Anime Divorate ~ L'ultima Speranza.
« Non sono uno, due o mille nemici a spaventarmi,
ma l'idea di farlo da sola. »
« Prima e seconda coorte pronte a respingere i nemici alle mura, arcieri dietro la linea delle case! » il comandante Flavius, stretto dentro la sua corazza e asserragliato sul tetto di una casa al limitare delle mura, sbraitava a gran voce per attirare l'attenzione dei suoi legionari. « Abbattete quegli stronzi in aria, voglio una salva continua in cielo. Usate le balliste, puntatele sulle mura e aprite il fuoco appena cadono, fategli pagare ogni metro di questa città. »
I colpi possenti e brutali dei demoni oltre il muro di cinta somigliavano a minuscoli terremoti: scuotevano la terra e le fondamenta stesse di ogni edificio, facendo vacillare la fermezza anche del migliore dei soldati. E io lì, in mezzo a loro, mi sentivo fuori posto abituata a tutt'altro tipo di guerra. Mi era stato dato uno scudo, strumento che avevo raramente usato in battaglia abituta soprattutto a colpire con movimenti veloci e pose a grifone, perché Flavius aveva ritenuto importante che fossi di supporto alla testuggine. La cosa più angosciante era che tutto quello che dovevamo fare era aspettare che il muro cadesse. Ancora pochi colpi e tutto sarebbe andato in frantumi sotto il peso delle scornate, dei pugni e delle armi grezze e brutali brandite da quegli abomini. Una parte del muro tremò, emettendo un forte rumore e franando su se stessa, a pochi metri dalla mia posizione. D'impulso cercai di uscire dalla formazione e gettarmi alla carica, ma uno dei soldati mi fermò con la mano, urlando per sovrastare le urla bestiali.
« Non lasciare la formazione, non uscire dai ranghi, per nessun motivo! » mi strattonò nuovamente al mio posto. « Se qualcuno muore un altro deve prenderne il posto! Lascia uno spiraglio a questi mostri e ci massacreranno tutti. » senza nemmeno il coraggio di rispondergli annuii, con decisione, attendendo l'inevitabile.
Le macchine da assedio poste sui tetti aprirono il fuoco all'unisono contro la breccia, lanciando pesanti dardi all'indirizzo degli sfortunati che cercavano di varcare la cinta per stabilire una testa di ponte in città. Ci superavano di dieci, quindici a uno se non di più, e per quanti cadevano colpiti a morte altrettanti sciamavano all'interno ingaggiando le prime linee dei legionari in un violento combattimento corpo a corpo. Le urla di dolore e le prime vittime iniziavano a susseguirsi sulle strade cittadine, lanciandole in un vero e proprio inferno. La prima coorte stava respingendo l'assalto principale proprio davanti alla breccia, mentre il resto dei soldati si preparava a coprirne la ritirata strategica appena il legato della legione, Flavius, ne avesse ordinato la ritirata. D'improvviso, però, un grosso demone svettò sopra un'altra porzione del muro, proprio davanti a dove ero io col resto della seconda coorte: aveva le sembianze di una bestia bipede, non v'era nulla di umano se non l'abbozzata forma di una testa e due braccia. Colpì ferocemente il muro con i pugni nudi, incrinandolo in vari punti e, compreso che gli avrebbe richiesto troppe energie continuare in quel modo, alla fine decise di gettarvisi contro con tutte le sue forze. L'impatto fu tremendo, preceduto da un urlo agghiacciante che mai niente di umano avrebbe potuto emettere, pezzi di calce, pietra e schegge di legno volarono ovunque contro i soldati, ferendoli o rimbalzando sui loro scudi. Nel giro di pochi istanti uno sciame di abomini, uomini che avevano ceduto alla corruzione e amenità indegne ci piombò addosso come un fiume in piena.
