Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

A Sea of Gold and Blood ~ fra il giorno e la notte, Arcana Imperii

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view post Posted on 16/5/2015, 19:27
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prologo
Giorno dopo giorno: parole maledette e il sangue
e l'oro. Vi riconosco, miei simili, o mostri
della terra. Al vostro morso è caduta la pietà,
e la croce gentile ci ha lasciati.



Zampettando agilmente fra l'edera ed i rami secchi, con la circospezione tipica della preda, la creatura raggiunse la sua tana.
Inspirò profondamente, godendosi l'odore di casa, ma non entrò. La sua attenzione era rivolta altrove, richiamata da un rumore inconsueto in quelle parti della montagna, un rumore che aveva udito solo molto più a valle, e decisamente di rado. Rumore di passi.
Si voltò di scatto, osservando l'uomo dai capelli biondi, avvolto in uno sfarzoso abito verde brillante, raggiungere lentamente il ciglio della sporgenza e guardare sotto, come a voler stimare l'altezza del salto. Oltre settecento piedi, molto più di quanto si potesse permettere un qualunque essere vivente sprovvisto di ali. Incuriosita, la creatura rimase a fissare l'uomo, ancora in piedi sul precipizio, mentre inclinava la testa. Gli uomini erano strani e gli non erano mai piaciuti, per questo aveva spostato la sua tana, dalla valle fin sulla montagna, ma quello in particolare sembrava agire in maniera totalmente priva di significato. Di colpo, l'uomo si voltò verso la creatura -e questa rabbrividì. Non era un essere umano -di sicuro non un essere umano normale. Il corpo era quello di un uomo, e così i capelli, ma il viso... Il viso era totalmente privo di connotati, un ovale liscio e totalmente anonimo. La povera bestiola indietreggiò, terrorizzata, ma l'uomo -o qualunque cosa fosse- distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi sul vuoto che stava ai suoi piedi. Poi, così come era venuto, girò sui tacchi e cominciò ad allontanarsi dal burrone. Era ormai a una ragguardevole distanza quando tornò a voltarsi, di scatto, e a correre verso l'abisso.
Arrivato sull'orlo, saltò in avanti, senza la minima esitazione.
La creatura corse fino al ciglio del precipizio, guardando in basso, cercando di cogliere la fine di quell'essere vivente.
Ciò che vide, fu quanto di più sorprendente le fosse mai capitato. L'uomo stava precipitando, in caduta libera verso le rocce aguzze che lo aspettavano diversi metri più in basso, ma mentre cadeva il suo corpo sembrava sfaldarsi. Sfavillanti come cristalli, scalpellati via da membra e vestiti, sprizzi e lapilli partivano dal suo corpo, che sembrava costantemente diminuire di densità. Strani vapori iniziarono a levarsi dai lembi delle vesti, sollevate dall'attrito con l'aria gelida della montagna. Fiammate perlacee avvamparono intorno alle braccia e alle gambe, lasciando nel cielo terso della mattina delle scie vorticose.
Infine, il corpo dell'uomo fu interamente avvolto da argentee fiammelle. Si muoveva per aria zig-zagando, un globo di fuoco grigio che andava consumandosi rapidamente, finché di lui non rimase niente più che un'idea, una scia brillante che andò perdendosi all'orizzonte.


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A SEA OF GOLD AND BLOOD
fra il giorno e la notte



