Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

C l a v i s, corsa all'oro

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view post Posted on 17/9/2015, 22:06
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h e l l i s n o w
······

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[...]


I

PoV: Vaalirunah

(Erydlyss, profondità della fortezza)



Freddo.
Ottenebrava i sensi, strangolava le ossa.
Cercava di ignorarlo ma non vi riusciva; si sforzava di mantenere una posa di stoica attesa - perché ormai non poteva far altro che aspettare - ma non era capace di sottrarsi ai tremiti che lo scuotevano dalla pianta dei piedi alla punta dei capelli. Le dita che artigliavano le sbarre trasmettevano quel fremito involontario al ferro, facendolo scricchiolare. Il rumore faceva compagnia a quello dell'acqua che sgocciolava dal soffitto pietroso, e allo squittio dei ratti. Non vi era nient'altro li sotto. Forse era un bene.

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Un urlo di donna riverberò lontano, oltre le pareti della cella.
I suoi occhi si spostarono intercettandone l'origine, come due fari di oro puro che scrutavano nel buio. Credeva si trattasse almeno della quarta volta che lo udiva, ma non poteva esserne certo. Non ci aveva prestato troppa attenzione dopo la prima, perché a dispetto del fatto che da più di un giorno non aveva avuto visite da parte dei suoi aguzzini, aveva altri pensieri per la testa che non lo riguardavano direttamente. Si chiedeva infatti che fine avesse fatto Dakin: sperava che l'avessero risparmiato o magari anche rilasciato; a dispetto di ciò che gli doveva, e del fatto che la sua morale fosse spessa quanto un filo di seta, non riusciva veramente a odiare il nano. Aveva vissuto abbastanza per comprendere che non tutti gli individui erano capaci di tenere a bada il male che si annidava nei loro cuori, e con piena onestà, non riteneva di aver diritto a serbargli eccessivo rancore per questo. La debolezza non era una colpa. Soprattutto, gran parte di ciò che era accaduto lo poteva ricondurre alla propria esclusiva arroganza.

Gli astri ne erano testimoni si era preparato per quel viaggio, e lo aveva anche fatto con la dovuta perizia; tuttavia aveva enormemente sottovalutato l'inflessibilità degli Anahmid, e quando avevano loro sbarrato il passo non aveva avuto la lungimiranza necessaria a comprendere che non avrebbe potuto forzare le cose. Doveva essere cambiato qualcosa aldilà delle montagne, e probabilmente i draghi di cui aveva sentito mormorare alle taverne cui avevano fatto tappa nel corso della traversata dell'Ystfalda c'entravano qualcosa; ma come poteva prevedere una così profonda ripercussione sui confini? L'Erydlyss era divenuta davvero una impenetrabile muraglia. Eppure a dispetto della sgradevole situazione, percepiva il tocco del fato nella sua sventura. La struttura che lo avvolgeva e lo imprigionava sussurrava una melodia in cui risaltavano alcune note in particolare, note che conosceva molto bene. Clavis doveva essere da qualche parte nella fortezza, ne era certo.

« Ti sei svegliato. »

Una figura si coagulò nella tenebra: si trattava di un uomo robusto e vestito di pesanti pellicce. Il suo volto era ancora dominio dell'oscurità, benché sostasse a pochi passi dalla torcia a parete prossima all'uscita dalle prigioni. Vaalirunah non l'aveva udito arrivare, troppo profondamente immerso nelle proprie riflessioni.

« Che ne è stato del nano? »

Si sorprese di quanto la propria voce risuonasse spenta, smorzata dal gelo sofferto. L'uomo si fece avanti di un passo, e finalmente il bagliore delle fiamme illuminò i suoi lineamenti: tratti aspri, labbra sottili, occhi e barba scuri. Attese diversi secondi prima di aprir bocca.

« Non ti preoccupare per il tuo amico. »
affermò con tranquillità, senza scomporsi
« Se ne è andato qualche ora fa, non prima di averci lasciato qualcosa come pegno di scarcerazione. »

La Scaglia si sentì parzialmente rassicurato dalla notizia; ciononostante il timbro utilizzato dall'individuo lasciava intuire che non fosse tutto. Così rimase in silenzio, in attesa del resto - che non tardò ad arrivare.

