le normali regole per i duelli. Notate che vi risulta particolarmente difficile muovervi liberamente per via del caos che vi circonda (gente che corre a destra e a manca); il demone stesso non è concentrato su di voi, ma sta uccidendo a caso in preda al berserk.
Passive da considerare: Passiva di malessere (chiunque si avvicini troppo al corpo di Mathaus e inali le esalazioni che emana proverà un senso crescente di nausea); passiva di pericolosità (chiunque si trovi a fronteggiare o nei pressi di questo demone proverà un distinto senso di pericolo)
Avete tempo sino al 20/05 per rispondere. Qualsiasi domanda, ulteriore conversazione o punto oscuro verrà come al solito formulato in Confronto.
 
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view post Posted on 20/5/2015, 18:03
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[A nation of thevies - Dorhamat, residenza Almovar]
In lontananza, un lampo rischiarò il cielo. La scintilla di luce prodotta illuminò la finestra della sala, dando corpo al riflesso del pistolero stampato sul vetro scurito dalla notte. Aveva gli occhi tristi e la mente distante, tanto lontana che il bagliore dorato colorò le sue iridi livide senza destarlo del minimo interesse. Levi aveva pensato a Rose per tutta la giornata, e alla colpa martellante che soffocava il suo spirito, quel peso opprimente che non riusciva a dargli pace da troppe notti a questa parte. Per fortuna il tuono seguì alla saetta, e lungo la schiena del pistolero vibrò allora un brivido di ghiaccio che percosse i suoi pensieri, come un folle ubriaco che sfonda una lastra di vetro con un calcio dissennato. Non fu un tremito di paura a sorprenderlo, bensì un pulpito di stupore. Da bambino le tempeste lo avevano sempre angosciato, soprattutto quelle notturne. Più volte si era nascosto nel letto di Pete cercando un conforto fraterno sotto le sue coperte calde. Ma quando un rivale ti è lontano per tanto, troppo tempo, tende a diventare qualcosa di simile ad un amico, quando lo rincontri con occhi più vecchi e maturi. Specialmente quando la presenza del nemico ritrovato ti lascia una sensazione di libertà e di lontananza dal peggiore incubo mai vissuto.
L'eco del tuono scemò e l'antico antagonista di Levi fuggì a nascondersi sotto le coperte calde delle nuvole nere e paterne, cariche presumibilmente di pioggia deprimente. La mente del pistolero cadde di nuovo nel baratro tormentato dei suoi spiacevoli pensieri. Se avesse avuto l'occasione, quella sera, si sarebbe di certo ubriacato fino a svenire dentro una pozza ripugnante di vomito. La sua irrefrenabile voglia di alcool lo rattristò ancora di più, ferendo il suo orgoglio contuso di uomo perduto. I suoi occhi erano lucidi e i suoi pugni stretti di frustrazione, serrati come morse di acciaio, quando una voce, non profonda quanto il rombo del tuono, riuscì comunque a distrarlo.

«Bella nottata, mh?».
Levi si voltò lentamente, incuriosito, inarcando le sopracciglia giacché si ritrovò inaspettatamente davanti l'uomo che aveva ritenuto il più misterioso del gruppo, quando Carlozo l'aveva presentato agli altri, quel pomeriggio. Lo sguardo del pistolero si fermò sul libro che Corvobianco stringeva sotto il braccio, e gli diede fastidio non riuscire a leggere il titolo del volume, data la seccante penombra che aleggiava nella sala. Di certo non era un libro di favole per bambini, quelle belle fiabe che la madre di Levi adorava raccontare ai suoi amati figli prima di rimboccarli le coperte e augurar loro la buonanotte. Storie con un lieto fine. Il pistolero lasciò cadere nel vuoto il banale incipit che Corvobianco aveva utilizzato per dare il via alla loro conversazione, rispondendo con un gesto accondiscendente del capo. "No, non è affatto una bella nottata".

Levi indicò il libro. «Ti piace leggere?» domandò, con un sorriso stanco sulle labbra.
«Diciamo che è il mio lavoro» Rispose Corvobianco, con una smorfia.
Lo stupore di Levi sussultò. Studiò con maggior interesse il suo interlocutore, soffermandosi ora sulla tunica bianca che l'uomo indossava. Forse il suo istinto lo aveva portato ad un pregiudizio scorretto. Il mistero che celava quella sagoma altezzosa dai capelli albini poteva essere, in realtà, un rebus divino. Prima di iniziare a bere, la vita di Levi era stata punteggiata da molteplici messe e preghiere. Il dannato aveva più volte invocato aiuto a divinità immateriali, gesti che in seguito aveva ritenuto delle immonde idiozie, quando l'ammontare del tempo gli aveva fatto notare il silenzio abissale che gli rispondeva, echeggiando nel cielo. L'unica persona che poteva aiutarlo e di cui poteva davvero aver fiducia era la sola che vedeva riflessa nello specchio ogni mattina. Una volta imparata quella rigida lezione di vita, il pistolero aveva sostituito Dio col Whisky. Però portava ancora rispetto per gli ecclesiastici e in quel momento si dispiacque per essere apparso maleducato e formale agli occhi di un potenziale sacerdote.

«Sei...» Tergiversò per un breve momento «Siete un uomo di chiesa?».
La reazione di Corvobianco lo lasciò di stucco.
La sua risposta sembrò, in parte, indugiare. «Non esattamente, anche se sono stato educato ai misteri dei dodici»
Levi sorrise di nuovo, con più enfasi di prima, cercando di smorzare la tensione.
«Forse un giorno potrò confessarti i miei peccati, così tu potrai assolvere le mie colpe»
Tornò a studiarlo con interesse.
«Ognuno di noi ha delle colpe da scaricare dalla coscienza...»
"E quali sono le tue, Albino?"
«Non credi?»
Corvobianco annuì.
«Alcuni più di altri» rispose con saggezza.
«Peccato che le colpe non possano scaricarsi e le assoluzioni siano inutili. Siamo noi stessi a doverci assolvere»
Quanta verità, troppa. Sacerdote o no, quell'uomo si stava rivelando particolarmente interessante. Levi abbassò gli occhi, colpito dalle parole forti di Corvobianco. Siamo noi stessi a doverci assolvere. E come poteva un bambino dannato, marchiato per l'eternità come schiavo dell'inferno, dal cuore maculato da una condanna infida e violenta, cresciuto in un mondo senza sole e senza tempeste, innamorato perdutamente di una donna che ha poi abbandonato con una promessa non mantenuta nelle crude steppe di una regione inesistente e di cui ha dimenticato il profilo angelico del volto; come può un uomo che ha tradito il suo popolo, alimentando il malvagio e sconfinato potere del demonio, e che ha ucciso diciannove uomini innocenti, uomini felici, innamorati e giusti, assolvere cotante colpe distruttive?. "Rispondi, Albino, perché io non conosco risposta". C'era stato un giorno in cui il pistolero aveva pensato al suicidio. Piantarsi una pallottola nella testa, così finalmente ogni fottuta maledizione del cazzo sarebbe scomparsa nel buio del nulla oltre la vita. L'avrebbe fatto volentieri, senonché il suo morire sarebbe significato per Rosaline la condanna definitiva alla sofferenza eterna, e la Rosa non avrebbe mai più rivisto il sole freddo d'estate e la neve calda d'inverno. C'era stato poi un giorno in cui il pistolero aveva creduto di poter ritornare nel Far West a liberare i suoi fratelli e a uccidere lo Schiavista, ma quell'idea era diluita quando Levi si era ricordato di non conoscere la strada del ritorno. E poi sapeva quanto sarebbe stato pericoloso uccidere lo Schiavista.

Levi prese aria con un profondo sospiro.
Ruotò gli occhi dietro le sue spalle, cercando di sviare la conversazione.
«Brutta storia, eh?» affermò, e con un gesto della mano esplorò la sala.
«Quattro uomini e due donne a badare ad una ragazzina che segue lezioni di piano»
Espose a parole i dubbi che lo assillavano, tornando a fissare l'orizzonte oscuro al di là della finestra.
«Lo trovo parecchio strano. Qualcosa non mi quadra»
"Qualcosa che, Dio non voglia, potrebbe avere a che fare con i demoni"
«Strano? Non vedo una sola cosa giusta, qui intorno» Rispose Corvobianco,
«C'è solo da sperare che la ragazzina non faccia i capricci, ma non ci giurerei»
Levi continuò a scrutare l'orizzonte, lasciando le parole dell'Albino perdersi in una lunga pausa di silenzio.
«Ho sentito uomini parlare di orde di demoni, a est»
Levi aveva bisogno di risposte,
e in parte aveva accettato il lavoro alla residenza Almovar anche con la speranza di soddisfare la propria curiosità.
«Sai niente?»
Il pistolero tornò a guardare l'Albino negli occhi.
Il suo sguardo ora era corrucciato, a differenza di quello di Corvobianco che sembrava illuminato di gusto.
«Demoni» rispose con enfasi,
«Spero proprio sia vero»
Un nuovo lampo brillò nel cielo, illuminando il ghigno inquietante dell'Albino. A quelle parole il cuore di Levi sobbalzò, scaricando una raffica furiosa di rabbia ad ogni angolo del corpo, impennando le rade pelurie delle braccia e delle gambe come soldatini di latta che rispondono all'appello di un'infante giocondo. Il pistolero, enormemente offeso da una tale idiozia e superficiale affermazione, avrebbe volentieri sbattuto Corvobianco contro la parete. Come poteva mai un uomo sperare che un'orda di demoni attaccasse il proprio continente, mietendo anime senza colpe, distruggendo villaggi umili e neutrali, animati dal solo gusto della violenza? Come poteva mai un uomo sperare nel rischio di veder crollare la civiltà degli uomini sotto l'egemonia delle ombre e della fame, in un mondo vuoto senza sentimenti, calpestati dai piedi deformi e infangati dei diavoli? Come poteva mai un uomo sperare in un continente senza amore?.

"Ti auguro col cuore di finire esiliato nel Baathos, Albino, e di perdere tutto ciò che ami"
Forse così avrebbe compreso il sentimento che ora scuoteva i pugni serrati del pistolero.
«Che significa?» Levi trattenne a stento il disprezzo nel suo tono duro.
«Hai a che fare con loro I suoi occhi arsero di brutali accuse.
«Potremmo proprio dire di sì. Io adoro i demoni. Dovresti sentire come urlano, quando vengono imprigionati»
«Imprigionati...?» Obbiettò il pistolero di scatto, tradendo la sua quiete fallace.
Levi soffermò poi lo sguardo sulla sua pistola per un lungo momento.
«Tu sei pazzo» Apostrofò, con enfasi, la parola pazzo, sputando fuori un fiotto caldo di bile acida.
Il dannato lo fissò con freddezza,
ma poi ritrovò la calma e preferì sorridergli per mascherare la contrarietà sotto un falso velo di ammirazione.
Quando Corvobianco rispose, Levi raggiunse l'apice della sopportazione e si congedò dall'uomo in bianco con un rapido saluto del capo. Durante la notte che seguì, il pistolero non riuscì a riposare con facilità. Il suo cuore pompava disaccordo nei suoi pensieri, e l'Albino ospitò la maggior parte dei suoi sogni, plasmandoli in fenomeni onirici collerici. Il mattino lo svegliò di buon'ora, trovandolo madido di sudore e colmo di rabbia.







