Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

De Civitate Dei - Fondamenta sporche di sangue

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A.Beck
view post Posted on 12/3/2016, 19:01




Il sole splendeva su tutta la pianura. I prati verdi si estendevano e un piccolo lago rifletteva la luce del giorno. Un paio d'alberi secolari donavano ombra, mentre dall'altura poco lontana una cascata s'infrangeva sulle rocce, dando vita al ruscello che sfociava nel lago stesso. Non c'erano animali, quantomeno non mi parve di vederli. E se ci fossero stati, son certo, sarebbero stati stupendi; stupendi, appunto, almeno quanto quell'ambiente che sembrava incantevole. Pareva che fosse stato preso direttamente da una favola: era davvero, ve l'assicuro, un paesaggio incredibile che non poteva aver luogo se non nella mente dei più grandi scrittori. Beh, almeno così ripetevo nella mia mente, non potendo credere a ciò che avevo di fronte.

"Qui, sarà qui."

Dissi a gran voce. Le parole riecheggiarono nella vallata: era una cornice perfetta per la solennità dell'annuncio che stavo pronunciando.

"È qui che fonderemo la nostra città!"

Aggiunsi, gustandomi ogni singola parola. La città che desideravo, che noi tutti bramavamo. La nostra rivincita verso l'intera Atina sarebbe sorta lì.

"Cosa ne pensate?"

"È bellissimo. Da quando siamo in viaggio non ho visto neanche un posto comparabile a questo."

Pronunciò Aelia, con tono pacato e senza tradire la delicatezza che la caratterizzava. Non resse il mio entusiasmo, ma non mi stupii: era fatta così. Poteva sembrare un po' fredda, ma in realtà era solo terribilmente timida; quando eravamo soli, però, era diversa: già pregustavo il momento in cui avremmo discusso e fantasticato sui nostri progetti, ora che diventavano sempre più reali.

"Sulpicio?"

Dissi, rivolgendo lo sguardo all'unica altra persona di cui mi importava l'opinione.

"Il posto è bello, sicuramente..."

Rispose, corrugando la fronte con aria pensierosa e lasciando intendere che stava per continuare.

"Ma?"

"Ma non so quanto possa essere sicuro. Dovrebbe esserci un accampamento di pelleverde da queste parti."

Un folata di vento spirò veemente, spezzando il discorso. Alzai lo sguardo e vidi gli storni girare e librarsi in cielo su quella pianura. Rimasi affascinato dalla complessità dei loro voli. Così incredibilmente coordinati, sembravano animati da una mente comune, un'unica entità che comandava ogni sua parte. Fu esaltante, davvero.
Mi lasciai cadere sul prato e cominciai a carezzare l'erba ancora bagnata: adoravo sentirla tra le mani. Pelleverdi, demoni o persino draghi. Poteva esserci qualunque creatura, quel posto sarebbe stato mio. Nostro, volevo dire nostro. Peccai d'arroganza nei miei pensieri, ma non avrei mai tolto i meriti ai miei compagni.

"Passeremo qui la notte."