asobag
~ ~ ~

Alcrisia, Başak-ev (Casa della Spiga); Mezzanotte
. pov ― il merovingio



La fiamma che ardeva nel braciere venne percorsa da un tremore,
proiettando il suo gioco di luci ed ombre sugli arazzi che decoravano la sala, cercando di nasconderne le povere pareti. Casa della Spiga non era un regno, lui lo sapeva bene. Era al di sotto della periferia del regno, era uno degli ultimi avamposti prima del Deserto dei See, una di quelle località che rappresentavano una via di mezzo fra il villaggio e il piccolo centro cittadino, una di quelle piccolezze che non erano mai importate ai nobili di Basiledra nemmeno quando il potere centrale era stato forte sotto il Re-che-non-perde-mai. Con il passare degli anni quella terra di nessuno era diventata teatro di massacri, ogni signorotto locale aveva tentato di appropriarsi di ogni palmo di terra che fosse passato sotto il suo sguardo prima ancora che sotto gli zoccoli del suo cavallo. Tutta l'Alcrisia era stata bagnata di sangue ma dalla caduta di Thengel e dopo la distruzione di Basiledra, le cose erano andate peggiorando. Ogni nobile, vero o presunto che fosse, proclamava regno la sua porzione di territorio. Una ricerca di indipendenza e potere che sarebbe finita. Presto o tardi qualcuno sarebbe tornato sul trono-che-non-trema e allora quel qualcuno avrebbe dovuto dimostrare di avere la forza per tenersi il regno. In quel giorno, tutti i rivoltosi e i traditori, tutti quei generali da salotto che giocavano a fare i re, sarebbero caduti nel loro stesso sangue. Questo perché nessuno di loro aveva avuto il coraggio e l'immaginazione di pensare e credere possibile il progetto a cui si accingeva l'uomo dai capelli e la barba neri, così come gli occhi, socchiusi alla luce della fiamma, che in quel momento stava per prendere la parola.
Lo chiamavano il Merovingio, un soprannome che gli era stato affibbiato quando ancora faceva parte della corte di Thengel Mandimartello in qualità di dignitario. Quel tempo era finito -ed era finito male, per lui. Aveva reso tanti e tali servizi al suo signore, non sempre leciti o onorevoli, che quello, nella sua follia paranoica, aveva finito per allontanarlo dalle sue terre nell'unico modo che gli avrebbe impedito di ribellarsi: firmandogli una patente di nobiltà e nominandolo lord del più sperduto villaggio al confine col il deserto. Un luogo così distante da Basiledra, tanto fuori dal centro della vita dei Quattro Regni, da essere conosciuto più con il suo nome nanico di Başak-ev che con quello originario di Casa della Spiga.
Si trattava di un piccolo e povero agglomerato di case posto al centro di una vasta coltivazione di grano, la cui produzione serviva a sfamare il palazzo di Lord Thengel. Alla caduta di questi, dopo l'avvento dell'Ala Rossa e la morte della sua giovane figlia Imrahil, il Merovingio si era reso silenziosamente ma inesorabilmente indipendente.
Aveva smesso di pagare decime e tributi, non si era più preoccupato di effettuare coscrizioni o di mandare truppe ai suoi signori. Da vassallo di un lord di provincia era lentamente cresciuto, portando sotto la sua influenza anche villaggi vicini, spesso utilizzando truppe irregolari o mercenarie -qualcuno mormorava perfino che avesse un accordo con alcune bande di Pelleverde rinnegati. Ora, ad alcuni anni dalla fine di Thengel, stava accingendosi a un'impresa che gli avrebbe permesso di crearsi il proprio spazio e il proprio regno. Piccolo, forse, ma indubbiamente capace di resistere a Caino o a chiunque altro sarebbe uscito vincitore di quel trambusto. Non gli importava il trono di Basiledra, non voleva regnare sulle rovine di un impero altrui. Voleva costruirsi il proprio.

