[A nation of thevies - Dorhamat, locanda]
Sgranò gli occhi. Il suo cuore stava galoppando.
La luce che filtrava dalla finestra era velata, plumbea, un'atmosfera spaventosamente simile a quella di Taos e per un momento il pistolero credette di stare ancora sognando. Era forse passato un mese dal suo arrivo a Dorhamat ed erano trascorsi non più di due cicli di luna dal suo ultimo sogno agitato. Difficile a dirsi, però, dato che il tempo per Levi era diventato un alternarsi confuso di veglie strazianti, seguite da sonni pelagici, preceduti da sbronze nubilose. A quanto pare, però, l'ultima non abbastanza solenne da riuscire a placare il suo accalorato inconscio.
Dalle camere accanto provenivano gemiti sommessi. Dal piano di sotto un cozzare di bicchieri, un pestare di stivali e una cacofonia di risa e grida assordanti accompagnavano le note altalenanti di una sonata spassosa, animando il locale. Ma Levi non riusciva a sentire niente di tutto questo. La sua mente era altrove, rapita dallo sciame di pensieri che gli ronzava fastidiosamente nelle orecchie. Aveva bisogno di sedersi, così si sporse dal bordo del letto, reggendosi la testa e massaggiandosi freneticamente la fronte. Se chiudeva gli occhi, il volto di Cliff Jefferson appariva ancora abbastanza nitido, così come le parole fioche del vecchio pistolero. "Traditore" l'aveva apostrofato nel sogno, incendiandolo con uno sguardo carico di riprovevole disprezzo. "Verme!" gli aveva urlato, paonazzo.
Gli ultimi rivoli gelati finirono di scivolare lungo il collo del pistolero, richiamandolo alla realtà con un brivido. La camicia era incollata al suo petto, zuppa di sudore. Per fortuna almeno la nausea stava scemando, così Levi pensò che alzarsi sarebbe stata un'ottima idea. Mosse i primi passi, sgranchendosi gambe, braccia e schiena, fino a quando i suoi occhi non incontrarono i propri, riflessi ad un vecchio specchio lercio. Il pistolero non riuscì a guardarsi in faccia per più di qualche misero istante, distogliendo in fretta lo sguardo da quel volto che tanto disprezzava. Il volto di chi nella vita si era macchiato di un atto della peggiore, oscena vergogna, e ogni volta che gli si presentava l'opportunità ribadiva il concetto, continuando a peccare e a ferire la propria volontà, come se il patto al quale era legata la sua anima lo costringesse come un impervio mulinello costringe una nave alla deriva, e dal quale la sua coscienza non poteva deviare la propria rotta, obbligando alla rovina la vela maestra del suo cuore. "Non ho più un'anima da redimere" pensava il pistolero, "mi restano solo voci disturbanti e volti contrariati nella memoria, da affogare nel whisky". Ma diavolo, quanta ragione avevano quelle voci e quei volti. Troppa, per permettere loro di perseverare nella legittima rampogna nei suoi confronti. Presto o tardi l'avrebbero fatto impazzire per il senso di colpa, ne era certo.
Gli stivali lo condussero nell'unico luogo dove i suoi problemi avrebbero forse potuto trovare una soluzione, o quanto meno una tregua. Mentre scendeva le scale, le assi del pavimento scricchiolarono, producendo un motivetto inquietante. I tacchi consumati rimbombarono a tempo, accompagnando i passi cadenzati del pistolero in un ritmo languido. "Suonano una marcia funebre" ammise Levi con un leggero sospiro, come gli succedeva di pensare ogni volta che i suoi stivali di pelle baciavano il legno navigato. D'altronde lui era un dispensatore di morte e quel motivetto non stonava affatto con la sua figura spettrale. Ma quanto la odiava, quella sonata dannata.
Ancor prima di arrivare al
dafarn - l'angolo delle osterie dove veniva versato l'alcool - l'odore greve del tabacco, colorito da quello rurale della birra, liberò le narici screpolate di Levi e bagnò i suoi occhi gonfi. Il mondo diventò d'un tratto torbido, pennellandosi di una fine nebbia lacrimosa, ma per Levi quella facciata di mondo era fin troppo familiare da non dover essere esaminata a fondo. Distinse le sagome dei
peryglon, intenti nei loro sollazzi da taverna, e quelle appartate degli yfwyr, con le spalle piegate sui fondi dei loro bicchieri vuoti, bocca aperta e sguardo perso nel vuoto. Era come osservare una schiera meditabonda di fanatici adoratori di daimon. Individuò le loro ombre disaccorte sporte sul bancone pregare per un ultimo giro sulla piccante giostra della dipendenza. Eccole, le anime tormentate di Dorhamat. Levi si mosse verso di loro, prendendo posto in mezzo a quel gregge disperso.
