Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

A Sea of Gold and Blood vixerunt, Arcana Imperii

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view post Posted on 20/5/2015, 16:24
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······

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prosegue da
a sea of gold and blood; vyande



III
Quel che vediam la notte, è lo sfortunato
residuo di quanto abbiamo negletto durante la veglia.
Il sogno è sovente la rivincita delle cose disprezzate
o il rimprovero degli esseri abbandonati.



Il corridoio era stretto e buio, paludato da un tappeto rosso orlato d'oro coperto da un generoso strato di polvere.
Lord Zeryon lo percorreva a passo svelto, fra due ali di armature nere vecchie di secoli. Quel luogo lo inquietava, voleva lasciarsi alle spalle il più presto possibile quell'ambiente tetro e l'aria pesante che vi si respirava. Negli ultimi vent'anni aveva raggiunto quella cripta solo altre due volte e in entrambe le occasioni c'era mancato poco che svenisse.
Non che fosse un debole o mancasse di coraggio, anzi. Lord Zeryon era stato un valido combattente nella sua prima giovinezza, poi all'età di trent'anni aveva ottenuto la patente di nobiltà dal suo signore ed era divenuto uno dei tanti nobili delle campagne, signori attaccati agli usi e ai costumi dei loro padri. La sua fedeltà era incrollabile e quando il suo signore era svanito nel nulla lui era stato l'unico a non tentare di rimpiazzarlo, l'unico che non si fosse arreso, continuando a cercarlo ovunque riuscisse ad arrivare. I suoi sforzi erano stati ripagati.
Ora, Lord Zeryon era un bell'uomo sulla cinquantina, alto e ben piazzato, con le spalle larghe e un collo taurino a reggere una testa dai capelli neri striati di grigio ai lati; due profonde rughe sulla fronte, segno lasciato dalle molte tribolazioni della sua vita, davano al suo volto un aspetto severo, in combutta con la folta barba che rendeva difficile indovinarne il mento e le labbra. Indossava un saikhar, un tipico abito del sud, a metà fra la cappa -da cui prendeva il mantello, il cappuccio e la fibbia sulla spalla sinistra e la toga, con i suoi ripiegamenti intorno al braccio sinistro, lasciando scoperta la spalla da quel lato se il mantello non veniva chiuso. Sulla destra, il laticlavio -una larga striscia di porpora- lasciava intendere la sua condizione di nobile.
Terminato il corridoio, si spalancarono davanti a lui i due battenti di una enorme porta di legno massiccio, dipinta di nero ed istoriata con il fregio del nobile casato a cui apparteneva quel luogo sotterraneo: di nero, alla croce d'argento, cappato d'oro.
Superata la soglia, venne a trovarsi in un ambiente chiuso, senza alcuno sbocco d'aria, la cui unica illuminazione veniva da due piccole torce poste ai lati del trono posto in fondo alla sala circolare.
Su quel trono d'oro, i cui orpelli svettavano verso l'alto, coperto da una veste il cui colore nero veniva variato solo dalle decorazioni in filigrana d'oro e dal diadema -d'oro anch'esso-, sedeva ad occhi chiusi il suo signore.

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Lord Zeryon percorse l'intera sala e andò a inginocchiarsi davanti a lui,
portando il pugno chiuso della mano destra sul cuore e abbassando il capo con deferenza.
« Mio Lord, Ertasia è caduta. Deria e Lenosa sono tagliate fuori dai rifornimenti. »
L'uomo assiso sul trono, dal colorito cadaverico, non diede segno di aver udito.
« Il Merovingio si sposta a verso Malombra. »
A quel nome, le palpebre dell'uomo si aprirono di scatto.
« Nessuno entra a Malombra senza il mio consenso, lord Zeryon. » rispose, con quella sua voce sepolcrale. Una stilla di sudore scivolò lungo la fronte del lord. L'uomo assiso sul trono si sollevò, guardando con durezza il suo vassallo.
« Nessuno. »


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A SEA OF GOLD AND BLOOD
vixerunt



