Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Una Ragione per Odiare, Contest Agosto 2015, Onestà

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view post Posted on 19/8/2015, 00:59




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si fa riferimento a "The Wolf, the Demon, the Beauty"



La bestia ringhiava furiosa, esibendo la fila di zanne che riflettevano la luce crepuscolare. Gli occhi iniettati del sangue che gli irrorava le vene, pompando con la forza di cento, mille deflagrazioni: esplosioni di brutale foga. Ogni minimo passo calpestava il terreno sotto le zampe, percuotendo il suolo con un ritmo di incessanti tamburi, sopra i quali regnava la melodia del suo ruggito. Le inermi prede passavano come soffice burro sotto il peso dei suoi artigli, cadendo straziate nella pozza del loro stesso cruore. Ed il Lupo rideva esaltato, ululando alla Luna crescente.

Sheila spuntò dal folto della macchia, rincuorata dal rinnovato silenzio.
«E' finita?»
Si fece largo lungo lo sperone dove ora la neve s'era tinta d'un brillante rosso; nel mezzo la figura di Rayleigh troneggiava ricurva sul corpo di una grossa creatura corrotta, fissandola con vacuità.
L'animale ancora si agitava, stretto all'ultimo appiglio della vita che gli scorreva dallo squarcio nello stomaco. Il muso una volta piacente schiumava sofferto, rantolando in cerca di aria; l'acuto stridere del mostro era come un deforme pianto di aiuto, un ultimo vestigio di coscienza. Ma erano gli occhi quelli che davvero rapivano lo sguardo del Cacciatore: occhi vivi, d'un profondo vermiglio, lucidi per le lacrime che il dolore richiamava; in essi leggeva la disperazione, la paura della morte. In fondo cosa c'era di differente dagli occhi di ogni essere vivente messo di fronte alla propria dipartita? Cosa rendeva quella belva diversa da lui? Entrambi erano egualmente legati alla propria sopravvivenza.
«E' ancora vivo?»
Il cauto tono dell'elfa lo svegliò dal torpore. Si costrinse a digrignare i denti, poi con rinnovato disprezzo calciò la preda rivoltandola a pancia in giù, per trapassarle il cranio con l'acciaio della spada. Essa gorgogliò per un attimo, ammutolendosi infine fra le braccia dell'oblio.
«Non più.» Abbaiò cupamente.


[...]


La Luna piena proiettava una pallida luce sul piccolo accampamento improvvisato, sbirciando appena da dietro il manto di nuvole sottili che celavano le stelle. L'aria era fredda, tanto più ghiacciata quanto più risalivano le pendici della montagna, ma perlomeno quella notte non preannunciava l'incombere della neve che avrebbe solo rallentato il loro viaggio.
Sheila e Rayleigh se ne stavano raggomitolati attorno al fuoco della pira, attendendo solo che il sonno gravasse sulle palpebre quel tanto che fosse bastato a garantire un buon riposo. Le ore di buio si erano allungate molto, perciò avevano perso da tempo la cognizione dei periodi della giornata. La strada fino all'Akeran era ancora molto lunga, ma mai difficoltosa quanto superare la barriera dell'Erydlyss, che ormai li vedeva impegnati da oltre quattro giorni. La selva che contornava la catena rocciosa era selvaggia e numerosa, tanto che non era passato dì senza che il Cacciatore si ritrovasse a difendere lui e la compagna dall'assalto di bestie d'ogni sorta.
La bionda ogni tanto si fermava a guardarlo, a studiare le sue espressioni nel cuore della lotta. Provava una strana sensazione quando ammirava il Lupo sbranare le sue vittime, una mistura di paura e curiosità; ogni tanto poteva notare le iridi cineree del compagno tingersi di un cupo cremisi, ma non era sicura che lui stesso se ne rendesse conto. Da oltre tre settimane seguiva il percorso dell'uomo, e di lui aveva imparato la testardaggine, la riservatezza ma soprattutto la propensione alla battaglia. La caccia era il suo unico pensiero, ciò che lo definiva e per cui il suo cuore batteva. Solo un dettaglio le sfuggiva.
«Perché odi così tanto i demoni?» La ragione del disprezzo verso qualunque tipo di abominio: la ragione che lo spingeva a combattere.
L'uomo sollevò la testa con il riserbo di un bambino colto in fallo, fulminando la ragazza con uno sguardo imperscrutabile. Stette in religioso silenzio per diversi attimi.
«... L'odio rende tutto più facile.» Commentò incisivo in tono grave.
Capì subito che la giovane non fosse soddisfatta di quella elusiva risposta, perciò la interruppe prima che avesse modo di aprire bocca.
«E' il caso di andare a dormire, domani sarà una giornata faticosa.»
E detto questo si abbandonò sul giaciglio di pelli, voltando la schiena ad eventuali proteste.

