Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Fetiales; In nomine Matris

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view post Posted on 29/7/2015, 17:43

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Oltre la Barriera.

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In nomine Matris

[Un mese dopo gli eventi narrati qui]


- Ragazzo mio, vieni dentro! Inizia a fare freddo lì fuori.

La vecchia Shiri attese qualche istante che il giovane desse un cenno di aver compreso le sue parole, o almeno di essersi reso conto della sua presenza, ma invano. Scrollò la testa, sfiduciata, e gli volse le spalle per rientrare nella capanna; ne uscì poco dopo con una vecchia coperta e una candela consunta che appoggiò accanto al ragazzo.

- Lo so che è dura, Aaron, ma lei non tornerà. Non serve sacrificare anche la tua giovinezza per un amore finito.


- Non è finito! - ribatté il ragazzo con foga, guardandola finalmente in volto: i suoi occhi fiammeggiavano di rabbia nonostante profonde occhiaie gli solcassero il viso, segno di notti insonni spese a fissare il vuoto, o la luna, o il fuoco che nella notte si spegneva lentamente.
- Io la amo, Shiri, e questo nessuno me lo potrà portare via! Nessuno!
Si strofinò rabbiosamente il viso cancellando le tracce di una lacrima. - Si è uccisa, portandosi via mia figlia. Non glielo perdonerò mai, ma non posso perdonare nemmeno me stesso per non averla fermata, per non aver capito…
- Capito cosa, povero figliolo? - mormorò la vecchia Shiri, impietosita.
Shanti si era suicidata, e per quanto ne sapeva lei non esiste spiegazione alla follia che alberga nell’animo umano una volta che questa diventa nera come il fumo e capace di avvelenare anche gli spiriti più puri.
Aaron scosse la testa.
- Non lo so, Shiri. Non lo so, ma qualcosa doveva pur esserci. E io lo scoprirò, te lo giuro.



La mattina seguente, Shiri si alzò di buon ora per sbrigare le poche incombenze che la casupola di una vecchia solitaria richiedeva, e uscì diretta ai margini del villaggio, dove le piccole capanne dei coltivatori sorgevano fitte come funghetti a fare da spartiacque tra i campi di canapa e l’ingresso della foresta.
I primi lavoratori erano già all’opera: salutò con un cenno i due grossi gemelli intenti a preparare gli attrezzi, scambiò due chiacchiere con un’altra vecchia comare affaccendata nelle sue mansioni mattutine e infine consegnò un cesto di uova a Laakhon, il più giovane dei braccianti che lavoravano nei campi.
Quattordici anni, due sorelle più piccole da crescere senza l’aiuto di nessuno, e un sorriso simpatico sempre stampato in faccia.
Da quando i tre ragazzi erano rimasti orfani, il villaggio si era stretto attorno a loro in una gara di solidarietà per non far mancare loro nulla, nonostante la generale povertà di Aakhiraraazi; Shiri era stata molti anni prima la sua nutrice, e il legame speciale che aveva stretto con quel bambino si era rafforzato negli anni successivi, in cui il piccolo Laakhon era stato costretto a diventare adulto troppo in fretta.

Ma quel giorno Shiri era distratta, e il ragazzo se ne avvide.

- Hai un gran daffare oggi, eh Shi? Cosa ti porta qui a quest’ora dell’alba?

Lei sorrise e borbottò qualcosa tra i denti, ma Laakhon capì al volo.

- Stai andando da...da lei, non è così? - le chiese abbassando la voce.

Shiri annuì con aria mesta.

- E’ bello che tu sia sempre così altruista e pronta a dare una mano a chi non ce la fa, mia cara Shi. Però...Sei sicura che Nadine voglia essere aiutata?

Dal suo tono scettico Shiri comprese che se nemmeno Laakhan era rimasto vicino a quella povera donna, allora lei era davvero l’unica persona che le rivolgesse di tanto in tanto la parola. Sospirò.

- E’ pazza, Shi. Stai attenta.

Shiri fu sul punto di ribattere qualcosa, ma poi si morse il labbro. Era la seconda volta in due giorni che si trovava costretta a riflettere sulla pazzia umana, e la cosa non le piaceva affatto.

- Starò attenta, te lo prometto. Ma non giudicare male quella donna, non abbiamo idea del tormento che la rode.



Nadine era ancora a letto quando Shiri scostò la tenda leggera che fungeva da porta della capanna. Si sedette accanto a lei accarezzandole i capelli e osservando il suo viso giovane già solcato dai segni di stanchezza di chi ha vissuto troppe esperienze in troppo poco tempo.
La donna si mosse nel sonno e mormorò: - Mamma…?

Shiri sorrise tristemente.

Volse uno sguardo intorno e decise di rassettare un po’ il disordine di quella casupola puzzolente di aria stantia e vestiti non lavati, finché sentì su di sé lo sguardo di Nadine.

- Cosa sei venuta a fare, vecchia?

La voce di Nadine era dura e roca, segno che da molti giorni non parlava con nessuno.

- Ciao Nadine. Come ti senti oggi? - ribatté Shiri con dolcezza.

- Non mi serve il tuo aiuto. Né la tua compassione. Non ti ho chiesto niente, vecchia.

- Ti offro solo la mia amicizia, Nadine. Se tutti ti hanno voltato le spalle, non significa che tu non possa comunque aver un’amica. E’ passato un mese ormai, e tu dovresti davvero provare a parlare con qualcuno.

- Ah ah! Parlare, vecchia? Con te? Cosa c’è, sei venuta in cerca di pettegolezzi freschi di prima mano da portare giù al villaggio?

Shiri trasse un profondo sospiro.
Da un mese ormai si ripeteva quella scena costantemente, come se Nadine fosse bloccata in un tempo cristallizzato di cui solo lei conosceva le coordinate: da quell’orribile notte in cui era riemersa dal folto della foresta con in braccio un fagotto di stracci e foglie non era stata più la stessa.
Suo marito si era rifugiato in casa di un amico, troppo pieno d’odio e di paura per cercare di scoprire la verità.
Le altre donne avevano preso a guardarla con orrore e ad evitarla come la peste, parlando alle sue spalle incuranti del fatto che lei potesse sentire.
E Shiri sapeva che la follia che si era annidata nella sua mente doveva avere una ragione, anche se lei non riusciva a comprendere quale.
Si accostò alla culla di legno grezzo costruita da Torvalh, il marito di Nadine, per la nascita del loro primogenito Olli. Era vuota naturalmente, abitata da settimane da un grosso ragno che tesseva la sua tela sopra l’involto di stracci che Nadine aveva riportato a casa quella notte al posto del neonato.

- Dov’è Olli, Nadine? So che non gli avresti mai fatto del male. Dov’è?

Negli occhi di Nadine parve guizzare una luce di disperazione, paura e consapevolezza che la rese per un istante umana. Ma scomparve subito, lasciando il suo sguardo nuovamente gelido e assente. Si limitò a fissare Shiri con indifferenza, dondolandosi avanti e indietro sul letto e canticchiando tra sé una ninna nanna rauca.

La vecchia scosse il capo, sconfitta.

Doveva tornare al villaggio, da alcuni giorni erano giunti ad Aakhiraraazi dei visitatori - fatto più unico che raro - ed era suo compito accertarsi che il loro soggiorno fosse piacevole: tirava una strana aria in quel periodo, e l’ultima cosa che la donna desiderava era che quell’aura di stagnante follia contagiasse anche i loro ospiti.



Benvenuti!
Questa breve quest ha un carattere prevalentemente investigativo: c'è un mistero che aleggia sul villaggio di Aakhiraraazi, situato in una remota ma florida zona del Plaakar: un'oasi fertile in mezzo al deserto, ma anche un luogo ostile e pericoloso per lo più inesplorato e irto di insidie. Il villaggio è autosufficiente ma da qualche tempo un fiorente commercio agricolo ha preso piede con le più grandi città dell'Akeran e del Dortan, anche grazie alle "speciali" coltivazioni che allettano molti ricchi cittadini disposti a pagare fior di quattrini per certe foglie e preparati speciali divenuti in breve celebri e ricercati. Da qualche tempo però il commercio sembra essere fiacco, e diversi commercianti e signorotti lamentano l'intermittenza della distribuzione: questo è solo uno dei possibili pretesti che potrebbero avervi condotto qui, così come l'aver sentito parlare di arcane leggende, sparizioni e situazioni misteriose.
Il vostro primo compito è definire il vostro arrivo a Aakhiraraazi, motivandone la ragione e spiegando in che modo è attinente al vostro pg. Potrete scriverne diffusamente nel post vero e proprio (di cui questa sarà la prima parte), ma come prima cosa vi chiedo una sintesi da postare in confronto. In base alla vostra motivazione, vi verrà assegnato un PNG che accompagnerà il vostro PG per tutta la giocata e che muoverete come se fosse vostro; ulteriori informazioni vi verranno fornite in Confronto dopo il vostro intervento.
Trattandosi di un giro di confronto, vi pregherei di essere il più rapidi possibile in modo da evitare tempi morti; avendo io una scadenza piuttosto urgente in real da rispettare, vorrei provare a concludere 8o almeno arrivare a buon punto) prima del momento fatidico.
Via alle danze!
 
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Blaubart.
view post Posted on 2/8/2015, 10:12





• Biblioteca IV, Lithien - Edhel


« Ho sentito parlare di alcune leggende, sparizioni e situazioni davvero misteriose nel meridione. »
Curioso che notizie di questo tipo raggiungano l’Edhel direttamente dall’Akeran, pensò. I suoi occhi vagavano oltre la finestra marmorea della biblioteca, la sua figura erta dietro questa. Le parole di Maestro Lamlisye avevano un che di curioso, come a possedere un secondo fine non espressamente rivelato. Ciò incuriosiva il giovane ragazzo, nonostante evitasse di darlo a vedere a causa del suo carattere forse altezzoso, forse involontariamente superbo. La sua attenzione era rapita dal canto degli uccelli e del loro volo ingenuo, perseveranti verso un futuro privo di qualsivoglia meta se non quella di sopravvivere, di mangiare, di cantare. Volse poi gli occhi sul vecchio elfo, ruotando il capo posatamente verso destra, con l’eleganza propria dei draghi: sapeva che se non gli avesse dedicato lo sguardo, questi non avrebbe continuato a parlare.
« Si parla di numerose sparizioni di donne, neonati la cui condizione è inusuale. Alcuni di loro si dice vengano sostituiti, altri cambiano il colore delle iridi. Tutto questo lascia molti interrogativi nel Plaakar, precisamente ad Aakhiraraazi. »
Aakhiraraazi. Un nome tanto misterioso quanto difficile da pronunciare. Questo luogo non accendeva nessun tipo di ricordo nella sua mente e il tono con cui Maestro Lamlisye aveva pronunciato questa parola sembrava pretenzioso di nozione, come se Viinturuth avesse dovuto reagire in modo sorpreso. Sorpresa che non si accese sul suo viso, ancora inespressivo, forse annoiato. Una noia che, reconditamente, mascherava una vaga curiosità, la quale mai avrebbe dato a vedere facilmente per mancanza di voglia, per orgoglio. Il suo viso tornò sul panorama idilliaco che lo aveva visto crescere sin dall’infanzia.
« Vuole che io parta, dunque. »
Doveva quindi partire, pensò. Lasciare gli stessi monti su cui stava buttando lo sguardo per inerzia. La sua perspicacia non sorprese però il vecchio elfo, oramai abituato da decenni alla sua personalità. Quest’ultimo sorrise, teneramente. La tenerezza di un anziano che mai aveva smesso di sentirsi bambino. E questo, Viinturuth, lo sapeva. Rivelò quindi la verità al giovane che crebbe per tutto questo tempo, per questi vent’anni.
« Aakhiraraazi è il villaggio dove tua madre ti mise al mondo. »
Ed ecco l’esofago chiudersi, stringersi su sé stesso, una notizia che lo deteriorò dall’interno, silenziosamente, come se il contenuto dello stomaco si fosse prosciugato d’un tratto.
Ma sul suo volto, nulla di nuovo.
Ancora una volta il fantasma di Visènyse, di sua madre, era tornato a fargli visita senza mostrarsi direttamente. Una presenza - un’assenza - che l’aveva segnato negli anni. I suoi occhi muti fissavano altrove, fissi e ferrei, come per ignorare l’affermazione del vecchio elfo, come a poter dire “non mi importa”.
Eppure gli importava eccome.
« Le abilità per poter lasciare la città e viaggiare, mio caro ragazzo, non ti mancano. Questo è noto.
Partirai per Aakhiraraazi; lì conoscerai una signora, una levatrice. Il suo nome è Shiri. Ha una certa età e saprà chi sei. Chiedi di lei. »

