Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Anime Ritrovate, Scena Free

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Ark
view post Posted on 12/8/2015, 16:34




~ Conseguenze



      La prima cosa che sentii fu un panno umido sulla fronte rinfrescarmi dal calore desertico. Ero steso su qualcosa di morbido, un materasso, ed ero coperto da qualcosa di leggero e sottile. Con fatica mi costrinsi ad alzare le palpebre pesanti, vedendo sopra di me un soffitto sorretto da travi di legno elegantemente intarsiate.
     Cercai di parlare, ma la mia gola era terribilmente secca. Un paio di mani curate mi porse una brocca d’acqua ed io bevvi avidamente lunghe sorsate. Una volta finito riuscii ad alzare la testa ed i miei occhi incontrarono quelli di una ragazza sui sedici anni, vestita con un semplice abito completamente bianco, che le arrivava alle ginocchia. Lunghi capelli lisci e neri incorniciavano un viso dai lineamenti gentili.
     « Grazie. Hei, dove… » le dissi mentre cercavo di alzarmi, e le avrei anche chiesto dove diavolo mi trovavo se soltanto lei non avesse sorriso per poi girare immediatamente i tacchi per uscire dalla stanza in cui mi trovavo. Dopo aver fissato la sua schiena svanire dietro la porta cercai di far partire il cervello che pareva ancora ben deciso a starsene addormentato. Mi alzai lentamente, scoprendo che le mie gambe e braccia facevano fatica a sostenere il mio peso, e m’accorsi d’essere completamente nudo sotto alle coperte. Di per sé non era un problema, ma… Che fine hanno fatto le mie cicatrici?!
      Cercai uno specchio, trovandone uno appeso su una delle pareti della stanza in cui mi trovavo, e rimasi per qualche secondo inebetito a fissare l’immagine di me che veniva riflessa. Non c’erano più. Gambe, petto, braccia, mani… Non più un segno. E gli occhi, i capelli! Quello sguardo non sembrava più il mio, e mi allungai una ciocca grigia davanti al viso per poterla vedere senza lo specchio, riconoscendola al tatto ma non alla vista.
     Decisamente non potevo sopravvivere alla Corruzione e pretendere che non avesse conseguenze sul mio fisico, e in ogni caso tutto sommato m’era andata decisamente di lusso. Ma non era solo il mio corpo ad essere cambiato, anche qualcosa dentro di me. La maggior parte delle mie cicatrici le ho collezionate durante il periodo di guerriglia nella giungla, e ricordare quegli anni mi ha sempre fatto pensare ai miei compagni ed a come sono morti, a come io sono stato tradito. Adesso invece provavo una strana sensazione di pace, come se finalmente fossi riuscito ad andare oltre quegli eventi ed abbandonare la rabbia, i sensi di colpa.
     Ricordavo più facilmente gli eventi belli, come le serate passate a correre sulle cime degli alberi assieme a Passo di Luna, o le sfide a braccio di ferro con Giovane Toro, che il modo in cui sono morti. Stavo bene, e non come quando ero privato di ciò che mi rendeva umano. La rabbia e la frustrazione degli ultimi mesi erano stati lavati via da me come il sapone e l’acqua fanno con lo sporco, ed all’improvviso scoppiai a ridere e piangere contemporaneamente, neanche fossi una ragazzina.