Eccetto che quella notte non dormì, neanche quando la compagna cadde a sua volta nel sonno e il fuoco smise di ardere, lasciandoli in balia dei venti montani.
Quella non era una nottata dedicata ai sogni, bensì ai ricordi ad occhi aperti, di quelli che ti passano in fronte come le pagine di un libro già letto; di cui conosci ogni parola, ogni virgola, ma che nel rileggere ti fa riaffiorare emozioni che credevi di aver sepolto in qualche recondito angolo del cuore.


[...]


Quattordici anni era l'età a cui le giovani reclute venivano "svezzate", introdotte per la prima volta alla Caccia. Forse una tenera età per un individuo qualsiasi, ma loro Metaumani non erano ragazzini qualunque, e bagnarli col sangue non era mai troppo presto. Venivano divisi in squadre più o meno numerose capeggiate da un istruttore anziano, dopodiché venivano gettati in pasto alle bestie, costretti ad imparare la legge: "mangiare o essere mangiati".
Da questo punto di vista lui non era mai stato affamato. Non era grosso come alcuni suoi compagni, non era forte come altri né particolarmente veloce, e più di tutto odiava ogni momento della caccia. Si sentiva come un bimbo sperduto, solo e spaventato, alla mercé di abomini e creature che nella sua mente apparivano gigantesche e terribili. In ultimo aveva dovuto imparare a controllare la sua paura, costretto a reagire per sopravvivere ad un mondo che per lui non aveva senso.
A sedici anni era ancora vivo, a differenza di diversi suoi coetanei più grossi e forti di lui. Nulla lo rendeva speciale, se non forse la fortuna ed un pizzico di cruda abilità che gli avevano evitato di soccombere in quei due anni. Era però lungi dal potersi considerare un Cacciatore, per un particolare tratto che ancora non l'aveva abbandonato: la fame; o meglio, la sua mancanza. Le reclute che arrivavano alla sua età avevano realizzato da tempo che la battaglia incessante sarebbe sempre stata parte della loro vita; erano costretti ad accettare questa realtà.
«Accettate il sangue! Accettate il dolore! Siete nati e cresciuti per sterminare gli orrori di questa terra, perciò imparate ad amare la caccia, ad uccidere le vostre prede. Non ingannatevi pensando che abbiano un'anima o una coscienza: i demoni non esiteranno un momento a eliminarvi. Non abbiate pietà, non abbiate rimorsi. Ricordate la legge del più forte: mangiare o essere mangiati... e voi dovete essere degli ingordi!»
Questi erano gli insegnamenti del suo istruttore: un uomo arcigno, brizzolato, il cui intero corpo emanava una durezza tale da renderlo più solido di una roccia. Disprezzava quell'individuo. Vedeva in lui il riflesso di tutto ciò che odiava della propria vita: la violenza, lo scontro, la brutale e cieca devozione ad una causa senza speranza. Non aveva scelto lui di combattere; non aveva scelto lui di sacrificarsi per respingere le orde del Baathos; ma soprattutto non provava alcun piacere nell'uccidere. Ogni volta che la sua lama penetrava le carni di un essere vivente il suo stomaco si torceva ed un conato di bile gli mozzava il respiro, costringendolo a fermarsi qualche momento per riprendere fiato.
Il sangue lo spaventava; ad ogni zampillo la sua vista si annebbiava e il suo cuore batteva all'impazzata. Erano quelli i momenti in cui qualcosa nel suo animo si agitava, un istinto primordiale che lo scavava dall'interno cercando di prendere possesso delle sue carni, lasciandolo terrorizzato e madido di sudore.
Perché? Perché avrebbe dovuto combattere? Perché avrebbe dovuto imparare a trarre piacere dall'uccidere quando l'unica sua speranza era di vivere una vita normale?
Perché non avrebbe potuto semplicemente essere... "umano"?