E un mondo gli si aprì davanti agli occhi, come se gli stessi uccelli, gli stessi monti e la così distante terra bassa diventassero giuste e importanti opportunità di conoscenza, la consapevolezza di poter scoprire qualcosa in più sulla madre, su quel fantasma andato che mai era scomparso fino in fondo. Le sue labbra si divisero piano quando Maestro Lamlisye era in procinto di lasciarlo ai suoi pensieri - mentre questi si voltò per camminare altrove, Viinturuth parlò.
« Come conosce questa donna? »
Viinturuth odiava fare domande: era una condizione che non sopportava. Eppure, stavolta, il desiderio di conoscenza - la curiosità - era così alto da cancellare il sentimento di noia che spesso e volentieri lo assorbiva ogniqualvolta doveva sentirsi costretto a porre interrogativi agli altri. Ma già sapeva la risposta, in cuor suo. Come ad ipotizzarla o a saperla reconditamente nel suo animo, lontano dalla sua razionalità, dalla sua mente.
Maestro Lamlisye sorrise beffardo e il giovane se ne accorse, nonostante i suoi occhi non lo videro. Le reazioni di quel vecchio erano, per lui, un libro aperto. Un libro terribilmente fastidioso: sebbene egli avesse rivelato al giovane drago degli aneddoti sulla madre, sembrava quasi che non volesse mai dirgli tutto ciò di cui era a conoscenza.
« Oh, ragazzo mio, che domande… Non la conosco di certo!»
E così sparì, incamminatosi verso chissà dove, saltellando contento. Ah, il caro e vecchio Lamlisye! Sempre pronto a mettere leggerezza e spontaneità nelle cose per ridurre l’importanza e la gravità dei fatti.

Fu quando ottenne il permesso di uscire dall’Alta Città che dentro di lui poté nuovamente sperimentare un sentimento di freschezza, la leggerezza della sua anima.
Un lieve sorriso, a rinnegare quasi la sua caratteristica inespressiva, nacque sul suo volto, contraddicendo quasi una vita intera passata nell’alto marmoreo di Lithien.



• Villaggio di Aakhiraraazi, Plaakar - Akeran


E quella terra fu piena di novità per quegli occhi celesti che mai avevano realmente visto quel mondo se non tramite mere letture descrittive. Viinturuth finalmente comprese quanto fosse diverso il concetto di vedere da quello di immaginare. Le sensazioni lo rapirono al guardare il Plaakar come nuova terra, così come le terre imperiali, il Dortan. Un viaggio così lungo non l’aveva fatto mai; salvaguardato da alcune guardie elfiche di Lithien, fu scortato sino ad Aakhiraraazi per un solo motivo. Non era affatto interessato a scoprire le motivazioni delle numerose sparizioni nel villaggio, tantomeno era poi così tanto incuriosito dalle leggende che non gli erano state raccontate dal maestro. Sembra essere partito alla cieca. L’unico motivo, l’unico movente, che aveva spinto il giovane drago ad attraversare le terre di Theras, era quell’anima perduta, quel fantasma condizionante: Visènyse, la sua mamma. Defunta, in nome di sé stessa.
Non c'era nessun altro posto in cui volesse andare, nient’altro a cui volesse pensare; qualcuno ad attenderlo.
Ma come poteva muovere un passo in una direzione se tutte le direzioni si equivalevano? Shiri era stato un nome che per troppe notti, durante il viaggio, il giovane si era ripetuto al fine di potersi ricordare di costei, di questa levatrice, questa donna anziana che pareva aver conosciuto quel fantasma da cui lui proveniva eppure mai aveva conosciuto.
Sospirò molteplici volte, appena mise piede in quel villaggio dall’aria vacua, verso cui il sole batteva perpetuamente. Erano passate quattro lune dal giorno in cui era partito ma fortunatamente aveva avuto modo di dormire nel precedente accampamento.
Dov’è costei?, si chiese, come se potesse darsi una risposta, ma la risposta non poteva arrivare da lui medesimo, così si costrinse a chiedere ai pochi passanti che vedeva animare, se pure per poco, il famigerato villaggio di Aakhiraraazi. Quella sui cui muoveva i passi sembrava essere una campagna lavorata da contadini e due di questi, presumibilmente gemelli ai suoi occhi, agivano con laboriosità per lavorare la terra. Che novità, pensò! A Lithien non vi erano campi da arare e durante il viaggio ne aveva viste così tante! La visione si prestò gaudente ai suoi occhi e più pensava di aver lasciato Lithien, più si sentiva enormemente leggero quanto la personalità stessa di Maestro Lamlisye. Solo in quel momento si rese conto di quanto egli fosse così buono. Sorrise delicatamente, quasi impercettibilmente, al ricordo di un uomo che era abituato a vedere quotidianamente e che, adesso, era solo un figuro presente nella memoria di lune passate. Si avvicinò regale ai due grossi energumeni dall’aspetto identico, preoccupandosi di evitare gli ortaggi piantati, mai, tra l’altro, visti prima d’ora. Le guardie di Lithien, che l’avevano scortato per tutto quel tempo, lo attesero lì dove li aveva lasciati per incamminarsi verso i due ragazzi.
« Salve. Sto cercando una donna anziana, probabilmente la conoscerete. Il suo nome è Shiri. » Il suo atteggiamento pacato, gentile, aveva fatto sì che i due gemelli sorrisero fiduciosi, sebbene avessero inizialmente storto il naso nel guardare gli abiti forse succinti del giovane drago. Uno dei due si mostrò parecchio socievole e poggiò una sua mano, non priva di calli, sulla spalla dell’evocatore, il quale, poco abituato a simili contatti fisici, sorrise un po’ imbarazzato. Le indicazioni erano dunque chiare: la levatrice che stava cercando era nella sua umile casa, poche centinaia di metri oltre il campo.
Camminare era decisamente piacevole. L’aria di mistero che aveva circondato la levatrice nell’immaginario di Viinturuth e il tempo passato durante il viaggio, l’avevano resa una figura verso cui il giovane di Lithien non poté altro che provare immensa curiosità. Cosa sapeva quella donna su sua madre? Cosa poteva rivelargli? Lievi ansie turbarono il ragazzo, che ora era in procinto di bussare alla sua porta.
« Desidero che mi lasciate parlare da solo con questa donna. Potete vagare per il villaggio in cerca di una taverna dove passare il tempo. Siete congedati. » Non se lo fecero ripetere nuovamente; le quattro guardie lo salutarono con un garbato cenno del capo, prima di allontanarsi. Viinturuth sospirò, i suoi occhi decisi e le sue nocche pronte a battere sul legno della porta. Non passò molto tempo prima che la signora aprì quest’ultima e subito, quindi, si mostrò al giovane dai capelli color della neve.
Lamlisye aveva proprio ragione, non c’è che dire. L’espressione della donna divenne sorpresa, come a ricordare un bel ricordo. Aveva i capelli grigi, propri della sua età, e gli occhi acquosi di una donna che ne aveva viste tante. Le labbra di Viinturuth si separarono silenziosamente, senza distanziarsi troppo. Nessuno dei due sembrava voler parlare per primo.
« Visènyse… » Questa fu l’unica parola che l’anziana signora fu in grado di pronunciare, un tonfo al cuore per il ventenne. Era lei, era Shiri. Fu come se lui vedesse sua madre dentro gli occhi sorpresi della signora… un’espressione che pareva rimembrare le gesta di una guerriera, di un drago, la sua forza e il rispetto che tutti provavano per di lei, la contentezza di vedere, ora, davanti a sé, i suoi geni così visibili e palesi.
Era davvero identico a sua madre come tutti dicevano.
I suoi occhi divennero più umidi ma le lacrime sorbirono l’ordine di non valicare la soglia delle palpebre - non avrebbe voluto mostrarsi in quel modo agli occhi di colei. Ed era forse quello l’orgoglio proprio dei draghi? La dignità di sua madre. Un comportamento dedicato al suo nome.
« Ragazzo mio, tu… Suvvia, entra… » La donna sembrò capire tutto in un istante. Riconobbe immediatamente in lei la gentilezza d’animo, l’accoglienza, ma tutto sembrava offuscato… di fatti il desiderio di saperne di più sulla sua genitrice era troppo forte, troppo presente. Assecondò l’invito benevolo della donna ed entrò nella sua casa, fidandosi di lei sebbene fosse una persona scrupolosa, come Maestro Lamlisye l’aveva educato - seppur con la leggerezza di un bambino immaturo! -. Avvicinò il dorso laterale delle dita alle narici del suo naso sottile, facendo in modo di ritrarre le lacrime che mai, per nessuna ragione a questo mondo, sarebbero dovute cadere dalle sue ciglia albine. Riprese dunque la compostezza con cui aveva bussato a quella porta, una porta che avrebbe rivelato le informazioni di quel dato fantasma, ancora lei, ancora Visènyse. La porta si richiuse alle loro spalle e l’anziana lo invitò a sedersi in un piccolo ma, per quanto possibile, delizioso soggiorno.
« Il mio nome è Viinturuth - lei… conosceva mia madre? » Un’altra domanda priva di noia, un’altra domanda che desiderava una risposta. Una timidezza mai mostrata in vita sua, potremmo dire. La sua regalità sembrava ora essere minacciata da questo calo di personalità. Del resto, quando si parla di Visènyse il suo cuore tentennava sempre.
In nome di sua madre.
« Viinturuth. » Gli fece eco la donna. Pronunciò il suo nome come ad assaporare un ricordo. Sembrò ridacchiare, con voce affannosa, una voce tenera che aveva sorbito il dolore dell’intero villaggio. « Già! Era questo il nome che decise per te! » Lo sguardo di Viinturuth vacillò in un istante. Aveva così tante domande da porle… Lei parlava come se fossero state rispettose conoscenti: una risposta indiretta alla sua domanda, un’altra risposta atipica. Gli occhi della donna divennero maggiormente acquosi, lievemente più rossi al ricordo piacevole di quella nascita a cui lei contribuì. In un attimo la mano nodosa di lei sfiorò le dita alabastrine di lui.
« Figliolo, sei così uguale a lei… » Sospirò, incredula e comprensiva. In quel momento, di fronte a quelle parole, Viinturuth seppe che quegli occhi avevano compreso la sua difficile condizione di orfano. Deglutì silenziosamente, come un ladro in una missione delicata che non vuol farsi sentire.
« Perché sei qui? Oh, sei cresciuto così tanto…! Io non avrei mai pensato di rivederti. Tantomeno in questo periodo… » Iniziò col parlare. L’attenzione di Viinturuth aumentò drasticamente, come a voler percepire notizie criptiche sul suo passato, come se ogni parola detta da quell’anziana signora potesse essere oro colato. « Tua madre si era diretta verso nord circa una settimana dopo la tua nascita, voleva affidarti ai maestri di Lithien, voleva offrirti una formazione degna nelle arti arcane. All’epoca avevo poco più che una trentina d’anni! Lei aveva grandi progetti per te… Era così decisa, così ferma sulle sue decisioni! “E’ la mia progenie, è destinato a grandi cose.” Non faceva altro che ripetermi queste parole…! » Rimembrare era per lei uno squarcio di distrazione su tutto ciò che stava accadendo nella sua terra, ma questo Viinturuth non poteva propriamente saperlo. Sebbene sapesse delle voci che giravano su quel villaggio, tutto sembrò passare in secondo piano davanti a quei ricordi così vividi. Per un attimo, ancora e ancora, poté vedere sua madre dire quelle parole degne di un drago, così come tutti, a Lithien, solevano ricordarla. Poté dunque immaginarla. Un sorriso ingenuo sembrò sbocciare sul suo viso, stavolta più accentuato e delizioso: Shiri questo poté notarlo.
« Oh, la prego, mi racconti di lei… » La richiesta uscì dalle sue labbra come un fiume in piena. Che strana sensazione, provò! La pelle gli si era ora accapponata per via dei brividi e il cuore sembrava battergli più velocemente. In quella casa, Viinturuth, sembrava aver perso la compostezza dei draghi, la loro sicurezza. Sua madre è stata, da sempre, la sua unica debolezza.
« Ragazzo mio… tu non dovresti essere qui. E poi, come mi hai trovata? Chi ti ha parlato di me? » Intervenne preoccupata, ignorando la richiesta del giovane così come lui aveva ignorato la domanda che gli aveva posto prima di perdersi nei ricordi.
« Il mio tutore di Lithien ha fatto il suo nome. Lui conosceva molto bene mia madre… » Anche se continua a nascondermi parecchie cose sul suo conto, aggiunse nella sua mente. Di questo ne era certo.
Ad ogni modo, perché non avrebbe dovuto essere lì? Subito si diede la risposta: non era certo il migliore dei momenti storici. Ma questo non lo preoccupava - lui era lì per scoprire qualcosa di più su sua madre. E Shiri avrebbe avuto molte risposte.
« Credo ti sia giunta anche voce che in questo villaggio… le cose non vadano così tanto bene. » Sorrise sommessamente al giovane, come a proteggerlo da ciò che stava accadendo, non accorgendosi, però, che Viinturuth non era più l’infante che lei aveva accolto tra le mani due decenni addietro. Eppure parlò, rivelando di preciso ciò che accadde. Resasi ora conto di avere davanti a sé un drago e non un giovane incosciente. Per tutto ciò che poteva ricordare su Visènyse, la donna sospirò speranzosa: del resto era pur sempre suo figlio.
« Pochi giorni fa una ragazza incinta si è gettata in un torrente. Suo marito, Aaron, è tuttora sconvolto. Il suo nome era Shanti. Numerose donne, madri, spariscono misteriosamente… e ciò accade da molto tempo. Così tanto tempo che ormai non mi sorprende che la notizia abbia raggiunto l’Edhel. L’opposto è accaduto recentemente ad un’altra donna, Nadine. Suo figlio Olli, un neonato… » La donna non riuscì a continuare il discorso, sebbene mostrasse una forza di volontà talmente alta… assolutamente lontana dalle possibilità di un’anziana.
Fu proprio guardando nel profondo degli occhi di lei, in quel momento, che Viinturuth, comprensivo e taciturno, adagiò la sua empatia attraverso quello sguardo così acquoso. Quella signora possedeva in sé non solo la memoria di sua madre… ma anche il peso dei tetri avvenimenti che da tempo, ormai, colpivano il villaggio. Cosa sarebbe successo se lui stesso fosse rimasto ad Aakhiraraazi? I suoi pensieri lo portarono ad Olli. Un destino diametralmente opposto, si ritrovò a pensare. Sfiorò con le dita della destra il pendente che gli aveva lasciato sua madre, in suo nome. Unico memento della sua esistenza, lo guardò chinando il capo.
« Si ricorda di questo ciondolo? » Chiese, serio. La donna annuì, tristemente - un sorriso proveniente da dolci ricordi, una smorfia eterea che pareva farsi carico di tutti i problemi del mondo.
« La aiuterò a mettere chiarezza in questi eventi. La questione mi tocca nel profondo. »
Promesse.
In nome di sua madre.