Non c'era la luna in cielo. Qualche stella qua e la, ma della luna nessuna traccia. Forse coperta dalle nuvole, forse nascosta dalle montagne. Un po' triste, pensai. Lasciai cadere il pesante zaino sulla terra che ormai doveva essere molto fredda. E fredda era quella serata, in effetti. Indossai i guanti e coprii la testa con il cappuccio, mentre le folate di vento disegnavano bizzarre onde sulla veste. Spostai lo sguardo verso Aelia e la vidi stringere forte a sé la giacca. Mi notò e ci sorridemmo a vicenda. Fu uno sguardo fugace, un momento che terminò appena un istante dopo, eppure non lo avrei mai dimenticato. Si trattava di uno di quegli attimi che ti restano impressi nella memoria per tutta la vita, ma a cui non sai attribuire un significato preciso. Non sai perché, ma ci sono e restano nella tua reminiscenza. In ogni caso, dicevo, la seguii con lo sguardo mentre andava a procurarsi dell'acqua dal ruscello vicino e della legna per il fuoco, poi mi concentrai sul da farsi. Sulpicio era andato in perlustrazione: aveva timore dei vicini pelleverde e non sarebbe andato a dormire se prima non avesse trovato il loro villaggio. Ah, e avrebbe anche procurato del cibo. Era previdente, lui. A me, invece, restava il compito di montare le tende, primo abbozzo dell'accampamento che avremmo voluto costruire il giorno dopo. E primo passo verso la città che qui sarebbe sorta. Già potevo vederla, con le sue mura, le sue strade, le sue piazze. Potevo vedere il fabbro che si accingeva a chiudere bottega ed il fornaio che cominciava a preparare il pane per l'indomani. Potevo udire il baccano degli uomini che andavano a bere in taverna e sentire l'odore di cibo provenienti dalle cucine delle più umili dimore. Sognavo a occhi aperti, ahimé.
Impiegai un'oretta per montare le tende e accendere il fuoco. I morsi della fame iniziavano a farsi sentire, ma più di tutto io e Aelia cominciammo a preoccuparci per l'assenza di Sulpicio. Era passato ormai un po', ma di lui nessuna traccia.

"Vedrai che sbucherà da un momento all'altro."

Mormorai. Volevo darle sicurezza, ma mi resi conto di aver bisogno di rassicurazioni ben più di lei. E lei lo comprese. Sviò il discorso, e cominciammo a parlare di cosa avremmo fatto in quei giorni. E quindi stabilimmo la disposizione dei lavori, da quelli di costruzione ai più pratici (come ad esempio procurarci cibo e denaro), fino ad arrivare a parlare dell'aspetto estetico degli edifici. Giungemmo persino alla conclusione che avremmo tratto vantaggio dalla presenza dei pelleverde. Da qualche anno a questa parte, difatti, girava voce che avevano smesso di essere ostili bestie selvagge. Ora il combattimento non era più il centro del loro mondo. Potevamo trovare un accordo, quindi. Li avremmo aiutati in caso di bisogno e loro, in cambio, ci avrebbero permesso di costruire la nostra città. In futuro saremmo potuti diventare alleati, e guadagnarci tutti. Sia noi, che loro potevamo uscire più forti da questo incontro. Sì, sarebbe andata così, ne ero certo. Il rinnovato entusiasmo quasi mi fece dimenticare la preoccupazione per l'amico, quando un rumore di passi ci fece sobbalzare. Proveniva da dietro di noi. Non poteva essere Sulpicio: palesemente si trattava di più di una persona. Io ed Aelia ci zittimmo, guardandoci negli occhi per qualche istante. Potevo vedere la paura dipinta sul suo volto e sono certo che anche la mia espressione non celava il terrore che provavo. Mi stupii di me stesso: non credevo di essere così poco coraggioso, considerando che mi ci volle non poco sforzo per evitare di tremare. Il rumore dei passi diventava sempre più forte, sempre più frequente ed il battito del mio cuore faceva lo stesso. Impugnai la spada, cercando di fare meno rumore possibile e mi alzai da terra. Desiderai intensamente la presenza di Sulpicio: era il più forte tra noi e con lui saremmo stati al sicuro. Ma non c'era e toccava a me proteggere Aelia. Strinsi forte l'elsa, mentre il costante calpestio diventava ancora più intenso, ancora più vicino. E in me cresceva l'ansia di pari passo. Poi, il rumore cessò.
Non vidi nulla, sentii solo qualcosa colpirmi il capo. Barcollai goffamente, indietreggiando di qualche metro. Cercai di mantenere la calma, di guardarmi intorno, di capire cosa diavolo era successo. Niente, tutto troppo confuso. Intravidi qualche sagoma, poi un botto mi distrasse.

"Aelia!"