Un giorno lui e la sua squadra vennero chiamati a rapporto. Il luogo di incontro era un vecchio gruppo di rovine abbandonate, e tutti loro avevano ricevuto istruzione di presentarsi disarmati; tutti tranne lui, a cui il Cacciatore anziano aveva dato indicazioni diverse. Arrivati sul posto il loro istruttore non era però presente, cosa che lasciò tutti loro a domandarsi sul da farsi, sulla ragione della loro presenza lì. Questo fino al risuonare di un roco grido, che preannunciò la comparsa di un demone da dietro uno degli edifici pericolanti. Era la prima volta che ognuno di loro posava gli sguardi su una simile creatura, poiché solo raggiunti i diciotto anni venivano messi ad affrontare avversari di quella pericolosità.
Ricordava ancora il terrore che lo pietrificò al suolo alla vista dell'empio essere: possedeva delle lunghe membra affusolate, nerborute quanto due delle sue; la bocca priva di labbra era allargata in un ampio ghigno colante saliva, reso dieci volte più terribile dai piccoli occhi iniettati di sangue privi di pupilla. Ai suoi arti erano fissate delle catene ormai spezzate, che ad ogni movimento cigolavano minacciose, come a suonare una macabra danza di morte.
Quando il mostro attaccò molti fuggirono in preda al panico, mentre i più coraggiosi provarono a bloccare la sua carica col peso dei loro nudi corpi. Rayleigh invece restò passivamente lì, incapace di muovere un muscolo, a guardare impotente mentre i suoi compagni venivano divorati dal demonio. Stranamente non riuscì a provare pietà per loro, perché assistere alla loro morte significava che lui era ancora vivo.
Disarmati, disorganizzati e impreparati di fronte ad un tale nemico, uno ad uno caddero. In meno di mezz'ora l'unico superstite rimase lui, che si era codardamente nascosto dentro una casupola buia approfittando del tempo che la bestia aveva impiegato per massacrare il resto della compagnia. La disperazione e il terrore erano il suo unico mondo, tutto ciò che riusciva a provare. Piangeva e singhiozzava; urlava senza voce in cerca di uno scampo, di salvezza, ma sapeva in cuor suo che non ne avrebbe trovata.
Una grossa mano polverizzò il muro su cui era appoggiato, serrandosi impietosa attorno al suo corpo e strattonandolo con violenza per aria.
Era la fine. Bloccato nella morsa della creatura poteva solo distinguerne l'espressione famelica: sarebbe morto così, annegando negli occhi di quel demone che gli ricordavano il sangue.