     Sempre ridendo piano mi asciugai le lacrime dal viso con il braccio e mi guardai intorno, perché percepivo le aure di qualcuno avvicinarsi ed io ero ancora nudo in mezzo alla stanza. Era piuttosto grande, e perfino più elegante della magione estiva di Elayne. Il mobili erano in legno, una rarità nelle città del deserto, ed un tappeto rosso ed oro copriva il pavimento. La luce del mattino entrava da una finestra che dava su un balcone a sua volta affacciato verso le dune e le sabbie, mentre vicino al letto c’era un mobiletto con ripiegati degli abiti.
     Mi tuffai verso i pantaloni e li indossai appena in tempo: avevo appena finito di legare una corda alla vita che la porta si aprì, facendo entrare la ragazza di prima che teneva la mano ad un vecchio nano dalla barba e capelli completamente bianchi, che si muoveva con attenzione seguendo la guida della ragazza e tastando il terreno con un bastone. I suoi occhi non guardavano in nessuna direzione particolare: era cieco.
      « Ah, sei sveglio finalmente. » disse il nano con voce roca e parlando lentamente, come se volesse conservare le forze per potersi tenere in piedi. Era parecchio anziano e potevo intuire come stesse appoggiando molto del suo peso sul braccio della ragazza, che lo teneva con la cura di una madre col proprio figlioletto. Si fece condurre verso una delle sedie della stanza dove si sedette con un sospiro di gratitudine, dopodiché fece un cenno alla ragazza. Lei, avendo compreso un qualche genere di ordine, se ne andò rapidamente anche se prima mi diede una lunga e interessata occhiata, cosa che mi fece ringraziare di aver fatto in tempo ad indossare i pantaloni.
     Era così che si sentiva una preda sotto lo sguardo di un cacciatore? Non ero abituato ad un invito così esplicito con un singolo sguardo!
     « Siediti, ragazzo, sarai stanco. E’ da giorni che hai la febbre, sai. »
     La voce del vecchio mi distolse dai miei pensieri, ed in effetti avevo gambe e braccia che sembravano fatte di piombo. Mi sedetti sul letto e fu solo col suono del materasso che si piegava sotto il mio peso che il nano continuò.
     « Come ti chiami, ragazzo? »
     « Shaoran. Come sono arrivato fin qui, signor…? »
     « Foilin. Non ricordi nulla di quel che è successo? »
     Ricordavo, sì, ma la maggior parte erano cose che non mi sembrava il caso di spiegargli. Ricordavo cosa ho fatto mentre ero Corrotto come uno spettatore che guarda il proprio corpo muoversi da solo. Ricordavo il mio tentativo di decapitare Azzurra e di come sono riuscito a fermarmi appena in tempo, ma poi…
     « La battaglia a Da’Sah, poi una grande luce grigia. Nient’altro. » risposi.
     « Sì, ho sentito il boato dell’esplosione da qui. Ti trovi nella mia casa a Deira, ed io e i miei figli siamo andati a Da’Sah qualche giorno fa per capire cosa fosse successo. »
     Mi sporsi dalla sedia nel completo silenzio, in modo da non rischiare di non sentire le sue parole dette così a bassa voce.
     « Il tuo corpo è l’unica cosa che abbiamo trovato. Addosso avevi una cotta di maglia tagliata in due e ricoperta di sangue, i parabracci ammaccati da chissà quanti colpi hanno subito, i pantaloni laceri. Da’Sah non esiste più se non poche macerie, e dell’orda di demoni che hai affrontato non c’è stata traccia. » continuò lui, non potendo immaginare che ero stato proprio io a condurre quelle creature fin lì « Non mi sarei mai aspettato di trovare un sopravvissuto in quel disastro, tuttavia tu eri là, perfettamente illeso. Non appena abbiamo compreso che respiravi ancora ti abbiamo preso e portato qui. Da allora non hai fatto altro che dormire, almeno fino a questa mattina. » Sorrise, e c’era calore in esso. « Sono contento che ti sia svegliato. »
     Gli sorrisi di rimando. « Grazie per avermi salvato la vita. Vorrei aver un modo per ripagarti, ma… »
     Lui scacciò l’ipotesi con una mano. « Figuriamoci! Questi sono tempi bui, e dobbiamo cercare di aiutarci l’un l’altro. Specialmente in un mondo che è sempre di più corrotto da quegli schifosi demoni. »
     Trovare una tale generosità era raro già in tempi normali, e non potei che provare un’immensa simpatia e stima per quel piccolo vecchietto che ancora teneva saldo il morale. Aveva un qualcosa che mi ricordava Azzurra, e in effetti…
     « C’era una mia amica a Da’Sah durante l’esplosione, l’avete trovata? »
     Il mio cuore perse un battito mentre il Foilin scuoteva lentamente la testa.
     « Mi spiace per la tua amica, ma laggiù non abbiamo trovato altro che cenere e sabbia. » C’era un’immensa tristezza nella sua voce. « Temo che l’esplosione l’abbia travolta. »
     Rimasi semplicemente a fissarlo, incapace di pensare. Poteva essere? Zoikar sarebbe stato così crudele da salvare la mia anima e contemporaneamente condannare colei che mi aveva aiutato a tenere duro? No, mi rifiutavo di crederlo. Non finché non vedevo il suo cadavere davanti a me!
     « Non preoccuparti, quella ragazza ha la pellaccia dura. » Mi costrinsi a sorridere, lottando contro l’orribile pensiero della sua morte.
     « Spero davvero che tua abbia ragione, ragazzo. Ah, ecco che torna Beatrice. » disse proprio nel medesimo istante in cui anche io percepivo qualcuno avvicinarsi. O aveva un udito parecchio fine, il vecchietto, o nascondeva anche lui degli assi nella manica.
     La porta si aprì rivelando la giovane fanciulla che portava un vassoio pieno di cibo: pane, uova, pancetta, frutta, ed il mio stomaco brontolò il preciso istante in cui i miei occhi vi si posarono. Beatrice mi appoggiò il vassoio sul letto accanto a me con un enorme sorriso che io cercai di ricambiare, anche se il modo in cui guardava mi metteva così a disagio che non credo di aver fatto un ottimo lavoro.
     Per qualche ragione pensai ad Elayne. In verità pensavo a lei piuttosto spesso, negli ultimi mesi, soprattutto quando un’altra bella ragazza mi sorrideva. Luce, chissà come sta. Per quanto tempo sono sparito senza dire nulla a nessuno? E pure Borin… Dannazione, avevo troppe cose da fare.
     « Avrai fame, Shaoran, serviti pure! » m’incalzò il vecchio nano, e senza farmelo ripetere due volte cominciai a mangiare ciò che c’era sul vassoio. Era tutto squisito! Presi la brocca e bevvi ancora, trovando acqua fresca e pura, presa dalle profondità della terra.
     Tra un boccone e l’altro conversai ulteriormente con Foilin, chiedendogli com’era la situazione in città e simili, cercando di evitare di guardare verso Beatrice ed i suoi poco velati inviti. Il vecchio mi spiegò come la città traboccasse di profughi scappati dai demoni – scappati da me – e di come nani e uomini stessero facendo di tutto per rendere la città sicura.
     Dopo la sconfitta dell’esercito che avevo comandato il clima in città era un po’ più tranquillo, tuttavia fin troppi sapevano che non sarebbe passato molto prima che una seconda orda di demoni si presentasse. Parlò anche della carenza di cibo e di come anche una famiglia ricca come la sua dovesse cominciare a razionare le scorte, cosa che mi fece gettare uno sguardo colpevole verso il vassoio da cui avevo già ripulito di ogni singola briciola.
     « Ah, e nonostante tutto mi hai donato così tanto? Non era necessario! » dissi sorpreso da un simile atto, e come prima lui si limitò a scacciare la mia protesta con un gesto della mano.
     « Sei uno degli eroi che hanno sconfitto l’esercito di demoni, Shaoran! Sei un sopravvissuto! Un piccolo pasto mi sembra una ricompensa a malapena accettabile, non trovi? »
     Quelle frasi e quella gratitudine nella sua voce mi fecero male.
     Avrei potuto non dire nulla e godermi quell’opinione così immeritata, tuttavia non mi sarei mai sentito a posto con me stesso se avessi mentito all’uomo che mi aveva salvato la vita e accolto in questo modo in casa sua.
     « Ecco, veramente c’è una cosa che devi sapere… » cominciai, ma la porta si aprì bruscamente lasciando entrare un secondo nano che fece irruzione nella stanza.
     « SILENZIO! » gridò il nano, un giovane che sembrava Foilin con quarant’anni di meno, la folta barba marrone ed lunghi capelli dello stesso colore legati in trece da anelli di ferro battuto. Indossava un’armatura di cuoio ed impugnava un’ascia in mano, puntandomela contro.
     « Che cos’è questa storia, Glasur! » tuonò Foilin, la rabbia che aveva fatto ritornare la sua voce simile a quella di un guerriero. Le mani tremavano dalla rabbia e dall’indignazione. « Come ti permetti di irrompere in questa stanza e minacciare un nostro ospite! »
     Glasur guardò tra me e suo padre, ansimando per la corsa che doveva appena aver fatto, lo sguardo pieno d’odio mentre si posava su di me. Io avevo già un sentore su dove volesse arrivare il figlio.
     « Sono appena tornato dalla città. Dei profughi m’hanno chiesto cos’abbiamo trovato a Da’Sah, e non appena ho fatto la descrizione di questo ragazzo subito m’hanno avvertito di non lasciarmi ingannare da lui. Era a capo dell’esercito di demoni, padre! »
     Per un lungo attimo nessuno parlò.
     « E’ così, Shaoran? » Disse Foilin, inclinando la testa verso di me.
     Io feci un lungo sospiro, poi decisi che non aveva senso negare.
     « Ha ragione, ero io. »
     Beatrice si portò le mani alla bocca, le dita tremanti, e fece un paio di passi indietro per stare più lontano da me. Davvero avevo pensato che suo sguardo lascivo mettesse a disagio? Questo era molto, molto peggio.
     « Sono stato preso dalla Corruzione durante una spedizione all’interno del Baathos, e da allora il mio corpo non è stato più mio. Ho tentato in tutti i modi di resistere, ma senza successo. E’ stato solo a Da’Sah che sono riuscito a tornare me stesso, grazie all’aiuto di una mia amica e di Zoikar. »
