Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Sol Invictus - Die Jäger II., Arcana Imperii - Scena.

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view post Posted on 21/6/2015, 21:27
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Cavalier Fata
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Sol Invictus - Die Jäger II.
« Ricordi d'infanzia perduti,
memoria di primavere passate. »

Continua da Qui.


L'odore della pioggia aleggiava nella stanza, lasciando che l'aria frizzante stuzzicasse il mio viso stanco. Aprii lentamente gli occhi, ritrovandomi distesa in un caldo letto dalle coperte morbide e lisce, dentro una camera immersa nella luce timida di una giornata uggiosa. Seduta sul bordo del letto, che mi fissava con occhi curiosi, una bambina che non doveva avere più di sei o sette anni, con dei lineamenti così precisi e delicati da sembrare quasi disegnati, ed i capelli che le ricadevano sotto le spalle in lunghi boccoli biondi. Sbatté un paio di volte gli occhi nel vedermi rinsavire, ancora troppo stanca per muovermi, dopodiché scese dal letto correndo verso la porta e sfuggendo alla mia vista. Pochi istanti dopo arrivò Euridice, con la spalla palesemente fasciata, con un vassoio su cui erano state disposte alcune fette di formaggio ed un tozzo di pane. Si sedette dove poco prima stava la bambina, senza dire niente, poggiandomi il vassoio sopra le gambe. Il tutto cadde in un silenzio imbarazzato e pesante che mal riuscivo a sopportare.
Erano già un paio di giorni abbondanti che mi ritrovavo costretta a letto, e sebbene Euridice e Seline si prendessero cura di me, nessuna di noi aveva avuto l'ardire di iniziare quella conversazione che, invece, avevamo bisogno di fare. Decisi di farmi forza e farlo io, per prima, mentre addentavo una squisita fetta di formaggio.

« Dobbiamo parlare... » le dissi, a bassa voce. « ...sei mia cugina, dovresti parlare con me! »
L'albina tentennò, distogliendo lo sguardo. Non voleva parlare, non ne trovava il coraggio, temeva che non l'avessi perdonata per avermi ferita a quella maniera. Ma la verità era che non mi interessava delle ferite, del dolore, tutto ciò che volevo era riunire quei pochi frammenti sparsi del mio passato e ricostruirli, dar loro un senso e una forma.
« Diciotto anni, Euridice. Diciotto anni e non sei quasi cambiata. » la guardai alla luce tenue che filtrava dalla finestra, mentre la pioggia continuava a picchiettare insistente contro i vetri. « Per favore, parla con me... » allungai una mano, stringendo timidamente la sua, ma un istante dopo la ritrasse come colpita da una scossa.
« Mi odi così tanto da non potermi nemmeno guardare in faccia quando ti parlo!? » alzai la voce, involontariamente, facendo cadere sulla coperta una fetta di pane, per uno spasmo muscolare alla gamba. Le mie ferite erano tutt'altro che guarite.
« Non è per questo... » accennò, la voce rotta dall'incertezza. « ...l'odio ci ha distrutto, Azzurra. Ha distrutto tutto quanto. I sogni di Sigrund, le speranze di unificare di nuovo i regni, è andato tutto in frantumi. Avevo bisogno di un colpevole, di sfogare la mia rabbia contro qualcosa e contro qualcuno... e il destino - aiutato dalla mia stupidità - ha voluto che fossi tu. » alzò gli occhi, quasi completamente bianchi, sorridendomi. « Scusami. Se avessi saputo... »
« ...ma non sapevi. » le presi con forza la mano, stringendola con la mia. Lei rispose a quel tocco stringendomi a sua volta, come se si sentisse rincuorata dalle mie parole, dal mio gesto e, probabilmente, anche dall'implicito perdono che le avevo donato.
« È passato molto tempo, ho tanto da raccontarti, amica mia. »