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~ ~ ~

Alcrisia, il villaggio di Lenosa; Compieta
. pov ― laurens de graaf



Le poche luci della sera proiettavano lunghe ombre sugli edifici di Lenosa.
Si trattava di un piccolo villaggio che anche ai tempi del suo massimo splendore, oltre cinquant'anni prima, non aveva mai superato i cinquecento abitanti.
La sua architettura lasciava basiti ad una prima occhiata: la via principale era riccamente lastricata ai suoi lati si ergevano edifici che un tempo erano stati palazzi maestosi e addirittura una chiesa -ormai in rovina- che contrastavano totalmente con le baracche e le povere case murate a secco con tetti di legno e paglia che avevano dietro. La ragione di una tale frattura fra il fasto più prodigioso e la più tetra miseria era facile a intendersi per chiunque conoscesse la storia di quei luoghi. Quando era ancora vivo il Lord di quelle terre, che confinavano e in parte si compenetravano con quello che poi sarebbe stato il dominio di Thengel Mandimartello, ogni anno tutti i lord suoi vassalli e i cavalieri erano invitati presso la sua dimora per due settimane di festeggiamenti e per dirimere tutte le questioni e i contenziosi che erano nati nell'anno precedente. Questi signori, tutti nobili, avevano scelto di darsi convegno proprio a Lenosa, per la sua posizione equidistante da tutte le loro residenze e la sua relativa vicinanza alla magione del conte.
Trattandosi Lenosa, a quei tempi, di una cittadina con buone speranze di crescita, si era ben pensato di arricchirne la via principale, dotandola di palazzi che potessero ospitare i nobili in transito e lastricando la strada che più avanti si sarebbe ricongiunta con la via per la magione del conte, chiamata appunto strada dei lord.
Negli anni successivi alla morte del Conte e con la scomparsa del suo unico figlio ed erede, la consuetudine della visita al Lord era andata perdendosi e così i palazzi di Lenosa erano rimasti inutilizzati. L'incuria, il maltempo e i rovesci della fortuna che avevano portato la guerra -prima in Alcrisia, poi in tutti i Quattro Regni- avevano lasciato quel centro abitato più povero, praticamente un villaggio che sorgeva lontano dai nuovi crocevia commerciale e su un terreno arido, poco adatto alla coltivazione. Gli abitanti vivevano di pastorizia, anche se le greggi erano piuttosto scarne, e soprattutto grazie alla loro abilità nella creazione di manufatti in legno o vimini che venivano scambiati con ortaggi e altri viveri. Queste operazioni commerciali venivano fatte con le carovane provenienti dalle città sotto il controllo del Merovingio che passavano da Lenosa e dalla vicina Deria per poi proseguire alla volta del Ducato di Vinosea.
Il Merovingio, però, impegnato nella sua guerra personale, aveva ordinato alle sue carovane di cambiare l'itinerario, ignorando Lanosa e Deria e dirigendosi verso i più nutriti centri di Ertasia e Malombra, l'antico capoluogo che, secondo i progetti del Merovingio, una volta conquistato sarebbe tornato al suo splendore d'un tempo.
Così, Lanosa era rimasta sprovvista di libagioni e i suoi poveri abitanti erano passati dall'orlo della miseria al baratro della disperazione.
Questo era la ragione che aveva spinto Laurens de Graaf a deviare dal suo piano iniziale, rinunciando alla sua corsa contro la Compagnia del Teschio per raggiungere Malombra. Aveva preferito portare sé stesso e gli altri membri dell'Ordine a Lenosa -o almeno una parte. Lui, Lorelei, Imrahil e Suzau erano giunti alcuni giorni prima, con scorte di cibo sufficienti per alcuni giorni e portandosi dietro alcuni guaritori noti fra i beduini, amici di Alake, l'uomo che li aveva guidati nel Deserto dei See.
Quei giorni erano trascorsi in un'attività febbrile sotto l'afa dell'Alcrisia che Laurens ben conosceva. Molte case erano poco più che capanne, i tetti erano sfondati o le mura divelte. Spesso non c'era una porta e ogni improvviso acquazzone era capace di portare serissimi disagi a quelle famiglie. Così, i membri dell'Ordine si erano dati a soccorrere chi ne aveva bisogno, utilizzando -per la prima volta dopo molto tempo- le loro capacità per qualcosa di diverso dal combattere.

