Più forte dell'acciaio. ~ Il giorno dopo la fine.
« Cosa c'è di più duro dell'acciaio,
più robusto della pietra
e più potente della morte? »
Una voce continuava a parlarmi, mentre lambivo tra il sonno e la veglia. In quell'ingarbugliato intrico di sogni, incubi e mezze verità, quella voce mi guidava fuori dall'abisso, lungo un sentiero sicuro, evitando che mi perdessi nei meandri della disperazione e della paura. Lentamente la confusione trovò pace, tutto prese ad avere nuovamente un senso, una logica. La battaglia terribile a Da'sah, la morte dei legionari e l'intervento di quella forza misteriosa che mi aveva salvata dalla morte trasportandomi altrove. Era ancora tutto confuso, i ricordi faticavano a riaffiorare chiari e puliti, ma se non altro il battito del cuore e il respiro si erano andati regolarizzando, lasciandomi dormire un lungo sonno ristoratore tra le cure amorevoli di una giovane ragazza.
Aprire gli occhi mi costava una fatica che raramente avevo provato, ma riprendendo coscienza mi resi subito conto di non essere da sola e di non aver affatto immaginato la voce innocente e rotta dalle lacrime di colei che si stava accertando delle mie condizioni. Mossi una mano, lentamente, come a cercare di afferrare la sua, andando a tastoni, senza aver nemmeno la certezza di mirare nel punto giusto. Mi sentivo alla stregua di una donna schiacciata da una frana, ogni respiro era faticoso e dolente, ma le vesti comode che riuscivo a percepire sulla mia pelle avevano alleviato il senso di costrizione e rigidezza dovuto all'armatura. Voltai la testa in direzione della voce, sforzandomi di aprire gli occhi lentamente, quasi come una bambina che li apre, timidamente, per la prima volta.
« Perché... » sussurrai, con un filo di voce. « ...piangi? »
Non rispose, si limitò a ritrarsi e guardarmi sottecchi, al pari di un animale ferito.
« Dove... ? »
In quell'istante, aperti gli occhi e ottenuta un minimo di consapevolezza, mi guardai lentamente attorno senza aver la forza di muovere il busto o tirarmi in piedi. Ero ancora nel deserto, lo potevo sentire dall'aria, ed ero viva. Qualunque cosa fosse successa non era importante, la mia mente riusciva solo a pensare al fatto che sarei potuta tornare a casa, dalle persone che amavo. Mai, come in quel momento, avevo sentito il bisogno di correre in un porto sicuro, una casa dove riposare e guarire tutte le mie ferite: al corpo e all'anima. Poggiai lo sguardo sulla ragazza, ora riuscendo a vederla bene, scoprendo quasi una bambina piuttosto che una donna. Non riuscivo a capire cosa le fosse successo, né perché mi avesse parlato durante il sonno, ma dentro i suoi occhi riuscivo a vedere qualcosa di sofferente, di rotto, che anche nelle mie miserabili condizioni non poteva fare a meno di sfiorarmi il cuore. Allungai nuovamente la mano verso la sua, stavolta potendola vedere, anche se con un movimento lento e per niente fluido, provato dal dolore alle articolazioni che ancora mi tormentava.
« Mi hai... salvato la vita. » le dissi, con la voce rotta dalla fatica ma con un tono colmo di riconoscenza. « Ho sentito la tua voce... nei miei sogni. »
« Ho rischiato di perdermi. » tossii, portandomi la mancina al petto per contrastare il dolore. Gemetti profondamente, costringendomi a non lamentare troppo il male.
« Grazie. » le donai un sorriso, usando tutta la forza che mi era rimasta. « Io... »
Prima che riuscissi a finire la frase, la stanchezza prese nuovamente il sopravvento, lasciandomi di nuovo in balia del sonno.
Ma non c'erano più incubi o strani sogni a tormentarmi, quella volta, solamente un breve e meritato sonno allietato dal vociare tranquillo dei mercanti e di quella ragazza costretta a farmi da balia. Nel dormiveglia mi immaginai di tornare a casa, di riabbracciare i miei amici e salutare di nuovo Ryellia... e avevo la certezza che non fosse solamente il miraggio o la follia di una moribonda, ma solamente l'anticipazione di quello che sarebbe successo, una visione del futuro. Nessun demone più avrebbe separato la mia corsa verso casa, non appena ne fossi stata in grado. Non avevo rimpianti di quello che avevo fatto, potendo tornare indietro avrei agito esattamente alla stessa maniera, ma quel momento di pace e di umanità, dove per la prima volta era qualcuno a occuparsi di me e non vice versa, mi rinfrancò lo spirito e rilassò la mente. Era splendido sentirsi al sicuro, anche se per una sola notte.
Quando riaprii gli occhi erano passate un paio d'ore e, a giudicare dal vociare pacato, ancora nessuno nella carovana era andato a coricarsi. Non avevano nemmeno idea di quanto io dovessi loro. La ragazza era ancora vicino a me, probabilmente l'avevano vista come l'unica in grado di prendersi cura di un'altra donna senza mancare di rispetto alla sacralità del corpo e, anche di questo, non potevo essere loro che grata. Con la voce più ferma, sebbene non esente da una stridente nota di sofferenza, le parlai di nuovo.
« Scusami. » soffocai un piccolo colpo di tosse. « Ero... molto stanca... »
« Il mio nome è A-Azzurra. »
Sentivo le labbra umide, durante il sonno quella gentile fanciulla doveva avermele umettate per evitare che si spaccassero per l'arsura, ma la gola non aveva ricevuto il medesimo trattamento. La sentivo secca, rovente, avevo il disperato bisogno di bere acqua fresca.
« Ti prego... puoi portarmi un sorso d'acqua? »
Le domandai, con tutta l'umiltà che solo la riconoscenza può trasmettere.
« Come ti... chiami? »
« Nawal. » rispose, atona. « Mi sono presa cura di te, non ti ho salvata. Non ho salvato nessuno. »
Detto questo si allontanò prima che potessi aggiungere qualsiasi altra cosa. Non riuscii a vedere bene dove stesse andando, ma non si diresse subito verso l'oasi, preferendo raggiungere un luogo in disparte, come se desiderasse avvisare qualcuno o controllare qualcosa. Pochi istanti dopo, però, tornò con un piccolo otre d'acqua. Mi fece bere molto piano, a piccoli sorsi, impedendomi di ingurgitare troppa acqua per la mia disidratata e debole gola.
« Ho chiamato una persona. Non so se verrà, però. »
« Chi? »
« Quello che ti ha trovata.... »
Lasciai che lo sguardo cadesse alle sue spalle, alla ricerca di quella fantomatica persona che, da lì a poco, immaginavo fare la sua comparsa.