Il pistolero era sempre stato affascinato dal penetrante intuito degli osti, ma quel giorno ne rimase addirittura folgorato. Ancor prima di arrivare al bancone, un bicchiere colmo di whisky era già pronto ad aspettarlo. Il bettoliere gli sorrise compiaciuto, trovando comica l'espressione esterrefatta sul volto del dannato. Dopo tanti anni di onesto lavoro, per l'oste quel mestiere era diventato un'
abitudine. Per lui, avere a che fare con ubriaconi, teppaglie e con le dipendenze dei peggiori disperati era divenuta una cosa naturale, una tappa obbligata del suo quotidiano, uno snodo essenziale nell'equilibrio stesso della sua esistenza; tanto che ormai gli bastava un'occhiata superficiale per capire di che cosa il suo cliente avesse più bisogno. Levi si chiese se per lui sarebbe mai stato così. Distolse gli occhi dal bancone e a malincuore spinse lo sguardo oltre i lembi dello spolverino, dove solo lui sapeva che una pistola maledetta riposava in una vecchia, fottuta fondina. Si sarebbe mai abituato ai suoi clienti quotidiani?. Sarebbe mai riuscito a dispensare morte ingiusta con la stessa naturalezza con cui l'oste dispensava whisky agli astanti?. Si sarebbe mai abituato al peso insopportabile delle anime dei cento innocenti che avrebbe dovuto trascinarsi sulle delicate spalle della coscienza per il resto dei suoi giorni?. "No. Mai". Deglutì saliva acida, raschiando la gola arsa e tossendo di rimando. Di colpo, avvertì un malore profondo. Sentì il suo stomaco rivoltarsi e il cuore spremersi come un'arancia acerba. Un malessere che non poteva essere annegato nei fiumi dell'alcool. Il
suo richiamo. Come quando da bambino osservava ipnotizzato gli ingranaggi dei macchinari al vecchio ranch Morrison e il buonsenso gli sussurrava di non infilare le dita tra i raggi in azione, ma quanto più questo gli ordinava di non farlo tanto più cresceva in lui la tentazione istintiva e irrazionale di inzupparci dentro tutta la falange; anche quel giorno, nella taverna, accadde esattamente la stessa, identica cosa. La mano tremolante scivolò lontano dal bancone, spostandosi lentamente verso il calcio di sandalo levigato. Levi ingaggiò una guerra interiore per fermare la sua estremità, ma quanto più si sforzava tanto più la mano veniva attratta in quella danza esotica. Il richiamo si faceva sempre più forte. Il pistolero cominciò a sudare freddo, i suoi occhi vibravano come quando un amante è ormai prossimo all'orgasmo ma cerca con tutte le forze di ritardare l'atto. Nascose i suoi lineamenti sotto le tese del cappello. La pagina numero venti del taccuino era ancora vuota, l'aveva controllata prima di uscire dalla sua camera, ma questo significava poco o niente perché a tormentarlo in quel momento era la sua altra maledizione. Le dita erano ormai a un palmo dalla pistola, i polpastrelli accarezzarono il metallo freddo del diavolo. Da lì a non molto si sarebbe voltato, con l'arma spianata, e avrebbe sputato fuoco sugli astanti, mietendo anime innocenti fino a quando la fame del demone non si sarebbe infine saziata.
All'improvviso un silenzio assordante esplose nella sala, divorando la taverna in un boccone. Shank, il pianista, fu l'ultimo ad accorgersene e per qualche istante ancora sciorinò il suo animo giocondo in una scala armonica di folk Dorhamatiano.
Un uomo, dal fondo del dafarn, prese allora la parola, graffiando la quiete generale, e, balbettando insicuro, presentò le sue questioni. La mano di Levi era ferma a mezz'aria, disinvolta, così il pistolero colse l'occasione per allungarla nuovamente sopra il bancone. Alzò gli occhi in direzione dell'oste, temendo che questo lo stesse osservando. Era sicuro di non avere un'ottima cera ora che la lotta selvaggia che aveva ingaggiato contro le tenebre che invadevano gli abissi più profondi del suo subconscio era finita, e l'ultima cosa che desiderava era attirare l'attenzione. Il silenzio seguito all'ingresso dell'uomo balbettante aveva distratto il richiamo del diavolo, evitando una strage. "Sia benedetto il cielo" Sorrise rassicurato il pistolero, frenando l'impulso festoso e repentino di saltare addosso a quell'uomo e riempirlo di baci. Il bettoliere non badava affatto a Levi, il suo interesse era fisso sullo straniero e, cosa che trovò assai strana, il suo sguardo era carico di vomitevole disprezzo. Questo convinse il dannato a voltarsi.