Il soldato accanto a me, che mi aveva trattenuta poco prima, venne letteralmente sventrato da un artiglio appartenente ad un immondo, un altro poco distante si ritrovò la testa fracassata da una clava improvvisata, mentre davanti a me solamente l'incessante battere di decine di armi che cozzavano rabbiose contro lo scudo, desiderose solo di strapparmi le ossa dalla carne. Avevo paura, era la prima volta che mi trovavo faccia a faccia con un nemico del genere, combattere gli uomini era più semplice per certi versi, non avevano nulla di diverso da te, soffrivano e avevano paura, ma quelle cose... no, loro non provavano null'altro che rabbia e desiderio di saziare la propria fame. Con il cuore che oramai batteva ad un ritmo così forte da far quasi male cercai di respingere con la spada alcuni nemici, ma per poco non persi la mano per colpa di una sferzata. Erano troppi, avevano invaso completamente la strada che stavamo presidiando e la nostra prima linea giaceva al suolo morta. I legionari si susseguivano sostituendosi di volta in volta ai loro compagni caduti, ma nei loro cuori si insinuò la paura e, dopo pochi minuti dall'inizio della lotta, la maggior parte delle retrovie batté in ritirata cercando la salvezza. Uno degli ufficiali anziani, poco distante da me, iniziò ad imprecare in quel dialetto a me incomprensibile e, alla fine, mise mano ad un corno soffiandoci con tutta la forza che aveva.
Il suono si propagò nell'aria, imponente. Poi, dopo aver ottenuto l'attenzione di tutti, tuonò sopra le urla.
« Seconda coorte, ripiegare! Ripiegare! Ripiegare! »
Nel pronunciare quelle parole fu sopraffatto, un colpo lo raggiunse al volto spezzandogli la mandibola e una specie di grosso mastino lo bloccò a terra azzannandolo ripetutamente. E, forse per la prima volta in vita mia, feci l'unica cosa che la saggezza e la ragione avrebbero voluto: scappai. Lasciai andare quell'inutile e ingombrante scudo fuggendo a gambe levate lungo la strada mentre gran parte della mia unità veniva spazzata via, letteralmente. Forse il mio onore ne avrebbe risentito, ma restare a lottare non era eroico, ma suicida. Era uno scontro impari che non avrebbe mai potuto avere un esito positivo. E tutta quella morte, quella violenza... credevo che dopo Basiledra nulla mi avrebbe più turbato. Mi sbagliavo. Mi sbagliavo non poco.
Un altro corno da guerra risuonò nell'aria, questo proveniva dalla zona dove resisteva la prima coorte. Probabilmente, pensai, anche loro stavano rapidamente ripiegando all'interno della città. La nostra unica speranza era unificare le nostre forze e tentare di respingerli nel centro cittadino. Correndo a rotta di collo, però, non fui abbastanza veloce e qualcosa, alle mie spalle mi afferrò di peso gettandomi dentro una finestra socchiusa a bordo strada. Strillai mentre la mia fronte colpiva con violenza la persiana lignea. L'ultima cosa che riuscii a sentire fu il rumore sordo del mio corpo corazzato che cadeva su un pavimento, fatto di assi di legno grezzo, e la visione di poche veloci ombre che correvano all'esterno della finestra. Pregai Zoikar, con le mie ultime forze, perché avesse pietà di me. Poi tutto diventò buio.
[ ... ]
Da'sah ~ Poche ore prima, accampamento della Legione.
«
Siete sicuro? » non ero certa che le parole di quel profugo dall'aria spaventata fossero attendibili in qualche modo, ma era l'unica traccia che avevo. «
Corrisponde alla descrizione che avete fatto di lui, madama, siamo fuggiti prima che giungesse assieme ai demoni. »sospirai, annuendo e ringraziando con un cenno della testa. Sembrava che il mio dovere in quel del profondo sud fosse ancora lontano dal terminare. Da'sah era una cittadina modesta, almeno rispetto a Taanach, ma sembrava comunque pullulare di vita. E profughi, molti, moltissimi profughi. Mentre facevo ritorno a casa mi era giunta la voce che un uomo stesse guidando una banda di abomini contro i villaggi e le cittadine di confine, razziandole e uccidendone gli abitanti... la mia insaziabile curiosità mi aveva spinta a domandare, a informarmi, e mio malgrado avevo scoperto qualcosa di veramente inquietante: l'uomo di cui tutti parlavano era Shaoran. Mi ero detta più volte di non farci caso, di prenderla come una semplice coincidenza, ma non avrei potuto perdonarmelo se fosse stato davvero lui. Potevo solo immaginare cosa stesse provando ad avere il cuore e la mente annebbiati dall'oscurità e dalla sete di sangue. Vedere uno dei testimoni di Zoikar finire nelle grinfie del Baathos era una disgrazia e, come paladina della fede, Shaoran o meno, sarebbe stato mio compito fare la mia parte. Tutti avevano iniziato a pensare a se stessi, al proprio orto, mentre il mondo andava a catafascio. No, quella situazione non sarebbe durata a lungo, quell'equilibrio fragile e sottile già iniziava a dissolversi. Io non ero la più brava guerriera del Dortan e, probabilmente, non lo sarei mai stata in tutta la mia vita, ma ero una donna... una ragazza, per meglio dire, che aveva a cuore le sorti del mondo.