Ma invece che finirlo, la creatura cadde, rovesciandolo pesantemente al suolo libero da quella stretta letale. Prima ancora di riuscire a capire cosa stesse succedendo la figura di un uomo in nero emerse da dietro il gigante, saltandogli sulla schiena e trafiggendogli le scapole con due grosse spade; procedette a bloccare ogni movimento del mostro impalando ogni suo arto in terra con l'usufrutto di diverse picche, lasciandolo così inerte e sanguinante.
L'istruttore si avvicinò a lui, ancora bloccato in terra dalla confusione e dalla paura. Il suo viso era deformato dalle lacrime, dal dolore, e scolpito in un'espressione di puro sgomento.
«Alzati.»
Un imperioso comando che dovette ripetere due volte prima che Rayleigh si decidesse a tirarsi lentamente su. Tremava da capo a piedi, fissando l'anziano con un'espressione indecifrabile.
Questi lo studiò di rimando per diversi secondi, poi gli sferrò un possente pugno che lo ributtò in terra. Quindi seguì un calcio allo stomaco, poi uno ai reni, poi un altro ed un altro ancora. Non riuscì a far nulla, ricevendo impotente quella severa scarica di pugni e calci che lo costringevano in terra a mangiare fango e sputare sangue.
Non aveva idea di quanti colpi ricevette prima che il Cacciatore decidesse di averne avuto abbastanza.
«Codardo! Verme! Perché non hai combattuto? Perché non hai reagito?»
Le sue orecchie fischiavano, in bocca e nel naso solo l'odore del sangue.
«Hai paura di morire? Mmmh...? Hai paura di cacciare?»
Cosa diceva? Di che stava parlando?
Si sentì tirare per i capelli mentre il suo torturatore gli sollevava con forza la testa, costringendolo a guardare i cadaveri dei suoi compagni.
«Li vedi? Quelli sono i morti che gravano sulla tua coscienza. Ricordarlo, ricorda questa lezione. Sono morti per insegnarti sai? Per renderti onesto.» La sua era la voce di una serpe, che sibilava veleno nelle sue orecchie.
Gli volse a testa in direzione del demone.
«Guardalo! Guardalo bene.» Ma lui non voleva, aveva paura. «E' lui ad aver massacrato i tuoi amici, la tua squadra. La vedi nei suoi occhi? La sete di sangue. E' tipica dei demoni, la fame; vivono cibandosi della morte altrui, e questo li rende più forti, più spietati. C'è da ammirare una simile onestà, non trovi?»
Perché parlava di onestà? Cosa centrava con tutto quello?
L'uomo ridacchiò spettrale.
«Sai perché ha ucciso tutti questi ragazzi? Mmh? Perché vi odia. Ci odia. Oh lui vive per veder scorrere il nostro sangue: vorrebbe strapparci la faccia, fracassare i nostri crani e strappare le nostre budella. Ed è per questo che noi lo odiamo; per questo noi combattiamo e per questo ci divertiamo nel farlo. Devi essere onesto con te stesso, onesto con la tua sete di sangue.»
Poteva sentire il suo sguardo penetrargli il cervello.
«Sai di avere un demone dentro di te, non è così? Lo provi nelle viscere; lo senti nella testa: è un lontano richiamo che attanaglia il tuo cuore e ti spinge ad uccidere "ancora! ancora!" è la fame della battaglia. Non negarlo, so che lo senti, così come lo sento io.»
Lo costrinse in piedi, tirandolo di peso finché la gambe dolenti e tremanti non riuscirono a stento a reggerlo. Non riusciva più a pensare, sentiva solo l'abbraccio dell'istruttore e le parole che professava.
«Ti ho studiato sai? Per anni hai combattuto senza una ragione, senza spirito, rifiutando di abbandonarti all'istinto. Anch'io una volta ero come te, anch'io mi chiedevo quale fosse lo scopo di tutto questo, ma alla fine ho appreso la lezione. Io credo in te ragazzo, ed è per questo che ti ho fatto questo regalo. Ti ho dato una ragione per odiare.» E con una mano mostrò la macabra scena in fronte a sé, lo scenario che lui stesso aveva progettato per quel giorno. «Puoi finalmente essere onesto con la tua rabbia. Il responsabile è lì, davanti a te, indifeso e ferito. Vuoi ucciderlo, non è vero? Vuoi fargli provare il dolore e la paura che ha fatto provare a te, non è così? Hai il potere, hai le armi, usale.»
E con quelle parole lo spinse avanti, in direzione della bestia crocifissa al suolo.
Non voleva muoversi, non poteva, eppure qualcosa dentro di lui lo trascinava passo dopo passo. Era un desiderio, un appetito, una sensazione amara e cruenta che gli rivoltava l'intestino. Era odio, era sete ed era disperazione; avrebbe voluto piangere e gettarsi impotente nella polvere, ma la sua volontà non rispondeva ai capricci della mente.
Quando estrasse le spade e sferrò il primo colpo alla spalla del colosso, realizzò che il suo corpo non gli apparteneva più. Una dopo l'altra sferzate e fendenti dilaniavano le carni della creatura, che si contorceva sofferente riempiendo l'aria degli echi delle proprie urla. Solo la risata e gli incitamenti dell'uomo che era stato artefice di quella tragedia risuonavano all'unisono con le grida del demonio.