VIINTURUTH
Corpo: 75%
Mente: 75%
Energia: 150%
CS: 0

POTERI PASSIVI
Nessun potere passivo utilizzato.

EVOCAZIONI
Nessuna creatura evocata.

TECNICHE ATTIVE
Nessuna tecnica attiva utilizzata.

OGGETTI UTILIZZATI
Nessun oggetto utilizzato.

NOTE & RIASSUNTO
Nulla da riferire. Spero di aver soddisfatto la consegna. :sisi:
 
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Ashel
view post Posted on 4/8/2015, 16:15






Il ricordo di quanto era accaduto solo qualche settimana prima sull'isola era ancora vivido, dentro di lei, e il messaggio fattole recapitare proprio in quei giorni da Galatea le era arrivato nel momento sbagliato.
Aveva da poco fatto ritorno a Dorhamat, in cui alloggiava in una delle tante bettole del porto assieme a corrieri, assassini e gentiluomini di fortuna e riteneva che le notizie raccolte nel suo viaggio per mare fossero sufficienti a mettere in allarme tutte le colonie di sirene, là negli abissi dell'Oceano di Zar.
Forze oscure si muovevano nell'Akeran e altre si risvegliavano dalla profondità dei mari che pochi naviganti avevano osato solcare nel corso delle generazioni con le loro fragili navi di legno, le uniche imbarcazioni che i theraniani parevano in grado di costruire.
Per prima cosa Cassandra avrebbe dovuto inviare un messaggio alle sue compagne che attendevano risposte e quindi continuare ad indagare per proprio conto. Maegon, draghi, Ahriman... Parole che per lei avevano ancora un significato oscuro, ma che apparivano invero indissolubilmente legate alle sorti non solo di Theras ma anche di tutti gli abitanti del mare.
Molte cose l'avrebbero portata prima a Qashra, la capitale del regno nanico, in cerca di una certa persona; poi nel Surgun-Zemat, un’aspra e impervia regione del Meridione che avrebbe fatto molta fatica a raggiungere: là sembravano congiungersi gran parte delle piste che aveva seguito fino a quel momento, anche se molti indizi le apparivano ancora piuttosto nebulosi per delineare un quadro comprensibile.
Eppure, nonostante tutta l’urgenza che quella situazione richiedeva, giudicò che la richiesta di soccorso della sua compagna avesse la precedenza; ci volle un giorno intero, però, perché riuscisse a risolversi a partire davvero per il Plakaar. Temeva che a muoverla non fosse la ragione ma un moto irregolare del suo animo - quello smacco subito tanti anni prima, un ricordo che le impediva di prendere la decisione giusta e metteva zizzania nella sua volontà.
Pur sapendo di avere la mente annebbiata dai sentimenti e dall'orgoglio, si unì a una spedizione di commercianti della città marittima pagando in perle il trasporto e chiese di essere lasciata a poche miglia da Aakhiraraazi, che avrebbe raggiunto da sola e a piedi.
Viaggiò in condizioni tutt’altro che comode e per gran parte del tempo non fece che lottare contro zanzare, mosche e ogni genere di insetti che popolavano le vaste e selvagge foreste della regione; il clima umido e piovoso le procurò prima un gran raffreddore e poi una leggera febbre che la costrinse a rimanere su uno dei carri per buona parte del viaggio.
Una volta arrivata in prossimità della sua destinazione il suo corpo aveva cominciato ad abituarsi a quelle terre che trovava tanto ostili, al caldo e alle piogge torrenziali, ma non ne poteva più.
Sentiva più che mai l’esigenza di dormire in un vero letto e di mangiare del vero cibo.

~

Il giorno seguente al suo arrivo, Cassandra si alzò di buonumore grazie alle lunghe ore di riposo e all’ottima colazione che consumò, da sola, nella sua camera.
Aveva trovato una buona locanda: pulita, accogliente e a buon mercato. La moglie dell’oste, una donna per bene, le riservò ogni genere di riguardo e si assicurò che si trovasse a suo agio.
Secondo i suoi calcoli dovevano essere passati circa venti giorni dalla richiesta inviatola da Galatea, ma quasi nessuno ricordava di averla vista nei paraggi.
Cassandra la conosceva bene: non era una guerriera ma sapeva badare a se stessa; non provava alcuna stima per i viaggiatori provenienti dalla terraferma ma non li aveva mai combattuti apertamente; inoltre non era la prima volta che raggiungeva i territori di Theras per una missione di esplorazione. Avevano scelto lei perché era una veterana, una viaggiatrice esperta che conosceva molte lingue e aveva familiarità con gli usi e costumi degli stranieri. Agli occhi delle sue sorelle era sempre apparsa zelante e cauta, ma Cassandra sapeva di quali crudeltà era capace pur di raggiungere il suo scopo. Il fatto che fosse rimasta coinvolta in quella brutta faccenda rendeva le cose ancora più complicate di quanto già non fossero.
Approfittando della naturale simpatia che Margaret, la padrona della locanda, provava nei suoi confronti, provò a farle qualche domanda su quanto accaduto al villaggio negli ultimi tempi; da lei seppe di Aaron, di sua moglie e degli stranieri che erano giunti, pressapoco assieme a lei, a Aakhiraraazi. Ma non disse nient’altro che potesse davvero aiutarla a ritrovare la sua compagna o a fare luce sulla vicenda.
Una gran brutta storia, quella di Shanti e di suo marito; ma non si era trattato di un caso isolato. C’erano stati altri eventi spiacevoli e anche se tutti preferivano evitare di parlarne era chiaro che nel villaggio qualcosa non andava.
Eppure, Cassandra non riusciva a persuadersi che Galatea avesse viaggiato fin lì solo per trovare una risposta a misteriose sparizioni o altri fatti spiacevoli per cui Aakhiraraazi era diventato tristemente noto tra i viaggiatori; perché si era spinta così all'interno di quella regione, deviando dal percorso che avrebbe dovuto seguire in origine? Non credeva che l'avesse fatto per un suo capriccio, né che fosse arrivata lì per caso. Doveva aver trovato qualcosa che aveva attirato la sua attenzione; qualcosa che aveva creduto essere importante ai fini della sua esplorazione.
L'unico in grado di aiutarla fu un cacciatore del villaggio che usava frequentare, quasi sempre solo, la locanda di Margaret. Era giovane e di bell'aspetto, ma un velo di tristezza pareva essere sceso sulla sua persona, come se la vita non potesse riservargli altro che delusioni.
Lo avvicinò in una sera di pioggia, mentre, con aria particolarmente abbattuta, consumava una birra tiepida e qualche cosa che Margaret gli aveva preparato.
Con lui fu sincero. Gli si avvicinò dicendole di venire da Dorhamat e di cercare una sua vecchia amica della quale aveva perso le tracce da quasi un mese.

- E' alta, molto pallida, dai lunghi capelli rossi. Credo che viaggiasse sola. Ho chiesto a molte persone qui intorno, ma nessuno si ricorda di lei. Si chiama Galatea.

Il giovane ebbe un sussulto, poi strinse il boccale di birra come se vi si stesse aggrappando.

- La conosci, dunque? Non ho mai capito cosa l'abbia spinta a venire qui ad Aakhiraraazi, ma so solo che ha insistito per accompagnarci diverse volte durante le battute di caccia. Non sembrava una grande guerriera, ma sapeva il fatto suo e così...

Il suo racconto si fece confuso e tutto sommato avido di particolari, ma Cassandra sapeva leggere tra le righe. La sua compagna era molto bella ed era bastato poco per accendere la rivalità tra i cacciatori, gettando un'ombra sull'unità e sull'amicizia che animavano il gruppo.
Arthus non seppe dirle nient'altro, se non che l'ultima battuta di caccia aveva causato il ferimento di Leonel, oltre che la sparizione di Sakht e della giovane straniera.
Lasciò il suo nuovo amico dopo avergli strappato una promessa - avrebbe fatto il possibile per convincere gli altri a portarla a caccia con loro - ed essersi assicurata con uno sguardo affabile e una lieve carezza sulla mano ch'egli si ricordasse di lei e di ciò che gli aveva chiesto; visto che tutti gli indizi portavano alla foresta era lì che sarebbe andata a cercare Galatea e il cacciatore scomparso. Chissà che non sarebbe riuscita a saperne di più anche dei misteriosi fatti che tormentavano il villaggio nelle ultime settimane.
Ma prima sarebbe andata a fare qualche domanda anche a Leonel, che era ricoverato presso la guaritrice di Aakhiraraazi, e versava, a quanto detto da Arthus, in condizioni gravissime.