[A nation of thevies - Dorhamat, quartiere del Tridente, piazza del mercato]
Ophélia Almovar aveva insistito per visitare la fiera del Tridente, un evento settimanale organizzato davanti al palazzo omonimo, nella piazza del mercato cittadino. Carlozo non era riuscito a imporre alla ragazza la propria autorità, e adesso Levi, Corvobianco e tutte le altre guardie stavano scortando Ophélia per le vie del Tridente. Il pistolero era stato fermamente contrario ad accompagnare la ragazzina senza il supporto dei domestici, persone di cui la famiglia Almovar si fidava oltremodo da parecchi anni, lasciando l'incolumità di Ophélia nelle sole mani di stranieri sconosciuti, assoldati tra la popolazione comune di Dorhamat. Soprattutto se tra questi vi erano un dannato e un idiota, che sperava di incontrare i demoni e di divertirsi con loro, imprigionandoli Dio solo sapeva in chissà quale fottuto buco di culo. Ma in quella tarda mattina, Levi aveva deciso di lasciare le proprie questioni morali e le proprie obiezioni etiche alla residenza Almovar, pensando soltanto al conseguimento della propria missione. Accompagnò Ophélia in un glaciale silenzio, ascoltando rapito la conversazione animata della ragazza col suo giovane amichetto, prestando invece minor interesse all'uomo in divisa in fondo alla via che annunciava il nome delle giornaliere vittime della malattia contagiosa che pareva essersi diffusa in tutto l'Akeran.
Raggiunto il punto prestabilito, Levi si allontanò dal resto del gruppo, infilandosi in una via secondaria che seguiva il cammino di Ophélia parallelamente, solcando la massa in solitudine. Il pistolero, finalmente a suo agio lontano da sguardi incuriositi, avrebbe avuto così una visuale maggiore sulla folla gremita e un angolo migliore da dove poter cogliere di sorpresa un eventuale malintenzionato poco attento. Il dannato seguì passo passo il gruppo, tenendosi a sufficiente distanza da riuscire a distinguere i fazzoletti rossi che alcuni di loro avevano accettato di indossare, per non perdersi di vista, e di tanto in tanto Levi sventolava il proprio foulard, issandolo al di là sopra delle teste della gente, come a rispondere ad un appello militare.
Tutto filò liscio e tranquillo per un bel po', fino a quando, alla destra di Levi, non lontano da lui, esplose un grido di terrore che, come l'onda provocata da un sasso lanciato in una pozza d'acqua, dilagò istantaneamente bagnando tutta la massa degli astanti. In un batter d'occhio tra la folla serpeggiò il panico e la gente impazzì, cominciando a correre a destra e a manca, e a spingere con violenza. Levi saltò sopra il bancone di un uomo dai connotati tropicali, sfuggendo per un pelo all'onda di caos che riempì la piazza del mercato. Il negoziante reagì con un fievole grugnito, mentre prendeva parte alla calca strappando dal suo banco gli ultimi oggetti di valore che riuscì a infilarsi in tasca, senza degnare di troppo interesse gli stivali impolverati del pistolero che macchiarono i suoi costosi tappeti orientali.
Quando Levi spinse lo sguardo al di sopra dell'orda di gente, in direzione dei suoi compagni, vide una sagoma tenebrosa che solo remotamente poteva somigliare a quella di un uomo, circondata da una nuvola di fumo cinereo. La sua pelle era cosparsa di pustole virulente e il suo volto, rugoso, era rigato da molteplici zanne ferine. Levi non riuscì a individuare Ophélia, né tantomeno il tenero ombrellino color neve che la ragazza si era portata da casa, e un angoscioso groppo di paura ostruì la sua gola. Levi agitò violentemente il foulard in aria, richiamando l'attenzione delle altre guardie. La priorità era trovare la ragazza e portarla in salvo, lontana dalla piazza del Tridente. Poi la vide, stesa in terra priva di sensi. Allora la paura cessò e Levi diede forma alla sua avversione con un grido agghiacciante che sguinzagliò un'onda sconvolgente di cavalli sbizzarriti lungo tutta la sua schiena. Non avrebbe mai permesso a un mostro - "Demone, cazzo! Quello è un demone, non un mostro!" - di uccidere una bambina innocente. Mai.
Levi estrasse la pistola con una destrezza fuori dal comune, armò il cane e allungò il braccio, prendendo di mira la testa della Cosa. Sparò, senza esitazione, avvantaggiato da un'angolazione ottimale che gli donava una visuale pulita. Non era sua intenzione, e mai la sarebbe stata, farli prigionieri.

B A N G

La detonazione sovrastò il frastuono della folla e per un attimo il silenzio della piazza sanguinò dell'eco straziante dell'esplosione.
"Dimmi, Albino, ti piace ancora così tanto sentirli urlare?"

Levi si concentrò sul demone, cercando di distruggerlo completamente, senza lasciargli la possibilità di reagire o di ferire qualcuno. Riempì la mente del nemico di un sentimento probabilmente estraneo alla sua natura. Il sentimento sovrano della siccità, in grado di prosciugare ogni altra pulsione emotiva: la tristezza. Poi si gettò in mezzo alla folla, nascondendosi tra le persone in fuga e puntando dritto verso Ophélia. L'avrebbe salvata - oh sì - fosse stata l'ultima cosa che avrebbe fatto nella vita.





the Gunslinger
B (-5); M(-10); A(-20); C(-40)

Fisico 75/75
Mente 75/75
Energia 130/150

Passive
- capacità di difendersi da più attacchi fisici o da attacchi fisici inaspettati (6/6)
- capacità di comprendere classe e talento del bersaglio (6/6)
- difesa psionica passiva (5/6)
- le tecniche attive di classe causano una malia psion di compassione nel bersaglio (6/6)

Attive
- ab. personale 5, offensiva, psionica, consumo energetico alto, risorsa mente, danno alto sotto forma di deprimente malinconia, il bersaglio perde i ricordi e la percezione dell'amore e delle sue passioni: il cuore oscuro che dimora nel dannato può generare un'offensiva psionica devastante, pagando un'alta riserva energetica e strappando all'anima bersagliata ogni sua reminiscenza e consapevolezza sull'amore e sulle sue passioni più care, rendendolo un vuoto burattino in balia di una corrente tempestosa.
-

Equipaggiamento
- Revolver (5/6), impugnata
- Armatura naturale, pelle coriacea
- Arma naturale, artigli retrattili (retratti)
- Cinturone (36/36), munizioni per il revolver

In breve
Levi fa la spiacevole :v: conoscenza di Corvobianco, un uomo che ritiene superficiale e pazzo, per le sue idee riguardo ai demoni.
La mattina seguente si separa dalla scorta per avere una visuale migliore della piazza. Quando si accorge del tumulto il demone ha già colpito Ophélia. Levi si arrampica su un bancone e spara al mostro, mirando alla testa, successivamente gli lancia una offensiva psionica di potenza e danno alto, e si confonde nella folla cercando di raggiungere la ragazzina.

Note
Niente da aggiungere, senonché Apo non ho assolutamente niente contro di te o i tuoi personaggi, è il pistolero che ha poco senso dell'umorismo e prende tutto troppo seriamente e malinconicamente sul personale.


 
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Allea
view post Posted on 20/5/2015, 21:21




Berzenev siede sul letto di Christopher, cercando di capire come, esattamente, uscire da questa situazione estremamente spiacevole. Non dovrebbe essere difficile non farsi notare da questi nuovi arrivati, ovviamente, ma quello che lo preoccupa è il tempo in cui rimarranno con loro.
Non ha ancora in mente una perfetta tabella di marcia, non ha ancora finito di osservare, ma sa che non ci vuole molto ancora perché lui possa impossessarsi della piccola Ophelia. Ovviamente, però, non può farlo con tutte queste persone nuove di cui non conosce i comportamenti, né le abitudini. Né, a dirla tutta, la potenza.
Come deve pianificare il loro ingresso nella tenuta? Nessuno sembra veramente contento della loro presenza, ma allo stesso tempo si sentono sollevati per la protezione aggiuntiva, dopotutto chi non ha sentito dei problemi che stanno succedendo in città?
«Loro possono proteggerci» mormora Christopher e Berzenev si volta a guardarlo.
Il bambino è raggomitolato ai piedi del letto, lasciando a Berzenev la posizione migliore accanto ai cuscini (com’è giusto che sia).
Christopher non è esattamente libero dal suo controllo, non può permetterglielo, e può sentire i suoi pensieri annacquati e confusi, che cercano di capire cosa sia successo oggi, cosa abbia fatto.
È un’impresa futile, lui lo sa bene, ma ogni portatore reagisce al controllo in modo diverso e lui non può certo privarli dei loro svaghi.
«Da cosa, esattamente?» gli chiede sistemandosi meglio sui cuscini dietro di lui.
Non è abituato a letti così poveri, ma suppone di non potersi lamentare così tanto, è certamente meglio di dover dormire all’aperto come gli capita certe volte. I suoi portatori non sono certamente il mezzo di trasporto più veloce per spostarsi, ma ha imparato ad adeguarsi tempo prima.
Chris lo sta fissando, non sta sbattendo le palpebre e probabilmente è colpa sua. Berzenev non ha bisogno di tutte queste piccole accortezze che i suoi trasportatori sembrano bisognare così disperatamente, a volte si scorda di dare loro il permesso di farlo.
Una volta gli occhi di uno dei suoi trasportatori si sono seccati così tanti che il bambino ha perso la vista in maniera permanente. Berzenev cerca di farci più attenzione da allora, certamente.
È così difficile, però.
Gli fa sbattere le palpebre una volta, poi due. Poi Christopher sembra prenderci l’abitudine e lo fa senza che Berzenev glielo deva ordinare.
Si rende conto solo dopo qualche secondo che sta piangendo.
«Da te?» dice piano, insicuro. Si porta le mani ai capelli e Berzenev lo deve fermare prima che cominci a tirarseli.
Sospira e decide di alzarsi. Le sue gambe non sono fatte per muoversi troppo, ma il materasso è abbastanza morbido per non dargli alcun fastidio.
Cammina verso il bambino e posa una delle sue zampe sulla fronte dell’altro, guardandolo.
«Quando avrò preso Ophelia andrà tutto meglio, no?» gli chiede, perché ne hanno già parlato. Come ne ha parlato alla sua precedente trasportatrice, anche lei a volte non sembrava capire. È stato un peccato vederla rovinarsi così tanto, ha dovuto abbandonarla molto prima di quanto sperava.
«Dopo Ophelia andrà tutto bene. Dopo Ophelia tutto sarà perfetto» ripete il bambino, piano, e Berzenev sorriderebbe, se potesse.
Il problema, di nuovo, sono questi nuovi arrivati.
Potrebbe provare ad ucciderli, ovviamente, ma questo potrebbe rovinare il suo intero piano. Avvelenarli sarebbe fin troppo semplice, ma rischierebbe di allertare ancora di più la servitù e portare ancora più persone.
Non può permettere nulla del genere. Potrebbe provare a prendere ora Ophelia, ovviamente, sfruttarli come sua guardia del corpo personale.
Il pensiero lo rende felice.
«Potrebbero salvarci» ripete Christopher. Ha smesso nuovamente di sbattere le palpebre «salvarci da te»
Berzenev lo guarda e per un secondo sembra quasi che il bambino si stia liberando. Passa in fretta.
Berzenev si ricorda di fargli sbattere le palpebre. Una. Due.

Non capita spesso che la piccola Ophelia sia in vena di capricci, a dire il vero, tutti i trasportatori prima di passare dalla sua parte hanno questi piccoli momenti, Berzenev ha imparato a tollerarli come spesso si fa con esseri di livello inferiore.
Ha lasciato, quindi, che la madre del trasportatore gli mettesse dei bei vestiti, che gli spazzolasse i capelli mentre ripete, con un sorriso ebete, quanto sia fortunato.
«La signorina Ophelia deve volerti molto bene» dice, sistemandosi l’unica camicia non mangiata dalle tarme «potrebbe essere una cosa buona»
Christopher avrebbe odiato questa cosa, probabilmente, può sentire, se si concentra, i suoi sentimenti che cercano di attraversare la nuvola ovattata, ma Berzenev lo silenzia facilmente.
Non gli sono mai piaciuti i sentimenti dei trasportatori, fin troppo forti.
«Carlozo è stato chiaro, Chris, devi comportarti bene, okay? Non separarti mai dalla signorina o dalle guardie del corpo, puoi farlo?» chiede la madre, preoccupata. Sembra stanca, i capelli non sono ben spazzolati, probabilmente sarebbe facile passare ad impossessarsi di lei.
«Si, madre» Berzenev fa dire al bambino e la donna gli sorride.
«Devi per forza portarti quel pupazzo, Chris? Non ti sembra un po’…» comincia la donna, ma Chris scuote la testa e si affretta a recuperare il coniglietto di peluche.
«A Ophelia piace, madre. Sto pensando di regalarglielo» si limita a dire.
La madre sembra confortata da questo pensiero.