« Per la sua scarcerazione, si intende. » l'accenno di un sorriso si fece appena strada sotto la folta peluria che gli ricopriva quasi tutta la faccia « Mi dispiace informarti che la tua premura nei suoi confronti non è stata per nulla ricambiata. Sembrava anzi ansioso di levare le tende il più presto possibile. »

Seppur solo ai margini della coscienza, qualcosa di vagamente simile a delusione macchiò i suoi pensieri a riguardo dell'ultimo dei Thuldor. In verità non si sarebbe potuto aspettare qualcosa di differente. Lo aveva costretto a viaggiare per mesi da una parte all'altra dell'Akeran, e in quell'ultima spedizione si erano spinti addirittura oltre il Dortan. Doveva essere stato troppo per il vecchio, in particolare poiché finito segregato in un castello di proprietà di gente particolarmente nota per una carenza di compassione per gli intrusi.

« Sembra verosimile. »
« Lo è, te lo assicuro. A me non piace scherzare.
E non mi piace neanche la gente che pensa di poter fare quello che vuole in casa mia.
»
« L'Erydlyss non ti appartiene, Anahmid; non di più di quanto ogni pietra di questo castello appartenga alla tua gente. »

Il suo interlocutore avanzò in sua direzione, la mano sinistra poggiata sull'elsa della mazza ferrata che gli pendeva dal cinturone. I suoi occhi si erano fatti la perfetta rappresentazione dell'epiteto dato al suo popolo.

« Fosse stato per me ti avrei già tagliato la gola. »
proferì con malcelato risentimento una volta prossimo alle sbarre
« Rosche dice però che non sei un demone, e che non sei neanche un uomo; il nostro capo ha di conseguenza deciso di voler tenere conciliabolo con te, per vederci chiaro. Su di te, e sul motivo che ti ha spinto qui. »

Che si fosse trattata anch'essa di provvidenza? Verosimilmente era stata la sua salvezza; perlomeno, così diceva l'Uomo di Pietra che in quell'istante lo dilaniava con lo sguardo. Il Sesto preferì tuttavia non dire niente, ancora una volta. Il nodo che gli stringeva il collo non si era ancora sciolto, e una parola sbagliata avrebbe potuto determinare il giro di corda fatale.

« Ora ti accompagnerò di sopra, da loro. Mi è stato detto di non farti alcun male, ma bada bene che se ti farai venire qualche strana idea non esiterò a spaccarti la testa con questa. »

Indicò il suo strumento di morte con il dito calloso. Vaalirunah era certo che la cosa gli avrebbe anche procurato un certo piacere, motivo per cui si sarebbe assicurato di non tentare nulla. Se avevano già deciso di risparmiarlo non vi era ragione di non sperare in un lieto fine, ne di non adoperarsi al meglio per raggiungerlo.

« Hai capito bene quello che ti ho detto? »
« Ho compreso. »

L'Anahmid sputò a terra, afferò una chiave dalla saccoccia e la infilò nella toppa. Dopo un paio di giri gracchianti, la serratura si dischiuse e fu libero di uscire dalla cella - seppur ancora ammannettato.

« Seguimi. »

L'Imperatore lo seguì.



II

PoV: Vaalirunah

(sala del comandante)



La stanza dove si trovava non era molto più accogliente delle cantine dove era rimasto imprigionato fino a quel momento, a dispetto del vivace fuocherello che scoppiettava nel camino. Solide mura di pietra grigia delimitavano uno spazio relativamente grande, al centro del quale si trovava una massiccia scrivania di legno scuro; dietro di essa Ergon Greenhorn lo stava scrutando da diversi secondi, in piedi. Gli si era presentato subito come leader non appena era stato condotto nella sala, e più di ogni altra cosa lo aveva colpito di lui l'innaturale chiarezza delle iridi, quasi bianche. Portava i lunghi capelli scoloriti raccolti dietro la nuca, e a parte per le grinze spesse come crepacci che si diramavano ovunque sul suo volto - non dava per nulla l'idea dell'uomo anziano a cui istintivamente associava il suono tremulo della sua voce. Aveva braccia ancora forti, e un ampio torace da guerriero. Al suo fianco sostava un individuo di pelle scura poco più basso e piccolo di lui, ma di parecchi anni più giovane. Portava abiti più ampi e sfarzosi degli altri due presenti, e una grossa collana d'osso levigato ciondolante dal collo. Più di tutto però, Vaalirunah notò di lui il fodero di pelle che gli pendeva dal cinturone. L'elsa che sporgeva dall'imbragatura era indubbiamente quella di Clavis.

