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A Sea of Gold and Blood reditum, Arcana Imperii - Contest Maggio 2015 [Ritorno - Edhel]

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view post Posted on 31/5/2015, 22:26
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prosegue da
a sea of gold and blood; vixerunt



IV
Il mare insegna ai marinai dei sogni
che i porti assassinano.



La notte era sempre piacevole per lui, che ne amava il silenzio e la possibilità di intuire, nelle ombre e nel loro allungarsi, storie diverse da quelle che il mondo voleva narrargli. Durante quelle ore d'oscurità straziata dalla falce di luna appesa in cielo da un dio con qualche problema di prospettiva -tanto era sghemba- era facile sentire il vento leggero venire dal deserto e portare con sé la sabbia e i sospiri di chi si era perduto dietro a un miraggio. Era questo che sentiva aleggiare intorno alla sua cappa damascata di colore brunito, solcata solo ai bordi da guazzi d'oro e argento, quasi che i preziosi metalli avessero timore di entrare in contatto anche solo con le sue vesti.
Era una di quelle notti e lui rimaneva in piedi, contro lo sperone roccioso che gli permetteva di non perdere di vista il luogo che aveva raggiunto dopo una lunga peregrinazione. Le mura nere della città sembravano osservarlo minacciose ma da parte sua il Senzavolto non prestava attenzione né al loro sordo mormorio né ai fuochi che si intravedevano oltre le merlature e che striavano di vermiglio il cuore d'ossidiana della cittadella.
Nyrhaer rimaneva da solo nel luogo in cui l'ombra era più fitta, con il cappuccio calato sul suo volto liscio, privo di connotati, che generava tanto ribrezzo nei suo compagni quanto terrore nei nemici. A capo chino, ascoltava una musica che sembrava suonasse solo per lui.

Fu un attimo. Un brivido lungo la schiena, una lama gelata che gli penetrava fra le costole, lasciandolo impietrito.
Gli era sembrato, per un istante, di sentire l'eco di un sogno distante, che non apparteneva a lui né a nessuno -un sogno che non era mai stato sognato. Continuò a rabbrividire, le membra scosse. Si piegò su sé stesso, sconvolto da quella sensazione che sembrava quasi gli avesse stuprato l'animo, attraversandolo per un fugace momento. Non avrebbe saputo spiegare perché ma la consapevolezza di ciò che aveva provato era qualcosa di terribile.
Rimase in silenzio per qualche istante, senza osare sollevare il capo. Quando lo fece, il suo viso privo di occhi vide un fuoco più grande degli altri ardere sulla cima del Palazzo dei Rovi.
« Sognate pure, voi che potete tornare a casa. » mormorò,
mentre volgeva le spalle a quell'inaspettata nuova fiamma.

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A SEA OF GOLD AND BLOOD
reditum



asobag
~ ~ ~

Malombra, il Palazzo dei Rovi; Mezzanotte
. pov ― laurens de graaf



Si guardò intorno e nonostante tutto non riuscì a stupirsi.
Il corridoio di marmo nero venato d'oro, le pareti dipinte di rosso carminio, gli arazzi e le armature nere che facevano ala al suo incedere, il tappeto rosso che attutiva il rumore dei suoi passi, le decorazioni sulla volta e i fregi istoriati sui battenti della porta spalancata, che raccontavano storie di demoni e uomini, tutto in quel luogo gli sembrava familiare. Come era giunto lì? Non lo ricordava. Pure, era come se non avesse mai visto altro nella sua vita. Di quelle panoplie conosceva ogni graffio e ogni curvatura, gli sembrava quasi di poter ricordare come si fossero generate quelle macchie sul tappeto che, superata la porta, procedeva ancora nella stanza attigua, illuminata da candelabri posti in posizioni strategiche.
Lo percorreva con tranquillità, senza la fretta di scoprire cosa ci fosse dopo, senza l'ingordigia di chi vuole scoprire. Anzi, i suoi passi erano misurati, provava un certo piacere nel sentire il suo ovattato prodotto dai suoi stivali che battevano la stoffa, lo stesso brivido di voluttà che lo invadeva nel riconoscere una pietra sbrecciata, un'ammaccatura sul braccio di quel candelabro o sull'elmo di quell'altra armatura. Quelle immagini e le sensazioni che generavano dentro di lui avevano un sapore agrodolce, vi percepiva il fascino del ricordo, quell'intricata mescolanza di gioie vecchie e nuove, la trama complicata intessuta dal riscoprire tutto ciò che aveva lasciato e che ora ritrovava. Quando era già stato in quel luogo? Non ricordava nemmeno questo.
Senza sussulti, come se procedesse in un rituale che non ricordava di aver mai imparato e che tuttavia sembrava gli venisse da sottopelle, raggiunse la stanza successiva e ne contemplò le mura ricoperte dei ritratti degli antenati -ma gli antenati di chi?- in un crescendo che andava dai più piccoli e logori, più vicini all'entrata, fino a quelli più maestosi e pregiati, incorniciati d'oro e argento, che raggiungevano il fondo della sala.
Sopra il maestoso scranno di legno massiccio incrostato d'oro a impreziosire certi dettagli delle cesellature, il più gargantuesco fra i ritratti, quello di un uomo altero, dalla fronte aperta e spaziosa, gli zigomi alti e la pelle ancora compatta e tirata nonostante l'età non più giovane testimoniata dalle tempie ingrigite e una piega poco docile delle labbra strette, sormontate da un paio di folti baffi -grigi anch'essi.
Mentalmente si era quasi inchinato davanti a quella figura che sembrava seguirlo con lo sguardo nel suo incedere.
Fra lui e lo scranno, che sembrava la sua ultima destinazione -sapeva che era così, ma perché?- c'era una giovane donna, avvolta in un abito bianco di tulle, sbuffi di seta e lino venivano fuori dalle maniche e le coperture delle spalle mentre pizzi e trine ricamate coprivano la schiena e il petto; portava una tiara d'oro bianco che teneva ferma un velo -bianco anch'esso- che le copriva e accarezzava l'acconciatura biondo cenere e ricadeva davanti al suo volto, lasciandone intravedere solo la sagoma, esasperando l'inventiva.
Oltre il velo, il riflesso degli occhi appariva insieme invitante e pericoloso. La donna, in silenzio e senza muovere un passo verso di lui, gli tese le mani. Chi sei? Non ricordava -e iniziava a spaventarlo questa familiarità con luoghi e persone che non appartenevano alla sua vita. O forse era lui che apparteneva alla loro.
Raggiunse quella figura il cui candore al contempo lo faceva sentire del tutto inadeguato e gli riscaldava il petto, due sentimenti contrapposti che non avrebbe saputo spiegare.
Prese quelle mani che gli venivano porte, le trovò fredde ma non per questo la loro stretta, dolce e ferma, fu priva di calore. Anzi, sembrava quasi che lei volesse scusarsi. Rimase in silenzio, aspettando che fosse lui a parlare -lui che intravedeva quegli occhi dai riflessi vermigli e il disegno della bocca carnosa.
« Sono di nuovo a casa. » disse, con una voce che non era la sua,
mentre la stringeva nel più tenero degli abbracci.

Laurens de Graaf si risvegliò di colpo, sudaticcio e con gli occhi luccicanti, avvolto nella coperta come in un sudario.
Era nella solita casa sventrata a Lenosa, sul pagliericcio che gli faceva da letto e -a dispetto del caldo e del sudore- tremava. Aveva capito, si era trattato solo di un sogno.
Ma quel sogno non era suo.

 
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