     « Balle! E dovrei davvero credere che Zoikar si sia preso la briga di salvare un mostro come te? » mi ringhiò addosso Glasur, e in quel momento lo fulminai con lo sguardo.
     « Guardami negli occhi e capirai che ciò che ho detto è vero. Dammi pure del mostro, ma non osare darmi del bugiardo. » Gli risposi con tono glaciale mentre dei fulmini crepitarono intorno al mio corpo, evocati dalla mia rabbia. Questo fece un po’ abbassare lo sguardo al nano, ma era evidente che non sarebbe bastato.
     « Bah, non mi interessa! Zoikar non è mai stato il benvenuto qui, e nemmeno coloro che lo venerano. » Non che io lo abbia mai pregato in tutta la mia vita, ma di sicuro non gli sarebbe importato saperlo. « Hai idea di quante famiglie hai distrutto? Di quante vite hai spezzato? Anche se adesso non sei più così, chi ci dice che una volta uscito da questa casa la Corruzione non torni? Eh? »
     Lo sapevo, lo sapevo eccome. Quel pensiero mi riempiva la testa ogni attimo, ma non potevo farmi schiacciare da esso. Ho combattuto la Corruzione ed ho fallito, ma non potevo starmene fermo a piangere per ciò che non potevo più cambiare. Solo vivendo per combattere i demoni avrei dato un senso alla seconda possibilità che mi era stata donata.
     « Qualcuno di più importante di me e di te mi ha già giudicato, e per qualche motivo ha deciso che dovevo continuare a vivere. Prima o poi pagherò, probabilmente con la mia vita, ma non sarà qui e non sarà per mano tua. »
     Ero ancora stanco, ma figurati se mi facevo intimidire dall’ultimo arrivato.
     Lui mi guardò paonazzo di rabbia, alzando l’ascia e preparandosi a colpirmi con un violento fendente. Ero già pronto per parare, tuttavia non fu necessario. Una stretta d’acciaio fermò il braccio di Glasur, mentre il vecchio lo teneva fermo e bisbigliò con talmente tanta rabbia che si sentì comunque in tutta la stanza.
     « Azzardati a fare un altro passo verso qualcuno con cui ho condiviso il pane, figlio degenere, e ti ritroverai senza una casa e senza una famiglia. »
     Glasur all’inizio cercò di lottare per liberarsi dalla stretta del padre, poi sembrò improvvisamente realizzare cosa stava facendo ed abbassò la mano armata, puntando l’ascia verso il terreno. Prese dei respiri profondi, ma dal fuoco nel suo sguardo era chiaro che con me non aveva ancora finito.
     « Ricordati, mostro, che prima o poi dovrai uscire da qui. »
     Io non risposi alla minaccia e lo osservai andarsene a grandi passi, sbattendo la porta.
     Un gemito riportò la mia attenzione su Foilin, le cui braccia gambe cedendo a causa dello sforzo di alzarsi e fermare il proprio figlio, e sia io che Beatrice balzammo per sorreggerlo. Per un attimo le nostre mani si toccarono e lei balzò via con un piccolo strillo, guardandomi come se stesse vedendo un mostro orribile.
     Luce, non potevo nemmeno biasimarla. Anche Elayne avrebbe reagito come lei, una volta scoperto cosa mi è successo? Per qualche motivo il pensiero di lei che mi guardava in quel modo era qualcosa di troppo terribile da poter contemplare.
     « Perdona mio figlio, Shaoran. » disse Foilin quando si sedette di nuovo, parlando tra un respiro pesante e l’altro « Questi sono tempi duri, e lui ha visto molti suoi compagni guerrieri morire contro i demoni. »
      « Io… posso capirlo. Perdonare qualcuno che ha fatto ciò che ho fatto non dev’essere facile. Ma non sono più così, devi credermi. »
     Foilin mi sorrise di nuovo. « Lo so, ragazzo. Potrò essere cieco, ma aver perso la vista mi ha permesso di vedere meglio altre cose, col tempo. Non c’è oscurità in te. Qualcuno ancora corrotto avrebbe negato ogni cosa, mentre tu volevi dirmelo ancora prima che mio figlio ti mettesse alle strette. »
     Non sapevo cosa dirgli. Un “grazie” sembrava troppo banale per descrivere la gratitudine e ciò che quella frase significava per me. Credevo in ogni parola che aveva detto perché già lo sentivo dentro di me, ma sentirle ripetere da qualcun altro mi dava speranze sull’essere di nuovo accettato da chi sa che cosa ho fatto.
     « Anch’io la penso come lui… » disse Beatrice, le prime parole che gli avessi sentito dire. Sembrava essersi ripresa dallo shock iniziale, ed ora mi guardava con compassione e dolcezza. Sorrisi anche a lei, lieto che non mi odiassero, anche se non era la loro comprensione quella che volevo davvero.
     Inoltre dovevo andarmene prima che la situazione precipitasse.
     « Foilin, Beatrice, grazie di tutto. Davvero. »
     Mi allontanai dai due per avvicinarmi alla pila di vestiti accanto al letto, trovando oltre agli abiti nuovi la mia cotta di maglia e i miei parabracci. Gli anelli di ferro erano stati perfettamente riparati ed avevano l’aria più robusta che mai, e l’acciaio dei parabracci era talmente lucido che mi ci potevo specchiare.
     « Come detto erano in pessimo stato quando ti abbiamo trovato, così ho chiesto ad un mio amico fabbro che te li rimettesse a posto. »
     « Ti adoro! » gridai esaltato, e Foilin rise di gusto.
     Usando la magia feci apparire armatura e parabracci al loro posto, e fu una bella sensazione sentirle addosso a me. Hien era appoggiata in un angolo, ancora nel fodero, e quando la estrassi la lucentezza della lama rivelò che anche lei aveva subito lo stesso servizio del resto del mio equipaggiamento.
     « Ah, la spada. Di fattura eccellente, mi hanno detto, e tenuta in ottimo stato. Dimmi, come l’hai ottenuta? »
     Io rimasi un attimo a fissare l’incisione a forma di fiamma sull’elsa e le corde decorative che scendevano dalla sua punta, tornando indietro nei ricordi. Quanto tempo era passato dalla prima volta che l’ho impugnata?
     « Un dono. Hien significa Fiamma Scarlatta in un’antica lingua, e mi è stata data tempo fa durante i miei primi viaggi nel deserto. Vi è un tempio di eremiti che venerano un dio antico, che loro chiamano semplicemente la Fiamma. Erano tormentati da un gruppo di mostri particolarmente aggressivo che aveva da poco nidificato là vicino, e su loro richiesta li ho aiutai in cambio di cibo ed acqua per il mio viaggio. Hien era la loro spada cerimoniale, ma me l’hanno data perché ritenevano che sarebbe stata più utile nelle mani di un guerriero come me che a fare la polvere nel loro tempio. »
     « Ah, non posso che concordare con loro. C’è del potere in quella spada, Shaoran, solo che è ancora sopito. »
     Annuii, sapendo perfettamente di cosa stava parlando. C’erano volte in cui mi sembrava quasi percepire un torrente di fuoco ardente dentro la spada, ma ogni volta era una sensazione che era mi sfuggiva proprio mentre stavo per afferrarla. Beh, per il momento mi sarei accontentato dell’ottimo acciaio.
     Indossai una maglia di lino marrone e decorata con rune naniche dorate che non riuscivo a comprendere, dopodiché infilai morbidi stivali di cuoio che sembravano fatti esattamente per il mio piede. Ero finalmente pronto per andarmene, ma mi mancava ancora una cosa.
     « Non vorrei chiedere troppo, ma… posso avere un mantello? Il mio è andato perduto. »
     « Ma certo, ma certo! » rispose Foilin, come se la sola idea che non c’avesse già pensato fosse una sciocchezza. Batté le mani e Beatrice obbediente uscì dalla stanza per procurarmelo. « Ovviamente te ne avrei dato uno, solo che non pensavo partissi così presto! Dopo quel che mio figlio ha detto, però, prima te ne vai e più sarai al sicuro. Ha la testa calda, e molti qui daranno più ascolto a lui che ad un povero vecchio come me. Il momento in cui uscirai da questa casa sarai in pericolo. »
     Non avevo dubbi.
     « Di questo non devi preoccuparti, posso viaggiare tranquillamente dove voglio da dove mi trovo ora. »
     Beatrice tornò con un mantello di buona fattura color marrone, oltre ad una sacca di viveri per il viaggio. Accettai il mantello ma rifiutai il cibo.
     « Non starò nel deserto a lungo, e come detto so come viaggiare in fretta. Non preoccupatevi, non c’è bisogno che mi offriate anche questo. » dissi sorridendo dopo le proteste di Foilin, avvolgendomi con il mantello ed alzando il cappuccio che mi avrebbe protetto dal sole cocente che c’era all’esterno. Stavo per agganciarmelo al collo, tuttavia Beatrice s’avvicinò per farlo lei stessa.
     « Quando la incontri, dille che è fortunata. » mi disse, con un sorriso criptico.
     « Cosa? » le chiesi io, senza avere la minima idea di cosa stesse parlando.
     « Ho già avuto a che fare coi ragazzi, e conosco lo sguardo di chi ha già qualcuno per la testa. E… scusa se ho gridato, prima. Non avrei dovuto. »
     Era così evidente? Probabilmente me ne sarei dovuto accorgere prima io stesso.
     Le poggiai una mano sulla spalla, stringendola leggermente in segno d’apprezzamento per le sue parole e per farle capire che non c’era nulla di cui scusarsi. In qualche modo l’aria da predatore se n’era andata, lasciando al suo posto uno sguardo semplicemente gentile.
     Le chiesi di allontanarsi con un gesto della mano, lasciando uno spazio vuoto davanti a me di un paio di metri. Con un ultimo cenno del capo – non sono mai stato granché con gli addii – evocai una linea argentata che tagliò l’aria davanti a me, aprendosi formando un quadrato alto due metri e largo altrettanto che dava sul deserto. L’aria calda mi scompigliò i capelli e la sabbia cominciò a vorticare all’interno della stanza, ma bastò un passo per attraversare il Varco e chiuderlo dietro di me, lasciandomi nuovamente solo.