« A quanto mi è stato detto-- » incominciò il grigio accomodandosi sulla seggiola, non dopo aver scambiato dei formalismi superflui considerando che stava parlando con un suo prigioniero « --la carovana su cui viaggiavate ha cercato di forzare i nostri confini, a dispetto del nostro avvertimento. »
« È così. »

Rispose calmo, come avesse detto la cosa più normale del mondo. Il suo interlocutore inarcò un sopracciglio ma attese il resto. Non gli aveva ancora fatto cenno di sedersi, dunque il Sesto rimase in piedi a dispetto della sedia che si trovava poco alle sue spalle.

« Avevo necessità di recuperare qualcosa che un tempo mi apparteneva. »

Percepì su di lui lo sguardo curioso dell'uomo che fiancheggiava Ergon, ma non distolse gli occhi.

« Non ci avete ancora detto il vostro nome. »
« Potete chiamarmi Val. »
« Molto bene, signor Val.
Potete chiarirci di che oggetto stiamo parlando?
»

E lui indicò con naturalezza l'arma assicurata alla vita del giovane dalla pelle scura, suscitando una certa sorpresa nella sala. Alle sue spalle, udì il suo barbuto secondino grugnire qualcosa di incomprensibile - ma sicuramente offensivo.

« Rosche? »
il vecchio stava squadrando il suo compare con gli occhi ridotti a due fessure
« Non so di che stia parlando.
Ho acquistato questo pugnale da un viaggiatore che ha attraversato l'Erydlyss qualche mese fa.
»
« Non vi sto accusando di essere un ladro. »
si affrettò a specificare, scuotendo leggermente il capo
« Ciononostante è mio, è importante per me e lo desidero indietro. »

Rosche reagì alla sua sfacciataggine con un sorrisetto divertito, ma l'Anahmid che lo aveva scortato di sopra non fu altrettanto propenso a prenderla sul ridere. Si fece avanti pronunciando qualcosa in una lingua che l'Imperatore non conosceva. I tre discussero animatamente per diversi istanti, ma alla fine fu la testa calda a mollare il colpo e a uscire dalla camera sbattendo la porta. Poco dopo l'urlo femminile a cui era divenuto abituato vibrò nuovamente nell'aria, molto più vicino rispetto alle precedenti volte; a quanto pareva tuttavia nessuno degli altri presenti lo considerava qualcosa degno di attenzione, in quanto lo ignorarono totalmente. Iniziò a sospettare che fosse solo nella sua testa. Forse aveva sbattuto il capo contro qualcosa durante l'arresto, e non lo rimembrava.

« Signor Val, forse la situazione non le è sufficientemente chiara. Lei è stato catturato perché ha tentato violenza contro i miei uomini, e ora mi sta confessando di essere giunto qui per derubare il mio sciamano. Non è il modo migliore per tirarsi fuori dai guai, ne è consapevole? »
Ergon sospirò, scrutandolo con severità
« Peraltro è proprio grazie a lui se lei si trova qui in questo momento, e non di sotto a crepare di fame e di sete. »

In tutta onestà, l'accondiscendenza con cui lo stavano trattando al forte cominciava a divenirgli stretta; non si sentiva in debito con nessuno di loro, e per quanto non desiderasse l'ostilità, un accenno di rancore cominciava a nascere in lui. Aveva ancora le forze necessarie per provare a eliminarli entrambi, in quell'istante, anche con i polsi segati dalle manette e spoglio di quasi ogni cosa. Per un istante la tentazione di metterli al corrente del fatto - anche solo per riequilibrare gli umori - quasi l'ebbe vinta, ma infine riuscì a controllarsi. Ruotò il capo verso il rivelato stregone, e a lui si rivolse con il solito tono mite.

« Che cosa intende dire il vostro capo, se mi è concesso chiedere? »
il giovane sembrò ben lieto di essere stato considerato, e non fece molto per nasconderlo
« È molto semplice, in realtà. Vedete, io ho una dote speciale nel riconoscere la natura di chi mi si trova dinanzi. È stata molto utile in passato per evitarci dei problemi con i demoni--- » forse per evitare che cominciasse a perdersi troppo nell'autoglorificazione, il grigio diede un colpo di tosse - attirando la sua attenzione e facendoli cenno di venire al dunque « --Insomma, è chiaro che lei non è uno di loro, anzi. Ho visto qualcosa di molto più interessante di uno scarto del Baathos, in lei; ho provato una sensazione molto simile a quella che ho avuto osservando la venuta dei Creatori, non molto tempo fa. »
« Si riferisce ai draghi. »
non una domanda, ma un'affermazione
« Esattamente.
Eppure non è stato esattamente uguale, è come se ci fosse qualche anomalia, qualche dettaglio fuori posto.
Così ho pensato bene di parlarne con Ergon e---
»