Gridai a squarciagola, nel vedere che qualcuno la stava trascinando via. Corsi verso di lei, ma fui colpito: sentii un forte dolore al fianco. Ci passai la mano, e con un po' di vergogna devo ammettere che gelai sul posto nell'osservarla pregna di sangue, del mio sangue.
Cosa diavolo stava succedendo? Chi ci aveva attaccati? Erano i pelleverde? Quanto odiavo quella situazione! Non capivo cosa succedeva, ma vedevo i miei punti fermi crollare come un castello di carta. Udii lo schiocchio di una balestra, e un dardo mi colpì la spalla di striscio. Non riuscii a celare un gemito di dolore, mentre un individuo corse verso me impugnando uno spadone a due mani. Era vestito di stracci, aveva un fisico possente ed era alto pressapoco come me. Parte del viso e delle braccia erano coperte da strani tatuaggi, mentre la carnagione verdognola e la mascella leggermente sporgente non lasciavano dubbi circa la sua natura: si trattava di un pelleverde.
Evocai delle catene, le spinsi verso il suolo e mi spostai di lì: riuscii per un pelo ad evitare la spadata.

"Kurmbag, vieni qui. Questo sa usare la magia!"

Gridò uno di loro.
Riacquistai lucidità. Finalmente potevo vederli: erano in tre di fronte a me. Il primo, il più vicino, era, appunto, quello che mi aveva attaccato; stringeva ancora con forza la sua arma (che a dirla tutta aveva l'aria di essere piuttosto pesante), mentre mi guardava con quegli occhi iniettati di sangue. Dietro di lui, un altro pelleverde – forse un po' più mingherlino – impugnava una balestra. Di fianco, l'unico che aveva parlato estrasse due asce dai foderi.
Contando l'amico che avevano chiamato, dovevano essere in quattro.
E quattro catene presero forma e consistenza dalla mia schiena, pronte a fronteggiare gli avversari.

"Chi siete? Cosa... Cosa avete fatto alla ragazza che era con me?"

Biascicai qualcosa, ma mi resi conto che ero troppo agitato per tradurre in lettere i miei pensieri.
Nessuno rispose, né diede segno di dare adito alle mie parole. Il pelleverde che impugnava lo spadone, anzi, mi si scagliò di nuovo contro. Questa volta, però, la sua lama incrociò la mia catena.
Contemporaneamente colpii gli stomaci degli altri due con le catene a loro dirette. Con la spada, invece, tranciai il quadricipite di quello con lo spadone. Fu un colpo netto, preciso. Proprio come avevo imparato. Eppure rimasi raccapricciato dalla quantità di sangue che fuoriusciva. Mi sentii angosciato, quasi pentito, mentre udivo le urla del pelleverde che si dimenava al suolo. Beh, senza dubbio se l'era cercata: allora perché la cosa mi metteva così a disagio? Ero troppo inesperto nei combattimenti, troppo debole era il mio cuore.

"Fermo, fermo. Non vogliamo farti del male, non ucciderci!"

Pronunciò l'orco armato di asce.

"Volevamo solo derubarvi e la situazione ci è sfuggita di mano, solo questo: ti chiediamo scusa. La tua amica sta bene, sì, ne siamo certi. Te la riportiamo subito, ora, ecco... ."

Aggiunse l'altro. Entrambi avevano le voci tremanti, entrambi esitavano prima di ogni parola, quasi fossero in dubbio su cosa pronunciare.