Le parlai per svariate ore di quello che era successo dalla sua scomparsa. Le spiegai della morte di mio padre, della lunga e sofferta malattia di mia madre, infine le raccontai di come Marcel mi aveva costretta a rinunciare ad ogni cosa errando per il mondo come anima perduta. Ricordare quegli eventi apriva nuove ferite nel mio cuore, ma non sarebbe stato giusto mentire o negare una verità a quel modo alla mia stessa famiglia. Volevo che sapesse ogni cosa di me, ogni dettaglio, ogni passione. Senza più segreti la nostra famiglia avrebbe potuto avere un futuro, una speranza di ripulire il proprio nome. Euridice ascoltò in silenzio ogni cosa, cercando di metabolizzare l'orrore che le veniva riferito, dall'attacco di Mathias Lorch, alla distruzione di Basiledra, sino agli eventi di Ladeca. Non tralasciai nemmeno il più piccolo particolare. Forse, riguardo all'ultimo evento, dubitò persino della veridicità delle mie parole, ma forse per amore o forse per rispetto non si azzardò a fare nessuna obiezione.

Quello che mi colpiva di Euridice, oltre alla straordinaria forza che aveva dimostrato, a mio discapito, sul campo di battaglia, era come fosse incredibilmente bella e giovanile nonostante la sua età non proprio fanciullesca. Trentacinque anni e non aveva nemmeno un capello fuori posto, né una ruga di troppo. Una vita di stenti e di povertà ai limiti del mondo umano ed il suo corpo non sembrava portarne le tracce. Le avevo raccontato la mia storia, donandole una parte importante di me, ma adesso toccava a lei fidarsi e raccontarmi ogni cosa. Prima di chiedere, però, completai il pasto giacché mi sentivo tremendamente fiacca e affamata.

« ...questo è ciò che ne è stato di me in questi diciotto anni. Prima reclusa da mia madre, poi cacciata da Marcel, e ora al servizio della più bella donna del mondo. »
Euridice sbuffò, contrariata. « Lancaster... »
« Permalosa, vedo. È una cosa che devo annotare? » quella mi guardò sorridendo sottecchi. « Vecchie ferite. »
« Parlamene, ti prego. Sei il mio unico legame col passato, avevo rinunciato all'idea di avere una famiglia da molto tempo, ma ora sei qui e non posso rinunciare. Ti prego, Euridice, dai una possibilità a questa bambolina. » le feci gli occhi dolci, lo ammetto candidamente, ma avevo bisogno che mi parlasse di quello che era stato, di ciò che era successo a coloro che amavo. La mia famiglia era, e sarebbe sempre rimasta, Ryellia Lancaster, ma negare il passato non avrebbe fatto altro che minare il presente. Dovevo sapere, volevo sapere.
« D'accordo... dopo quello che ti ho fatto te lo devo. » si portò la mancina a lato del viso, spostando i capelli dietro l'orecchio e rivelando qualcosa che, mai al mondo, avrei creduto di vedere: il padiglione del suo orecchio era affusolato e formava, seppur molto dolcemente, una piccola punta che s'inclinava verso l'alto. « Aspetta... » sobbalzai a quella vista. « ...tu sei un'elfa!? » si lasciò andare ad una piccola risatina, se non altro genuina. « No, no ovviamente non lo sono. Mio padre lo era, però. »
Allungò una mano, regalandomi una carezza sul viso. « Se ti distendi un attimo e mi permetti di prendermi cura di te, così che il mio senso di colpa per averti ridotta in fin di vita trovi pace, ti racconterò tutto. Va bene? » « Sto bene, davvero... sono stata molto peggio. » « Vedo che sei una guerriera forte... » premette un dito contro il mio sterno e il dolore quasi mi fece andare via la vista. Soffocai un urlo solamente per la vergogna di richiamare l'attenzione di tutta la tenuta. Tuttavia il mio volto si contorse in una smorfia di sofferenza inconfondibile.
« ...ma non così forte. »