Non terminò mai la frase.
Ciò che accadde immediatamente dopo colse tutti alla sprovvista. Rosche fece per avvicinarsi alla soglia per chiudere la porta, rimasta socchiusa dopo lo sfogo del suo compare, quando qualcuno entrò con violenza nella sala. La figura travolse il mago prima che questi potesse anche solo capire che diavolo stesse accadendo, tantomeno accorgersi di essere stato privato dell'oggetto della discussione negli ultimi dieci minuti. Il Sesto riuscì a vederla meglio in quei brevi e concitati momenti: un'esile donna, i lunghi capelli rossi come fiamme al vento e la sua chiave stretta tra le mani. Non riuscì a muoversi e prima che chiunque potesse fare niente gli fu addosso. Sentì la lama del coltello affondare nel ventre, i muscoli tesi delle braccia di lei - afferrate in un moto di puro istinto - le sue urla rapaci che articolavano parole sconosciute, cariche d'odio.
All'impatto con il suolo la realtà andò in pezzi.


---~---

Ansiti di prede in fuga. Fetore di morte e decomposizione nell'aria.
Osservava la scena come fosse stato un occhio lanciato da una parte all'altra del cielo nuvoloso, ma la sperimentava con una profondità negata ai sensi naturali. Un gruppo di persone dalle vesti lacere stava correndo. Scappava giù da una cima innevata, lasciandosi dietro una scia nera come l'inchiostro. Solo che non era inchiostro. Erano demoni, creature immonde e sbavanti. Uno dei fuggitivi volse il capo, forse per capire quanto ancora avevano da vivere prima di essere raggiunti e massacrati. A lui non restava che qualche secondo. Inciampò in una pietra e subito gli furono addosso; lo aggredirono con una violenza tale che alcuni dei suoi pezzi rotearono per aria come macabri aquiloni. Non ebbe neppure tempo di gridare, ma qualcuno dal gruppo lo fece per lui. Senza smettere di correre, s'intende. Neppure la malvagità sibilante dietro di loro smise di inseguire. Ancora poco e sarebbero stati raggiunti, e la cosa peggiore era che lo sapevano tutti. Lo sapevano i vecchi, ormai prossimi a spezzarsi di crepacuore; lo sapevano i giovani, spinti al limite della sopportazione fisica e mentale; e lo sapevano i fanciulli, consumati da un terrore che mai avrebbero dovuto sperimentare così presto. La sua attenzione calò su una di esse in particolare, una bambina dai serici capelli dorati. Ma non era stata tanto lei a chiamarlo, quanto la donna che la stringeva per mano. Aveva la stessa espressione di sgomento, gli stessi capelli infuocati, i medesimi occhi spenti dalla fatica disumana. La Scaglia sapeva già come quella storia si sarebbe conclusa. Se solo avesse potuto farlo, avrebbe chiuso gli occhi e azzerato le sue percezioni. Ma sapeva di non potersi sottrarre alla comunione una volta innescata. Così osservò. Vide l'orda raggiungere lo sparuto gruppo di sopravvissuti; bestie che azzannavano e sgozzavano, uomini, donne e bambini che combattevano nell'ultimo - futile - tentativo di aver salva la vita. Poco prima che il massacro terminasse, giunse il ruggito che squarciò il cielo. Dalla ferita luminosa fra le nuvole calarono ombre più profonde e minacciose di quelle del Baathos, e fecero terra bruciata di tutto e tutti. Non risparmiarono quasi niente. Le fiamme inghiottirono demoni e uomini assieme in un'orgia di cenere rovente. E per un attimo solo, egli vide attraverso gli occhi di lei: la sagoma di una bambina schiacciata sotto i corpi dei mostri, la sua manina tesa in quella preghiera che non poteva articolare. Ma non poteva essere salvata. Le fiamme la consumarono e di lei non rimase più niente. La rossa scalciava e si dimenava mentre qualcuno di più forte di lei la trascinava a fatica fuori dalla mattanza, mentre la piccola diveniva ai suoi occhi sempre più piccola e insignificante, un punto nero in un oceano di rosso. Nella cacofonia di ruggiti primordiali, battiti d'ali nel cielo e di carne sfrigolante, l'agghiacciante grido della donna tagliò come una lama nel suo cuore.