Forte di queste convinzioni, il Merovingio, assiso sul suo povero scranno di legno, osservò per alcuni istanti quei volti severi sugli arazzi, resi inquietanti dai riverberi vermigli del fuoco, prima di tornare a concentrarsi sulla figura del suo interlocutore.
Chi gli stava davanti era un uomo sulla trentina, non molto alto, con una zazzera di crespi capelli neri e due grandi occhi di un grigiore glaciale. Questi si chiamava Petyr Devraath ed era il balivo di Geçen-son, uno dei piccoli villaggi caduti sotto l'orbita del Merovingio. Grazie alle sue incredibili doti come amministratore delle finanze, era divenuto un aiuto preziosissimo per il signore di quei luoghi all'alba della sua ascesa.
« Siete sicuro che sia il momento giusto? » domandò, con la sua pronuncia blesa.
« E' trascorso molto tempo » commentò il signore di quei luoghi, senza apparentemente voler rispondere.
L'altro annuì in silenzio - ché solo il silenzio poteva esprimere pienamente l'accozzaglia di sentimenti che provava in quel momento, un misto di deferenza, soddisfazione e preoccupazione. Petyr non era un uomo comune ma non aveva certo l'ispirazione che sembrava essere invece infusa nel Merovingio.
« Ho aspettato per anni. » riprese finalmente l'uomo dai capelli neri. « Sette anni, Petyr. Ho aspettato perché sapevo che mi sarei dovuto muovere in un momento preciso, in quella linea sottile che divide la notte dal nuovo giorno. »
Il tono di voce si fece più stanco, quasi macilento.
« Sono confini vaghi ma sono convinto che questo sia il momento giusto. Se tarderò ancora qualcun altro potrebbe ergersi sulla mia strada, qualcuno a cui non potrei oppormi, nelle condizioni attuali. »
Il Merovingio socchiuse gli occhi. Per giorni aveva immaginato il momento in cui avrebbe dato l'ordine che ormai aveva sulle labbra. Per giorni aveva soppesato ogni possibilità, ogni più piccolo margine d'errore, la più insignificante sfumatura. Finalmente quel momento era giunto e lui quasi non riusciva a crederci.
« Fai venire Kerrigan. » disse, risoluto. « Se ne occuperà lei. »
Petyr non disse nulla ma il guizzo luminoso nei suoi occhi non sfuggì al suo signore, così come la leggera increspatura delle labbra; entrambi segnali di ciò che provava per quella donna: il più assoluto, venefico disprezzo.
« La mia scelta non ti aggrada, Petyr? » domandò il Merovingio, con aria divertita.
L'uomo scrollò le spalle.
« Non rientra nelle mie mansioni sindacare le decisioni del mio lord. »
Il sorriso sulle labbra sottili del Merovingio - il cui viso era in ombra, e solo la parte inferiore del medesimo era visibile - si accentuò.
« Spero che questo zelo ti accompagni in ogni ambito delle tue mansioni. »
« Il mio lord ne dubita? » domandò l'altro, in tono piccato.
« Non mi permetterei mai. Mi chiedevo solo che cosa diresti se potessi parlare liberamente. »
« Il mio lord sa bene cosa penso del capitano della sua guardia. Ha il nome di una puttana... e la stessa raffinatezza. »
Stavolta il Merovingio rise di gusto, lasciando scivolare la schiena lungo la spalliera dello scranno.
« Oh sì, eccolo, il buon vecchio Petyr! » mugugnò fra una risata e l'altra, mentre si asciugava una immaginaria lacrima d'ilarità dall'angolo dell'occhio.
« Te lo concedo: Kerrigan non è il più alto esempio di femminilità a sud di Basiledra ma... »
« ...faccio fottutamente bene il mio lavoro » completò per lui una voce graffiante, argentina, che apparteneva alla donna in armatura, dai lunghi capelli rossi, la cui figura si era stagliata sulla soglia della stanza.

51-1

Il Merovingio accolse con un sorriso enigmatico la nuova venuta.
« Vieni avanti, mia cara. Ho del lavoro per te. »

—◊◊—


asobag2
~ ~ ~

da qualche parte nell'Erydlyss; Mezzanotte
. pov ― laurens de graaf



L'ombra si appoggiò contro la colonna di un mausoleo e rimase così, in una silenziosa attesa, aspettando.
Non un movimento ne tradiva la presenza, non un solo rumore. Persino i suoi occhi, che appena si intravedevano sotto la tesa calcata in basso del suo cappello piumato, erano fermi, immobili. Scrutavano una delle tante lapidi di quel cimitero perduto fra i picchi dell'Erydlyss. Non era certamente un gran luogo in cui finire i propri giorni, c'era da riconoscerlo, ma in fondo si trattava solo di un fazzoletto di terra sconsacrata in cui venivano sepolti i banditi dalle genti dei villaggi vicini, almeno fino a qualche decina d'anni prima. Successivamente, con la scomparsa di Rainier e l'avvento dei Corvi, quel piccolo camposanto era stato adibito ad ospitare i corpi di coloro che non avevano mai creduto alla natura divina del Sovrano né durante la sua vita né in seguito alla sua (sempre troppo tarda) morte e che in generale non erano molto vicini a nessuno dei daimon. Fra questi c'era anche qualche facoltoso mercante o qualche nobilotto di seconda categoria proveniente dall'Ystfalda, gente dura, che non sarebbe venuta meno a propri principi per nessuna ragione al mondo. Così, quel luogo aveva finito per ospitare, fianco a fianco -o sarebbe meglio dire loculo a loculo- banditi caduti un centinaio di anni prima e cadaveri di sangue blu, così le fosse senza iscrizione o senza lapide si affiancavano alle piccole cappelle o ai mausolei, opere scadenti di artigiani locali.
Nel silenzio che regnava, dopo alcuni minuti di immobilità assoluta, l'ombra sollevò impercettibilmente il capo e le labbra si distesero in un sorrisetto compiaciuto.
« Sei in ritardo. » disse in tono divertito a una lapide poco distante, quasi aspettandosi che questa rispondesse.
E in effetti accadde qualcosa di simile.
Da dietro il lastrone di marmo venne fuori una figura avvolta da una cappa damascata color borgogna, orlata di bianco e argento, il cui volto non era riconoscibile sotto il cappuccio. Fece qualche passo avanti, mostrando una completa noncuranza per l'altrui rimprovero -seppure giocoso.
Laurens de Graaf finalmente sollevò il capo, rivelando i suoi occhi azzurri e incastrandoli sulla figura che gli veniva incontro.
« Non è carino farmi aspettare, proprio oggi. »
« Ho avuto dei contrattempi. Dovresti sapere che è un lungo viaggio, dall'Alcrisia. »
« Nulla di grave, spero. » commentò de Graaf senza scostare le spalle dal suo comodo appoggio.
Nyrhær, il Senzavolto, fece un gesto vago come a significare che qualunque fosse stato il problema era ormai superato. Gli si mise accanto e osservò a sua volta la lapide da cui il corsaro non toglieva gli occhi di dosso.
« Questa poi! » mormorò. « Tra tutti i posti che c'erano, proprio qui? »
Laurens sorrise, divertito.
« Un posticino silenzioso, appartato. Proprio l'ideale per un incontro che deve rimanere segreto. »
Il Senzavolto additò la lapide, scorrendo con gli occhi le incisioni per la seconda volta.