     La luce accecante del sole desertico mi costrinse a tirarmi bene il cappuccio sugli occhi, abituati alla penombra della stanza dove mi trovavo poco prima. Feci qualche passo camminando sopra ad una duna, cercando di capire dove mi trovassi. Intorno a me non c’era altro che sabbia, ma se aguzzavo bene la vista potevo vedere delle sagome di pietra intorno a me: quel che restava delle mura di Da’Sah.
     Foilin aveva ragione: non c’erano che macerie. A volte il vento spostava la sabbia rivelando tetti divelti e pietre lastricate, soltanto per ricoprirli poco dopo. Le strade erano state sommerse siccome non c’era più nessuno a tenerle pulite e le mura non bloccavano più l’azione del deserto, e probabilmente i cadaveri – se ne erano rimasti – erano stati sommersi anch’essi. L’ipotesi di capire dove si trovasse Azzurra seguendo eventuali tracce sparì dalla mia mente.
     Camminai per una buona mezz’ora prima che riuscissi a ritrovare il centro della città, riconoscibile soltanto perché si trovava vicino all’oasi da dove la città prendeva l’acqua. Molte delle palme erano piegate ed alcune erano state completamente spezzate, e pezzi di legno galleggiavano sulla pozza d’acqua. Mi sedetti all’ombra degli alberi, in silenzio, concentrandomi con tutte le forze per percepire una forma di vita.
     Dove sei?