~

Il colloquio con Leonel le fruttò più informazioni di quanto avesse sperato in un primo momento.
Zia Mame, la stramba guaritrice del villaggio che aveva in cura presso di lei alcuni degenti, la fece passare con entusiasmo, ma non le fornì alcuna informazione sullo stato di salute del giovane né sui fatti che l'avevano visto protagonista nella foresta.
Leonel era alto e robusto e aveva un fisico abituato alla vita dura e alla fatica. Giaceva, solo, accanto a una finestra a fissare un punto indefinito nello spazio. I suoi occhi si muovevano talvolta con estrema lentezza, ma nulla in verità riusciva ad attirare la sua attenzione. Sembrava cieco e sordo al mondo, come se in fondo si trovasse lì per puro caso, per una strana e assurda coincidenza; come se non avesse nulla da spartire con niente e con nessuno.
Semplicemente, si lasciava vivere; e Cassandra ebbe come l'impressione ch'egli fosse una sorta di morto vivente al quale avevano riservato un trattamento assai crudele e senza umanità: quello di non essere morto per davvero.
Gli si avvicinò e provò subito per lui un gran pena. I suoi grandi occhi scuri fissavano qualcosa oltre il vetro della finestra ma, in realtà, non guardavano niente in particolare.
Le domande che Cassandrà provò a fargli non sortirono su di lui alcun effetto. Dapprincipio egli si limitò infatti a lanciarle delle occhiate torve senza rispondere nemmeno con un cenno; poi, bastò nominare Galatea perché cominciasse ad agitarsi e a farfugliare qualcosa che la giovane non capì. Sembrava molto spaventato.

- Non caverai proprio nulla da quello. Dalle mie parti dicono che parlare con un muto è solo uno spreco di tempo.

Uno dei degenti, sghignazzando con il suo compagno accanto a lui, indicò il povero Leonel e poi si girò dall'altra parte come per mettere bene in chiaro che lui con quella brutta storia non c'entrava un bel niente: al giovane, infatti, avevano tagliato la lingua.

- Che cosa gli é successo? Chi l'ha ridotto cosí?

Lo guardò provando sentimenti contrastanti: era turbata da quel dettaglio raccapricciante ma, allo stesso tempo, decisa ad andare fino in fondo alla vicenda; così gli parlò di nuovo con una dolcezza e una sincerità tali da sorprendere, invero, anche lei.

- Voglio capire cosa é successo per porvi rimedio, se possibile. Sto cercando anche di rintracciare la mia amica...
Ti prego, cerca di aiutarmi.


Fece una pausa, come per lasciare che quelle sue parole avessero effetto su di lui; quindi, guardandolo fisso nei suoi grandi occhi colmi di spavento, lasciò che le loro menti entrassero in contatto l'una con l'altra. Si insinuò nei suoi pensieri con dolcezza e gli rivolse la sua richiesta di aiuto in una forma che non necessitava di parole.

Che cosa é successo nella foresta, Leonel? Aiutami, e potremo fare chiarezza. Ritrovare i nostri amici o... vendicarli, se necessario.

Poi pensò a Galatea, al suo carattere duro, alla sua indole ambiziosa.
Pensò a quando l'aveva vista uccidere con troppa facilità, così troppe volte.

Se é stata Galatea, non temere: avrà ciò che merita.

Fu allora che Leonel lasciò che i suoi pensieri rifluissero liberamente nella mente della giovane; le immagini si fecero spazio nel buio sovrapponendosi le une con le altre mentre i ricordi dell'infanzia e della giovinezza di un cacciatore la cui vita aveva sempre promesso tutto costruivano un quadro per la prima volta completo.
Cassandra vide molte cose.
Poi tutto cominciò a sgretolarsi e a consumarsi e allora capì che aveva visto abbastanza.

- Grazie, Leonel.

Si alzò, gli mise una mano sulla spalla e cercò nuovamente il suo sguardo per comunicargli tutta la sua gratitudine; ma lui ormai era distante, era tornato nell'abisso di inerzia e stanchezza a cui, con una crudeltà senza pari, l'avevano condannato.

- Adesso devo andare. Ti prometto che farò il possibile per trovare il responsabile.

Nessuno dei due degenti la degnò d'attenzione mentre se ne andava; solo zia Mame, all'uscita, la ringraziò per la sua opera di carità dicendole che di ragazze così per bene, ormai, ne erano rimaste poche.

~

- Non ti sto dicendo che devi venire con me per forza. Ma se davvero vuoi trovare il responsabile, o i responsabili, di quanto è accaduto a Shanti, non potrai farlo standotene sempre chiuso in casa.

Aaron la guardò con disprezzo, poi si accese una sigaretta e tirò una lunga boccata di fumo.

- Da Leonel ho avuto la conferma che qualcosa nella foresta ha ferito lui e Sakht. Ho ragione di credere che le misteriose sparizioni e le disgrazie che hanno colpito Aakhiraraazi negli ultimi tempi siano legati a quest'ultimo fatto ed è compito nostro indagare.
Perlomeno, per restituire una dignità a tua moglie.


- Che cosa ne vuoi sapere tu, di mia moglie?!

Aveva sbattuto una mano sul tavolo e, per la prima volta da quando Cassandra aveva cominciato a fargli visita, aveva avuto una reazione diversa dall'indifferenza o dal silenzio forzato.

- E poi, proprio tu vieni a parlarmi di dignità!
Dignità... Una cosa che la tua amica non conosceva quando ha deciso di mettersi in mezzo... Sai cosa me ne importa, di quella sgualdrina.


- A me, invece, importa. E importa anche che a tutt'oggi nessuno è stato in grado di trovare una spiegazione per tutte queste disgrazie che, evidentemente, non si ripetono per pura casualità.
Non capisci, Aaron?


Gli si avvicinò e lo guardò con durezza. Era perfettamente in grado di tenergli testa, anche se la disperazione e il dolore erano capaci di tramutarlo in una belva senza controllo.

- Esiste un disegno che regola tutti questi avvenimenti e che dà una forma all'apparente imprevedibilità delle cose e sta a noi capire quale sia.
Io credo che tu lo debba, se non a tua moglie, perlomeno a te stesso.


Le rivolse un sorriso in cui si mescolavano cattiveria, delusione e frustrazione.

- Che cosa era venuta a fare, qui, la tua amica?

- Non lo so. E' quello che sto cercando di capire.
Forse, aveva trovato qualcosa di sospetto e aveva deciso di indagare.


- Lo vedi? Tu non mi dici tutto, mentre io dovrei venire con te a rischiare la vita non si sa bene per cosa, o per chi.

- Tanto, non hai niente da perdere.
Qui o altrove, per te che differenza fa?


~

L'uomo era rimasto muto mentre la straniera parlava. Stava cercando di ricordarsi come aveva fatto a permetterle di rivolgersi a lui in quella maniera, ma non aveva osato contraddirla perché sapeva, in cuor suo, che aveva ragione.
La ragazza di cui i suoi compagni si erano invaghiti non era arrivata lì per caso, e nemmeno quegli stranieri che da giorni gironzolavano per il villaggio facendo domande e credendo che fossero tutti troppo scemi per non accorgersi che stavano indagando su qualcosa si trovavano in quel buco di villaggio per una fortuita coincidenza.
La sua vita era arrivata a un bivio, se di vita si poteva ancora parlare; gli era stato portato via tutto troppo presto e molte volte aveva pensato che era troppo stanco per continuare.
Molte volte aveva pensato di togliersi di mezzo.
Non aveva mai creduto in nessun dio e in nessuna religione. Semplicemente non ci aveva mai pensato, era sempre stato troppo forte e troppo giovane per occuparsi seriamente della morte; e ora che sua moglie e suo figlio non c'erano più si domandava se esisteva un luogo in cui poterli rivedere, anche solo per poco.
Ma dentro di lui sapeva che quel luogo di cui andava fantasticando non esisteva né sarebbe mai esistito e tanto valeva farsene una ragione.
Perciò andava nei boschi, solo, a sfogare sulle bestie la sua rabbia e il suo dolore. Non colpiva solo per uccidere, ma anche per fare del male. Voleva vedere fin dove era in grado di spingersi per cercare di trovare un rimedio a quella sua condizione.
Forse era semplicemente arrabbiato perché nessuno si era preso la briga di aiutarlo davvero. Certo, i suoi amici erano venuti a fargli visita quasi tutti i giorni da quando... Ma avevano avuto per lui solo frasi di circostanza e sguardi ricolmi di una pietà odiosa che a stento era riuscito a tollerare.
Era arrabbiato perché aspettava che qualcuno, chiunque, lo riconducesse a se stesso, o almeno ci provasse.
Alla fine, aveva congedato la straniera promettendole che ci avrebbe dormito su, anche se erano settimane che non chiudeva occhio; anche se la sua decisione l'aveva presa nel momento stesso in cui aveva visto quella giovane donna dalla pelle chiara e dallo strano accento delle città costiere varcare la soglia di casa sua.
L'aveva saputo fin dall'inizio: era lei che stava aspettando.

Finalmente era arrivata.


Cassandra



Mente:
Corpo:
Energia:
Armi: Spadino; Arco lungo [15/15]

Passive attive:

» Fascino: Le sirene sono in grado di esercitare un'influenza tale sulle altre creature da essere in grado di condizionarne la volontà semplicemente con la loro presenza. Possono emanare un'aura attorno a loro influenzando qualunque creatura nei dintorni, inducendola a non contraddirle o a seguirle, o ancora a temerle.
Ciò si traduce in un'influenza psionica passiva che spinge le vittime a fidarsi di loro e ad accondiscenderne le richieste, anche quando queste comprendano azioni dannose o pericolose.
(Numero di utilizzi: 1/6)
[Passiva Affascinare Talento Lv 1]

» Telepatia: A causa della loro esistenza sottomarina le sirene hanno sviluppato la singolare capacità di parlare attraverso il pensiero, comunicando telepaticamente con le altre creature e con le loro simili. Consumando un utilizzo di questa passiva, sarà possibile mettersi in contatto con la mente di un altro personaggio e parlargli tramite questo canale privato.
(Numero di utilizzi: 1/6)

Attive utilizzate:

Riassunto:

Note: -


Edited by Ashel - 4/8/2015, 17:33
 
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Blaubart.
view post Posted on 4/8/2015, 17:54