Era la sera del terzo giorno da quando erano arrivati e il Kraken si era adagiato su un pagliericcio all'interno di una delle ultime case del paese, praticamente priva di tetto e di portava. Guardava le stelle, senza azzardarsi a contarle. Da fuori, venivano le voci di alcuni bambini richiamati dai genitori perché tornassero in casa e quelle più aggraziate di alcuni membri dei Corvi Leici che si aggiravano fra le case portando il conforto della fede a quelli sfortunati.
Laurens sospirò, rendendosi conto che forse, in fondo, aveva osato sperare troppo. Non avrebbe potuto salvarli tutti.
In quel momento, un'ombra diversa dalle altre si profilò sull'uscio e la voce roca e seducente di Lorelei risuonò contro le mura spoglie.
« Mi chiedo » cominciò, mentre andava a sdraiarsi accanto a lui « perché tu abbia voluto farmi questo. »
« Perché io sono qui a fare la piccola salvatrice mentre Thevlad e gli altri sono andati a quella fiera? »
Laurens le sorriso come era solito fare quando la sentiva lamentarsi, un misto di condiscendenza e vero affetto.
« Sei più utile qui che lì, a trattare merci e ascoltare gli imbonitori. Inoltre... »
Fece un sospiro. Il momento che aveva temuto era arrivato, infine.
« ...volevo parlarti. Da soli. »
Incuriosita, la Madre degli Incubi piegò il capo sulla spalla destra, lanciandogli un'occhiata obliqua. Si posò le mani in grembo e stringendo le labbra carnose in una specie di sorriso accomodante, lo invitò a principiare.
« Prima di tutto, una domanda. Sai come si chiama la vecchia capitale di questa porzione di territorio? »
Lorelei, totalmente a digiuno della geografia di Theras, scrollò le spalle.
Laurens socchiuse gli occhi, rifiutandosi di vedere la reazione della donna al nome che stava pronunciando: « Malombra. »
Lei sussultò, poi distese appena le labbra.
« Curioso. » rispose, con una nota d'ansia nella voce. « Lo stesso nome di-- »
« Appunto. » l'interruppe Laurens.
« Non è un caso, Lorelei. »
« Ho da darti una cattiva notizia e non so proprio come fare a renderla meno violenta, quindi lo farò senza troppi fronzoli. La nostra casa, il mondo che chiamavamo Overworld non esiste più. »
La sorpresa sul volto di Lorelei era evidente, fin troppo. Sembrava quasi non riuscire a credere che Laurens dicesse sul serio. Lui, sapendo di dover approfittare di ogni piccola esitazione, continuò.
« Forse sarebbe più corretto dire che non è mai esistito davvero. Ma è meglio che cominci dall'inizio... »
Cambiò posizione sul pagliericcio, cercando di trovarne una che fosse comoda ma era come se ogni pagliuzza non desiderasse altro che pungerlo e infastidirlo.
« C'era un uomo, qui su Theras. Un uomo che aveva sviluppato un potere enorme, forse unico nel suo genere: era capace di dare vita ai sogni. Quest'uomo aveva un figlio, un figlio molto malato. Aveva solo lui al mondo e non riusciva ad accettare che, presto o tardi, sarebbe stato costretto a separarsene. »
Laurens tentò di ingoiare ma non aveva saliva in bocca. La gola era secca. Stava raccontando la fine di un mondo, e quel che era peggio, del suo.
« Così, quell'uomo decise di porre suo figlio in una sorta di stasi, mettendolo a dormire, imprigionato dentro un mondo di sogno che lui stesso aveva generato ma che si sarebbe alimentato dei sogni del figlio. Quel giovane, che si chiamava Vaeltaa, noi lo conoscevamo come Atavael, il Dormiente, nascosto nella torre sotterranea di Soreville. »
Fu solo in quel momento che Lorelei lo interruppe: era sconvolta, gli occhi strabuzzati e le mani tremanti.
« Noi vivevamo... in un sogno? »
Laurens annuì. Lorelei quasi smise di respirare. « C-come... è possibile? »
« Il potere di quell'uomo era immenso. E il figlio ha dormito per molti, moltissimi anni. Ha creato, nel delirio della sua malattia, tutte le terre e le storie che abbiamo conosciuto. Ora, queste storie sono finite. Atavael -o meglio, Vaeltaa è morto ed ha smesso di sognare. Di sognarci. »
Lorelei scattò in piedi, i capelli quasi sollevati sulla sua testa.
« Impossibile! » scattò. « Chi te l'ha detto?! Da quanto tempo-- »
« Da poco tempo. Chi mi ha detto tutte queste cose è l'uomo che mi ha ucciso, il padre di quel ragazzo. Il vero creatore del nostro mondo e l'unico che abbia provato a salvarlo... »
« Lo chiamavamo Enoch, ma il suo vero nome è Narval. »
Distrutta da quella verità, Lorelei cadde sulle ginocchia.
« Ma allora... Nerocriso, Malombra... »
Laurens si inginocchiò davanti a lei, prendendole le mani.
« Il tuo Nerocriso, l'uomo che amavi, non è mai esistito, se non per te. Era ricalcato sull'immagine leggendaria di un uomo, un piccolo lord di Theras che scomparve quando avrebbe dovuto succedere al padre. »
Sospirò, ferito lui stesso dal dolore che sapeva di dare alla sua compagna.
« Il ragazzo sarà stato suggestionato da questa storia tanto da rielaborarla e dare alla sua sparizione un motivo fantasioso, magico. E quel motivo sei tu, il vostro amore. »
« Non è l'unica coincidenza. Prendi la Baia del Pirata: esiste davvero, è un'isola a pochi giorni di navigazione da Dorhamat. O Malombra, la città del vero Visconte. L'Overworld ricalcava luoghi conosciuti da quel giovane, che lo avevano colpito. »
Lorelei abbassò il capo. Laurens si rialzò, rimanendole davanti e lasciandole una carezza sui capelli chiari. Finse di non vedere quell'unica lacrima, nera d'incubo, che le scivolava dagli occhi giù lungo la guancia destra.
« Mi dispiace, amica mia. » sussurrò, ed era sincero.
« ...ma dovevi saperlo. »