Feci per dire qualcosa, ma qualcuno mi colpì il fianco ferito: quei due mi stavano prendendo in giro e volevano solo distrarmi! Il dolore che provai fu indescrivibile. La lesione doveva essersi allargata e il sangue cominciò a fuoriuscire copioso. Non avevo mai avuto una lacerazione così profonda.
Era stato Kurmbag, l'amico che avevano chiamato. Era leggermente più grosso degli altri e impugnava una grossa mazza. Di nuovo tentò di colpirmi, ma mi prese solo di striscio: feci in tempo ad evocare delle catene per schivare il colpo. Il pelleverde con la balestra, però, scagliò un altro dardo, e questa volta mi colpì dritto allo stomaco. Fu incredibilmente doloroso: temetti per la mia vita nell'osservare quel frammento di legno conficcato nella carne. Ed il sangue, poi... Non avevo mai notato quanto scuro fosse il sangue, non avrei mai detto che avesse un odore tanto raccapricciante. Feci un paio di passi indietro, vuoi per guadagnare spazio, vuoi perché inconsciamente l'unica cosa che bramavo era la fuga. Ma proprio la fuga, ahimé, mi era negata. L'orco che impugnava le asce, dal canto suo, mi corse corse contro. Non fece più di qualche passo, sia chiaro, ma ogni volta che quei pesanti piedi – avvolti da brandelli di tessuto logoro e poggiati su una tavola di legno tagliata alla bell'e meglio, entrambi tenuti stretti da uno spago e che insieme creavano una scarpa senz'altro poco comoda – ogni volta che quei dannati piedi, dicevo, toccavano il terreno, si sentiva un irritante frastuono, quasi un grido d'allarme che preannunciasse l'imminente attacco. E io non potevo farmi colpire ancora. Se volevo vincere quello scontro, dovevo tenere le distanze da tutti. Rivolsi le quattro catene evocate verso Kurmbag, circondandolo. Al tipo armato di asce scagliai due dardi arcani, che gli colpirono le gambe facendole sanguinare; non si trattava di ferite gravi, ma almeno ero riuscito a rallentarlo. Il pelleverde che stringeva la balestra, invece, era il più pericoloso. Con quelle mani ruvide ed incallite – tipiche di chi non conosceva altro che lavoro e fatica – strinse forte l'arma: se mi avesse colpito ancora, probabilmente sarei morto. Gli rivolsi il palmo: in un istante un'enorme sfera di energia arcana prese forma. Oscura come l'animo del più perfido degli umani, la nerodipinta sfera gli si scagliò contro, facendolo cadere al suolo privo di coscienza. Ne restavano due.

"Ma perché continuate? Cosa diavolo vi abbiamo fatto?"

Pronunciai, questa volta con meno agitazione e più rabbia. Appena un istante dopo, tossii con forza, e mi spaventai non poco nel vedere le gocce di sangue che fuoriuscivano dalla mia bocca. Ero messo male.

"La vostra sola presenza è una minaccia."

Pronunciò Kurmbag. E tra le parole, traspariva lo sdegno. Potevo vederlo chiaramente: lui mi odiava. Non gli avevo fatto nulla, non lo avevo mai incontrato prima, eppure mi trattava come se fossi il suo peggior nemico. E come avversario, lui, era temibile. Era stato colpito al volto ed alla gamba destra, ma si trattava di ferite superficiali. Le sue dita ticchettavano sulla mazza che impugnava, quasi aspettasse qualcosa, o forse perché stava architettando una strategia d'attacco. Gli vidi stringere forte la mascella e per un attimo mi chiesi quanto forte dovesse essere: mi sembrava che con quelle fauci potesse piegare l'acciaio. Ah, quanto ero inesperto! Distrarmi per questioni tanto inutili durante uno scontro! L'orco, ovviamente, ne approfittò, distruggendo le mie catene con un abile combinazione di destrezza e forza bruta.
Non fu una perdita eccessiva, in effetti: ne evocai altre due, diirgendone una verso di lui e l'altra verso il pelleverde armato di asce. Quest'ultimo fu colpito due volte al capo, e svenne in pochi secondi; con le gambe ferite non era in grado di contrastare i miei attacchi. Kurmbag, invece, avrebbe ben presto distrutto anche l'altra catena. Gli rivolsi il palmo. Annaspavo. Avevo perso troppo sangue ed utilizzato troppe energie. La vista iniziava ad annebbiarsi, ma restava un solo nemico, non potevo arrendermi. Dalla mano fuoriuscì un'ennesima catena. Questa, però, era diversa. Kurmbag era troppo esperto nel combattimento: evocare catene reali, tangibili, contro di lui era un mero spreco di energie. La catena in questione esisteva solo nella sua mente. Anelli illusori che si allacciavano gli uni con gli altri in un'incessante ed oscura consuetudine, così rapidi che all'orco sarebbe parso che gli avrebbero trapassato il cranio da un momento all'altro. L'attacco fece il suo lavoro, a giudicare dalla grossa ferita comparsa sulla sua fronte: la sua abilità in combattimento era inutile con un animo tanto debole. Alla fine, anche lui cadde al suolo privo di coscienza.
Ero stanchissimo, gravemente ferito e per giunta con un grosso mal di testa. Ma avevo vinto. Non potevo rallegrarmi, però. Dovevo cercare Aelia.
Usai le catene rimaste come aiuto per reggermi in piedi. Ero in condizioni pessime, forse le peggiori della mia vita, ma ero ancora vivo. Sperai di poter dire lo stesso dei miei amici.
Era andato tutto storto; ogni cosa aveva preso la piega sbagliata e non potevo più neanche sperare in un'ipotetica alleanza con i pelleverde.

