Laskano impugnava il piccone con entrambe le mani e batteva la sua roccia come un indemoniato. In realtà non era necessario dannarsi l'anima in quel modo, gli occhi dei carcerieri erano altrove. Persino Ghindor, il più anziano e maltrattato della quarta sezione, si concedeva un istante di riposo. Ma Laskano aveva il fuoco dentro e, come gli aveva detto suo padre tanti anni prima, nelle sue vene scorreva la terra. Il lavoro di minatore sembrava fatto apposta per lui e i suoi muscoli tonici. La quarta sezione era una caverna semicircolare da cui partivano tre diverse e massicce vene di durargilla. La prima vena era stata scavata a fondo e con perizia, le altre due dovevano ancora essere intaccate per bene. Nonostante questo, i Guascon - così venivano chiamati i loro carcerieri - volevano affondare ancor di più nella roccia della galleria primaria. Laskano non comprendeva il progetto di fondo, ma non gli interessava granché. L'unica sua preoccupazione era picchiare, picchiare e ancora picchiare quella maledetta roccia grigiastra. « Perché tu avercela con pietra? » domandò improvvisamente Ghindor. Era un uomo di settantadue anni, con la pelle sporca e i baffi bianchi. Essendo privo di denti, biascicava un poco quando parlava. Era, inoltre, analfabeta. Laskano non interruppe il suo lavoro. Finché c'era abbastanza luce da potersi risparmiare l'acre odore delle lanterne a olio, lui avrebbe lavorato. « Non sono arrabbiato. Voglio solo finire il mio turno. » rispose secco. Ghindor ridacchiò. « Turno non finire mai. Come caverna. » I Guascon tornarono dalla pausa serale e si appostarono sui camminamenti sopra di loro. Lo scricchiolare degli stivali sul legno era sufficiente per annichilire sul nascere qualunque tentativo di conversazione. Cinque frustate per una parola. Cinquanta per una frase. Cento se veniva interrotto il lavoro. Laskano picconò fino a tarda notte e fu l'ultimo minatore ad abbandonare la quarta sezione. Uno dei Guascon gli allungò un filo d'erba aromatica da fumare dopo il pasto. L'erba serviva a far recuperare più in fretta l'energia, non era un atto di pietà. « Io ti invidio, Laskano. » lo apostrofò Koman, una nuova leva, quando raggiunse la sala comune dei minatori « A te non frega un cazzo se ci trattano come schiavi e ci pagano una miseria. » « Sai qual'è l'alternativa. Tengo semplicemente alla pellaccia. » « Ma almeno loro guadagnano un bel gruzzolo. » rimbeccò Koman, sputando per terra. Con loro intendeva gli Skiminieri, gli esploratori del Baathos. Uomini, pelleverde e nani che rischiavano la vita tutti i giorni nei cunicoli del sottosuolo per cercare le vene più ricche di durargilla. Era un mestiere ingrato e molto remunerativo. « Tu non sai cosa c'è nel Baathos. » « E tu non sai quanto prendono a ciclo! » Laskano non voleva battibeccare, specialmente con quell'avaraccio di Koman. La sua prospettiva, in quel momento, comprendeva una ciotola di fagioli, un goccio di vino rosso e il suo giaciglio di paglia. L'erba aromatica sarebbe finita tra la polvere, come ogni notte. Quella roba uccideva lentamente e inesorabilmente. « Spaccare ancora prima galleria. Cosa spera trovare Occhi di Serpente? » intervenne Ghindor che aveva già finito la sua razione di fagioli. « Ma cosa vuoi saperne, vecchio? Chissà quanta durargilla c'è ancora sul fondo. » « No. » rispose subito Laskano « Non c'è più durargilla in quella vena. » Koman lo fissò inebetito per diversi secondi, prima di riprendersi e cominciare a fare sciocche congetture. « Argento? Oro? Diamanti lavici? » « Oppure tempio di uomini rettile. » Un tempio dei Maegon? Non avevano più fatto ritrovamenti da circa due mesi, quando Irigo, uno degli Skiminieri, si era imbattuto in un'iscrizione proprio nell'ancora vergine sezione quattro. Laskano non pensava a quell'ipotesi, ma non aveva nemmeno altre idee da sottoporre al giudizio dei suoi compagni. Poi la caverna cominciò a tremare. |