« E noi? » domandò lei, dopo qualche istante di silenzio.
Piangeva silenziosamente, senza lacrime. Non piangeva la morte di un mondo ma quella di una speranza, la speranza che un giorno avrebbe ritrovato il suo Nerocriso.
Laurens, però, non capì la sua domanda. Al suo sguardo interrogativo, Lorelei riprese.
« Noi... perché non siamo scomparsi anche noi? »
« Noi due siamo gli ultimi sopravvissuti. Io perché Narval mi ha ucciso, facendo in modo che potessi rimanere solo come essenza. Sono un'ombra, nulla di più, legato a Theras per sempre. »
« Io? » pigolò Lorelei, cadendo sempre più nello sconforto.
« Tu non eri un sogno, eri un incubo. Forgiata dall'Ombra, la Madre degli Incubi. L'Ombra era il nome che dava Narval alla malattia del figlio. Tu fai parte della schiera degli Incubi. Per questo il tuo destino era distruggere l'Overworld, perché eri parte della malattia che avrebbe ucciso il ragazzo. »
Laurens le si avvicinò, prendendole le mani e aiutandola a rialzarsi. Seppure con qualche difficoltà, Lorelei ci riuscì.
« Quando hai attraversato lo strappo, passando dal nostro mondo, nell'Oneiron, a Theras, Narval ha perso il controllo su di te. »
La guardò a lungo negli occhi, quegli occhi di rubino liquido che sembravano non dovessero finire mai.
Lei aveva ancora molte domande, ma capì che non avrebbero cambiato nulla, che Laurens non le stava mentendo.

« Cosa ne è stato di tutti loro? » domandò infine.
Il Kraken le voltò le spalle. La sua voce tremò, pensando a tutti gli amici e gli amori perduti.
« Vixerunt. Hanno vissuto. »



Edited by Apocryphe - 20/5/2015, 19:39
 
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