• Casa di Shiri, Villaggio di Aakhiraraazi, Plaakar - Akeran


I giorni in compagnia della donna si addizionarono l’un l’altro, uno dopo l’altro, unendosi, sistemandosi quasi in una tabella strutturata. Una di quelle notti passò lunga, torturata dai pensieri del giovane. Ciò che capitò al piccolo Olli, a Nadine, l’idea che le medesime cose essere capitate a Visènyse in passato, lo scossero. Iniziò a credere che sua madre l’avesse di proposito allontanato dal villaggio per via di quegli eventi.
Cosa del tutto probabile.
La convivenza con la vecchia Shiri, certo, era piacevole, ma la situazione del villaggio rendeva tutto più difficile. Si sollevò dal letto, pesante, dopo una notte passata per lo più a pensare, in intervalli di sonno, fantasticare sull’inversione, mettendosi nei panni di Olli. Il volto androgino segnato dalla realtà delle cose. Stazionò di fronte allo specchio per qualche secondo, osservando i suoi occhi, gli occhi di sua madre. Se solo lei fosse ancora qui, pensò.
Inutile pensarci.
Lo sguardo vacuo, la bocca lievemente aperta, una tormenta silenziosa che sapeva gestire, come aveva sempre fatto sin dalla nascita. Madre di sangue, madre mare, madre di tutte le spade conficcate in un unico cuore, madre della fronti affogate, madre di sale e senza latte, madre di colpi. Indifferente. La conosceva bene, sotto questo punto di vista. Il punto di vista dell’assenza. Scese le piccole scale di legno scricchiolante: Shiri era in procinto di preparare la colazione.
« Io non ho fame. » Disse, nel vuoto del silenzio.
« Sciocchezze! » Rispose goliardica, Shiri. Come se ciò che la circondasse fosse pieno di gaudio.
« Io non ho fame. » Ripeté il giovane evocatore, col medesimo tono.
La donna si voltò, comprensiva ma interdetta e capì che sarebbe stato irremovibile; il volto che videro i suoi occhi era quello di un ragazzo apparentemente vuoto che, seppur non avesse dormito, non sembrava stanco. Ci vuole molto di più per stancare un drago - o almeno è quello che si crede. La donna si arrese e apparecchiò solo per se stessa.
« Hai parlato di una donna, una tale Nadine. Desidero che tu mi parli di lei e di ciò che le capitò. » Apparve pretenzioso per una volta nella vita, rimasto inerte, in piedi. Un comportamento apparentemente sgarbato agli occhi dei più, ma figlio di un impulso puro: del resto, non voleva dire altro che ciò che aveva mostrato, ovvero il desiderio che Shiri gli parlasse di quella donna. Questo, l’anziana, lo percepì: che donna comprensiva, la vecchia Shiri! Quasi pensò di invitarlo a sedersi, come se nuovamente fosse troppo piccolo per certe storie, ma poi si rese conto, di nuovo, che tale non era. Lo lasciò irto, sui propri piedi scalzi e, semplicemente, raccontò.
« L’evento che cambiò per sempre la storia di Nadine è ricco di abominevoli notizie, oltre che di malelingue sul suo conto: non credere a ciò che ti dirà la gente su ciò che avvenne. Torvalh mi raccontò che, un bel pomeriggio, Nadine si recò come suo solito in una radura ben nota a cogliere bacche e frutti per la cena, ma non tornò a casa all'orario previsto e nemmeno di notte. La cercarono, inutilmente, disperatamente, ma Nadine ricomparve solo la mattina seguente. Era sporca, la sua gonna lacerata e piena di fango. I suoi capelli… fango e rametti. Nella fascia di canapa che le cingeva il busto, dove era solita portare con sé Olli, c'era solo un grumo di melma, sterpaglie e foglie. Torvalh mi raccontò che Nadine, per qualche istante, si comportò come se nulla fosse successo, appoggiando l'involto di fango nella culla come se fosse il suo dolce bambino e preparando la colazione sotto il suo sguardo assolutamente incredulo. Non rispondeva a domande né agli scossoni suoi: era fuori di sé. Ma ad un tratto i suoi occhi si animarono, mi ha detto. "Me l'ha preso! Me l'ha preso lei! Non ho potuto…” - questo disse Nadine. E poi nient’altro. Da quel momento il suo comportamento vacilla dall' indifferenza alla disperazione in cui però nessuno riesce a capirci nulla, poiché Nadine non sembra in grado di fornire spiegazioni. Molte sono le malelingue su di lei, ipotizzando che sia lei l’assassina del piccolo. Ora è chiusa in casa, dimenticata da tutti fuorché dal marito... e da me. Io so che non avrebbe mai fatto una cosa simile. Lo so per certo: amava troppo il suo bambino… » Il tono afflitto, triste, di una donna che, per davvero, vi dico, sul serio possedeva il peso del mondo sulle proprie spalle. E ne era capace. Del resto, chi se non lei avrebbe potuto assistere al parto di una guerriera quale fu Visènyse, il Drago del Settentrione? Così i più anziani la chiamavano ad Aakhiraraazi, così Shiri disse al giovane di Lithien. Erano in pochi a conoscere le gesta di Visènyse, dopo averla vista dal vivo. Le storie che vengono raccontate sul suo conto vengono solo tramandate oralmente per stimolare i giovani all'eroismo, seppur raramente.
« Devo vederla, devo parlare con Nadine. » Intervenne subito il giovane drago, inconsapevolmente.
« Inutile parlarle: risponde in modo aggressivo, io ci ho rinunciato. E’ così terribile ciò che le è successo. » Iniziò dunque a mangiare, mentre lo sguardo di Viinturuth guardava ben oltre il cibo e la forchetta che la donna stava usando. Non poté fare a meno di pensare alla condizione di Nadine e a ciò che capitò ad Olli, ancora e ancora. Non era il tipo di giovane empatico che soleva dispiacersi delle disgrazie altrui, da sempre concentrato su se stesso, e come tra l’altro anche in quel momento stava facendo. Sembrava quasi che la situazione di Nadine alimentasse quasi questa condizione di assoluto egocentrismo che il giovane stava sperimentando. Da sempre. Potete immaginare quanto, in realtà, fosse quindi interessato al suicidio di quella tale Shanti, sebbene entrambe le storie sembrassero unirsi in qualche modo. Pensò dunque che i due eventi fossero congrui, che avessero qualcosa in comunque. Magari lo stesso antagonista. E di nuovo pensò a sua madre, al suo fantasma eterno.
Desiderò poi visitare quella radura, quel luogo dove Nadine perse la salute mentale. Pensò che avrebbe potuto essere la chiave di tutto, così come la chiave di niente.
« “L’ha preso lei”, queste sono le parole di Nadine. Mi domando chi potrebbe essere questa "lei" di cui parla. »
« Non possiamo saperlo, non ancora… E’ solo palese che tutti questi avvenimenti abbiano in comune una cosa, un simbolo: una madre e il proprio pargolo. » Rispose la vecchia.
« La maternità; c’è qualcosa che vuole distruggerla. Questo possiamo ipotizzarlo; ho intenzione di visitare la radura dove Nadine perse suo figlio. Se ciò che ipotizzo è vero, stiamo parlando di un’entità malevola, un abominio malvagio. Va estirpato da questo mondo.
Ed ho intenzione di farlo in modo crudele. »


VIINTURUTH
Corpo: 75%
Mente: 75%
Energia: 150%
CS: 0

POTERI PASSIVI
Nessun potere passivo utilizzato.

EVOCAZIONI
Nessuna creatura evocata.

TECNICHE ATTIVE
Nessuna tecnica attiva utilizzata.

OGGETTI UTILIZZATI
Nessun oggetto utilizzato.

NOTE & RIASSUNTO
Altro post di informazione.
 
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view post Posted on 7/8/2015, 19:14
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C a t a r s i

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« In nomine Matris »



Aakhiraraazi_____




Abbandonare la calma e la serenità della sua tenuta in Alcrisia per scendere clandestinamente attraverso il sultanato e gli altri territori contesi dell’Akeran era stata una decisione molto più sofferta di quanto avrebbe mai creduto possibile. Il suo involontario quanto necessario esilio verso il territorio di Dortan, a seguito degli eventi che avevano portato la città di Taanach a reclamare con un colpo di stato la propria autonomia, era finalmente riuscito a garantirgli un periodo di pace e tranquillità di cui solo ora riusciva ad apprezzarne il valore.

Escludendo un primo momento di eccessivo slancio in cui aveva, invano, tentato di imbrigliare e cavalcare le turbolenti trame politiche del continente centrale Khæyman aveva in seguito deciso di ignorare ancora una volta quanto accadeva nel frenetico regno degli uomini per rinsaldare la sua nuova posizione cittadina e per favorire unicamente gli interessi degli uomini della propria casata. A differenza degli intricati schemi sociali e politici dell’Akeran e delle metropoli di Dortan Almerìa rimaneva una città di provincia sufficientemente distaccata e autonoma da garantirgli, finalmente, un momento di pace lontano dalle continue responsabilità e necessità pubbliche.

L’unico motivo per cui aveva accettato di effettuare quel viaggio così complesso, attraverso territori nei quali la sua presenza non era affatto gradita, era stato per mantenere i buoni rapporti con le compagnie mercantili con le quali commerciava abitualmente a Taanach e che, ancora adesso, continuavano a rifornirlo tanto di merci preziose quanto di informazioni.
I vantaggi offerti dal mantenere una buona influenza su simili preziosi alleati era tale che, con l’intento di risolvere il disguido il più rapidamente possibile, aveva accettato di occuparsene personalmente nonostante il tutto si stesse svolgendo in un piccolo villaggio del Plakard, una oasi verde ricoperta di foreste tanto ammuffite e paludose quanto vecchie e stagnanti che ormai impallidivano di fronte allo splendore dei dorati campi di grano dell’Alcrisia.
Si trattava di un luogo talmente desolato e così sconosciuto al resto del mondo civilizzato che Khæyman aveva immaginato di riuscire a scoprire l’enigma dietro ai problemi locali in pochi giorni.

A dispetto delle sue previsioni era però già passata una settimana da quanto aveva raggiunto Aakhiraraazi e la situazione gli appariva ugualmente oscura così come lo era stato il primo giorno. Con l’intento di poter disporre di una base operativa dalla quale gestire le attività dei suoi Yeniçeri aveva preso possesso di una delle casa abbandonate al limitare della foresta e aveva ordinato ai suoi due compagni più fidati, Ninlil e Šamaš, di muoversi tra la popolazione locale in cerca di informazioni. Il rapporto dei risultati però continuava a non soddisfarlo!

   « Ho concluso di parlamentare con i mercanti disposti a collaborare, sono riuscito ad acquistare sia buona parte della mercanzia invenduta sia i germogli necessari a tentare di far attecchire la pianta in una regione più stabile.
Gli esperti con i quali mi sono consultato stanno già definendo una lista di luoghi compatibili.
»

   « Qualcuno si è opposto? »

   « Molti dei contadini erano ignari del valore delle loro piante, in ogni caso con la recente crisi interna sono in pochi a coltivare e molti di quelli che realmente guadagnavano qualcosa da tutto questo hanno abbandonato il villaggio alla prima puzza di bruciato. »

   « Quando ce ne andremo da Aakhiraraazi dovrai occuparti dei campi ancora attivi. Bruciali ma cerca di evitare quanto più possibile di fare vittime. E’ solamente la raccolta della droga che dobbiamo estirpare. »

   « Andarsene non sarà così facile, gli abitanti del luogo brancolano nel buio e vedono nemici anche all’interno della loro stessa comunità. Sono completamente privi di una forte figura autoritaria che possa organizzare una vera e propria spedizione all’interno della foresta e quindi preferiscono affidarsi alla superstizione e ai vecchi miti. »

   « Non credi alle loro leggende? A questa misteriosa creatura che abita nei loro boschi? » Khæyman aveva, in effetti, percepito una presenza estremamente potente al di fuori del villaggio ma ciò nonostante tale presenza era vaga, dispersa in tutta la foresta e impossibile da definire con precisione. Con l’influenza della corruzione e dei caduti usciti dal buco del diavolo sempre più dominante non era la prima volta che le sue capacità venivano ingannate in quel modo.

   « Per quanto improbabile però non possiamo comunque escludere neanche questo genere di influenze. »

   « Sono solamente leggende Šamaš, racconti per bambini e nulla più! »

 
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view post Posted on 16/8/2015, 12:30

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- Apri gli occhi, vecchia.

Shiri grugnì qualcosa nel sonno. L’afa di quella notte era terribile al punto che aveva preferito addormentarsi sull’amaca nel patio piuttosto che chiudersi in casa, nonostante i morsi feroci delle zanzare, la luce intensa della luna e i rumori della foresta. Ci aveva fatto l’abitudine ormai: se gli ululati si mantenevano abbastanza lontani non c’era da aver timore, e se i pipistrelli non si accanivano sulla soglia della sua capanna il loro stridio era gradevole quanto il frinire delle cicale per lei.

- Apri gli occhi, ho detto. Devo parlarti.

Allora c’era qualcuno. Shiri respirò rumorosamente nel tentativo di svegliarsi: credeva di aver sognato una presenza accanto a lei, qualcuno di incorporeo e leggero come l’aria, come uno…

- Uno spirito? - sussurrò di colpo Shiri, rizzandosi a sedere talmente in fretta da rischiare di ruzzolare giù dall’amaca.
Di fronte a lei stava in piedi la creatura più bella e spaventosa che lei avesse mai visto: una fanciulla poco più che adolescente, completamente nuda e dai grandi occhi neri. Shiri dovette stropicciarsi gli occhi più volte per mettere a fuoco la visione, ma dovette arrendersi all’evidenza quando nulla nell’aspetto della ragazza mutò: la sua pelle era inequivocabilmente violacea e striata di cicatrici che formavano un arabesco lucente su tutto il corpo, e i suoi occhi scuri emanavano bagliori rossi che fecero correre un lungo brivido sulla schiena all’anziana nutrice.

- Il mio nome è Jaahya. - disse solennemente la creatura. - E non sono uno spirito, ma un demone.

Shiri sentì i palmi inumidirsi di sudore e le radici dei capelli radi rizzarsi su tutta la testa. Cosa avrebbe dovuto fare? Urlare? Fuggire? Ma come nel peggiore degli incubi le pareva di non essere in grado dì muovere un solo muscolo del corpo, né di articolare niente di più sensato che un gemito.

- Non intendo farti del male. - proseguì il demone, come se avesse intuito i pensieri della vecchia - Ma solo metterti in guardia. C’è qualcosa nella foresta, qualcosa che voi miserabili mortali non potete nemmeno arrivare a concepire. Dovete starne lontani.