L'aver scoperto di essere imparentata con una mezz'elfa mi aveva sorpresa, colta completamente impreparata, ma non mi vergognavo né provavo alcun sentimento negativo nei suoi confronti. Anzi, potevo solo immaginare quale sofferenza potesse essere stata per lei doversi sempre guardare dagli altri, sperando che nessuno scoprisse il suo segreto. Per la nobiltà una contaminazione del genere sarebbe stata completamente inammissibile, un'onta da lavare con il sangue, se necessario, e questo, seppur non completamente, spiegava il perché della misteriosa fuga di zia Seline al nord. Euridice mi raccontò che una notte gli uomini di mio nonno, all'epoca ancora in vita, vennero a scoprire che qualcuno si era informato ed aveva scoperto che Euridice non solo era una figlia bastarda non riconosciuta da nessuno, ma che il motivo di tale mancato riconoscimento era imputabile all'elfica paternità. Di suo padre non sapeva niente, solamente che era un elfo cacciatore che lavorava come guardaboschi nella tenuta di famiglia, ma dopo aver scoperto della gravidanza si era allontanato per il bene sia suo che della nascitura. Non era il primo caso di quel genere che sentivo, anche se normalmente erano le donne, serve o faccendiere, a rimanere gravide dei loro signori dando alla luce eredi illegittimi. Quindi l'unica speranza di Seline era stata quella di rifugiarsi al nord, dove il potere della corona si assottigliava sino a svanire completamente nelle terre dominate dalla Guardia Insonne. Dopo tutto il fato aveva arriso alla mia famiglia, dato che mia zia trovò ben presto un uomo affettuoso e del tutto indifferente alla natura meticcia di mia cugina, tanto da sposarsi e adottare Euridice come sua figlia. Era un Mounmouth, ma anche un bravo marito e un affettuoso padre.
Nel parlare si commosse, raccontare di quei momenti la colpiva, le accarezzava il cuore risvegliando sentimenti sopiti e dolori mai dimenticati del tutto, eppure continuò, quasi volesse liberarsi di un peso che la tormentava.
Ebbe un fratellino, di nome Ethan e la loro vita, seppur segnata dalla difficoltà, scorse tranquilla e al riparo dalla guerra che infuriava nei regni. E quando, infine, Sigrund dichiarò la sua marcia contro il potere regio, partirono tutti sotto il suo vessillo, decisi a portare la libertà e la giustizia in un mondo stravolto dalla corruzione e dalla disuguaglianza. Euridice, in quel sogno, credeva davvero: lo potevo sentire da come ne parlava, da quanta enfasi metteva in ogni sillaba del racconto, quasi narrasse delle epiche gesta di un condottiero leggendario. Ma non era una fanatica, non si era lasciata travolgere dalla passione lasciando che la corrente la portasse con sé alla deriva, aveva lottato per quello in cui credeva. Il che era molto, molto di più di quanto non stessi facendo io.

« ...quando siamo giunti a Basiledra, con l'esercito, il mio patrigno ha insistito perché tornassi a casa. Non voleva che prendessi parte a quello che sarebbe successo, inoltre temeva che mi sarei arrischiata troppo e alla fine qualcuno mi avrebbe visto le orecchie. Già essere albini attira lo sguardo, ma albini e mezz'elfi... quello crea troppi problemi. » sospirò, toccandosi la punta dell'orecchio scoperto. « Mi ha salvato la vita. Quando Basiledra è stata riconquistata loro, Ethan e Herbert, erano ancora lì... stavo lottando assieme ai Lancaster... il resto è storia. »