"Perché, perché, perché? Perché ci avete attaccato, dannazione?"

Mormorai tra me e me. Avrei continuato a pormi domande senza risposte, ma delle macchie di sangue attrassero la mia attenzione. Aelia... Mi agitai ancora di più. Già normalmente, quando si trattava di lei, non riuscivo a essere completamente lucido; in quella situazione ero completamente andato. Seguii le tracce fino a quando non riuscii più a tenere le catene in quella forma. Le lasciai svanire e notai qualcosa di strano. Corpi senza vita di mezza dozzina di pelleverde. Sembrava che fossero stati attaccati da una bestia feroce: i toraci erano dilaniati, le teste mozzate, le budella sparse sulla terra. Un'immagine raccapricciante: dovetti trattenermi dal vomitare. Qualche metro più in la, finalmente, vidi Aelia. Rasserenato, trovai le energie per correre verso di lei, ma a metà strada dovetti fermarmi per via del dolore; procedetti lentamente, quindi. Anche lei era ferita; dietro le spalle, la veste era ridotta a brandelli e sulla schiena facevano capolino numerosi graffi e lacerazioni.

"Aelia!"

Dissi, ma non ricevetti risposta. Era immersa nei suoi pensieri, con uno sguardo perso verso il vuoto. Quando riusci ad avvicinarmi a lei, capii cosa stava guardando: l'accampamento dei pelleverde.
Non era grande, c'era al massimo una ventina di case, protetta alla bell'e meglio da un abbozzo di mura.
Urla strazianti e rumori di spade che cozzavano con gli scudi provenivano da lì.
Senza pensarci oltre, Aelia entrò nel villaggio.
Le avrei voluto dire di fermarsi, di aspettarmi. Avrei voluto vedere come stava. Avrei voluto che ci fossimo curati e ripresi insieme. Non fui in grado di pronunciare nessuna di queste parole. Trattenni il dolore e raccolsi le energie, prima di prepararmi a seguirla; non potevo farla andare da sola.
Ciò che trovammo all'interno del villaggio fu incredibile: non avrei mai dimenticato quelle immagini. Più di una decina di corpi senza vita di pelleverde. C'erano possenti uomini con braccia tranciate e toraci conficcati, donne col ventre squartato dalle lame e persino dei bambini decapitati. Era raccapricciante.

"È questa la guerra, dunque..."

Mormorai.

"Questo è un massacro."

Mi corresse Aelia.

"No, no, ti prego. Non uccidermi, salvami; salva la mia famiglia!"

Non sapevamo chi pronunciò queste parole, ma un rumore di spada ci fece capire quale era stata la risposta.
Era tutto così dannatamente triste. Non conoscevo la guerra ed in quel momento compresi che l'essermi sempre opposto ad apprenderne le arti era stata la scelta più saggia che potessi fare. Mi sentivo a disagio lì e me ne sarei andato in quel momento esatto, se solo non avessi visto lui.
Sulpicio.





Tra le mani stringeva la sua lama. Di fronte a lui, una decina di pelleverde erano rannicchiati, in preda al panico. Tra loro, solo un paio erano armati.

"Ti scongiuro! Faremo quello che vuoi, ma non ucciderci!"

Disse uno di loro.

"Prenditi la mia vita, ma risparmia quella della mia gente. Non ti hanno fatto nulla, non sono una minaccia per te."