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Scena privata tra me e Last.


 
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view post Posted on 15/8/2015, 19:07
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Cavalier Fata
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Anime Ritrovate. ~ Testimonianza.
« A volte non ci sono parole
per descrivere quello che si è veduto.
Se ne è silenziosi testimoni. »

Continua da Più forte dell'Acciaio.

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Avvolta nel mantello scarlatto e con una fascia del medesimo colore passata sulla testa e sulla bocca sin al naso, cavalcavo sul dorso di un possente stallone Akeraniano verso Da'sah. Avrei potuto andare direttamente a casa, lasciami alle spalle tutto quanto, ma avevo bisogno di sapere cosa era successo, di sentire sulla mia pelle il calore della sabbia e di vedere, coi miei occhi, la desolazione del deserto. Solo allora mi sarei convinta, sopra ogni altra cosa, che fosse tutto finito. Sentivo che Shaoran non era morto, Zoikar si era manifestato per salvarlo, solo per miracolo ne eravamo riusciti ad uscire entrambi vivi... ma che cosa gli fosse accaduto, di preciso, restava per me un mistero. Nella mia mente si susseguivano milioni di ipotesi, l'una più assurda dell'altra, su come la corruzione lo avesse abbandonato, lasciando posto per qualcosa di diverso nella sua anima. Lui non era il primo contaminato che avevo visto in vita mia e, sistematicamente, tutti portavano per il resto della vita i segni di quella maledizione, volenti o nolenti. Tutto stava nel sapere quale, tra le tante vicissitudini del fato, era toccata a Shaoran.