Non ha mai sentito parlare della fiera del tridente, ma ha visto tante feste simili nella sua vita. La folla intorno a loro è opprimente e non è facile continuare ad ordinare a Christopher di rimanere attaccato ad Ophelia e non farlo muovere troppo, odia essere scombussolato.
La bambina sta parlando, spiegando loro cose che gli sembrano estremamente poco importanti, eppure deve fare finta di stare ascoltando, di pendere dalle sue labbra, dopotutto non è altro che uno stupido bambino figlio della servitù.
Ophelia sembra stranamente di buon umore, e sembra essere stranamente a suo agio tra la marmaglia che sta loro intorno.
Berzenev preferirebbe essere a casa, possibilmente seduto nella grande sala con Ophelia che lo deliziacon una delle sue sinfonie. Quando diventerà padrone del mondo la costringerà a suonare ogni giorno, ogni secondo.
Anche lui, come molti, non sta prestando attenzione, troppo impegnato ad ascoltare Ophelia e il racconto su suo padre e a fare in modo che le mani sudaticcie del suo trasportatore non gli sporchino la stoffa ed è forse per questo che, come Ophelia, si accorge troppo tardi di cosa stia succedendo.
Al contrario della bambina, però, ha la fortuna di non essere colpito in pieno dalla carica del demone, infatti viene solo leggermente spinto, ma è abbastanza per mandare Christopher a terra e fargli perdere la presa su Berzenev.

oecsHtF



La folla comincia a scappare a quel punto, ma fortunatamente Berzenev è troppo vicino al demone perché qualcuno cerchi di calpestarlo, e quando Cristopher torna a raccoglierlo non deve salvarlo da nessun lurido piede.
Sente che il bambino ha paura, sente che ha un malessere ancora più forte e Berzenev lo sente di riflesso. Ha paura, sa che quella bestia è pericolosa, sa inconsciamente che è rivoltante come solo poche altre cose al mondo possono esserlo.
Sa che, se non fanno nulla, potrebbero morire.
Ophelia è indispensabile, ma Christopher non lo è. In fin dei conti potrebbe approfittare della confusione per fare uno scambio, nessuno troverebbe nulla di strano.
Quando prova a voltarsi per cercare la bambina, però, non vede nulla. Si sono rimessi in piedi, ma la massa di corpi terrorizzati che li circonda non permette loro di scorgerla.
Il demone continua ad uccidere persone indiscriminatamente e con ogni secondo le probabilità che anche Ophelia muoia crescono.
Può vedere le guardie del corpo della bambina prepararsi a combattere, pur inceppati dalla folla intorno a loro.
Può lasciarli al loro destino, opzione certamente allettante, o provare ad aiutarli.
Ophelia è indispensabile, non ha molta scelta.
Mentre Christopher lo tiene fermo, Berzenev alza le braccia e sente le sue cuciture muoversi, prendere vita, lasciare il suo corpo per cercare di andarsi ad avvolgere al corpo del mostro, bloccarlo e inchiodarlo al pavimento.
Sono quattro fili che si avvolgeranno intorno agli arti del demone, conficcandosi poi nel terreno, bloccando così qualsiasi suo movimento. Spera che così, per quanto incompetenti possano essere, gli altri possano colpirlo.
Christopher lo stringe di più contro il suo petto e Berzenev si rende conto, distrattamente, di non averglielo ordinato.
«Possono salvarmi» mormora il bambino e Berzenev lo guarda.
Nessuno può gli mormora, ma Christopher sembra già saperlo.


EHskr1J
[B: 5%; M: 10%; A: 20%; C: 40%]
Corpo 75% Mente 125% Energia 90100%
CS: 0

Attive e Passive
Personale 6/25, Dei fili intrappolano il nemico impedendogli di muoversi per un turno, Cercare di muoversi troppo o di liberarsi senza l'aiuto di tecniche comporterà un danno medio. Consumo M. Natura Fisica. Risorsa Energia, Risorsa Target Corpo

Note:
Come concordato con i miei compagni l'unica reale azione del mio personaggio è cercare di bloccare l'avanzata del demone e quindi rendere più facile per gli altri colpirlo, cercando dunque di agevolare i loro attacchi ;3
Cerco quindi di bloccarlo fermandogli gli arti e ancorandoli al suolo \O\ Poi essendo piccolo e fatto di pezza me ne sto in disparte

 
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Caccia92
view post Posted on 21/5/2015, 00:03






{Dorhamat, un vicolo buio}
probabilmente estate; il tramonto





« Questo è denaro? Lo immaginavo diverso. »
Robert fissava i piccoli tondi luccicanti adagiati sul palmo della mano sinistra. In totale erano cinque: due spessi e argentati, tre sottili e color ruggine. La sua pelle non aveva mai toccato delle monete, almeno fino a quel momento. Le soppesava con espressione critica, facendole scorrere una sopra l'altra in continuazione. Stando a quanto gli aveva riferito il custode Carlozo, quei pezzi di ferro potevano garantirgli un giaciglio per la notte. Aveva chiesto una stanza singola nei pressi della residenza, ma non vi erano alloggi così esclusivi per guardiani e servitori. La situazione poteva presentare sia vantaggi che svantaggi. Stare lontano dagli occhi indiscreti dei suoi compagni era un bene; permanere un'intera notte nel bel mezzo del porto più affollato del continente, invece, presentava diversi rischi. Dei due mali aveva scelto quello minore. Vicoli bui e taverne malandate erano ottimi terreni di caccia, nascosti alla vista e frequentati raramente da soggetti lucidi. I moribondi e i poveracci rappresentavo le vittime migliori, nessuno li cercava o sentiva la loro mancanza. Soprattutto, le autorità non facevano domande.
Portato dall'aria secca di un'estate maledetta, un sospiro giunse chiaro alle orecchie di Robert.
« Non andrò a caccia questa notte. »
La domanda sorse spontanea: perché? Se D. non assorbiva ricordi, la sua mente sarebbe rimasta vuota il mattino successivo. Aveva già vissuto quel tipo di esperienza, quando si era ritrovato solo a vagare per un deserto di sabbia e polvere. Orribile. Il cervello era come un involucro di metallo; se non veniva utilizzato, arrugginiva nel giro di poco tempo. Durante quell'infinito periodo in assenza di pensieri e immagini, il suo sguardo era rimasto fisso e vitreo per il resto della giornata. Le sue gambe erano avanzate senza controllo, conducendolo fino alle catene montuose del Nord. Poi era tornata la notte e D. aveva mangiato nuovamente. Non sapeva se il mangiasogni soffriva il digiuno quanto lui, ma non voleva collezionare un altro giorno buio. Un giorno in cui, di fatto, non era mai esistito.
« Devi. Se non lo farai, io impazzirò. »
Il successivo respiro di tenebra fu molto più pesante e consistente del primo. In qualche modo Robert riusciva a cogliere i diversi stati d'animo della sua controparte, anche se non poteva tradurli con precisione. Percepiva un misto di irritazione, attesa e riflessione. D. stava organizzando qualcosa, qualcosa che, sospettava, era nuovo al loro rapporto.
« Ti concederò un mio ricordo. »
Silenzio.
Robert impiegò qualche istante per metabolizzare ciò che aveva udito. Il ricordo...il ricordo di un mangiasogni. Dunque non aveva capito nulla. D. era una presenza reale, una presenza che possedeva una vita e persino un passato, non una forma distorta della sua natura. Era una scoperta davvero importante per lui: significava che Robert e il mangiasogni erano due entità ben distinte e differenti.
Senza porre ulteriori quesiti, ma con la testa affollata di interrogativi e prospetti futuri, Robert si avviò lungo il vicolo buio di Dorhamat. Rimase zitto per tutto il tragitto nell'oscurità, temendo di far trasparire i suoi pensieri. Il rapporto di timore-rispetto che aveva con il Divoratore di Sogni non doveva mutare, specialmente per la sua sanità mentale e la sua integrità fisica. Scorse la figura di un edificio male illuminato in fondo alla via. Un'insegna di legno ammuffito pendeva da un'asta di ferro. Recava il nome: "La Torcia". Era una costruzione d tre piani vecchia e fatiscente, con un finto colonnato all'ingresso e molte finestre chiuse da assi incrociate. Sembrava aperta.
Robert, soldi alla mano, entrò nella saletta principale, dirigendosi verso il bancone che fungeva anche da bar. Attese l'arrivo del custode pregustando già il mattino successivo, mattino in cui avrebbe preso possesso, per una volta, di ricordi estranei al mondo reale.


---------


La stanza era quasi vuota. Il letto sporco e inutilizzato giaceva in un angolo vicino ad un finestrone sbarrato, un comodino pieno di buchi stava poco più a destra, mentre un armadio a due ante completava la mobilia sulla parete opposta. La lampadina che pendeva dal soffitto era spenta. Un fascio di luce proveniente dal corridoio esterno, tuttavia, schiariva quello che altrimenti sarebbe stato immerso nelle tenebre.
Una figura gigante e avviluppata su se stessa restava immobile in un angolo. La bocca cremisi e brillante esalava un fiato pesante. Era un respiro e, al tempo stesso, non lo era. Nel vapore che lentamente riempiva la stanza si percepiva rancore, rabbia e una forma acuta di dolore.
Il Divoratore di Sogni pensava a quello che aveva fatto. Concedere un suo ricordo a Robert poteva essere molto rischioso, ma lasciare la sua mente vuota era addirittura peggio. Il cervello umano, in assenza di immagini, frugava e scavava nel passato fino a recuperare qualcosa in grado di elaborare. E nel passato di Robert c'erano memorie che non potevano tornare a galla. Molto meglio tenere occupato l'uomo con la visione di un mondo che difficilmente avrebbe compreso, un mondo di forme e colori fuori dalla concezione dei viventi. Nonostante questo, doveva scegliere con cura quale anfratto della sua esistenza dare in pasto all'innata curiosità di Robert. Successivamente avrebbe escogitato un modo per annullare anche quella fastidiosa necessità.
Assopire l'istinto di caccia non era uno scherzo. La sua bocca cominciava già a prudere e a formicolare in preda ad un calore insopportabile. L'eco di sogni e incubi nell'etere era un richiamo fortissimo, un richiamo proveniente da ogni angolo della città. Fortunatamente per lui, nessun individuo aveva scelto quella catapecchia per passare la notte. Solo un barbone si era acquattato in uno sgabuzzino all'insaputa del proprietario, due piani più in basso. Sempre per pura fortuna, quel barbone non stava sognando alcunché.
Mentre la fame lo rodeva dall'interno, il Divoratore rifletteva. Il tempo passava.

Dorhamat è maledetta.

Quella spiacevole situazione era il risultato delle sue indagini. Avvolto dallo spazio carnale, aveva avuto modo di costatare l'attuale stato della popolazione del porto. Nell'aria si avvertiva quella paura che non aveva nome, la paura per l'ignoto e la malattia. Ma non aveva compreso origine e effetti di quel morbo che stava terrorizzando la gente. Per quel motivo specifico aveva deciso di rinunciare alla caccia notturna. Il pericolo di assorbire sogni corrotti era più che una minaccia effimera.
Nella stanza esplose un urlo di sofferenza. Il Divoratore si contorse, graffiò il pavimento e addentò una sezione di armadio. Man mano che le ore passavano e l'alba si avvicinava, la fame si acuiva e pressava. Si doveva concentrare sulle motivazioni della sua scelta e abbandonare il ruolo di bestia onirica. Forse, per una volta, doveva adottare la strategia umana e riflettere sui fini piuttosto che sui bisogni.
Era un'aspettativa disgustante e un'idea geniale per risolvere il problema del ricordo.