---~---

Riprese coscienza un istante o un'eternità dopo.
Lo accolse il viso di lei, la maschera della disperazione: occhi opachi e dilatati, la faccia umida di pianto e sfregiata di sofferenza, i capelli disordinati, le labbra tremanti e singhiozzanti. Sentiva l'addome come invaso da lingue di fiamme, ma non si lamentò, non parlò, non la scacciò. Niente oltre a quell'espressione terribile pareva in grado di toccarlo in quegli attimi. Vi vedeva riflesso un dolore familiare e mai dimenticato. Per lei versò una singola e inconsapevole lacrima, mentre il sangue defluiva dal suo corpo e imbrattava il pavimento, mentre i due uomini erano prossimi ad afferrarla e strappargliela di dosso. E la fanciulla vide, la fanciulla comprese: la sua bocca cercava di dare voce allo stupore senza successo. Avrebbe voluto dirle che non era necessario, e che andava tutto bene. Ma non poteva. Così le avvicinò le mani, adagiandole sulle guance con delicatezza. Nella realtà stava accadendo in poche manciate di secondi, ma nella sua mente sconvolta dalle visioni il tempo aveva perso di significato. Riuscì appena a scorgere i lineamenti della giovane sciogliersi al suo tocco, a percepire per un attimo le crepe nella sua anima risaldarsi - ma non fu che un accenno, poiché i sensi lo abbandonarono presto al vuoto.




III

PoV: Vaalirunah

(???)



Nei giorni seguenti riaprì gli occhi più volte, seppur per mai più di qualche minuto.
Nella foschia che ne dominava la prospettiva intravide abbozzi di forme e colori differenti; una in particolare con una certa frequenza, e anche l'unica che credeva di riconoscere. Non riusciva a scorgerne i lineamenti, questo no, ma il rosso liquido che ne cingeva il capo come una corona ardente...

Quando però si ridestò abbastanza da capire di trovarsi in un'infermeria - impossibile sapere quanto tempo fosse trascorso - a vegliare su di lui trovò lo stregone. Rosche se ne stava in piedi poco distante dal giaciglio dove l'avevano adagiato, silenzioso e preoccupato. Quando però realizzò della ripresa dell'ospite, il suo volto si rasserenò.

« Temevamo non ce l'avreste fatta. »
gli confessò con un'ansia che inizialmente non comprese
« Sapevo che avremmo fatto bene a risparmiarla, me lo diceva l'istinto. »

Vaalirunah non sentiva più strani brusii, grida e dolori, ma provava ancora stordimento. Non capiva il perché delle parole dello sciamano, le memorie degli ultimi secondi dopo l'accoltellamento si contorcevano le une sulle altre nel tentativo di infilarsi nel giusto ordine, e gli mancavano le forze per esigere chiarimenti. Rosche si adagiò sul ciglio del letto e gli mise fra le dita qualcosa che pur senza l'ausilio della vista, riconobbe istantaneamente. Dovevano essere passati secoli da quando la Terza aveva stretto per l'ultima volta l'elsa striata della chiave, ma per l'Imperatore non parevano essere che pochi giorni. Ne ricordava alla perfezione ogni centimetro.

« Ve lo siete guadagnato, signor Val. »

[...]


La settimana successiva era stato pronto per andarsene.
Gli Uomini di Pietra gli avevano spiegato quanto già aveva potuto esperire nel breve contatto spirituale: gli raccontarono di come quella donna, Elisa il suo nome, fosse una delle poche sopravvissute allo scontro scoppiato fra i draghi e le bestie del sottosuolo alcuni mesi prima. Aveva perso i suoi amici e la figlia nel rogo di quel conflitto, e ne era uscita sconvolta, con la mente a pezzi. I guaritori non le avevano dato nessuna speranza, sicuri che sarebbe rimasta demente per il resto della sua vita, e così anche gli Anahmid non ne avevano più serbata alcuna per lei. Non vi era da stupirsene in realtà, poiché era un'esperienza - gli disse il grigio - da cui ben pochi potevano uscire indenni, nel corpo e nella mente. Oh, quanto lo aveva compreso. Il Sesto conosceva così bene l'agonia della perdita che avrebbe potuto scolpirne il volto nel marmo. Ma la donna non era rimasta demente a vita. La donna era guarita, e quando era stata in grado di parlare, aveva confessato ciò che era successo in quei frangenti critici: che era stato lui a sanarla. Diceva di non sapere come, e intuiva soltanto il perché, ma nella sua testa la nebbia si era dissipata. Il dolore sarebbe rimasto - eterno - poiché neppure un dio aveva il potere di cancellarlo. In fondo era giusto così.