Al tempo basso e ben delineato, ora il profilo di Da'sah appariva piatto e spoglio, con solo qualche rudere a testimoniare una città che accoglieva viaggiatori e mercanti da ogni dove. Inghiottita, fagocitata assieme ai suoi abitanti dall'ordalia di demoni e poi, quasi come a volerle dare una pietosa sepoltura, annichilita da Zoikar. Rallentai la corsa, fermandomi nei pressi dell'oasi cittadina, dove poche palme spezzate rimanevano a memento del rigoglioso passato, notando una sagoma umana poco distante, distorta dall'effetto del calore sulla sabbia. Sostava pacifica all'ombra, osservando nella mia direzione, mentre a dividerci c'era solamente quel piccolo specchio d'acqua silenzioso. Lo percepii, chiaro e limpido come il sole che brillava alto nel cielo, Shaoran.
Rimasi immobile, persino da quella distanza riuscivo quasi a sentire il peso del suo sguardo verso di me, capace di superare quello stravagante abbigliamento, sino a riconoscere quello che anche lui, lì stava cercando. Me.
Non avevo il coraggio di avvicinarmi, non per paura o timidezza, ma perché non avrei saputo cosa dire, di cosa parlare, l'evento a cui avevamo assistito aveva cambiato le nostre vite per sempre, segnando a fuoco l'inizio di una nuova maturità per entrambi, nel bene o nel male. Ma di tutta la morte, la sofferenza e la tristezza che avevamo condiviso, davvero, non avrei saputo dire una singola parola. Mi feci forza, avvicinandomi lentamente ad una palma sopravvissuta per legarvi l'animale prima di arrivare a portata d'orecchio di Shaoran: a pochi passi da lui mi fermai, rimanendo in piedi immobile mentre il vento dondolava incessantemente i miei indumenti con un fare calmo e quasi surreale, immerso in quell'ambiente così vuoto eppur così pieno di ricordi. Sospirai appena, sedendomi accanto a lui in religioso silenzio, fissando insistentemente un immaginario punto davanti a me, come se vi avessi potuto trovare le risposte alle mie titubanze. Cosa avrei dovuto dire? Restare in silenzio?...

Con l'indice della mancina abbassai la fascia che avevo davanti alla bocca, liberandola e permettendo ai polmoni di ispirare aria pulita.
Poi, lentamente, alzai la mancina muovendola a formulare un saluto appena abbozzato.
« Ciao. » sussurrai. « È bello rivederti... »

 
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Ark
view post Posted on 27/8/2015, 20:29




      La percepii prima con la mente che con gli occhi, esattamente davanti a me. Da quella distanza non era che una sagoma umana che ondeggiava al calore del deserto, ma non avevo alcun dubbio su chi fosse. Rimasi immobile ad osservarla, il cuore che cominciava a battermi nel petto. Ho affrontato la paura della morte quasi ogni giorno, eppure questa era una paura ben più difficile da combattere. Potevo ancora guardarla negli occhi dopo tutto quel che era successo, dopo il male che le avevo fatto?
      Avevo vaghi ricordi di ciò che ho commesso mentre ero Corrotto, immagini sfocate pregne di rabbia e sangue, ma potevo ancora rivedere lei inginocchiata davanti a me, il capo chino. Disse che mi perdonava. La vedevo esitare nell’avvicinarsi ed il tarlo del dubbio cominciò ad erodere la mia mente. Aveva paura di me, che tornassi la bestia ch’ero divenuto?
      Buona parte di me che nonostante tutto desiderava che non si avvicinasse. Cosa potevo dirle, dopo tutto ciò che ci era successo? Indeciso se avvicinarmi a lei o andarmene alla fine rimasi in silenzio ad osservarla legare lo stallone ad una palma.
      Io continuai a fissare le acque placide dell’oasi anche mentre si avvicinava a me, il vento caldo del deserto che mi portava il suo odore di cavallo e sudore per il viaggio, facendole dondolare il mantello simile a quello che mi copriva le spalle. Non mi voltai nemmeno quando lei infine sospirò e si sedette accanto a me, anche le in silenzio. Fu un lungo attimo di immobilità totale, entrambi in placida contemplazione della città che ormai non esisteva più, entrambi persi nei propri pensieri. In qualche modo il semplice fatto che si fosse seduta accanto a me riusciva già a rendermi più sereno.
      Alla fine un sussurro interruppe il silenzio.
      « Ciao. » sussurrò, abbozzando a malapena un saluto « E’ bello rivederti… »
      Io finalmente girai il collo per guardare il suo viso dai lineamenti delicati, e sempre guardandola cominciai a ridere. All’inizio cercai di trattenermi, ma le mie spalle traditrici cominciarono a sussultare e lentamente cominciai a ridacchiare sempre più forte, talmente di gusto che sentii una lacrima scendermi lungo il viso. Non sarei mai riuscito a trattenere la gioia che mi riempì il cuore in quell’istante. Solo lei avrebbe potuto spezzare la tensione che avevo in un modo così semplice! Poche parole, ma erano come acqua nelle labbra di un assetato.
      Mi asciugai la lacrima con la mano destra, sentendomi un completo idiota, mentre alzavo la sinistra per cingerle una spalla e stringerla a me. Prima di farlo la guardai con uno sguardo interrogativo, lasciando la domanda inespressa per chiederle il permesso.
      « E’ bello, è bello davvero… » rimasi per qualche attimo in silenzio, dopodiché il sorriso svanì. « Senti, io… » sospirai frustrato, passandomi la mano destra lungo i capelli ora diventati grigi come per invogliare il mio cervello a trovare delle parole sensate, ma non ce n’erano. Come potevo trasmetterle l’entità della mia gratitudine con solo la voce?
      « …Grazie. »
      Grazie per aver lottato per me, quando nessun altro avrebbe potuto salvarmi. Grazie per avermi spinto a resistere mentre ero sul baratro della follia, quando tutto ciò che la mia mente desiderava era gettarsi nel buio e farla finita. Grazie per avermi dato la tua amicizia nonostante tu mi abbia visto una volta soltanto.
      Grazie per il tuo perdono.
      Non potevo dirle tutto questo a voce, ma forse sarei riuscito a trasmetterglielo con una semplice stretta della mia mano sulla mia spalla che la avvicinava a me.