Del mondo, non del Dortan, dell'Edhel o dell'Akeran. Non sarebbero esistiti alcun regno, o sultanato o biblioteca di Lithien se nel momento del bisogno gli abitanti di Theras non si fossero uniti in un fronte comune contro il nemico. Forse era un pensiero vanaglorioso, la follia di un'esaltata che avrebbe voluto costruire un mondo nuovo o, più semplicemente, la disperazione di un'amica nel sapere qualcuno in pericolo, ma avrei combattuto a Da'sah per dimostrare che anche chi porta le insegne dei nobili delle grandi pianure non è esentato dal morire per la propria libertà.
Nei volti dei legionari c'era paura, tristezza, sconforto. Mentre mi avvicinavo alla tenda dell'ufficiale in comando, Flavius, molti di loro dedicarono qualche momento a squadrarmi dalla testa ai piedi. Non dovevo andargli a genio, forse perché vestivo una corazza pesante diametralmente opposta alle loro, leggere e mobili, o forse perché ero una donna, ma la cosa non mi interessò eccessivamente. Aedh Lancaster mi aveva riservato un'accoglienza ben più misogina e volgare di quei semplici sguardi titubanti. Flavius, invece, si presentò a me senza alcuna amratura, indossando solo una veste color bianco dall'aspetto estremamente leggero e comodo, attorniato da un via vai di uomini affaccendati a preparare le difese. Era un bell'uomo, dall'incarnato olivastro e dalla muscolatura scolpita, dava l'idea di aver visto ben più battaglie di molti e ,dal tono di voce calmo e rilassato, compresi anche la sua naturale compostezza.
« Lei è la ragazza che ha scatenato quel trambusto a Taanach, non è vero? » avvampai, sorpresa che la voce si fosse sparsa. « Sì, signore. La corruzione non risparmia nessuno... nemmeno le povere vestali. » quello sbuffò, per niente dispiaciuto della disgraziata fine dell'ordine monastico. « Duilio ha fatto bene a spazzarle via, loro e le loro fandonie. Una volta che l'abisso ti tocca divieni una sua proprietà. Non si torna indietro. » mi fece cenno di seguirlo dentro la sua tenda, spartana e provvista solo del minimo indispensabile per il dovere di comandante in capo: uno scranno portatile, alcune mappe e un giaciglio. Null'altro.
« Cosa posso fare per voi, madama Azzurra? »
« Voglio unirmi a voi per dare la caccia all'uomo a capo della banda di demoni, responsabili di tutta questa massa di profughi. »
Lo ammisi candidamente, da soldato a soldato, senza inutili mezzi termini o paroline addolcite. Non era il caso.
Increspò le labbra e quasi sorrise. « Sembrate molto sicura di voi. Ci hanno già provato in molti e altrettanti sono morti, cosa vi dice che non accadrà lo stesso anche a voi? »
« Io lo conosco. » dissi, abbassando appena la voce. « Era una persona che conoscevo. »
Flavius rimase interdetto, non si aspettava una rivelazione del genere quanto più un banale "io sono più forte degli altri". L'espressione scioccata venne presto mascherata da seria e imperturbabile.