Shiri trovò la forza di mormorare: - Ma chi...cosa...Io non entro mai nella foresta…

- Non tu, vecchia. Il giovane che hai accolto come un figlio. i suoi pensieri vagano troppo lontani, e noi li percepiamo.

- V...voi...chi?

- Noi. Il suo seguito. Le sue ancelle e protettrici. Quel ragazzo ha troppe domande nella testa, e un legame troppo forte con una persona che avrebbe dovuto dimenticare anni fa. Se Lei se ne accorge per il tuo pupillo sarà troppo tardi, capisci?

- Io...no, non capisco. Un legame...Intendi sua madre? Ma io non so dov’è, forse è morta, o chi lo sa…

- A Lei non interessa la donna, ma il legame. Ferma il ragazzo, o preparati a dirgli addio.

E con queste criptiche parole, il demone si voltò verso la foresta.

- Aspetta! - gridò Shiri, turbata. - Chi sei tu? Perché sei venuta da me?

Jaahya si bloccò, senza tuttavia voltarsi. - Sono venuta ad avvertirti. - mormorò a voce bassissima. - Cose troppo grandi e potenti si sono risvegliate nella foresta, e non tutte noi siamo sicure che ciò sia un bene. Manda via il ragazzo, e non lasciare che altre persone perdano la vita o il senno nella foresta. O per il villaggio sarà la fine.

E scomparve nel buio.
Shiri cadde con un tonfo dall’amaca svegliandosi di colpo, e rimase per qualche istante stordita a fissare il gatto che le leccava la faccia, mentre il sole iniziava a sorgere dietro la foresta. Era stato dunque solo un sogno? Era uno di quegli strani momenti in cui uno crede di essersi svegliato mentre il sogno continua il suo inganno?

- Pussa via - borbottò, la bocca impastata di sonno, non sapeva nemmeno lei se al gatto o ai rimasugli di quello strano sogno. La giornata si prospettava lunga, e lei doveva iniziare a sbrigare le sue faccende.




In quello stesso istante Cassandra e Viinturuth si svegliarono in un bagno di sudore, ognuno nella sua stanza e inconsapevole del legame misterioso che sembrava aver unito diverse anime in un unico sogno, quella notte.

Ad entrambi era apparsa in sogno (ma era davvero un sogno?) la demone di nome Jaahya che aveva fatto visita a Shiri, ma curiosamente la sua presenza sembrava molto più impalpabile ed onirica rispetto alla visione di Shiri. Entrambi avevano ricevuto una sorta di avvertimento, un criptico messaggio sull’esistenza di una creatura o essenza misteriosa dal potere sconfinato e pericoloso; tuttavia qualcos’altro sembrava aver offuscato la minaccia insita nel sogno, relegandola in un recesso della mente di entrambi. Una seconda visione, fulgida e attraente, che scaldava il cuore e rinsaldava la speranza, mettendo in sordina la voce di Jaahya.

La figura esile e sinuosa di Galatea sorrideva luminosa nel sogno di Cassandra, inizialmente sfocata come il riflesso di una pozza d’acqua, poi sempre più concreta al punto da far dubitare alla giovane sirena che si trattasse davvero solo di un sogno. Galatea era lì, e le sorrideva rassicurante. Teneva per mano due bambine dal viso vivace, e sembrava felice come non mai.
- Cassandra, sorella, amica mia. - mormorò la visione. - Non devi avere alcuna paura. Sono molte le dicerie su questo luogo, si parla di mostri, morti, paura...Voci ignoranti di gente ignorante. Se ascolti il tuo cuore scoprirai che ho ragione. Guardami, Cassandra. Ti sembro spaventata? O cattiva? - sorrise con grande tenerezza e fece una giravolta con le bimbe.

Cassandra aveva la vaga sensazione di aver già visto quelle due bambine da qualche parte, ma in realtà non le ricordavano nessuno di familiare.

- Amica mia, la felicità è qui. Vieni con noi…

E poi le tre figure svanirono nella luce dorata dell’alba, così com’erano apparse.

Non molto diverso fu il sogno di Viinturuth, ma la sua visione fu tanto struggente da lasciarlo annichilito per parecchi minuti al risveglio, avvolto in una sensazione indefinibile di nostalgia, tenerezza e solitudine.

Aveva sognato sua madre.

Poteva ancora vedere i suoi occhi sorridenti e orgogliosi fissi nei suoi, sentire le sue mani accarezzarlo dolcemente e la sua voce sconosciuta e allo stesso tempo tanto familiare farsi strada nel suo cuore, mettendo in ombra gli oscuri ammonimenti di Jaahya.




Il sole era sorto da un pezzo ormai, ma il silenzio regnava ancora solenne nelle casupole abbandonate divenute il quartier generale di Khæyman Ishtar. Il suo sguardo corrucciato era impenetrabile, e nessuno dei suoi scagnozzi aveva ancora osato rivolgergli la parola, così se ne stava solo e immobile, immerso nei suoi pensieri.

Un sogno aveva visitato anche lui, quella notte.

Non Jaahya.

La ragazza demone non era riuscita a penetrare la sua mente, protetta da un misterioso buco nero che sembrava averla danneggiata molto tempo prima, forse senza che nemmeno lui se ne rendesse conto. Tuttavia qualcun altro era riuscito a fare breccia nel buio dei suoi pensieri, rivelandosi a lui con una visione abbacinante.
Era una fanciulla di bellezza non straordinaria, ma da cui era impossibile distogliere lo sguardo: una cascata di capelli ramati incorniciava un volto di alabastro su cui erano incastonati due grandi occhi verdi impossibili da dimenticare.

- Ciao, Shivian. - mormorò la donna, accostandosi al suo letto con grazia seducente. - O dovrei chiamarti Khæyman, adesso? Ti ricordi di me?

Cosa turbinasse nella mente del grande Ishtar in quel momento non è dato sapere, ma di certo la donna non si fermò. - Ci incontrammo tanto tempo fa, alle soglie della più grande battaglia mai combattuta sulla faccia del continente. Ricordi, Shivian?

Ad ogni parola la donna si toglieva un indumento, lasciandolo cadere mollemente sul pavimento. Alla fine rimase nuda di fronte a lui, accucciata sul letto senza mai distogliere lo sguardo dai suoi occhi.

Non ebbe che un istante di esitazione prima di muoversi nella sua direzione, o meglio, di fluttuare in quel buco nero; Shivian era a pochi passi da lei immobile e silente come sempre, ma c’era qualcosa di insolitamente ardente nella sua espressione dura.
Quando i loro occhi si incontrarono, la fanciulla si mosse come in un sogno: non sentiva il suo corpo, non aveva coscienza di alcun movimento concreto ma volteggiava nel nulla attratta da lui come da un’irresistibile forza magnetica.
Sembrò accadere tutto in un vago istante, immobile ed eterno come il tempo dei sogni. Pallida e fredda, la mano di Shivian si perse nei morbidi capelli rossi della fanciulla, e lei smarrì del tutto il contatto con la realtà quando le loro labbra si incontrarono per la prima volta.

Non esisteva nient’altro. Il duello, il crollo, la Torre. Eitinel.

Tutto era svanito in quella tomba nera.

La ragazza prolungò quell’insospettato bacio più a lungo possibile, assaporando la fresca morbidezza di quella bocca tanto temuta e bramata al tempo stesso, poi con gesto deciso spinse dolcemente con il suo corpo Shivian verso l’alcova pronta per loro. Il baldacchino nascondeva appena dietro morbidi veli il letto su cui i due amanti si sarebbero incontrati: la ragazza sentiva il sangue pulsarle nelle vene con impeto mai provato prima, e fu con un misto di desiderio e apprensione che condusse Shivian nell’abbraccio di quelle candide coperte.
Lui sfoggiava il suo enigmatico sguardo impenetrabile, mentre i suoi occhi profondi e scuri sembravano trapassarle il viso, facendola arrossire violentemente. Le parve di cogliere un velo opaco in fondo all’iride, ma l’irrazionale impulso che la guidava non le permise di cogliere altri dettagli. La giovane si sentì fremere in modo incontrollabile quando lui le sfilò con mano rapida la veste leggera; si chinò sul suo viso affilato, baciandolo e assaporando estatica l’intensità delle sue carezze sempre più audaci.
Come una fiamma, i suoi capelli erano sparsi sui cuscini bianchi nascondendo i volti dei due amanti: un gemito le sfuggì mentre le dita di Shivian scorrevano lungo la sua schiena, provocandole un brivido di piacere inarrestabile.


- E poi…- la voce della donna interruppe la visione. - Tu moristi. Forse solo per me, o forse quello era il sogno di Eitinel. Giacesti tra le mie braccia, morto. E la Torre di Velta crollava attorno a noi, sopra di noi. Distrusse le nostre vite. Le nostre menti.

Tacque un istante.

- Ricordi, Shivian? - esalò in un sussurro che terminò in un bacio la giovane donna.




Post onirico per tutti! Non ho nulla da aggiungere; ora dovreste fare un paio di giri in confronto volti a comunicare tra di voi: Shiri prende molto sul serio l'avvertimento di Jaahya e assilla Viinturuth perché lasci il villaggio; è probabile che sia lei stessa a venire a sapere che Cassandra ha fatto un sogno simile; potete trovare qualunque espediente per fare in modo di conoscervi e parlare dell'accaduto, oltre che iniziare a scambiarvi ipotesi (se lo desiderate) o mettervi i bastoni tra le ruote, a piacere. Quello che è importante è che da ora in poi i vostri pg stabiliscano un legame (di amicizia, odio, fastidio...qualunque cosa). L'osso duro sarà il pg di Shivian, ma in qualche modo dovrà entrare nei giochi. Prima del vostro post vero e proprio ci sarà un'ulteriore novità in Confronto, quando sarò soddisfatta delle vostre conversazioni.
Per chi non lo sa, il sogno di Shivian è tratto dall'epico ciclo di qualche anno fa "Valzer al crepuscolo" in cui il mondo di Asgradel venne completamente sconvolto.
Enjoy!


Edited by Zaide - 16/8/2015, 14:37
 
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view post Posted on 23/11/2015, 12:50

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Tre lune prima

Esausto per il lungo volo, il corvo si abbattè sulla nuda terra esalando un lieve gemito di sollievo misto a disappunto: nonostante ogni previsione e ogni recondito desiderio, il viaggio non l’aveva ucciso.
Chiuse gli occhi sfinito, lasciando che la ruvidezza del terreno spoglio gli accarezzasse il becco e le ali, scomposte ai lati del corpo come vele lacere dopo una tempesta. Una brezza tiepida gli portò profumi di fiori e luoghi sconosciuti, e per un istante una scintilla di vita guizzò flebile come la fiamma di una candela nel suo piccolo cuore.

Non era morto dopotutto.

E forse quell’altura ignota lo avrebbe accolto come una nuova casa, ignara del passato pesante come un macigno che le ali nere avevano condotto fino a lì. Ma l’incongrua ingenuità insita in quel pensiero puro strideva a tal punto con la sua vita e il suo passato che il corvo non poté trattenere una gracchiante risata, un suono spettrale e lugubre che a poco a poco lasciò il posto a un singhiozzare sommesso, mentre le nere ali si cangiavano in dita affusolate e gli occhi scuri languivano in un verde smeraldo lucente di lacrime represse.
Stolta, maledetta sciocca che non sei altro - era il sottinteso di quei singhiozzi.
Quante volte Zaide si era creduta a casa, illusa da una falsa sensazione di calore e sicurezza che nel giro di breve tempo sarebbe crollata miseramente come un castello di carte nella tempesta? Eppure lei non aveva mai chiesto altro. Tutto il resto era venuto da sé: il potere, la paura, la morte e la rinascita, la distruzione e l’esilio. Ma lei, fin dall’inizio, non aveva che cercato un posto da chiamare casa, un luogo che la accogliesse come figlia; invano, però. Ovunque andasse lasciava dietro di sé una scia di morte e sangue che bruciava ogni legame con quei luoghi e le persone che incontrava: poche le amicizie su cui poteva contare, ancora meno le persone che avevano lasciato una traccia indelebile nel suo cuore: Viktor von Falkenberg, Shivian, Helaayne, Kirin, Raymond. Gli altri non erano che un pallido ricordo già destinato a svanire.
Cosa resta di te, Zaide? Ecco dove ti hanno condotta i tuoi vagabondaggi. Un’altura brulla e dimenticata dal mondo dove niente del tuo passato conta più, dove le immagini indelebili ai tuoi occhi della Torre di Velta, di Taanach e del Buco del Diavolo non hanno importanza per nessuno.
La donna affondò le unghie nel terreno accogliendo con gratitudine il dolore della terra dura che le scheggiava la carne. Le sue lacrime e il suo sangue avrebbero nutrito quella terra, i suoi capelli si sarebbero sciolti come una canzone nel vento, il suo corpo sbriciolato nella polvere a confondersi con il resto del mondo.