{Dorhamat, piazza del mercato}
probabilmente estate; verso mezzogiorno





Robert era in preda al panico. Un sensazione che veniva dal profondo e che lo aveva sorpreso al mattino come una secchiata d'acqua in piena faccia. Quando i suoi occhi si erano aperti, tutto ciò che lo circondava era nuovo. Pensieri, parole, voci, immagini, odori, segni, colori e volti. Il Divoratore aveva scelto un ricordo ben preciso per riempirgli la mente: la prima volta che aveva interagito con lui. Da quella prospettiva - la prospettiva di D. - il mondo appariva estremamente luminoso e rumoroso. Il sole lo accecava e la pelle sembrava bruciare sotto i raggi martellanti; le espressioni della gente erano strambe, così semplici e prive di significato; le forme erano troppo definite, troppo fisse al terreno. Ogni cosa era...reale. Non aveva altro termine per definire quel sintomo di estraneità. Si sentiva a tutti gli effetti una creatura fuori posto in un'ambiente fastidiosamente bianco.
Poi c'era la fame. In un primo momento non ci aveva fatto caso per la sorpresa, ma quando lo stomaco aveva cominciato a bruciare si era accorto di non poterla ignorare. Era più di una necessità fisica. Il bruciore lo insidiava e si irradiava per tutto il corpo, non gli permetteva di ragionare o semplicemente di compiere i gesti più semplici. Persino camminare risultava faticoso, tanto la mente era concentrata sullo stimolo interno.
Robert non pensava ad una punizione. Anzi, il Divoratore voleva mostrargli quanta forza doveva esercitare per bloccare l'istinto insaziabile. In qualche modo riusciva finalmente a capire perché la metamorfosi era una tappa notturna obbligata: il giorno era luminoso e affollato; il bisogno di nutrirsi non poteva attendere oltre il tramonto. La soluzione perfetta consisteva nella trasformazione durante le ore più buie, quando le vittime dormivano e il trambusto non era eccessivo. Per quel motivo D. si era definito un Mangiasogni nonostante si cibasse di tutta l'essenza vitale delle persone.

Aveva trascorso la mattina in una sorta di limbo. Dalla camera della bettola - curiosamente sfasciata - si era trascinato nello stesso vicolo da cui era giunto. Il riverbero del sole sui ciottoli lo aveva costretto ad avanzare con un braccio davanti al volto. Dal vicolo era passato ad un prato incolto che si allontanava dal centro urbano. Le urla dei venditori di pesce si erano via via affievolite mentre raggiungeva la quiete di villa Almovàr.
Ma, per sua sfortuna, dall'interno della residenza proveniva la musica del pianoforte. Le note perforavano le orecchie come campane ravvicinate, rimbombando nella scatola cranica.
« Musica. Odio la musica. »
Doveva comunque accedere nella residenza. Il lavoro che aveva trovato rappresentava un ottimo punto d'appoggio per comprendere i recenti avvenimenti di Dorhamat. Sapeva solo...che era una questione importante. Arrivò in prossimità della stanza della ragazza pallida e la musica cessò. Il vecchio custode, Carlozo, uscì curvo dalla zona privata della villa per informare lui e gli altri guardiani che avrebbero fatto una passeggiata in città.
Robert sbuffò, ma non disse nulla.
Ophèlia, ben vestita, venne accompagnata da un altro bambino nel cortiletto esterno. Per ovviare ad una problematica logistica, Carlozo chiese alle sentinelle di indossare un fazzoletto rosso per distinguersi nella probabile folla. Robert accolse tra le dita la delicatezza della seta, percependo il fruscio amplificato di dieci volte. Un brivido gli corse lungo la schiena. La sua mente plasmata dal Divoratore percepiva tutto quello che toccava, irritante o meno, come una novità. Non osava immaginare l'effetto del caos cittadino.
Camminarono per alcuni minuti sotto il sole bollente, che lui vedeva come una gigantesca palla bianca. Si sistemò in fondo alla fila, lasciando andare avanti gli altri. Rimase in silenzio per tutto il tragitto, tentando di reprimere il profondo senso di vuoto alla bocca dello stomaco. I suoi occhi viaggiavano rapidi e rabbiosi, valutando ogni pensiero come un banchetto. Scosse più volte la testa per scacciare la sensazione di bruciore, ma questa permaneva o addirittura si amplificava. Certamente la fame che provava lui era meno pressante di quella del Divoratore, eppure già in quello stadio rappresentava un enorme problema.
Imboccarono la via principale, piuttosto lontana dalla banchine, inoltrandosi tra due file equidistanti di edifici bassi. Il flusso di persone si fece rapidamente più intenso, raggiungendo un probabile apice all'apertura di una piazza nel cuore della struttura urbana. Interminabili sequenze di bancarelle e venditori ambulanti fungeva da perimetro allo spazio ciottolato. Un misto di odori penetranti invase improvvisamente l'aria: pesce fresco e crostacei, spezie, sudore, birra, carni rosse e bianche. Ophèlia ridacchiò ed esclamò qualcosa che riguardava un tridente, dopodiché si lanciò in mezzo al mercato. Uno dei guardiani si staccò dal gruppo e sbucò all'esterno della folla.
Nei successivi cinque minuti Robert cercò di non vomitare. Se i rumori e le immagini erano amplificate, gli odori erano esplosioni nelle narici. Presi singolarmente non erano spiacevoli, ma il miscuglio con agenti esterni - quali il puzzo delle bestie e quello altrettanto penetrante degli uomini - gli faceva girare la testa. Di tanto in tanto riceveva una spallata da qualche passante. Non fece caso agli insulti e alle parolacce: il suo unico obiettivo, in quel momento, era reprimere la fame.
Poi giunse quel sussurro vittorioso nella testa.
Ecco un contagiato!
Robert si guardò intorno, allarmato. Intercettò un gruppo di persone che stava indietreggiando velocemente, travolgendo quelli appena dietro. Qualcuno urlò e i suoi timpani esplosero. Ci fu uno schiocco. Un telone e diverse mercanzie volarono a mezz'aria.
« Quello è il contagiato? »
Una creatura stava seminando il terrore nella piazza del mercato. Si era creato un buco dove il mostro avanzava, dilaniando e squarciando tutto ciò che gli capitava a tiro. Robert strinse le palpebre per osservarlo meglio: era un umanoide dalla pelle scura e raggrinzita, ricolma di aculei; il volto sembrava uno strato di pelle unico da cui spuntavano zanne e artigli; su tutta la superficie corporea strane ferite esalavano un miasma che all'apparenza indicava un'elevata tossicità.
« Ora...cosa dovrei fare? »
Il Divoratore rispose stizzito e in preda ad un morboso interesse. Stranamente riusciva ad avvertire i suoi pensieri con chiarezza cristallina, come se una barriera fosse stata rimossa dal giorno precedente.
Colpiscilo! Vediamo come reagisce!
Anche se non coglieva l'utilità di uno scontro con una bestia demoniaca, Robert non desiderava contraddire D.
Aveva già fatto uso dei poteri onirici in svariate situazioni. La complessità del richiamo stava solo nell'impellenza, quindi non doveva faticare molto per entrare in contatto con l'altro mondo. Avvertì il flusso di energie provenire dallo stesso punto in cui la fame bruciava il suo stomaco. Canalizzò queste energie nella gola - esattamente come il Divoratore di Sogni - e attese lo spiraglio adatto per colpire il bersaglio. Avanzò di qualche passo in mezzo alla folla che fuggiva disperatamente. Quando fu certo di aver inquadrato il mostro nero e di non avere ostacoli sulla traiettoria, rilasciò il flusso di potere sotto forma di raggio incandescente.
Non pensò minimamente alla facilità con cui aveva ottenuto l'accesso al lato oscuro della sua anima.








ROBERT/DIVORATORE


Critico {40%} ~ Alto {20%} ~ Medio {10%} ~ Basso {5%}



Mente: 125%
Energia: 100% - 20% = 80%
Fisico: 75%

Passive utilizzate:
- Apatia 5/6 » La mente di Robert è chiusa e insensibile agli stimoli esterni. Questo è il risultato della sua trasformazione e del duro colpo psicologico che ha subito in passato. In qualche modo il cervello ha affinato la capacità di reagire violentemente a tutto ciò che potrebbe destabilizzare ulteriormente il suo equilibrio mentale, annullando pensieri ed emozioni. Ogni effetto psionico passivo mirato a colpirlo viene bloccato all'istante. (Passiva di Talento 1.1, difesa psionica passiva, 6 utilizzi.)
- Mondo Nero 3/4 » Di notte la presenza del Divoratore di Sogni non è solo fisica. Il mostro influenza il campo di battaglia con le sue capacità di rilevazione, estrapolando dalle menti dei suoi avversari gli incubi più ricorrenti o profondi. Quando il Divoratore agisce in un ambiente notturno, richiama a sé il potere di controllare le apparizioni oniriche. I nemici presenti nel suo raggio d'azione saranno disturbati e intimoriti da visioni orribili provenienti dalle loro teste, proprio come in un incubo; tali apparizioni non possono in alcun modo attaccare, muoversi o fungere da difesa. (Tecnica personale di influenza psionica Passiva, i nemici vedono i propri incubi sul campo di battaglia e ne sono disturbati, Psionica, 4 utilizzi.)
- Potere Onirico 5/6 » La forza più straordinaria del Divoratore di Sogni risiede sicuramente nella sua capacità di utilizzare gli incubi delle persone per distruggerli. Il potere in questione deriva da un altro mondo, il suo mondo, una dimensione in cui l'onirico è amplificato a discapito di ciò che è reale. Per questo motivo, quando il Divoratore usa una tecnica Psionica, tale tecnica risulterà di un livello di potenza superiore rispetto al normale, ma tutte le abilità Fisiche subite andranno anch'esse considerate di un livello più alto. (Tecnica personale Passiva, le Psioniche lanciate e le Fisiche subite sono di un livello superiore al normale, 6 utilizzi.)

Attive utilizzate:
- Una Lapide per il Sonno » Per aumentare l'efficacia della sua azione divoratrice e per sfruttare la debolezza delle creature viventi, il Divoratore ha imparato ad instillare una condizione a lui favorevole nelle menti delle sue vittime. Utilizzando una parte delle sue energie, il mostro può cercare di indurre un profondo sonno nel cervello dei nemici attraverso danni a livello psichico. La stanchezza provocata in questo modo rende il soggetto meno lucido e più facilmente assoggettabile alle illusioni. (Tecnica personale AltaCritica, il Divoratore induce una forte stanchezza sotto forma di danni MediAlti all'Energia nell'avversario provocando anche danni MediAlti nel Fisico, Psionica, consuma Energia.)

Riassunto/Note/Altro:
Post decisamente complesso in quanto ho provato ad introdurre una nuova modalità di legame tra i due aspetti del mio personaggio. Per ovviare ad una mancanza di visioni con cui riempire la mente di Robert, il Divoratore decide di inserire un suo ricordo del mondo onirico. Questo rende le percezioni di Robert estremamente amplificate rispetto ai giorni precedenti, in quanto è il ricordo del primo contatto fra i due. Dalla cosa più insignificante come il camminare, alla musica, al tocco della seta...sono sensazioni estranee e nuove. Un ritorno al passato, certo, ma anche un momento in cui è l'uomo ad immedesimarsi nel Divoratore. Non so se nel post ho reso l'idea, ma spero di aver comunque favorito una lettura piacevole.
Per quanto riguarda la parte di combattimento: canalizzo un raggio psionico e lo lancio direttamente sul bersaglio a qualche metro di distanza, contemporaneamente al momento in cui Berzenev utilizza la trappola dei fili. Il raggio è amplificato dalla mia passiva, quindi è di un grado di potenza superiore. Lascio al QM la libertà di interpretare l'influenza di Mondo Nero sull'avversario.