Sorrise, sforzandosi di fermare le lacrime. « Non è una grande storia, dopo tutto. Sono solo una semplice donna che ha perduto per due volte la sua famiglia... e questo mi fa male. Abbastanza da non farmi distinguere più gli amici dai nemici. Herbert non approverebbe il mio comportamento, facendo così disonoro la sua memoria e quella di mio fratello. » alzai un braccio accarezzandole il viso, senza dire niente per un lungo istante. Quella sensazione di perdita, di vuoto, potevo capire cosa intendesse. Avrei tanto voluto darle indietro i giorni in cui era felice, evitarle per la seconda volta quello che io a malapena riuscivo a sopportare una volta soltanto, eppure altro non potevo fare se non sorriderle e starle accanto.
« Non puoi prenderti indietro quello che ti è stato tolto. Ma puoi fare in modo che questo non condizioni la tua vita. »
Mi allentai la veste, scoprendo i bendaggi macchiati di vermiglio. « Il mio sangue non è diverso dal tuo. Molti potranno non capire, altri non vorranno, ma a te non deve importare. Sigrund aveva ragione, forse ha sbagliato il modo e forse il tempo, ma ha sempre avuto ragione. » le sorrisi.
« L'ho capito tardi, l'ho capito provando sulla mia pelle i problemi di questo mondo, ma non è troppo tardi per rimediare, per fare la cosa giusta. Ryellia Lancaster è una persona buona, ragionevole, ed il suo cuore è lontano dai desideri dei Lancaster. Devi fidarti di me, lei è la nostra migliore speranza per il futuro. Vieni con me, nella Roesfalda, e aiutami a costruire qualcosa. »
Lei scosse la testa.
« No. Non posso sottomettermi agli uomini che hanno distrutto ciò in cui credevo. »
« E credi che a me faccia piacere girare con le loro insegne nell'armatura? Io seguo la Dama Rossa, non seguo Aedh Lancaster, ma pensi che potrei fare qualcosa se mi inimicassi il primo dei Pari? Verrei tagliata fuori e a farne le conseguenze sarebbero le donne, gli uomini e i bambini innocenti che ne hanno abbastanza di questa guerra stupida. » una fitta mi costrinse a fermarmi, tenendomi il petto con la mano per alleviare il dolore. Ripresi, con voce molto meno animata, qualche istante dopo. « Ti prego solo di pensarci. Bovier e Rougelaine di nuovo assieme, in una sola famiglia. »
Alzò la testa, d'improvviso, quasi colta da un moto d'orgoglio.
« Una battaglia, in memoria di coloro che abbiamo perso. Posso pensarci... »
« Non chiedo altro. A prescindere da quale sia la tua scelta, io rimarrò sempre tua cugina. E non ti lascerò andare ora che ti ho ritrovato, non posso. »
Abbassai lo sguardo, desiderosa di raccogliermi un istante per organizzare quelle emozioni così importanti, così forti. Una fiamma si era nuovamente accesa nel mio cuore.

[ ... ]


Dopo una settimana di cure intensive e ottimi incantesimi di guarigione, tutto quello che rimaneva dello scontro erano un paio di lividi e qualche graffio sul collo. Era tempo per me di tornare a casa, prima che Ryellia mangiasse la foglia e inviasse un intero battaglione a spianare le montagne per riportarmi a casa. Non che mi dispiacesse, il suo affetto era per me fonte di eterna gioia, ma temevo per l'incolumità degli abitanti della tenuta. Gettai le provviste sul dorso di Bayarde, rimasta calma e tranquilla per tutto il tempo della mia degenza, montando a cavallo poco dopo. All'improvviso il portone si aprì, facendo uscire Erudice chiusa in una scintillante armatura argentea. Era una donna alta, molto alta per la media umana nonostante il suo retaggio elfico, dentro quell'armatura sembrava ancora più imponente. Si avvicinò a me con grandi falcate, alzando una mano per fermare la giumenta.

« Non posso lasciare queste persone qui. Sono anche loro la mia famiglia. Nessuno li proteggerà, sono perlopiù gli uomini che servivano mio padre, quasi tutti incapaci di difendersi da soli... » annuii con decisione. « Lo capisco. È una cosa nobile da parte tua, sono certa che tuo padre sarebbe orgoglioso di te. Scrivimi, sai dove tro- »
« Non hai capito, Azzurra. » rise, divertita. « Non li lascerò qui... perché verranno con noi. »
Strabuzzai gli occhi, mentre una decina di inquilini uscivano con pochi bagagli tra le mani, depositandoli in un carro poco distante. « Credo che all'accampamento saranno lieti di avere altre braccia per costruire le case. » mi grattai la testa, un poco imbarazzata, seppur felice per quella scelta. « Bovier e Rougelaine assieme, dopo vent'anni quasi. »

« Monmouth. »
Disse, invitandomi a scendere da cavallo per un abbraccio.
« Sono una Mounmouth. »
L'abbracciai, felice come poche altre volte nella mia vita.
« No, prima di ogni altra cosa... »
« ...sei la mia famiglia. »

 
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