 
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view post Posted on 29/8/2015, 05:47
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Cavalier Fata
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Anime Ritrovate. ~ Testimonianza.
« A volte non ci sono parole
per descrivere quello che si è veduto.
Se ne è silenziosi testimoni. »

Era imbarazzante, difficile. Non trovavo le parole per portare avanti nessun discorso e Shaoran, da parte sua, aveva il medesimo problema. Come potevamo relazionarci in maniera normale, quando tutta la nostra vita, di normale, non aveva nemmeno la più lontana parvenza? Avevo l'impressione di ritrovarmi nel bel mezzo di una tempesta, spintonata a destra e manca dalla più inarrestabile delle forze, mentre cercavo disperatamente di aggrapparmi a qualcosa di solido, di certo. Dopo aver visto la morte negli occhi non credevo ci fosse qualcosa di peggiore, ma seduta lì, con la voce troncata e quel solo suo tocco a confortare i miei pensieri, compresi all'istante quanto potesse essere spaventoso l'ignoto, l'impotenza, l'essere inermi davanti a qualcosa di troppo grande per essere espresso a parole. Altri meno coraggiosi, o forse meno pazzi, dovevo ancora capirlo, si sarebbero lasciati andare nel flusso degli eventi, sperando che tutto andasse per il verso giusto, senza costringersi a lottare contro la corrente al pari di un salmone impazzito: correre per tutta la vita in senso opposto a quello di tutti gli altri solo per, una volta arrivati al traguardo, morire. Lo guardai, sorridendogli in risposta a quell'affettuoso gesto.

« ... » era cambiato. Io ero cambiata, seppur non nel suo stesso modo. « Centinaia di anime... consegnate all'oblio. »
Raccolsi le ginocchia contro il petto, abbracciandole lentamente. « Cosa abbiamo fatto per meritare la vita? »
Quelle parole uscirono a mezza voce, quasi sussurrate nel sottile vento desertico. Oramai non riuscivo più a contare il numero di morti che avevo visto: Basiledra, Ladeca, Taanach... Da'sah. C'era più sangue sulle mie mani che in quelle di Mathias Lorch, Caino e Aedh Lancaster messi assieme, solo che il mio era invisibile, involontario. Per quanto avessi tentato e provato e cercato niente, mai, aveva alleviato il dolore dentro al mio cuore o gli incubi notturni.
« Sulle mie mani pesa il sangue di centinaia di persone, nei miei occhi c'è riflessa l'ultima immagine di così tanti volti che a volte ho solo paura di dimenticarli. »
Tirai su col naso, stringendo più forte le gambe al petto.
« E quando li dimenticherò non ci sarà più differenza tra me ed i demoni che hanno fatto questo. »
Mi girai verso Shaoran con gli occhi carichi di una frustrazione ed una sofferenza soppressa da troppo tempo.
« Io... ho sperato che mi uccidessi. »
Sussurrai appena.
« Nessun dolore, nessun ricordo, nessun fallimento... ho paura che se sopravvivo a lungo, in questo mondo, ciò che resterà di me sarà solo una pallida ombra di quello che vorrei... »

Non pensavo a niente durante quel discorso, pensiero e parola si fondevano in una cosa sola, dando voce a quella parte di me che avevo omesso al resto del mondo. Per necessità, per obbligo, per comodo. Per paura.
« ...pensi mai di fuggire? »
Alzai una mano indicando l'orizzonte, seguendola con lo sguardo.
« ...vorrei solo smarrirmi e non trovare più la via di casa. »
Roteai gli occhi a guardare le fronde della palma dondolare appena sopra le nostre teste.

« Ma solo gli uomini liberi possono concedersi questo lusso. E io ho scelto di essere una serva. »
Increspai le labbra, soffocando un tiepido sorriso.
« Tu sei libero, ora, Shaoran? »

 
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Ark
view post Posted on 5/9/2015, 19:38