«...po-poiché ne-necessito di una persona va-valorosa...»
Il signor Balbettante non poteva avere meno di quaranta primavere sulle spalle. I pochi ciuffi di capelli che gli restavano in piedi avevano il colore smorto del granito, raccolti in piccole ciocche, sparse sopra le orecchie. I suoi occhi sembravano affaticati e le borse sotto di essi erano gonfie di stanchezza. Rughe si diffondevano sulla sua pelle ambrata, trangugiando la giovinezza senza alcuna pietà. Le guance gli ricadevano, pesanti, oltre i bordi della mascella. L'uomo vestiva elegante, anche se era evidente che non apparteneva ai ranghi nobili della regione. "Forse è un maggiordomo" Ipotizzò Levi. L'unica certezza, al momento, era che quell'uomo era intimorito. E come biasimarlo, dopotutto stava parlando da solo, in mezzo a ubriaconi e casinisti, trafitto da decine di occhiatacce traverse. Qualche peryglon si era permesso addirittura di sputargli ai piedi.
«...che pro-protegga la signorina O-Ophèlia Almovàr, fino al ritorno del pa-padre.»
Il tono era alquanto distaccato e sbrigativo, lo stesso signor Balbettante aveva parlato quanto più in fretta la balbuzia gli aveva permesso. Inoltre il suo monologo non era stato accompagnato da alcun gesto del corpo. Quell'uomo avrebbe desiderato essere in qualsiasi altro posto all'infuori di quella putrescente taverna di periferia. Eppure a spingerlo fin laggiù, Levi avrebbe scommesso il suo bicchiere di whisky, non era stato soltanto il dovere. Nei suoi occhi stanchi brillava una luce rammaricata, quella di un uomo che aveva sfidato la feccia delle taverne con la speranza - ormai calante - di trovare la persona adatta alla sua ricerca, e stupire la sua signora. A circondarlo c'erano però i peggiori malandrini del paese, e ormai il signor Balbettante era convinto che quel giorno sarebbe tornato a casa a mani vuote, deludendo Ophèlia Almovàr.
Levi si alzò.
«Naturalmente»
Insistette il signor Balbettante.
«tutti voi sa-sapete che la famiglia Almovàr è una famiglia be-benestante, la ricomp-»
«Lo faccio io»
Lo interruppe bruscamente il pistolero.
Levi raggiunse il maggiordomo e lo spinse fuori dalla locanda, nonostante gli evidenti boccheggi di protesta dell'altro. Il dannato si voltò, incrociando per l'ultima volta lo sguardo accigliato dell'oste e il bicchiere di whisky sul bancone. "Non oggi" Li salutò, chiudendo i battenti dietro di sé. "Oggi il mio cuore ha bisogno di qualcosa di molto più forte dell'alcool per ritrovare la pace". Trascorsero forse cinque secondi, quando Shank riprese a suonare il piano e la festa proseguì, come se niente e nessuno l'avesse mai guastata.
Tra tutte le domande che gli avrebbe potuto fare, il signor Balbettante presentò forse le più interessanti.
«C-Chi siete?»
La voce tremante, ma ora gonfia di nuovo entusiasmo.
«Mi chiamo Levi»
Il tono fermo, calmo, sicuro.
«Siete un ca-cavaliere?»
Il pistolero lo squadrò con stupore. Non aveva l'aspetto di un pirata, sicuro, ma tanto meno quello di un cavaliere. Indossava la stessa camicia da un mese, aveva lasciato crescersi la barba, indifferente, non aveva uno scudiero e men che meno possedeva un destriero. Come poteva scambiarlo per un cavaliere?
Per un attimo rimase in silenzio.
"Sono un pistolero"
Avrebbe potuto rispondere, ma evitò con saggezza.
"E se tu fossi entrato nella taverna solo qualche istante più tardi avresti assistito alla mia maledizione"
«Esistono cose che non hanno un nome.
Ma sono anche un guerriero, se è questo che ti preme sapere. So combattere»
«Io mi chiamo Ra-Ramon. Sono un se-servo della fa-famiglia Almovàr»
I suoi occhi acquistarono vigore, per un attimo.
«P-Perché avete accettato?»
Poi si corrucciarono di nuovo, studiandolo con sospetto.
«Non mi avete dato il te-tempo di spiegare la ri-ricompensa»
Finalmente la domanda cruciale. Levi sospirò compiaciuto, dopotutto Ramon non si era rivelato uno sprovveduto e in tempi bui come quelli era già qualcosa.