Era ora di morire.


Oggi

- Datevi una mossa, voi laggiù!
- Ve lo ripeto un’ultima volta, state compiendo un enorme errore!
- Non è saggio inoltrarsi…
- Non mi interessa. Lo straniero, quell’Ishtar, si è già allontanato all’alba senza dire niente a nessuno. E’ evidente che sa qualcosa, o che cerca qualcosa o qualcuno nella foresta. E se c’è anche solo una minuscola possibilità di scoprire chi o che cosa abbia indotto Shanti a…
La voce di Aaron si incrinò. Non riusciva ancora, e forse non sarebbe mai riuscito, ad articolare la parola che da quella terribile notte correva sulla bocca di tutti. Shanti, la sua dolce Shanti, non poteva essersi uccisa.
Quella mattina aveva radunato un piccolo gruppo di avventurieri e curiosi che non avevano paura di addentrarsi nella foresta: non aveva intenzione di iniziare una crociata contro l’essere che stava ammorbando la loro terra, sempre che non si trattasse di una sua fantasia. Voleva solo vedere e capire. Accanto a lui stava silenziosa e pallida Cassandra, la giovane donna giunta poche settimane prima da lontano in cerca della sua amica: aveva ragione di credere che le sparizioni, la follia di Shanti, i sogni che ormai da settimane perseguitavano alcuni di loro raccontando storie di demoni, madri e figli mai nati fossero collegati.
E lui avrebbe capito di cosa si trattava, fosse stata l’ultima cosa che faceva prima di morire.



Il silenzio della foresta lo avvolgeva come un sudario. Un altro forse si sarebbe spaventato all’idea di quella completa solitudine che sembrava echeggiare nell’alba silente. Ma non lui. Ad ogni passo la sua mente si affollava di infinitesimali dettagli, luci e ombre che si combinavano come in un caleidoscopio: l’immagine era sfocata, ma Khaeyman sentiva che la risposta era lì, poco più avanti. La scorgeva senza vederla, la avvertiva senza udirla. E quando l’avrebbe raggiunta, ogni tassello sarebbe tornato finalmente al suo posto.
Da settimane lo stesso sogno si ripresentava nella sua mente, ammantato di pura luce e bellezza: ma al risveglio, ogni traccia di ricordo svaniva lasciandogli una cocente sensazione di disillusione e incompletezza che lo lacerava.
Ma in qualche modo sentiva che era lì che doveva andare: al cento della foresta, lontano dagli occhi dei mortali, si ergeva un’altura considerata maledetta dalle cupe leggende della zona: storie di fate, demoni e misteri si intrecciavano da secoli proprio in quel punto. Se c’era una risposta, era lì che l’avrebbe trovata.

Due lune prima

E infine la morte era giunta.
Accoccolata tra le radici e bagnata di rugiada, bruciata dal sole e accarezzata dal vento Zaide guardava l’avvicendarsi della luna e del sole in silente e paziente attesa. Era in pace. Abbastanza lacrime avevano bagnato la terra su cui posava, abbastanza sangue era stato sparso da lei e per lei: il mondo avrebbe continuato a vivere senza sentire la sua mancanza. La Strega di Taanach aveva compiuto il suo percorso, e ora lasciava che solo le stelle la guardassero dall’alto, senza giudicarla.
La terra l’aveva accolta in grembo come una madre, cingendola di fiori e rovi: il suo stesso sangue nutriva le rose, che crescevano rosse come fuoco sopra e dentro di lei.

Era la morte, e vita allo stesso tempo.

- L’hai capito, finalmente.
Un’alba rosata iniziava appena a scolorire il cielo con tinte pastello, e il vento gelido spirava voci lontane e dimenticate.
- La vita e la morte: due facce della stessa medaglia. Come la luce e l’ombra, il bene e il male.
Cosa stava accadendo? Un vago barlume di coscienza guizzò tra le pieghe della morte, simile alla brace sopita sotto un cumulo di cenere che il vento riattizza per brevi istanti prima di spegnersi del tutto.
- Svegliati, Rooivrou. Guardami.

E Zaide lo vide.

Non comprese cosa fosse più stupefacente, se quel torpido risveglio dall’oblio o la visione che le compariva davanti: non era nemmeno certa che tutto ciò fosse reale. Ma nulla poteva ormai turbarla: l’abbraccio della terra la proteggeva, donandole pace e forza incrollabile.
- Sei tu...Ma tu sei...eri...Esiste dunque una vita dopo la morte, se siamo entrambi qui?
Shaman sorrise.
- Non sei cambiata, mia piccola umana. Tormentata, ferita, spaventata...ma le prime tue domande sono quelle di un'inguaribile curiosa. E ne sono felice.
Il vecchio sciamano sedette accanto a lei accarezzando i petali rossi dei fiori umidi di rugiada. - Una rosa del deserto...E’ quello che sei sempre stata, Rooivrou, non è vero? Una magnifica rosa incompresa, solitaria.
- Shaman...Mi sei mancato tanto. Cosa sta succedendo? Cosa sono diventata?
Il pelleverde la scrutò con il suo sguardo enigmatico, come a soppesare le parole.
- Nient’altro che te stessa, Rooivrou. Semplicemente...non puoi ancora incontrare la morte, mia cara. Non in questo mondo.
Zaide lo guardò senza capire, ma dopo qualche istante un’intuizione parve illuminarla e si portò la mano al petto senza riflettere, cercando con le dita il ciondolo: e in quell’istante si accorse della mano liscia e candida di fronte ai suoi occhi, dei lunghi capelli rossi che le solleticavano il palmo.
Ammutolì.
Le dita si strinsero intorno alla pietra nera che le cingeva il collo, e quella emanò in risposta un calore rassicurante: era il cuore di Shaman, l’ultimo suo dono e insegnamento prima di morire. Il segreto della morte e della resurrezione di cui Zaide aveva fatto tesoro in passato, riportando in vita se stessa e poche, importanti persone che avevano avuto la sventura di incrociare il suo cammino. Una fitta dolorosa le attraversò il petto nel ricordare la prima anima che aveva accompagnato nel viaggio di ritorno dalla morte: Helaayne, la Bambina. La sua bambina.
- Rooivrou, non lasciarti sommergere dal dolore. Lui non voleva questo, quando ti ha inviato Helaayne.
- Come sai di… - la voce le morì in gola, perché nel voltarsi verso Shaman aveva finalmente visto se stessa. Il suo corpo giaceva bocconi nel terreno, a malapena distinguibile dall’intrico di rovi e radici che attraversavano le sue membra: il corpo di una donna consumata, irriconoscibile e finito.
Shaman sorrise mestamente.
- Eccoti alla fine, bambina mia. Non rimpiangere nulla della tua vita, perché ogni singolo respiro, ogni cicatrice e ogni sorriso ti hanno resa quello che sei.
- E cosa sono, Shaman?
- Immortale.
Un lungo silenzio calò tra i due, mentre il sole continuava il suo viaggio nel cielo cupo del Plaakar.
- Prima hai detto che...Lui non voleva questo. Lui chi? Vuoi dire...l’Ahriman?
Sorprendentemente pronunciare quel nome non le fece alcun effetto.
- Come fai a sapere dell’Ahriman?
Shaman la fissò col suo sguardo penetrante senza risponderle per un lungo istante.
- Rooivrou, ti ho insegnato molte cose in passato - disse infine meditabondo, mentre Zaide annuiva. - Tuttavia ci sono cose grandi e potenti di cui non ti ho mai potuto parlare, e che hai dovuto apprendere nel modo più difficile: sulla tua pelle e nel tuo cuore, ferita dopo ferita, paura dopo paura, la più grande delle creature ti ha messa alla prova in modi che nessun altro essere umano avrebbe potuto sopportare.
- Intendi...l’Ahriman? - esitò Zaide. Non osava mettere in dubbio la parola del suo venerato maestro, ma quel mostro che si annidava al Buco del Diavolo era stato la causa della sua rovina, e la strega non era sicura di volerne sentire parlare.
Era a causa sua che si era lasciata morire, dopotutto.
- Intendo l’Ahriman - annuì Shaman con aria grave. - Sono certo che avrai compreso la grande affinità che c’è tra voi…
- Lui mi ha distrutta! - lo interruppe Zaide urlando. - Ha messo in gioco mia figlia pur di annientarmi! Ha trovato il mio punto debole e lo ha usato come trappola per…
- No, Rooivrou - esclamò lo sciamano. - Sei in errore. Non come trappola. Ma come prova. Gli Shabaha sono soffi vitali generati dall’Ahriman, è vero, ma il suo intento è sempre stato quello di metterti alla prova. Non quello di usarli come esca per distruggerti: lui non ti vuole morta.
Zaide non seppe replicare a quell’enormità. Effettivamente l’Ahriman aveva avuto più di un’occasione per ucciderla, ma in un modo o nell’altro era sempre uscita viva dalle più terribili insidie.
- L’Ahriman ha impiegato molto tempo, Zaide. Molto tempo - ripeté sottolineando accuratamente le parole - per trovarti, comprenderti e istruirti. Ti ha insegnato la passione e l’odio, inviandoti Caelian.
Zaide lo ascoltava a bocca aperta. Caelian, la fanciulla perduta con cui aveva intrecciato una relazione intricata fatta di amore cieco, abbandono e tradimento, la bionda e dolce Caelian tramutatasi in uno spirito mostruoso accecato dal veleno covato in seguito all’allontanamento di Zaide.
- Ti ha insegnato l’amore e la disperazione, donandoti la figlia che non avevi mai avuto.
- Per poi togliermela crudelmente! Quale mostro può giocare con i sentimenti di una madre, Shaman?
Lo sciamano sospirò. - L’Ahriman è crudele, Rooivrou. Come ogni realtà. Ricorda il mio motto: non c’è luce…
-...senza ombra, lo so. - completò Zaide stancamente. - ma ancora non capisco cosa c’entri tu.
- Il terzo Shabaha infine ti ha donato l’insegnamento più grande di tutti, quello che ti rende unica e potente.
Zaide lo guardò perplessa. - Il terzo Shabaha? Non ho mai conosciuto un terzo Shabaha, oltre a Helaayne e Caelian.
Shaman sorrise. - Il terzo Shabaha ti ha insegnato il segreto della vita e della morte, piccola mia. Ti ha donato il suo cuore perché tu lo sapessi usare per passare tra i mondi, per provare che l’amore di una madre può muovere le montagne, per dimostrare che dall’odio e dalla paura può nascere qualcosa di più grande e potente. Io sono il terzo Shabaha.
Era tutto vero.
La discesa negli inferi per salvare Helaayne e Kirin, la resurrezione delle vittime annientate dall’Ahriman stesso al Buco del diavolo erano esperienze che l’avevano segnata per sempre, distruggendola intimamente ma al tempo stesso fortificandola come una roccia, al punto che nemmeno la morte poteva realmente toccarla.
- Mi stai dicendo che l’Ahriman alla fine...è buono? - commentò scettica.
Shaman rise di gusto.
- No di certo, Rooivrou! - i suoi occhi brillavano di sincero divertimento. - L’Ahriman è il Tutto e il Niente, il bene il male, il sole e la luna. E da quando ti ha conosciuta, l’Ahriman è anche te.
Tu sei l’Ahriman.