LAVRENS DE GRAAF
( 1437 - 1479 )

Nessun amico mi ha reso servigio,
nessun nemico mi ha recato offesa,
che io non abbia ripagati in pieno.



« Resto dell'idea che vedersi davanti alla tua tomba sia un po' macabro. »
Laurens scrollò le spalle e si raddrizzò. Non vedeva nulla di macabro nell'accettare la verità: era morto e il suo corpo era lì, sotto terra, probabilmente ormai ridotto a una carogna puzzolente.
« La morte non è né bene né male, è inevitabile. Tu dovresti saperlo molto bene. »
Nyrhær avrebbe forse voluto replicare ma non ne ebbe il modo. Laurens lo prevenne, dando un taglio ai convenevoli e riportando la conversazione sul motivo per cui entrambi erano lì.
« Che notizie mi porti? »
Il Senzavolto prese a passeggiare tranquillamente fra le lapidi.
« Niente di buono. Ricordi quel Devraath, il balivo di cui ti ho parlato? »
Laurens annuì, in silenzio.
« Ho saputo che si è spostato, probabilmente ha raggiunto il Merovingio. Si muoveranno presto. »
« Quanti uomini hanno? »
L'altro si strinse nelle spalle.
« Dipenderà da quale compagnia mercenaria cercherà di assoldare. Forse seicento, forse mille. Abbastanza da mettere in ginocchio quello che era il dominio di Thengel, comunque. »

Dopo una breve pausa, Laurens riprese.
« Secondo te è pronta? »
Per la prima volta da che lo conosceva, la voce del Senzavolto venne incrinata dal dubbio.
« Non lo so. Ci sono troppe possibilità da considerare. Ha imparato tutto ciò che potevo insegnarle ma... »
« ...ma non sai se reggerà l'emozione di tornare a casa. »
Nyrhær annuì ed entrambi rimasero in silenzio per un intero minuto che sembrò non passare mai, entrambi perso dietro pensieri differenti, seppure scaturiti da una matrice comune. Una matrice dai lunghi capelli neri e la carnagione olivastra delle donne del sud.
« Non possiamo permetterci di aspettare. »
Ancora una volta, il Kraken annuì. Era vero, non potevano aspettare. Dovevano muoversi in fretta, anche se questo voleva dire rischiare. Si staccò di colpo dalla colonna e fece per allontanarsi. Il Senzavolto lo fermò.
« Ancora una cosa. » disse, con quella sua voce rimbombante, mettendogli nelle mani un oggetto avvoltolato nella stoffa.
« L'ho trovato in giro e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. In fondo non è più un pericolo per nessuno. »
Laurens abbassò il capo, aprendo l'involto e guardando incredulo un ciondolo d'ossidiana che non aveva più rivisto da lungo tempo.

« Buon compleanno, Lorencillo. »
Un attimo dopo, era sparito.

 
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