« Sentite, non so se abbiate ragione o meno, ma nel caso andatevene, rinunciate. Questa è una battaglia che non possiamo vincere, dobbiamo solo permettere ai civili di fuggire al sicuro e poi batteremo in ritirata a nostra volta. Siamo in meno di trecento qui, saremo fortunati a reggere un paio d'ore. »
« Quindi ogni aiuto vi è utile! » lo incalzai. « Senza offesa, ma non è la vostra guerra, tornate a casa. Prendete un cavallo dei miei se non ne avete, dubito che usciremo vivi da qui. » fece per liquidarmi con quella frase. Capivo il suo punto di vista, voleva semplicemente allontanarmi dal pericolo e non vedere altro sangue versato in quello scontro suicida.
« Non è la mia guerra, non adesso. Ma lo diventerà se tutti continuiamo a pensare solo ed esclusivamente a noi stessi. Non sono forte o alta quanto uno dei vostri legionari, ma i demoni non baderanno al mio genere o al mio aspetto quando mi troveranno, riservandomi il medesimo trattamento che riserveranno a voi. »
« Permettetemi di combattere, di vendicare il mio amico. »
Lo guardai dritto negli occhi, senza alcuna esitazione e lui, a sua volta, ricambiò lo sguardo sospirando.
« Trovatevi uno scudo, siete assegnata come ausiliario alla seconda coorte. Riposate, l'abisso arriverà stanotte. E che i vostri dei vi proteggano e perdonino per aver sprecato così la vostra giovane vita. »
Mi voltai, facendo per uscire dalla tenda, ma bloccandomi sorrisi appena.
« Il mio Dio non perdona, signore, Giudica. »
[ ... ]
Da'sah ~ Tempo attuale, crepuscolo, zona di guerra.
Aprii gli occhi guardando fuori dalla finestra, sfondata, il cielo diventare sempre più scuro mano a mano che il sole lasciava spazio alla notte. L'odore del sangue mi inondò le narici, e con la coda dell'occhio mi resi conto di avere grossi ciuffi di capelli lordi di scarlatto che si erano incollati quando il sangue aveva iniziato a seccarsi. Disgustata provai ad alzarmi, ma un forte giramento di testa mi costrinse a inginocchiarmi. Dovevo aver colpito la persiana piuttosto forte e aver perso conoscenza per alcuni minuti. Il lato positivo era che non era successo niente di grave a parte un mal di testa fastidioso e un brutto taglio sulla cute che continuava a sporcare i capelli. Riprendendomi un poco mi affacciai alla finestra: la strada era quasi vuota, eccezione fatta per i corpi massacrati di ambedue le parti.
Saltai all'esterno, senza troppa fatica, notando a terra la mia spada, persa probabilmente durante lo scontro e la raccolsi lentamente. Sentivo ancora le urla della battaglia, Flavius doveva avere ingaggiato i demoni in uno scontro brutale all'interno della città, lottando vicolo per vicolo. Iniziai a correre a rotta di collo, con la spada stretta in pugno, verso il clangore e le urla agghiaccianti.
Dovevo trovare Shaoran e affrontarlo, se davvero era lui il responsabile. Avevo anche dato la mia parola a Flavius che avrei combattuto, non potevo lasciarmi sconfiggere così facilmente. Tornando nel Dortan avrei raccontato una grande storia su quella battaglia, avrei potuto convincere altre persone a unirsi alla guerra abbandonando le stupide questioni politiche.
Sfidando la paura, ignorando il sangue, i morti, continuai a muovermi. Avevo voglia di tornare a casa, di dimenticare l'orrore che avevo visto e che, temevo, avrei dovuto vedere prima della nuova alba, eppure continuai a correre verso lo scontro con la spada stretta tra le mani. Non era per eroismo che lo facevo, né per qualche stano ideale religioso, ma semplicemente perché...
Perché Dio giudica le azioni, non i propositi.
Perché le persone meritavano fatti, non più promesse.
Perché i miei amici si contavano sulle dita di una mano e non volevo perderne un altro.
Perché è quando chi può fare del bene non agisce, che il male trionfa davvero.
E prima che una donna, un'anima devota al Sovrano, ero un cavaliere,
e come tale era mio dovere combattere il male. A prescindere dalle mie paure.