 
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view post Posted on 22/5/2015, 02:07
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Dorhamat, residenza Almovàr; Notte
. pov ― corvobianco



Non riusciva a dormire. Non ci riusciva ormai da parecchio, quando fuori c'era un temporale come quello.
Era il gentile lascito di tutte le notti come quelle trascorse nel monastero a subire le sevizie di quel balordo del suo maestro, insieme all'odio per i religiosi e quello per i demoni. Durante quelle notti, trascorse a sudare e rigirarsi fra le lenzuola in preda ai più tetri pensieri, più di una volta si era scoperto a riflettere su sé stesso con quella povera commiserazione che si avrebbe per qualcuno che agisce molto al di sotto delle sue possibilità. In quei momenti, si era sempre più spesso ritrovato a pensare che era stato sempre contro tutto e a favore di nulla. Si era sforzato per distruggere ciò che odiava -senza riuscirci, peraltro, ché le cose che odiava erano troppe e troppo più grandi di lui- ma non aveva mai lottato per qualcosa, non aveva mai cercato di costruire qualcosa.
Quella notte era un po' troppo lunga perché potesse desiderare di continuare a viverla nel silenzio della stanza che gli era stata assegnata. Inoltre, l'odore di pesco di Imrahil, addormentata fra le sue coperte, aveva impregnato l'aria. Distrutto da quella situazione, si costrinse a mettersi in piedi, cercando di fare il minor rumore possibile, e raggiunse la porta.
Il cigolare sommesso di questa quando ruotò sui cardini gli sembrò paragonabile allo strillo di un demone ferito a morte, nel silenzio sepolcrale che regnava.
Riuscì a guadagnare l'uscita e, con un libro sottobraccio, si incamminò per il corridoio. Stava percorrendolo a passo svelto, deciso a trovare un luogo in cui sarebbe riuscito a studiare in pace, quando notò la presenza del pistolero, una delle altre guardie assoldate per la sicurezza della giovane padrona di casa. Guardava oltre la finestra con lo sguardo rapito, perso fra i lampi che squarciavano quella notte terribile.
Gli si avvicinò, parlando con quella voce che contraddistingueva il suo modo di fare, a un tempo gentile e fermo.
« Bella nottata, mh? »
L'altro si voltò di scatto, colto di sorpresa. Non doveva essergli piaciuta quella repentina entrata in scena ma cercava di non darlo a vedere. Corvobianco, da parte sua, distese le labbra nel sorriso meno falso che gli riuscì di riprodurre.
« Ti piace leggere? » domandò di rimando il pistolero.
No, non gli piaceva. La conoscenza era un'arma, nient'altro.
Scrollò le spalle, rispondendo. « Diciamo che è il mio lavoro. »
« Sei... Siete un uomo di chiesa? »
La domanda quasi irritò il Corvo d'Argento che però, ripensando ai paramenti che indossava, si limitò a rispondere in tono neutro.
« Non esattamente, anche se sono stato educato ai misteri dei dodici. »
Non era una menzogna, ma nemmeno una completa verità. D'altra parte, non vedeva una valida ragione per lasciarsi andare a confidenze di sorta con uno sconosciuto.
« Forse un giorno potrò confessarti i miei peccati, così tu potrai assolvere le mie colpe. Ognuno di noi ha delle colpe da scaricare dalla coscienza... Non credi? »
Quell'osservazione fece sorridere Corvobianco. Le uniche assoluzioni che aveva impartito erano state con il sangue dei peccatori. Zoikar poteva cianciare di giustizia quanto voleva, per lui l'unico perdono possibile consisteva in una buona dose d'acciaio somministrata a sangue freddo. Non c'era vendetta, solo equa compensazione.
« Alcuni più di altri. Peccato che le colpe non possano scaricarsi e le assoluzioni siano inutili. Siamo noi stessi a doverci assolvere »

Dopo qualche istante di silenzio, l'altro cercò di cambiare discorso.
« Brutta storia, eh? Quattro uomini e due donne a badare ad una ragazzina che segue lezioni di piano. Lo trovo parecchio strano. Qualcosa non mi quadra. »
Di nuovo, Corvobianco scrollò le spalle. Avevano tutti la stessa sensazione, riguardo a quella casa e all'atmosfera sinistra che vi aleggiava, ma nessuno riusciva ad esprimerla in maniera compiuta.
« Strano? Non vedo una sola cosa giusta, qui intorno. C'è solo da sperare che la ragazzina non faccia i capricci, ma non ci giurerei. »
E questo era un fatto. Il vecchio Carlozo non sembrava in grado di tenere testa alla sua padrona.
Di nuovo, il pistolero cambiò argomento.
« Ho sentito uomini parlare di orde di demoni, a est. Sai niente? »
« Demoni. » rispose Corvobianco -e i suoi occhi sfavillarono.
« Spero proprio sia vero. »
La reazione dell'altro fu fredda, anche se meno di quanto Corvobianco si aspettasse. Non era una novità, nessuno era in grado di capire perché nessuno lo aveva visto all'opera -a parte de Graaf e Caposorcio.
Accettò quelle parole come un dato di fatto, non c'era molto da aggiungere su quell'argomento. Chiuse gli occhi, annoiato, mentre si divideva dal pistolero. Quella sarebbe stata una lunga notte.

_________________ ______ __ ______ _________________


Dorhamat, quartiere del Tridente; Giorno
. pov ― corvobianco



Come previsto, i capricci erano arrivati sotto forma di una passeggiata in città.
Fin dall'inizio non gli era sembrata una buona idea, ma se Carlozo non era riuscito ad arginare la volitiva Ophelia, che speranze avevano degli sconosciuti ingaggiati come protettori? Corvobianco, costretto a farsene una ragione, cercò di organizzarsi come meglio poteva insieme agli altri. Tenere la giovane sotto stretto controllo non sarebbe servito a molto: se anche tutti gli avventurieri si fossero schierati intorno a lei sarebbero forse riusciti a farle scudo ma in una situazione di pericolo non era assicurato il successo della loro missione. Per di più, in quel modo avrebbero perso la visione d'insieme che, in un luogo affollato come era la piazza del mercato, poteva rivelarsi una mancanza fatale.
Così, il gruppo si divise. Da un lato Lorelei e Imrahil, che camminavano insieme, controllando un lato della piazza a ragionevole distanza dal gruppo principale -che vedeva Corvobianco qualche passo dietro Ophelia, e dal lato opposto Caposorcio che sfiorava le bancarelle.
La piazza del Tridente era un coacervo di voci e colori diversi, mercanti che pubblicizzavano i loro prodotti e clienti che si fermavano, ammiravano, chiedevano informazioni, contrattavano.
In mezzo a quel vero e proprio fiume umano, fra i predicatori e la gente comune, fu difficile inizialmente rendersi conto della ragione di un tale trambusto. Prime a rendersi conto dell'accaduto furono Imrahil e Lorelei. Quest'ultima aveva adocchiato quell'uomo dalla strana andatura, liquidandolo in fretta come un marinaio ubriaco. Vedendo però l'assurda trasformazione avvenuta praticamente davanti ai loro occhi, sussultò e -invece di scattare in avanti, prese un braccio di Imrahil per assicurarsi che anche lei si fosse accorta di tutto -gesto superfluo, ché già le grida di terrore andavano diffondendosi nella piazza e le prime reazioni convulse rendevano impossibile non capire che qualcosa non andava. Con la coda dell'Occhio, Corvobianco intuì il movimento di Lorelei che gli correva incontro, lasciando Imrahil sul posto. Ophelia, poco più avanti, cadeva a terra e -anche se il demone preferì ignorarla- la sua posizione rimaneva pericolosa, rischiava di essere calpestata dalla folla in fuga.
Il Corvo d'Argento fece un rapido cenno in direzione di Caposorcio: a lui il compito di trarre in salvo la ragazza. Per quanto lo riguardava, il Simulacro si sarebbe intrattenuto con quel mostro orrendo. Con un gesto rapido -dettato dall'abitudine e dalla frenesia che precedeva la scontro- si liberò dei paramenti, restando a torso scoperto. I glifi tatuati sul suo corpo si accesero di riflessi vermigli e dentro di sé avvertì il ruggito feroce di tutti i demoni racchiusi al suo interno che ringhiavano riconoscendo un loro simile.
Solo a quel punto, quasi per caso, si accorse di stringere nelle mani Lorelei che aveva assunto la sua forma di Spada Nera, luccicante e pronta a bagnarsi nel sangue altrui.
Frattanto, anche Caposorcio ed Imrahil si erano mossi. Il primo, stringendo nel pugno una Lacrima di Lys, era scattato in avanti, correndo verso Ophelia per prenderla in braccio e trarla in salvo, cercando un luogo più appartato. La Perla d'Alcrisia, invece, sollevava una mano generando una piccola sfera composta da filamenti luminosi; lì c'era tutta la sua determinazione, la sua volontà di proteggere. Quando chiuse la mano, stringendo la sfera, piccole lance di luce passarono negli interstizi fra le dita, finché quel prodigio non esplose, lanciando una miriade di schegge contro il demone.
Il rumore di uno sparo. Anche il pistolero era entrato in azione.
Corvobianco, senza farsi pregare, si portò davanti al mostro.

« معاملات با سفارش خود را »
poco più di un sibilo. Luttuosa, stretta nella sua mano sinistra, vibrò di approvazione.


OPSPOILER-1


CORVOBIANCO
    Il Corvo d'Argento - status_
    0cs (100/100 HP)

    Fisico » 75%
    Psicologico » 75%
    Riserva Energetica » 150%

    Equipaggiamento » spada lunga (riposta) / Luttuosa (Mano sinistra) / Corallo [+3cs saggezza; +1cs esperienza in combattimento].
    _________ ___ __ _


    Abilità utilizzate »

      ♦ Prigione - Il gran numero di ospiti sigillati all'interno del corpo di C. gli permette di utilizzare uno stile di combattimento assai particolare, basato principalmente sulla possibilità di usufruire di una parte dei poteri dei demoni assorbiti -o di utilizzarne direttamente i corpi, particolare da non sottovalutare. Benché i demoni non abbiano un particolare desiderio di rendersi utili a colui che li ha sconfitti, umiliati e imprigionati, non bisogna dimenticare che è nella loro natura l'essere aggressivi e votati al male. L'essere stati rinchiusi per così lungo tempo li ha incattiviti ancora di più, dunque ogni spiraglio che viene concesso per sfogare i loro istinti sarà degnamente occupato. Questo rende senza dubbio più agevole il compito di C. che deve limitarsi all'apertura e chiusura dei sigilli apposti sul suo corpo. Una abilità basilare per il suo stile di combattimento è quella di rilasciare il solo sigillo secondario che collega tutti gli altri presenti sul suo corpo, ottenendo così la possibilità di richiamare, da ogni tatuaggio e sigillo, braccia, gambe, zanne e artigli per attaccare e difendere.
      (medio supporto; natura: magica; risorsa: energia; 4 turni).



LORELEI
    La Madre degli Incubi - status_
    0cs (100/100 HP)

    Forma » Spada Nera.
    Equipaggiamento » n/a.
    _________ ___ __ _


    Abilità utilizzate »

      ♦ Heroesbane - Lorelei può cambiare forma passando da quella umana a quella di spada mantenendo lo stato cosciente (passiva; utilizzi rimasti: 5/6).