«Il mio cuore è incorruttibile. Il mio onore non ha prezzo. Le mie scelte sono guidate dalla giustizia»
Recitò, tralasciando le clausole obbliganti del patto con lo Schiavista.
"E perché l'oro è sporco del sudore dei dannati"
Ma anche quel pensiero lo lasciò perdersi nel vento.
«Quindi s-siete davvero un ca-cavaliere»
Ramon sorrise, pienamente soddisfatto.
Levi abbassò gli occhi, contrariato.
"No. Non lo sono"
[A nation of thevies - Dorhamat, residenza Almovàr]
L'ultima volta che il richiamo ferino della
condanna l'aveva colto alla sprovvista era successo due anni prima. Era capitato di sera, al tramonto, mentre Levi preparava un fuoco da bivacco lungo una strada dissestata. In quella circostanza, per fortuna, il dannato non era in compagnia di nessuno e riuscì a controllare la tentazione con sufficiente facilità. Il demone era poi rimasto silente per tutto il tempo fino a quel pomeriggio a Dorhamat, anche quando si era presentato per Levi il momento di sparare o di uccidere. Il diavolo era restato in disparte, a osservarlo, frigido, come il freddo condottiero temerario che era stato in passato, mai, di certo, il servo di nessuno, men che meno di uno sporco umano; a lui piaceva cacciare, sorprendere e distruggere, e quando lo faceva divorava le proprie prede senza alcun pudore. Per questo motivo il diavolo non avrebbe mai accettato di aiutare il pistolero a superare i suoi stupidi e umani dilemmi morali, anzi, godeva nel vederlo soffrire, e quanto più la fermezza di Levi vacillava tanto più il dominio del demone sulla sua anima perduta si espandeva.
Il dannato era convinto che il richiamo non si sarebbe presentato per altri mesi - forse anni - a venire, anche se sapeva molto bene che, prima o poi, avrebbe dovuto infine saziare la fame crescente del diavolo. La certezza che quel giorno il demone non l'avrebbe più importunato l'ebbe quando Carlozo, il governatore, lo condusse attraverso i corridori della residenza degli Almovàr. Una melodia malinconica riempiva il palazzo. Penetrò il cuore impolverato del pistolero con la stessa brutalità con la quale un piccone sfonda una parete di roccia, riempiendo di commiserazione anche gli angoli più bui della sua anima. In quelle note si poteva assaporare la stessa sconfinata passione delle sonate di Shank ma, a differenza della musica del pianista della locanda, quella della ragazzina trasmetteva tristezza, insicurezza e cupezza. E come poteva una tredicenne di nobili origini che viveva in una reggia fiabesca, circondata da decine di servi a sua completa disposizione, essere tanto afflitta?. Levi sentiva il bisogno di scoprirlo e il dovere di aiutarla. Per un attimo pensò a Rose, lontana chissà quante miglia, e il suo sorriso si illuminò come quello di un tredicenne, ma poi si spense di nuovo, quando si accorse che per quanto si sforzava non riusciva a imprimere ai suoi ricordi una concreta nitidezza."Il tempo è il peggior assassino".
Il pistolero si esibì in un rito che Ramon avrebbe definito ca-cavalleresco. Si inginocchiò davanti ai piedi della signorina Ophélia Almovàr, levandosi il cappello e stringendo un pugno davanti al cuore. Levi le giurò fedeltà, promettendo di proteggerla.
the GunslingerB (-5); M(-10); A(-20); C(-40)
Fisico 75/75
Mente 75/75
Energia 150/150
Passive
- capacità di difendersi da più attacchi fisici o da attacchi fisici inaspettati (6/6)
- capacità di comprendere classe e talento del bersaglio (6/6)
- difesa psionica passiva (6/6)
- le tecniche attive di classe causano una malia psion di compassione nel bersaglio (6/6)
Attive
-
-
Equipaggiamento
- Revolver (6/6), nella fondina al suo fianco destro
- Armatura naturale, pelle coriacea
- Arma naturale, artigli retrattili (retratti)
- Cinturone (36/36), munizioni per il revolver
In breve
Levi viene reclutato da un membro della servitù e scortato fino alle stanze della signorina Ophélia
Note
i termini in corsivo sono in lingua gallese, per caratterizzare il personaggio. Sono termini utilizzati nel far west. Sono in gallese perché non lo so, però mi piacevano. Per quanto riguarda il discorso del richiamo del diavolo spero di aver dato bene l'idea. Non si tratta di possessione o roba simile, ma è un qualcosa di profondo, che influisce sul subconscio, come una tentazione irrazionale. Infatti è bastato un semplice sconvolgimento sensoriale come il passaggio da un'atmosfera cacofonica ad una silenziosa, a disturbarlo.