Mentre terminava i preparativi, Rosche gli confessò che neppure lui aveva idea di che cosa precisamente avesse spinto Elisa ad aggredirlo a quel modo. Poteva aver sentito parlare di lui, dell'uomo con un corno, e magari nei suoi pensieri lo aveva istintivamente associato ai draghi o ai demoni - innescando la scintilla dell'odio e della vendetta. Che cosa importava in fondo? Ciò che era fatto era fatto, gli rispose. Non le voleva alcun male; non era stata padrona delle sue azioni, e anche in caso contrario, la sua sete di sangue sarebbe stata perfettamente comprensibile. Quando però il mago insistette purché tenesse il pugnale come pegno di gratitudine, non riuscì a rifiutare; quell'oggetto gli era caro, ed era l'unico modo che aveva per tornare in contatto con un frammento ancora più importante del suo passato. Era stato il primario motivo del suo viaggio, dopotutto.

Lei non fu tra i pochi raccoltisi per augurargli un buon ritorno a casa, ma non si aspettava diversamente. Per vie trasverse era venuto a conoscenza della sua gratitudine e allo stesso tempo del suo desiderio di non incontrarlo; forse perché macchiata dal senso di colpa, forse perché impaurita. Anche quello in fondo non aveva rilevanza. Certe cose non richiedevano parole. Quando però discese per la ripida strada che usciva dalla fortezza e si immergeva nelle montagne, voltandosi credette di intravederla attraverso una delle numerose aperture nella pietra della muraglia. Non sapeva se fosse davvero lei, ma alzò comunque una mano in saluto. La figura rispose al suo cenno, e svanì nella tenebra.
Non la vide mai più.



CITAZIONE
La giocata avviene diversi mesi (in-game) dopo di questa, e riguarda anch'essa la ricerca da parte di Vaalirunah della sua perduta eredità materiale. In particolare la scena presente riguarda il ritrovamento di Clavis, un pugnale rituale che avrà un ruolo particolare in un futuro evento relativo al personaggio. La fazione con cui Vaalirunah interagisce è quella degli Uomini di Pietra, i quali lo imprigionano dopo che questi ha tentato - assieme al nano Dakin e alle sue carovane - di valicare forzosamente il confine con l'Edhel; mancando un topic informativo sugli Anahmid similare alle altre fazioni, ed essendoci pochi dettagli su di loro sparpagliati in un paio di post, spero di non aver scritto niente di inverosimile nei loro riguardi. Non vi è duello nel racconto quindi non inserirò uno specchietto integrale, tuttavia metto comunque in spoiler le tecniche/passive utilizzate nel caso possano servire a chiarire alcune dinamiche. Il resto è nel post.

CITAZIONE
Cosmoveggenza — la terra, l'aria, la natura, ogni cosa - viventi compresi - è percorsa da sottile trame d'energia, cariche di informazioni per chiunque sia in grado di leggerle, e ben disposte a comunicarle a chiunque sia in grado di ascoltare. Focalizzando la propria attenzione a tale scopo, l'Imperatore è in grado di assimilare svariate informazioni dall'ambiente circostante; in termini di gioco, egli può venire a conoscenza dell'attuale situazione sociale e politica del luogo, il nome di individui di potere legati al posto e di eventi accaduti in passato (quest e scene). Conta come un auspex di conoscenza del territorio.

CITAZIONE
Comunione Forzata — un tocco di mano sarà sufficiente al Frammento per strappare all'avversario i segreti che desidera celare, i suoi obbiettivi, i suoi pensieri, i suoi ricordi: ogni cosa verrà assimilata e rivissuta dalla divinità come fosse propria, seppur solo per un istante. Una tecnica che può essere sfruttata anche sui cadaveri, ma che in questa evenienza potrebbe dare risultati incerti e frammentati, a seconda del tempo trascorso dal decesso del bersaglio. La tecnica è di natura psionica.

CITAZIONE
Catarsi — mediante imposizione delle mani, Vaalirunah è capace di liberare la mente altrui (o propria) da traumi, danni mentali e turbe psicologiche che vi si possano annidare, residui di un passato spietato o di insidiosi attacchi psionici. In quanto vera e propria guarigione, la sua efficacia è inferiore di un grado al consumo immesso. La tecnica è di natura psionica.

 
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