IMRAHIL
    La Perla d'Alcrisia - status_
    0cs (100/100 HP)

    Equipaggiamento » n/a.
    _________ ___ __ _


    Abilità utilizzate »

      ♦ Arcane Calamity - Imrahil genera una piccola sfera di emozioni, comprimendola fino a farla esplodere in una miriade di schegge che colpiranno il nemico, trafiggendolo e disturbandogli la mente con le emozioni insufflate nella sfera.
      (offensiva alta - bersaglio singolo; natura magica; risorsa: energia; bersaglio: corpo&mente).



CAPOSORCIO
    Il Re dei Ratti - status_
    4cs [+2cs velocità; +1cs forza; +1cs agilità] (100/100 HP)

    CS Utilizzate » 1cs velocità; 1cs agilità.
    Riserva CS » 1cs velocità; 1cs forza.
    Equipaggiamento » Corallo [+2cs velocità; +1cs forza; +1cs agilità] [UTILIZZATO]
    _________ ___ __ _


    Abilità utilizzate »

      ♦ /// -




Edited by Apocryphe - 22/5/2015, 03:33
 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 27/7/2015, 17:42




A Nation of Thieves
di onestà e folle in tumulto

— demônio —

Mercato_zpsteh13h4n


Dorhamat
giorno; mercato del Tridente


Al Tridente succedeva di tutto, sopratutto in un posto come Dorhamat. Chi vi bazzicava abitualmente poteva dire di aver visto le cose più impensabili: risse e scazzottate, creature strane in gabbia vendute al miglior offerente, inseguimenti e scandali più o meno grandi. Tra quelli presenti quel giorno però, in pochi dimenticarono ciò che il gruppo di mercenari fece al caduto. Alcuni conoscevano persino quell'ubriacone di Mathaus, ma non fecero nemmeno un passo per aiutarlo. Del resto se la corruzione aveva colpito lui, avrebbe potuto colpire chiunque, in modi che non potevano nemmeno immaginare. Per chi aveva avuto il coraggio di rimanere a guardare la scena, o per chi era stato calpestato dai fortunati che si erano allontanati ed era sopravvissuto, il caduto sembrava impazzito: dopo aver schivato una pallottola era stato preso in pieno da un gran numero di schegge di luce. L'attacco aveva fermato la sua avanzata per qualche secondo, poi i suoi occhi si erano allargati e aveva iniziato a colpire l'aria, come se stesse attaccando i suoi peggiori incubi che avevano improvvisamente preso vita. Digrignando i denti e sbavando come una bestia feroce, si vide intrappolato da un gran numero di fili, che gli paralizzarono braccia e gambe. Continuava a mordere l'aria, gli occhi spiritati che guardavano in ogni direzione, piangendo qualcosa che sembrava pece. Quella pantomima durò qualche secondo, perchè qualcosa sembrò fermarlo subito dopo, la sua mente già provata che si incrinava fino a spezzarsi del tutto.
Ululò all'aria tutta la sua disperata follia, spezzando gli animi dei coraggiosi che erano rimasti a guardarlo a bocca aperta. Di umano in lui non era rimasto altro, completamente sopraffatto dalla corruzione.
Infine si accasciò in avanti, crollando con la testa in una pozza di acqua salmastra.
Per alcuni secondi il silenzio pervase l'intero Tridente, un evento che in molti avrebbero ricordato negli anni a venire. Poi i pochi rimasti, con a capo il banditore degli Onesti, si avvicinarono al corpo ormai privo di vita, scalzandolo con la punta degli stivali. Nei loro occhi si vedeva la paura primordiale di chi osserva qualcosa di sconosciuto, che non dovrebbe esistere se non negli incubi derivanti dall'alcol.
Il primo a riprendersi fu proprio lo strillone, e non fu con parole di commemorazione che si rivolse alla piccola folla dietro di lui.
« Il malato è caduto, ma non basta! BISOGNA PRENDERSI CURA DI TUTTI QUELLI TOCCATI DA QUESTO DEMONE!? »
Sottolineò il concetto prendendo la pistola alla cintura e sparando alla testa del caduto ormai morto.
« Portateli a me! LIBERIAMO IL TRIDENTE DALLA MALATTIA! »
Sputò sul cadavere, guardandosi attorno finchè i suoi occhi non si fermarono sul corpicino svenuto di Ophèlia.
Puntò la pistola verso di lei, non per spararle ma per indicare.
« PORTATEMI LA RAGAZZINA! È STATA TOCCATA DAL DEMONE, È GIA' CONDANNATA! »
Alcuni uomini vicino al banditore si fecero avanti, leccandosi le labbra mentalmente al pensiero di poter aiutare un Onesto. Se avessero fatto un buon lavoro probabilmente avrebbero ottenuto la loro protezione. La folla attorno intanto si stava radunando attorno al gruppo, avvicinandosi con curiosità a vedere la scena e tagliando eventuali vie di fuga. Un brusio iniziò ad attraversare la folla, che osservava prima la piccola Ophèlia, poi l'Onesto e infine il gruppo di mercenari.
Che decisione avrebbero preso? E quale sarebbe stata la reazione della folla?
A loro scoprirlo.



QM point


Perdonate l'attesa e il post breve, ma vi ho già fatti attendere abbastanza.
La situazione è quella descritta nel post, i vostri attacchi riescono ad abbattere il caduto, che poco prima di morire però emette un urlo che vi investe in pieno: consideratelo un attacco psionico ad area di potenza Alta, che se subito causa danni alla mente sotto forma di terrore. L'Onesto che ha assistito all'evento vuole quindi che gli consegniate Ophèlia, che è stata toccata dal caduto e che quindi secondo lui si trasformerà presto.
Decidete pure cosa, se consegnarla, difenderla o fare altro.
Per eventuali domande potete chiedere in confronto, dove potete anche mettervi d'accordo sul da farsi.
Non mi aspetto post lunghi, anche uno veloce va benissimo, l'importante è che facciate capire il ragionamento dietro la vostra scelta.
5 giorni di tempo per postare, fino all'1 Agosto alle 23:59.

 
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view post Posted on 1/8/2015, 10:12
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Animals
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I suoi occhi si bloccarono sulla schiena scoperta di Corvobianco. L'Albino era distante, immerso nel combattimento, e Levi notò i glifi sul suo dorso solo di sfuggita, mentre scansava con difficoltà la folla impazzita, facendosi strada verso la ragazza. Ma un lampo di comprensione lo paralizzò in un baleno, accecandolo di stupore. Quell'uomo era completamente pazzo, adesso ne era più che certo. Il pistolero ricordava di aver visto dei simboli simili nelle profondità del Baathos, ma anche se così non fosse stato, dopo la conversazione della sera precedente non poteva avere altri dubbi. "Ecco perché è tanto felice di incontrare i demoni", Levi digrignò i denti e strinse con rabbia i pugni. Doveva ucciderlo, quell'uomo - se così ancora poteva essere definito - rappresentava un enorme pericolo per tutti, se avesse perso il controllo sulla propria anima, i prigionieri di Corvobianco l'avrebbero trasformato in un mostro disumano. Levi armò il cane della pistola. Eppure, guardandolo, il dannato vide con quanta tranquillità combatteva Corvobianco, con quanta naturalezza dominava le anime che dimoravano dentro il suo cuore, e in parte - una piccolissima parte - il pistolero provò ammirazione per l'Albino. Nascose la pistola nella fondina. Se avesse avuto un'altra occasione di parlargli, quando tutto sarebbe finito, gli avrebbe chiesto come riusciva a non farsi influenzare dai demoni che lo abitavano. Il dannato aveva bisogno di sapere, di sapere come combattere i propri incubi.

Una donna lo urtò, richiamandolo alla realtà.
Quando Levi raggiunse infine Ophélia, tirò un sospiro di sollievo. La ragazza era solo svenuta, il pistolero appoggiò l'orecchio alla sua bocca per constatarlo, e nonostante il fracasso, riuscì a udire un respiro regolare, seppur fiacco. Non era ferita da nessuna parte, eccetto sulla guancia, che ora era gonfia e contusa. "Probabilmente a causa della caduta" pensò dapprima il dannato. La prese in braccio, tentando di allontanarla dalla folla gremita, quando un grido spaventoso, colmo di rabbia, frustrazione e dolore imperversò nella piazza, come un minaccioso tuono invernale. Lo stridore penetrò in profondità nei recessi della mente di Levi, rimbombando follemente. Il pistolero dovette far appello alle proprie difese mentali, stringendo con forza le palpebre, per opporsi al dolore che il ruggito del demone gli provocò, e non fu nemmeno sufficiente. Per un lungo momento un groppo di paura intasò la sua gola e Levi non riuscì a respirare, trattenendo il fiato con tanta rigidità come se fosse stato improvvisamente immerso sotto decine di metri di oceano. Quando finalmente riaprì gli occhi, prese una gran boccata d'aria che riuscì, almeno in parte, a schiarirgli le idee.
Il silenzio aleggiava nella piazza del Tridente. Quando Levi si voltò, notò che il demone era steso a terra, morto. Il pistolero posò allora con delicatezza Ophélia, e cercò di avvicinarsi, quanto più possibile, alla carcassa del mostro, per soddisfare la propria curiosità. Ma prima di poterlo raggiungere, il dannato capì che i problemi di quel giorno non erano ancora terminati. Lo strillone riprese a gridare, ammaliando la folla, e sottolineò la propria autorità sparando un colpo di pistola - non una pistola vera, capì subito Levi - dilaniando il cranio del demone esanime. Poi, senza il minimo pudore, allungò il braccio verso il punto dove il pistolero aveva appoggiato la ragazza e ordinò alla folla di portargliela, senza tanti complimenti.
Donne e uomini accerchiarono il gruppo di Levi. Il pistolero si avvicinò allora alla ragazza, facendole da scudo.

«È soltanto una ragazzina»
Gridò a pieni polmoni, colto da un tremito di rabbia e incredulità.
«Ed è ancora innocente»
Il suo cuore accelerò, quando i suoi occhi contarono quante persone effettivamente si stavano avvicinando.
«Noi...»
Urlò, cercando con lo sguardo un aiuto da parte del suo gruppo.
«...siamo stati pagati per proteggere la ragazzina.
Nostro e solo nostro sarà il dovere di intervenire nel caso la malattia l'abbia contagiata.
Abbiamo appena ucciso un mostro enorme. Sapremo cosa fare, contro una ragazzina»

Fece una breve pausa, sfidando con occhi di furore lo strillone.
«La ragazza viene via con noi»
Concluse, senza lasciare spazio a obiezioni.






the Gunslinger
B (-5); M(-10); A(-20); C(-40)

Fisico 75/75
Mente 75/75
Energia 120/150

Passive
- capacità di difendersi da più attacchi fisici o da attacchi fisici inaspettati (6/6)
- capacità di comprendere classe e talento del bersaglio (6/6)
- difesa psionica passiva (5/6)
- le tecniche attive di classe causano una malia di compassione nel bersaglio (6/6)

Attive
- ab. personale 4, difensiva, psionica, consumo energetico medio, difesa psionica media: se infine credete che il punto debole del pistolero sia la mente, vi sbagliate di grosso, perché gli basta consumare un quantitativo medio di energie per schermare la sua anima da qualunque offensiva psionica.
-

Equipaggiamento
- Revolver (5/6), nella fondina al suo fianco destro
- Armatura naturale, pelle coriacea
- Arma naturale, artigli retrattili (retratti)
- Cinturone (36/36), munizioni per il revolver

In breve
Levi si oppone all'ordine dello strillone

Note
L'offensiva psionica ad Area di potenza Alta l'ho considerata di potenza media nei miei confronti, visto che non è stata attivata nessuna passiva di potenziamento delle tech ad area. Spero di aver capito bene.