Pronunciò quello armato. Aveva lo sguardo triste di chi sa di aver appena perso tutto.

"Ti prego, ti prego, dannazione! Non mietere altre vittime: faremo ciò che vuoi, ma per pietà – se puoi provarla – per pietà ferma questa carneficina!"

Sulpicio, di tutta risposta, gli si avvicinò, alzando la spada e preparandosi per un attacco.

"Fermo!"

Gridai con tutta la forza che mi era rimasta. Mi notò, tutti mi notarono.

"Esiodo?"

Rispose, senza celare la sorpresa.

"Che ci fai qui? Cosa... Cosa hai fatto? Stai bene?"

Aggiunse, probabilmente notando le mie ferite.

"Cosa stai facendo tu, piuttosto! Questa gente... perché, perché li uccidi?"

"Sto risolvendo il problema: estirpo la minaccia. Entra in una casa e riposati, è meglio che tu non veda."

"Ferm-"

Tentai di aggiungere altro, ma cominciai a tossire forte, sputando grumi di sangue e saliva. Non riuscivo neanche più a reggermi in piedi: caddi in ginocchio di fronte a lui.

"Fermati, ti prego. Sono innoce-"

Di nuovo non fui in grado di terminare la frase. Mi sentivo debolissimo, come se stessi per svenire da un momento all'altro. Eppure non riuscivo a smettere di tremare. L'orrore che mi circondava, la crudeltà che avevo di fronte... Si trattava di qualcosa che andava oltre la mia concezione. Era tutto inutile. Tutto così dannatamente sbagliato.
Non potei fare a meno di notare quanto si assomigliassero le parole di Sulpicio e quelle di Kurmbag. Entrambi avevano parlato di una minaccia. Entrambi volevano uccidere qualcuno per paura. C'era qualcosa di terribilmente marcio in tutto questo.
Aelia mi venne in contro, sorreggendomi.

"Ha ragione, Sulpicio."

Disse.

"Lasciali sopravvivere: useremo questi pelleverdi per costruire la nostra città. Avranno salva la vita e ci torneranno utili. Ci guadagniamo tutti in questo modo."

Pronunciò tutto con una calma incredibile, quasi si stesse riferendo ad una cosa normalissima. Con lo stesso tono con cui avrebbe parlato della cena, ora parlava di schiavitù. Si perché era di questo che si trattava. La guardai esterrefatto: sorpresa e delusione crebbero in me, ma non ebbi né la forza, né il coraggio di dire nulla.

"Faremo ciò che volete."

Il pelleverde armato che aveva parlato prima, di nuovo prese parola. Continuava, imperterrito, ad aggrapparsi a una flebile speranza di vita. Ed era disposto a tutto pur di perseguirla! Ma la cosa più incredibile era che per salvare i suoi compagni era disposto a morire.
Prima, quando ero giunto al villaggio, mi parve strano pensare che gli orchi che ci avevano attaccati facevano parte dello stesso gruppo dei pelleverde impauriti ed innocui che avevo ora di fronte. Ascoltando queste parole, però, tutto ebbe senso. Stavano solo cercando di sopravvivere. In un modo perverso ed insano, certo, ma non era forse la stessa maniera in cui stava operando Sulpicio, o meglio, in cui stavamo operando noi tutti? Probabilmente le cose funzionavano così, ed io non ero che un penoso ingenuo.





"Il mio nome è Vorgarag. Questa è la mia gente. Lasciaci sopravvivere e vi serviremo. Non chiedo altro."

Lessi rassegnazione sul suo volto, mentre ciò che pronunciava lasciava trasparire la sua disperazione.
Si sentì un brusio di disaccordo tra gli altri, ma nessuno osò opporsi. E come avrebbero potuto! Sulpicio non aspettava altro per poter continuare il suo massacro.

"È un rischio."

Fu proprio lui a parlare, ignorando completamente Vorgarag e rivolgendosi ad Aelia.

"Ma siete in due contro uno: avete vinto. Andate a riposare e riprendetevi. Li sorveglierò io per stanotte."