Quando finalmente il mostro spirò, ridotto ormai a poco più di una poltiglia sanguinolenta di muscoli e viscere, l'istruttore fermò la furia del giovane posandogli una pacca sulla spalla.
«Lo senti il sangue? Puoi assaporare la vita della preda dentro di te?»
Lo odio. Lo odio. Non voglio questo mostro dentro di me, non lo voglio!
«Non ti senti meglio ora? Aver dato sfogo al tuo odio verso questo abominio. Sii onesto: non vorresti ucciderli tutti?»
No no no!
«Questa è la tua fame ragazzo. Devi essere fedele alla tua fame.»
NO!
Ma i suoi pensieri si perdevano nel nulla, poiché nella sua mente si faceva largo la realizzazione che il vecchio non stava mentendo. Il suo corpo tremava: ma di eccitazione, e il suo cuore batteva all'impazzata regalandogli momenti di pura estasi adrenergica. La sua umanità poteva ribellarsi, ma la realtà è che per la prima volta aveva assaporato il gusto del sangue, e ne aveva tratto piacere; annientare la propria preda l'aveva esaltato a tal punto da fargli dimenticare della paura che poco prima l'aveva reso impotente.
Quello era il suo demone; il suo sangue maledetto ed impuro che corrompeva la sua umanità, un'umanità che si fregiava di essere retta e giusta. Sì, la Caccia era giusta; lo sterminio dei mostri era giusto, e la sua fame era giusta. Questa era la sua nuova onestà: l'odio per quelle creature, l'odio per gli abomini che avevano determinato la sua nascita.
Una scusa, una bugia, ma andava bene così: l'odio avrebbe reso tutto più facile. Doveva solo convincersene.
«Dunque Rayleigh, vuoi diventare un Cacciatore?»
...
Doveva essere onesto.


[...]


Erano passati anni da quel giorno; il giorno in cui aveva fatto propria la menzogna del suo essere Cacciatore.
Sorrise amaro nel ricordare la domanda che aveva posto tempo prima all'elfa coricata poco distante: "Li odi?" E la sua risposta era stata immediata, pura, onesta. Cosa avrebbe risposto lui? Qual era la verità?
Non lo sapeva. Non lo sapeva più.
Da troppo tempo conviveva con quella farsa per poter discernere il reale dal falso. Ogni qual volta un mostro o un demone incrociavano il suo cammino il cuore tornava a battergli, sempre, come quel lontano giorno in mezzo alle rovine. La furia della caccia era ormai qualcosa di inscindibile dal suo essere, poiché la fame un tempo sopita si era fatta sempre più grande e insaziabile, tanto da fargli dimenticare di non averla sempre provata.
Fino a che punto i suoi intenti erano genuini? Sarebbe giunto un tempo in cui ogni traccia di onestà sarebbe divenuta menzogna, e con essa ogni traccia di umanità sarebbe stata corrotta.
Perciò sarebbe rimasto fedele al suo odio. Fedele alla sua bugia.
 
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