 
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Caccia92
view post Posted on 1/8/2015, 12:31









{Dorhamat, piazza del mercato}
probabilmente estate; POV: Robert






Il contagiato fece ancora qualche passo, poi urlò tutta la sua disperazione. Un urlo feroce, ricolmo di particelle malate e aggressive. Robert percepì il terrore intorno a lui e, per reazione, chiamò in suo soccorso i poteri dell'onirico. Lo aveva fatto altre volte, ma il legame instaurato qualche giorno prima con il Divoratore rivelò una straordinaria efficienza psichica. La sua mente si schermò nel giro di pochi attimi, chiudendo all'esterno tutto ciò che poteva intaccarla. Le particelle inquinate dalla paura rimbalzarono contro la barriera, disperdendosi rapidamente nell'etere.
Poco dopo il contagiato crollò a terra, esalando quella che sembrava un'aria pestilenziale. Il cervello spappolato dalla pazzia, il cranio aperto dalla caduta. Un liquido nerastro prese a colare tra i ciottoli della piazza, formando rigagnoli densi e maleodoranti. I pochi superstiti alla grande fuga osservavano la scena con profondo disgusto, allontanandosi più che potevano dal luogo dello scontro.
Robert fece una smorfia, ma non era per la puzza. A contatto con il Divoratore, le sue emozioni - che si convertivano in espressioni facciali - erano mescolate e sovrapposte a quelle del mostro. Avvertiva un forte senso di disprezzo per il contagiato, disprezzo e delusione. Anche se non appartenevano a lui, quelle sensazioni avevano una logica chiara.
E la conferma non tardò a giungere, dal profondo della sua anima.
« Pensavo fossero più resistenti. »
Cosa voleva ottenere il Divoratore? Perché doveva verificare la tenuta fisica dell'aberrante creatura?
« L'importante era proteggere la ragazza. »
Un furibondo eco di rabbia lo sconvolse, costringendolo a chinarsi per qualche secondo. Una furia ingiustificata, uno stridere di metallo e artigli e denti.
« Stupido! La Corruzione è la via del potere. Questo era il nostro obiettivo! »
La via del potere. Quella frase poteva significare tutto o niente, ma Robert era quasi certo di non aver mai concordato una tale ricerca all'interno del porto di Dorhamat. Stando agli ultimi accordi, lui doveva solamente trovare una vittima della sconvolgente malattia che aveva colpito quella zona; trovarla e analizzarla. Non si era mai parlato di...corruzione, né di potere. Le conclusioni che portavano a quel ragionamento erano quantomai pericolose e non solo perché il Divoratore poteva percepire i suoi pensieri. La sua vita stava prendendo una piega inaspettata da quando erano sorti i primi demoni dalle viscere della terra. Ma se il Divoratore non era un demone, cosa voleva dai loro rituali oscuri?
Doveva chiederlo. Anzi, aveva atteso fin troppo tempo.
« D. » respirò « che cosa sei? »
La risposta non arrivò mai perché qualcuno aveva iniziato ad urlare. Un uomo molto vicino al cadavere del contagiato stava strillando qualcosa riguardante la malattia e una necessaria epurazione. Non erano importanti i concetti, quanto il tono di voce utilizzato per decantarli. Il Divoratore, estremamente sensibile ai suoni acuti, non poteva sopportare ulteriormente. Robert era spaventato, sentiva il mostro che premeva e spintonava, tentando di emergere dall'involucro di carne; sebbene non desiderasse altro sangue e altra morte, le urla dell'uomo davano fastidio anche a lui. Si raggomitolò a terra, premendosi le mani sui timpani.
« PORTATEMI LA RAGAZZINA! È STATA TOCCATA DAL DEMONE, È GIA' CONDANNATA! »

Si ruppe qualcosa all'interno di Robert: la cassa toracica. Dallo squarcio in pieno petto fuoriuscì una nube scura, un fumo denso composto da tenebra e ira. Il fumo, in principio, avvolse la sua figura in un bozzolo, poi si elevò nel cielo estivo di Dorhamat. Nuvole temporalesche si addensarono e coprirono il sole, facendo piombare la notte sulla piazza del mercato. Un notte nera e crudele, una notte da incubo.
Le ossa di Robert si spezzarono, la sua carne scomparve. Le mani si allungarono e si affilarono, il volto si ritirò nella cortina impenetrabile, la schiena prese la forma di una gobba appuntita. Seguì un rantolo di cenere e una luce cremisi dalle tonalità ipnotiche.
Il Divoratore emerse, gigantesco e furente.



« ORA PUOI GRIDARE. »
Sfruttando il manto notturno, il Divoratore scivolò sinuoso e silenzioso verso il banditore degli Onesti. Dalla sua essenza si sprigionavano visioni orripilanti e immagini macabre. Ignorando deliberatamente tutte le altre persone presenti nella piazza, il mostro raggiunse la sua nuova preda vicino alla carcassa fumante di quella precedente. Sfoderò gli artigli poco prima di impattare con l'urlatore, unghie d'acciaio brillanti e scure come l'ossidiana.
Avrebbe colpito in pieno petto, sollevando l'uomo dal suolo e scaraventandolo nel suo incubo peggiore.









ROBERT/DIVORATORE


Critico {40%} ~ Alto {20%} ~ Medio {10%} ~ Basso {5%}



Mente: 125%
Energia: 80% - (20% + 10%) = 50%
Fisico: 75%

CS: 4(-4) [Forza]

Passive utilizzate:
- Negazione della Forza 3/4 » Fintantoché è nel suo ambiente notturno, il Divoratore di Sogni può entrare in contatto con le tenebre a suo piacimento. Il suo corpo diviene effimero, sinuoso, quasi liquido. In questo stato, il mostro è molto difficile da colpire con semplici attacchi fisici, essendo estremamente rapido nei movimenti. Un qualunque guerriero che volesse attaccarlo con un'arma, dovrà concentrarsi notevolmente per mettere a segno la sua offensiva. In termini tecnici, il Divoratore non risulta immune ai colpi fisici, ma è più sfuggevole. L'efficacia della tecnica è rimessa alla sportività dell'avversario, consistendo difatti in un'abilità con un fattore aleatorio. (Tecnica personale Passiva, quando è notte il Divoratore è estremamente difficile da colpire, 4 utilizzi.)
- Apatia 4/6 » La mente di Robert è chiusa e insensibile agli stimoli esterni. Questo è il risultato della sua trasformazione e del duro colpo psicologico che ha subito in passato. In qualche modo il cervello ha affinato la capacità di reagire violentemente a tutto ciò che potrebbe destabilizzare ulteriormente il suo equilibrio mentale, annullando pensieri ed emozioni. Ogni effetto psionico passivo mirato a colpirlo viene bloccato all'istante. (Passiva di Talento 1.1, difesa psionica passiva, 6 utilizzi.)
- Mondo Nero 2/4 » Di notte la presenza del Divoratore di Sogni non è solo fisica. Il mostro influenza il campo di battaglia con le sue capacità di rilevazione, estrapolando dalle menti dei suoi avversari gli incubi più ricorrenti o profondi. Quando il Divoratore agisce in un ambiente notturno, richiama a sé il potere di controllare le apparizioni oniriche. I nemici presenti nel suo raggio d'azione saranno disturbati e intimoriti da visioni orribili provenienti dalle loro teste, proprio come in un incubo; tali apparizioni non possono in alcun modo attaccare, muoversi o fungere da difesa. (Tecnica personale di influenza psionica Passiva, i nemici vedono i propri incubi sul campo di battaglia e ne sono disturbati, Psionica, 4 utilizzi.)
- Metamorfosi Totale 5/6 » Quando la notte discende sulla terra, Robert subisce un mutamento improvviso e incontrollabile. Il corpo si ritrae e si piega, viene contratto da energie provenienti dall'interno della cassa toracica. Poi esplode in una frazione di secondo, ingigantendosi, colorandosi di rosso e nero. Prende velocemente forma il Divoratore di Sogni. Il mostro appare con le sue fattezze e agisce autonomamente. La mente di Robert rimane segregata dentro una scatola dimensionale al di fuori della realtà, attendendo di riprendere possesso dell'involucro umano. All'alba il mutamento avviene al contrario con le stesse modalità. La mente del Divoratore non viene tuttavia segregata in una gabbia, ma permane in un mondo di tenebra con sembianze eteree. (Passiva Razziale, trasformazione demoniaca notturna, 6 utilizzi.)

Attive utilizzate:
- Rinchiudere la Psiche » Sebbene la mente di Robert sia ben protetta, il rischio di subire danni in quel senso è molto alto. Tuttavia, egli può ricorrere alla sua incredibile forza psichica per schermare totalmente o parzialmente la propria testa. Concentrandosi alcuni istanti mentre sta per subire una tecnica volta a distruggerlo psicologicamente, Rober - e il Divoratore - deflette i danni al cervello ricorrendo alle energie spirituali. (Tecniche personali di entità Media/Alta, una protezione Media o Alta per la Mente, Psionica, consuma Energia.)
- Notte Perenne » Il Divoratore di Sogni necessita di un ambiente notturno per emergere dall'involucro umano. Quando lo richiede il momento, Robert ha deciso di concedere alla sua controparte oscura un metodo semplice ed efficace per apparire e prendere in mano la situazione. Puntando il dito al cielo, Robert lascia defluire una grande quantità di energia del Mondo degli Incubi per mutare il giorno in notte. La trasformazione è reale e avviene attraverso l'impiego di nubi talmente scure da impedire alla luce del sole di raggiungere il terreno, rendendo di fatto l'ambiente circostante estremamente buio. Tale processo può essere annullato con una tecnica di dissoluzione a pari consumo. Dura quattro turni, periodo nel quale il Divoratore beneficia di 4 CS alla Forza. (Tecnica personale di potenza Alta, trasformazione concreta del giorno in notte per quattro turni con aumento di 4CS alla Forza, Magica, consuma Energia.)

Riassunto/Note/Altro:
Robert si difende dalla psionica ad area sfruttando una difesa a Medio. Successivamente, colto da una furia impressionante (è molto sensibile ai suoni, specialmente alle grida) genera un manto notturno e libera il Divoratore. Il mostro, ottenuti 4 CS alla forza, li sfrutta tutti per tentare di colpire l'Onesto. Ignora le altre eventuali persone presenti sul suo cammino, ma non significa che queste siano impossibilitate a fermarlo...ovviamente lascio al QM la decisione. Ho effettuato questa azione - oltre per rabbuiare l'ambiente e permettere una fuga facilitata ai miei compagni - perché potevo permetterlo sfruttando la passiva di incubi e quella di elusione dagli attacchi fisici nella folla. Il ragionamento è chiaro: il Divoratore reagisce ad un istinto e aggredisce la fonte del disturbo.
Credo sia tutto.

 
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Allea
view post Posted on 1/8/2015, 16:08







Non gli è mai piaciuto il caos, ha sempre trovato di poco gusto la confusione e si è sempre ripromesso che, una volta creato il suo regno, avrebbe messo fine a qualsiasi tipo di agitazione.
È per questo che guarda con irritazione il mostro mentre viene sconfitto, la massa di persone che corrono via terrorizzate e l’urlo inumano che proviene dalla bocca del demone, quasi un ultimo atto di vendetta prima di arrendersi.
Patetico.
Non è nemmeno difficile, con un piccolo sbuffo infastidito, respingere l’effetto secondario dell’urlo. Un attacco estremamente goffo e rudimentale, barbaro. Deve solo concentrarsi un secondo, lasciare che il colpo lo attraversi, lo superi.
Non raggiunge lui l’urlo, ma una piccola bambina in un paesino di montagna. Sta giocando con delle bambole e Berzenev non la sta attivamente controllando, no, ma è una delle sue. Nessuno di loro smette davvero mai di esserlo.