Oggi

Khaeyman Ishtar avanzava con passo sicuro nella foresta, districandosi tra sentieri abbandonati da anni come se li percorresse da sempre. Il suo faro era poco più avanti, lo sentiva: una presenza oscura, dimenticata da tempo eppure in qualche modo viva e palpitante, si era risvegliata dentro di lui e lo chiamava a rendere i conti. Raramente si era trovato a fronteggiare una simile forza magnetica capace di plasmare la sua volontà al punto da accantonare ogni prudenza e lasciarsi trascinare in quella ricerca alla cieca.
Ma lui procedeva, consapevole di essere seguito dai cacciatori del villaggio e altrettanto consapevole di non potersi fermare finché non avesse raggiunto il misterioso tesoro che lo attraeva come una falena verso la luce. Se e quando Aaron e i suoi seguaci l’avessero raggiunto, avrebbe deciso sul momento come comportarsi. Per ora solo il vago ricordo di un sogno incantato lo guidava verso il centro della foresta, con la muta promessa di risolvere l’enigma che lo attanagliava da ormai troppo tempo.
Quando vide la rosa, seppe di essere arrivato nel posto giusto.
E all’improvviso si ritrovò circondato da decine e decine di sagome silenziose che sembrarono prendere corpo direttamente dall’aria: sinuose forme femminili danzavano attorno a lui, alcune apparentemente fatte di nebbia, altre di pura luce, altre ancora di riflessi cangianti nel vento. Donne, bambine, anziane dai tratti umani, elfici, pelleverde o diafane come sirene, sguardi ridenti e volti truci, ragazzine che ninnavano neonati e fanciulle dagli occhi curiosi.
Khaeyman le guardava affascinato, vagamente conscio del pericolo a cui si esponeva rimanendo lì senza reagire di fronte a quell’apparizione prodigiosa: ma in qualche modo sentiva che le risposte alle sue domande erano lì, in quella rosa rossa che splendeva come una stella in mezzo alle creature di luce e ombra.
- Ciao, Shivian. Ti stavo aspettando.
Lei era lì, bella e delicata come la ricordava. Khaeyman sbattè le palpebre un paio di volte. Si sentiva strano, intorpidito come sotto l’effetto di un’arcana malia, o come quando ci si sveglia in un sogno convinti di essere davvero desti.
- Sto sognando? Chi sei tu? - riuscì a mormorare recuperando parte della propria lucidità mentale.
La fanciulla aveva i capelli rossi come il rame e due incredibili occhi di smeraldo che lo guardavano con malinconica ironia.
- Il viaggio è stato davvero tanto terribile? - sussurrò lei, e qualcosa di caldo e indefinito si agitò nel cuore dell’Ishtar. Quelle parole...Quella donna…
- Zaide - mormorò.
Zaide. Da tempo immemore non pronunciava quel nome, dimenticato in un oscuro recesso della sua memoria. Come se avesse rotto gli argini di una diga, una fiumana di immagini e pensieri gli annebbiò la mente facendolo barcollare, ebbro di ricordi cancellati e strappati.
- Zaide, sei tu?
La fanciulla per tutta risposta lo prese per mano attraendolo a sé e lo baciò delicatamente sulle labbra. La prigione del Goryo. Iena. Il sole nero. La torre di Velta e il suo crollo, la follia di Shakan, il sogno di Eitinel: tutto questo e molto altro si accalcava nella sua mente confusa, ricordi, suoni, immagini spezzate ma vive, pronte a riprendere il loro posto nella memoria lacerata di Shivian.
Ma per ora tutto ciò che contava era quel bacio.



- Siamo arrivati. - mormorò Aaron. C’era qualcosa di strano nell’aria, un’elettricità quasi palpabile mista a un vento gelido assolutamente fuori stagione. Il sole sembrava essersi offuscato sebbene nessuna nuvola solcasse il cielo, e i rumori sommessi della foresta parvero tacere di colpo, in attesa spasmodica di qualcosa di terribile.
Un paio di cacciatori si guardarono nervosamente stringendo tra le mani sudate le lance, come ad assicurarsi un appiglio sicuro alla realtà. Un ragazzo smilzo che si era accodato al gruppo non resse alla tensione e cacciò uno strillo acuto prima di voltarsi e darsela a gambe inciampando più volte nelle radici sporgenti di alberi secolari.
- Idiota! - sibilò Aaron, irritato. Lanciò un’occhiata di sbieco a Cassandra, il cui viso non sembrava tradire emozioni di sorta. E poi dovette mordersi la lingua per non urlare.
Davanti a loro si era materializzata Jaahya, la demone apparsa in sogno a molti di loro per diverse notti, turbando il loro sonno, instillando dubbi e paure, diffidandoli da quella ricerca ma allo stesso tempo attirandoli come mosche sul miele.
E come mosche sul miele stavano per morire tutti loro, Aaron lo sentiva mentre un gelo mortale gli percorreva le membra tremanti.
- Vi avevo detto di non venire - insinuò Jaahya avvicinando il viso in modo provocante a uno dei cacciatori, prossimo a svenire di terrore. - Cose più grandi di voi accadono su questa collina, e voi avete avuto la faccia tosta di presentarvi senza invito. Avvicinatevi allora, guardate più da vicino lo spettacolo.
- Lo straniero! - sbottò un ragazzo notando l’Ishtar in piedi al centro della radura. Ma in quel momento dal nulla si materializzarono decine e decine di figure spettrali che presero a vorticare attorno a loro sibilando maligne il loro odio. Aaron tutt’a un tratto divenne bianco come un cencio e fece per scappare, ma le gambe lo tradirono e si trovò con la faccia a terra, incapace di rivolgere un secondo sguardo alla figura incorporea che gli si era avvicinata.
- Aaron, mio sposo. - esalò lo spettro. - Guardami, non riconosci la tua Shanti?
- N-no, nooo… - tremò Aaron. - Vai via, mostro! Tu non sei Shanti!
- Sono proprio io invece. E tu ora mi guarderai.
Come strappato da terra da una forza sovrumana, Aaron si trovò in piedi contro un albero, schiacciato da un peso invisibile e agghiacciante.
- Scommetto che hai recitato bene la tua parte, sposino mio. Hai pianto la tua giovane mogliettina al villaggio? Hai fatto credere a tutti che non sapessi perché mi ero buttata dalla scogliera, non è così?
La voce dello spirito si faceva sempre più dura e tagliente ad ogni parola, mentre Aaron era ammutolito dalla paura.
- Io non so...di cosa…
- Non mentire!
- Shanti…
- Ammettilo! Ammetti davanti a te stesso quale verme schifoso tu sia, dì ai tuoi compagni come sono andate le cose!
Aaron sembrava annichilito, mentre il fantasma di Shanti lo torturava. Questa poi rise amaramente e sputò sul viso del giovane con sommo disprezzo.
- Non meriti nemmeno il mio odio, bastardo. Ti basti vivere fino all’ultimo dei tuoi giorni nella paura e nell’incertezza di non sapere quando e come mi rivedrai. Sì, perché mi rivedrai. Ti tormenterò in sogno, farò impazzire gli animali a cui dai la caccia, e soprattutto farò in modo che tu non possa mai dimenticare. Cosa c’è, hai già rimosso tutto? O hai davvero pensato che a una ragazzina di quindici anni piacessero le tue attenzioni malate? Per quanto tempo sei riuscito a nascondere le tue violenze, Aaron...Per quanto tempo hai tormentato me e le altre bambine del villaggio, senza che nessuna di noi trovasse mai il coraggio di parlare? Ma ora tutto questo è finito, e tu sarai maledetto in eterno!
Aaron cadde in ginocchio con un gemito. I capelli gli erano diventati candidi per il terrore, ma ciononostante riuscì ad alzare lo sguardo un’ultima volta per vedere lo spirito di Shanti che si riuniva agli altri spettri danzando un girotondo infernale, e al centro riconobbe la figura dell’Ishtar chino su una rosa rossa come il sangue. Di fronte a lui una sagoma nera simile a un corvo scheletrico pareva allungare le sue ali lacere sul suo viso, e compiere un gesto scelleratamente simile a un bacio. Aaron chiuse gli occhi, incapace di sopportare tale orrore: un covo di streghe, un vero e proprio sabba, ecco dove erano capitati.
Come un automa riuscì a sollevarsi da terra, indietreggiando per non vedere più quel consesso di perdizione e terrore; riuscì a muovere un passo, e poi un altro e un altro ancora finché le sue gambe non furono abbastanza sciolte da consentirgli di correre.
Quando raggiunse le impervie rocce del burrone si fermò un solo istante ad assaporare il silenzio della montagna, riempiendosi le orecchie di pace e assoluto.

Poi udì il corvo. E si gettò nel baratro, con la risata di Zaide impressa nel cuore per l’eternità.



Uno dei post più importanti che abbia mai scritto, anche se certamente non uno dei più belli. Con questo post ho voluto tirare le fila delle storie di Zaide, portando a compimento la sua vita nel modo che mi sembrava più "vero" e congeniale a lei: vi basti sapere che quasi nulla di quanto ho scritto era pianificato, ma è scaturito naturalmente man mano che andavo avanti a scrivere. Era dunque la strada giusta.
Mi dispiace che la quest sia fallita in quanto quest a causa del mio pesante rallentamento; tuttavia credo che nonostante gli spunti minori presenti nel corpo della quest siano stati per forza di cose ignorati, con l'ultimo post sia possibile comunque avere un quadro generale chiaro e spero godibile della situazione.
Un post per pochi "intenditori", forse. Ma era necessario per me che fosse così. Non tutti potranno cogliere i riferimenti alla Battaglia del crepuscolo naturalmente, ma è lì che la vita di Zaide è cambiata per sempre; la scena con Shivian è la conclusione del loro tormentato rapporto iniziato proprio a quel tempo e interrotto bruscamente a causa della perdita della memoria di entrambi per mano di Eitinel; la frase in corsivo che Zaide rivolge a Shivian sono proprio le prime parole che egli le ha rivolto all'inizio del loro viaggio.
Ma in soldoni, cosa è accaduto a Zaide?
La frase "Tu sei l'Ahriman" è da considerarsi ovviamente un puro effetto scenico, ma la verità dei fatti non è molto lontana: le sue spoglie mortali giacciono sull'altura, sepolte dal roseto: ma allo stesso tempo vive e agisce, non come puro spirito ma come diretta emanazione di tutte le sue esperienze ed emozioni. Esteticamente è una giovane donna più simile all'affascinante strega dei primi tempi piuttosto che la larva consumata di se stessa che era diventata alla fine: ma poiché da sempre in Zaide è forte e presente la consapevolezza delle sue molte sfaccettature, può assumere di volta in volta le sembianze di un'anziana, di una bambina; o di chiunque altro, di fatto. Come un faro nella nebbia, il suo dolore e il suo potere attraggono a sé altre anime devastate da esperienze come la sua: fanciulle oppresse o vittime di violenze, madri infelici, donne bramose di vendetta. La fama della Rosa del deserto non tarda a spargersi su tutto il continente, assumendo di volta in volta sfumature diverse a seconda dei racconti: una dea madre, un'implacabile vendicatrice, una strega dei boschi, una luce nella notte, un canto consolatore. Questo è diventata Zaide, capace da sempre di attrarre a sé gli spiriti affini e manipolarli a suo piacere: un'immensa e inesauribile fonte di potere che abbraccia, consola, uccide e vendica.
Sono certa di aver dimenticato qualcosa: in caso di domande o incongruenze sarei felice di rispondere.
Grazie a tutti i partecipanti della quest nonostante la mancata conclusione della stessa: chi lo desidera (mi riferisco principalmente ad Ashel, che ringrazio pubblicamente per il sostegno) può prendere spunto dalla vicenda per creare un post (in un altro topic) che dia degna conclusione alla propria avventura.
Non sono previste ricompense per svariate ragioni; tuttavia se possibile vorrei assegnare ad Ashel una ricompensa di consolazione a discrezione di uno staffer per la sua partecipazione attiva nonostante gli intoppi.
Grazie di nuovo!

Riferimenti principali:
Shivian e Zaide 1 (Valzer al crepuscolo): Post
Shivian e Zaide 2 (Valzer al crepuscolo): post
Zaide, la perdita della memoria (Valzer al crepuscolo): post
Shaman e Zaide 1 (Sandstorm - reunion): post
Shaman e Zaide 2 (Sandstorm - reunion): post
Helaayne e Zaide (Il cimitero dei mondi - Cancro della terra): link alla quest


Edited by Zaide - 23/11/2015, 13:39
 
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6 replies since 29/7/2015, 17:43   227 views
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