      Ascoltai in silenzio il flusso di pensieri di Azzurra, che sussurrava talmente piano che quasi trattenevo il respiro per paura di perdermi ciò che stava dicendo. Provai un’immensa pietà quando mi rivelò i suoi timori, i fantasmi del suo passato, vedendo in lei molte delle cose che tormentavano me stesso. Quando ebbe finito mi pose una domanda difficile. Molto difficile.
      Non risposi subito. Mi alzai leggermente per poi sedermi a gambe incrociate davanti a lei, prendendole le mani con le mie e guardandola faccia a faccia, perdendomi nei suoi occhi azzurri. Ricambiai il mezzo sorriso per poi liberare dalla presa la mano destra e ruotarla tenendo il palmo verso l’alto.
      Ci fu un piccolo lampo di luce, ed apparve una statuina di legno che raffigurava un giovane ragazzo robusto, che teneva alta una pesante ascia.
      « Queste le ho intagliate io, anni fa. » le dissi, lo sguardo adesso serio. Aveva la minima idea di cosa significava per me mostrarle quelle statuette, che era la prima volta che parlavo a qualcuno di quel periodo? Probabilmente no. La poggiai nella sabbia che ci separava, dopodiché alzai di nuovo la mano evocando un’altra statuina di legno, che raffigurava un giovane orco. Procedetti in silenzio finché non ne richiamai una decina messe in fila tra me e Azzurra.
      Ero stato abbastanza abile da lasciar intuire le fattezze dei rispettivi volti, in modo che si potessero distinguere l'uno dall'altro, tuttavia tutte avevano dei tratti in comune: l'arma sollevata verso l'alto, la schiena dritta e l'aspetto fiero. L’ultima raffigurava una ragazza dai lunghi capelli lisci, impugnava un arco con la corda tesa fino alla guancia, lo sguardo rivolto verso l’alto.
      Rose. Guardai quella statuina con affetto infinito, inondato dai ricordi che avevo di lei. Il giorno in cui s’era voluta unire al mio gruppo, il nostro primo bacio, le notti passate arrampicati sui rami più alti per poter guardare le stelle… Erano passati anni da quei momenti, eppure pensarci mi faceva ancora battere il cuore più forte. La collana con la rosa intagliata che portavo al collo sembrava improvvisamente più pesante.
      « Le ho fatte per poter avere qualcosa con cui ricordarli. Erano nati e cresciuti per diventare schiavi… Come me. » Le parole venivano fuori con difficoltà, all’inizio, tuttavia poco a poco sentivo la lingua sciogliermi, come se fosse un sasso molto pesante da smuovere ma che infine rotola a valle. Un sasso che era stato bloccato per troppo, troppo tempo.
      « Non conosco i loro veri nomi, perché facevano parte di una vita che abbiamo rifiutato, e ciascuno di loro ne ha scelto un altro. Rose, Passo di Luna, Giovane Toro… » indicai di volta in volta la statuina corrispondente per ogni nome, indicando infine me stesso « …Ombra.
      « Facevamo parte di un piccolo gruppo che lottava contro lo schiavismo nelle giungle dell’Akeran, ed in qualche modo questi ragazzi hanno deciso di seguire me nel farlo. » Feci uno sbuffo che poteva essere interpretata come una risata « Si può dire che combattere per la libertà sia ciò che ho sempre fatto. »
      Alzai lo sguardo al cielo, fissando serio le palme ondeggiare cercando di riordinare i pensieri. Quel piccolo istante d’ilarità sembrava non esserci mai stato, adesso.
      « Non… finì bene. Fui » feci un attimo di pausa, scuotendo la testa come per accorgermi di un vecchio errore « fummo traditi, e tutto ciò che avevamo costruito finì tra fiamme e sangue. Ti mostrerei le cicatrici » dissi, facendo spallucce e alzandomi la maglietta, mostrando la pelle immacolata « ma sono scomparse tutte. » Era strano parlare di quella notte. Nella mia mente è sempre stata “La notte”, il momento in cui un capitolo della mia vita finì per dare inizio a tutto ciò che mi aveva portato lì, in un’oasi di una città cancellata dalle mappe in compagnia di una bella ragazza.
      « Perché fidati, ne ho collezionate parecchie. Sarei dovuto morire in quell’occasione, ma i ragazzi che vedi qui per un qualche motivo, uno dopo l’altro, hanno deciso che la mia vita era l’unica che valeva la pena di preservare. » Era un sorriso dolce e amaro quello che avevo sul volto. Mi guardai le mani, notando che erano perfettamente salde. Ogni volta che ripensavo a quegli eventi tremavano dalla rabbia e dalla frustrazione, ma c’era qualcosa di più in me, adesso. Qualcosa che mi permetteva di ricordare con affetto l’ostinazione di quei ragazzi, come quando Giovane Toro mi aveva letteralmente preso come un sacco di patate e aveva cominciato a correre via, incurante delle frecce sulla schiena e dei miei tentativi di liberarmi.
      Sospirai, perché nonostante tutto non era facile. Non c’è mai niente di facile.
      « “Cosa abbiamo fatto per meritare la vita?” » la citai.
      « Ebbene, non ne ho la minima idea. Perché quei ragazzi mi salvarono? Perché Zoikar ha deciso di cancellare una città, i demoni ed i superstiti che vi rimanevano, per salvare la mia anima? Perché tu hai rischiato la vita per me? »
      Le presi nuovamente le mani, mostrando anche i suoi palmi ed osservandoli.
      « Le tue mani sono sporche di sangue, è vero, ma sono io quello che ha sulla coscienza chissà quanti innocenti. Viviamo in un mondo in cui bisogna lottare per la propria vita, ed è inevitabile affrontare una situazione dove per vivere devi uccidere qualcun altro.
      « Odio doverlo fare e cerco sempre di evitarlo, ma è una realtà che ormai ho accettato. E devi farlo anche tu, se non vuoi vivere il resto dei tuoi giorni in preda ai tormenti. »
      Alzai lo sguardo per guardarla nuovamente negli occhi.
      « Anch’io ho desiderato la morte, o di fuggire da tutto e da tutti, anch’io mi sono considerato un mostro per i cadaveri che mi sono lasciato dietro. Ho avuto i miei momenti in cui ero parecchio giù di morale… Chi non li ha? Quando mi hanno imprigionato dopo che Mathias Lorch ha preso Basiledra, ad esempio. Poi però penso a tutti quelli che si sono sacrificati per me, e mi dico… “E’ così che onoro il loro sacrificio? Arrendendomi? Standomene in disparte mentre tutto ciò in cui credo è in pericolo?” »
      Quella volta nelle prigioni avevo immaginato Rose davanti a me, un po’ come io adesso ero davanti ad Azzurra, dicendomi quelle parole. Era sempre stata la più saggia, tra i due. Tuttavia non credo di averlo mai capito davvero come adesso, come dopo che Zoikar mi ha cambiato nello spirito e nel corpo.
      « Ricorda i morti. Ricorda per cosa hanno vissuto, per cosa hanno perso la vita. Onorali, odiali, amici o nemici, ma non permettere mai al loro fantasma di fare presa sul tuo animo. »
     Le sorrisi, sperando capisse. Sapevo che non era facile.
      « La vita sta nel futuro, non nel passato. »

 
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