(Mentre sta alzando la sua bambola di pezza per farle fare un piccolo inchino spalanca gli occhi e davanti a lei, quasi come un incubo, appare l’immagine di un mostro.
I suoi occhi sono iniettati di sangue e il suo aspetto le ricorda le storie che la Nonna le raccontava prima di morire; storie di diavoli e di esseri che, di notte, rubano le anime dei bambini cattivi.
Comincia ad urlare, lanciando la bambola in avanti e non smette, non può. Ha così tanta paura.
I suoi genitori accorrono, la madre si accovaccia davanti a lei e il padre le guarda dalla soglia, ma Blume continua a urlare.
Prenderà la mia anima! Urla, disperata e graffia il viso della madre, cercando di allontanarsi, di scappare.
Non smette di essere terrorizzata per giorni, continuando a vedere con la coda dell'occhio quel mostro che la vuole così avidamente. Non c'è via di fuga, non c'è modo di nascondersi.
I genitori sono spaventati, ma non sanno cosa fare. Chiamano un prete, sperando che possa fare qualcosa, sperando di poterla salvare.
Per la piccola Blume è troppo tardi, ormai, ma questo ancora non lo sanno).




Il demone cade a quel punto, con un tonfo risolutivo e secco.
Chris lo stringe un po’ più forte e Berzenev si rende conto di non averlo protetto. Ha paura, può sentirlo, ma è facile bloccare qualsiasi sua reazione. È facile spegnere ogni sua emozione fino a lasciarlo una mera pedina sotto il suo controllo.
Tutto come dovrebbe essere.
Ophelia è stata salvata, una delle sue guardie la sta tenendo in braccio, pronto a portala via e lui e il Portatore possono limitarsi a seguirli, piano. Chris è un bambino traumatizzato, dopotutto, non deve necessariamente parlare.
Prima che possano, però, qualcuno li interrompe e riconoscono subito l’uomo di prima, che continuava a chiamare nome dopo nome.
Vuole Ophelia, vuole ucciderla.
Berzenev lavora da tanto tempo per poterla finalmente prenderla, per poterla rendere sua. Ophelia è elegante, talentuosa e sarebbe una Portatrice ideale per lui.
Come osa quest’uomo cercare di portargliela via?
Si avvicina velocemente alla bambina, frapponendosi tra lei e l’uomo.
La guardia sembra deciso a proteggerla, il che è un bene. Non vuole rivelare la sua presenza, non è ancora il momento, avere qualcun altro che lavora al posto suo può aiutarlo.
«Lei è mia amica» dice, con la voce del bambino. Non è abbastanza espressivo, lo sa, e sebbene il bambino stia muovendo le labbra con lui non riesce a fargli fare la giusta espressione. Dovrà bastare «non potete farle del male. Lasciate che la riportiamo a casa, sta bene»
Lo sa che non basterà, davvero, ma Berzenev è sempre stato bravo ad ammaliare, a convincere le persone ad ascoltarlo.
Spera che basti, spera che lo ascoltino e magari potrebbe funzionare, ma vede l’altra guardia muoversi, attaccare e fa fare un passo indietro al portatore, verso la bambina.
Se tutto va male può prenderla ora, costringerla a svegliarsi e portarla via da lì. Se non lo ascoltano, se l’attacco dell’uomo li irrita troppo.
Non può lasciare che prendano la sua preda.
Ophelia è sua.



EHskr1J
[B: 5%; M: 10%; A: 20%; C: 40%]
Corpo 75% Mente 125% Energia 100%
CS: 0

Attive e Passive
Ammaliare il prossimo, dopotutto, gli viene facile quasi come respirare (se avesse dei polmoni, ovviamente), e la mente dei bambini risponde incredibilmente bene. Non sono gli unici che può ammaliare, però, infatti il suo potere si allarga a chiunque sia nelle vicinanze. È un capo nato [Affascinare, 6u 5u].

trasformare la sua voce per far sembrare che sia il bambino a parlare, ma dica esattamente quelo che lui pensa [Ventriloquismo, Basso, Energia].

◊ Personale 2/25, protezione psionica, a livello interpretativo è in grado di “trasportare” il danno da lui ad uno dei tanti bambini a cui è collegato. Consumo M. Risorsa Mente

Note:
Dunque:
Innanzitutto paro il danno psionico dovuto all'urlo del demone con una protezione psionica a medio (dato, come già stato detto, che è un Alto ad area e dovrebbe quindi risultare come Medio). Il bambino, Chris, però lo prende in pieno, ma non agisce di conseguenza in quanto controllato da Berzenev.
Poi a questo punto, quando la folla si volta contro Ophelia Berzenev utilizza l'attiva Ventriloquismo per far parlare Chris e le sue parole dovrebbero essere più convincenti grazie alla passiva Ammaliare.
Si tiene, per il resto, abbastanza in disparte, cercando però di proteggere Ophelia.

Il post è un po' corto ma ho approfittato di avere queste ore libere - finalmente.

 
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PARACCO TRAVESTITO ALOGENO
view post Posted on 3/8/2015, 01:38




A Nation of Thieves
di rivelazioni e rischi calcolati

— demônio —

Bang_zpsgzvrl4bi


Dorhamat
giorno notte; mercato del Tridente


Alfredo Díaz non era mai stato un uomo tanto coraggioso. Come tutti nella sua famiglia aveva avuto le sue scazzottate e certe volte le aveva anche buscate per bene. Non che fosse un vigliacco, per carità, ma sapeva quasi sempre quando era meglio darsela a gambe e quando invece rimanere. In quei momenti, circondato dalla folla e con una pistola in mano, si sentiva un Dio: tutti pendevano dalle sue labbra e sicuramente se avesse sistemato quel casino l'Ammiraglio de Santos lo avrebbe promosso a vero Onesto. Odiava essere uno strillone, era come essere il mozzo trattato male da tutti sulla nave dei sogni.
Il sorriso che gli era apparso sul volto però era svanito rapidamente quando l'oscurità aveva coperto il sole, mentre quello che aveva creduto un uomo si trasformava di fronte ai suoi occhi in una bestia tratta dai suoi peggiori incubi. E tali sembravano le creature al limitare del suo campo visivo: mani e braccia scure che tentavano di ghermirlo e portarlo nelle profondità di Baathos. Iniziò a tremare, accorgendosi con muta rassegnazione di essersi bagnato persino i pantaloni. Vide quella bestia immonda avvicinarsi troppo rapidamente perchè potesse schivarne l'attacco. Gli artigli acuminati gli perforarono il petto come fosse burro, trapassandogli un polmone e mandandolo a volare sopra altre persone, che si ritrassero urlando. Sputò sangue, gli occhi velati dalle lacrime e dalla paura: alzò il braccio come per indicare qualcosa, ma poi sopraggiunse il buio.

BANG BANG



Il doppio sparo echeggiò nella piazza come un fulmine a ciel sereno, spiazzando la popolazione che iniziò a correre come bestie impazzite.
Una persona sembrava perfettamente in sè, capace di rimanere con la mente lucida di fronte alla vista del Divoratore. Pulì la canna della sua pistola con un fazzoletto di velluto, riponendolo subito dopo in un taschino della giacca, come se non avesse appena ucciso un uomo. Le medaglie appuntate sul petto tintinnarono allegramente mentre si muoveva con passo deciso verso il gruppo che aveva difeso Ophèlia, fermandosi a pochi metri da loro.
L'ammiraglio degli Onesti, Guillherme Lopes de Santos, fece un sorriso accattivante da bravo ragazzo, alzando le mani come per arrendersi. Il suo sorriso e i suoi movimenti erano schietti e sinceri come quelli di abile manovratore politico, ma sembrava non avere nessuna intenzione di attaccarli.
« Non temete, brava gente, sono dalla vostra parte! »
Si avvicinò lentamente alla ragazzina, sempre con quel sorriso ben stampato sul volto. Si inginocchiò quindi accanto a Ophèlia, assicurandosi che fosse ancora viva. Annuì varie volte, prima di prenderle un braccio con amorevole cura e voltarsi verso la folla.
« Che diamine, signori, cosa pensavate di fare? Di prendervela con una ragazzina innocente? Sono altri i nostri problemi, ben altri vi dico! »
Parlò a voce abbastanza alta perchè tutta la piazza lo sentisse, senza perdersi una sola parola del suo piccolo discorso.
« Ma qui vi svelerò un piccolo segreto: sapete come si riconosce un caduto? »
Indicò con la mano libera la buon'anima di Mathaus, ancora morto e ancora beatamente riverso nella pozzanghera. Decine di teste si voltarono in quella direzione, seguendo il suo dito. Il sorriso sul volto dell'Ammiraglio si allargò, mentre con destrezza estraeva un pugnale dallo stivale e lo impugnava come se nulla fosse.
« Esatto! IL SANGUE! »
E prima che le sue guardie del corpo potessero far nulla, l'Onesto fece un taglio sul braccio di Ophèlia, senza l'intento di ucciderla sul serio ma abbastanza profondo da far sgorgare il sangue.
Sangue rosso, non nero.
« ROSSO » Sbraitò, conciso, estraendo il fazzoletto dalla giacca e annodandolo attorno al taglio della ragazzina.
« Sangue rosso come una mela ben matura! Non si dica che la brava gente di Dorhamat non sa distinguere un bruto da un Onesto! »
Si rialzò, sistemandosi la giacca con fare pomposo, il pugnale sparito chissà dove.
Si voltò verso Levi e Chris, facendo un cenno sbrigativo con la mano. La sua voce aveva perso quella nota affascinante che aveva ammaliato la folla: ora sembrava solo disturbato dalla loro presenza.
« Prendete la ragazzina e portatela via. Adesso. »
Fece qualche passo verso la folla, girandosi solo all'altezza del Divoratore, puntandogli contro la sua pistola.
« Per quanto riguarda te, invece... »
Armò il cane, premendo il grilletto.
« Fuori dalla mia città. »

BANG BANG




QM point


Fine della quest per tutti!
Il casino è interrotto dall'Ammiraglio degli Onesti (qui trovate una sua breve descrizione), che ferma tutti e dimostra alla folla che Ophèlia non è un caduto. Non gli importa chiaramente di ferirla nel farlo, ma è troppo rapido e inaspettato perchè possiate fermarlo. Gli importa soltanto far vedere a tutti che gli Onesti hanno la situazione in pugno.
Infine attacca Robert con 2 colpi di pistola. Se volete potete fare un post finale con la fine del vostro lavoro. Non è obbligato ma sarebbe gradito, sopratutto da Caccia, con cui mi complimento per lo spirito d'iniziativa.
Passiamo dunque alle valutazioni e alle ricompense, anche se mi sono concentrato sopratutto sui nuovi arrivati:

CITAZIONE
Apocryphe: 250 Gold.
Caccia: 500 Gold
H I G: mi piace molto il tuo stile. Riesci a descrivere l'ambientazione dove si muove Levi con molta maestria, intessendo anche il suo pensiero e creando dei post molto interessanti per il lettore. Il pistolero ha un carattere ben definito che non esita a mostrare nei dialoghi, eppure il tormento inferiore quando si toccano certi argomenti rende il tutto più "saporito". Sul piano del combattimento ti sei comportato bene, anche se potevi osare un po' di più, subendo sportivamente la psionica e descrivendola nel modo corretto. Ti assegno quindi la fascia Verde e 400 Gold,
Allea: a differenza di H I G le descrizioni nei tuoi post sono un po' carenti, ma giustificate dal punto di vista del pupazzo di pezza. Berzenev non è interessato a guardarsi attorno, ma solo ad espandere il suo potere su più bambini possibili. È bello e interessante che tu non sia caduta nel ridicolo con un personaggio simile, ma c'è comunque il rischio di rendere la scrittura noiosa se non dovessi riuscire a variare il tema dei tuoi testi. Nel combattimento ti comporti bene, supportando i tuoi compagni a distanza e difendendoti correttamente quando necessario (con un espediente narrativo che ho apprezzato particolarmente). Ti assegno la fascia Verde e 400 Gold.

Vi ringrazio per la partecipazione e mi scuso a nome dello staff per il disguido.
Io guadagno 200 Gold. Aggiorno i conti.

 
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14 replies since 1/5/2015, 23:40   385 views
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