Se fossi stato in forze li avrei contraddetti, avrei liberato tutti. Purtroppo, però, non ero in condizioni di intervenire. Potevo solo osservare con disgusto l'innaturale calma che mostravano entrambi. No, non ero io ad essere troppo ingenuo: era il loro cinismo ad essere estremo. Discutevano con raccapricciate distacco delle vite di quei pelleverde, quasi si trattasse di un gioco. Non potevo credere a quello che stava succedendo. Era davvero la guerra a raffreddare così tanto i cuori delle persone? E Sulpicio, poi... Sapevo, davvero, lo sapevo, sapevo che era forte, ma non avrei mai creduto che da solo riuscisse a sconfiggere mezzo accampamento e mettere in un angolo l'altra metà! Per quanto possa essere vero che solo una decina delle vittime era in grado di combattere e difendersi (mentre le altre erano donne e bambini, o al massimo giovani disarmati), si trattava comunque di un'impresa non da tutti. E anche Aelia mi aveva stupito: era stata lei ad uccidere quella mezza dozzina di pelleverde che la stava rapendo? E pensare che io ero stato ridotto in condizioni pessime avendone affrontati solo quattro!
Proprio Aelia, comunque, mi aiutò ad alzarmi e mi condusse in una delle case ormai disabitate.
La struttura era spartana e poco arredata. L'entrata angusta, quasi vuota, lasciava intendere uno stile di vita piuttosto sobrio. Era facile immaginare che l'appartamento, come l'intero accampamento, era stato costruito da poco ed in maniera tanto frettolosa quanto superficiale. La camera da letto era un po' più grande: appena lo spazio per il letto e qualche mobile. Mi stesi. L'addome ed il fianco avevano smesso di sanguinare, ma ero ben lontano da una guarigione; Aelia lo capì bene e si adoperò per medicarmi. Più che il corpo distrutto dalle ferite, però, era la mia mente angosciata a dolermi.
Non potei fare a meno di pensare che quella casa, fino a qualche ora prima, apparteneva ad una famiglia. Un padre, una madre, un bambino. Se ancora erano vivi, a costoro era stato tolto tutto. Privati della propria libertà, ora non potevano che diventare schiavi per sopravvivere.
La cosa che più mi angosciava, però, era che la colpa di tutto ciò era anche mia. Una carneficina, un miserabile atto di malvagità. A causa mia. Era evitabile, dannazione se lo era. Potevamo risolvere il tutto diplomaticamente, o meglio ancora potevo scegliere un altro posto per la nostra città.
Cercai di trattenere le lacrime, ma non ci riuscii: scoppiai a piangere.
Notandolo, Aelia mi si avvicinò. Mi strinse la mano e mi abbracciò.

"Siamo noi i cattivi..."

Mormorai.
Lei mi strinse più forte.

"Siamo noi... siamo i carnefici, i responsabili di un massacro..."

Ripetei tra le lacrime.



Spero che lo scritto sia piaciuto! Gli avversari in questione sono gli Eretici, membri della fazione "I seguaci del grande spirito". Li ho considerati - sperando di non aver commesso errori - come nemici di pericolosità infima, dove in quattro rappresentano una pericolosità D.
Anzitutto, se qualcuno si stesse chiedendo come ha fatto Aelia a liberarsi, rimando a questo topic =)
Poi, per chiarire un po', le tecniche attive utilizzate sono:
elusione. Evoca delle catene che gli permettono di spostarsi velocemente, praticamente spingendosi via. Può essere usato in maniera difensiva, per schivare tecniche di natura fisica, ma anche per spostarsi. Le catene scompariranno appena dopo, e la loro energia andrà a potenziare il caster, che aggiungerà alla propria riserva due CS in forza. Il consumo è medio, attinge all'energia e permette difese da tecniche fisiche di potenza bassa o inferiore, oltre al power up appena descritto.
richiamo supremo. Evoca una catena che ha origine nel suo corpo, ma può muoversi come una noramale evocazione. In effetti è una vera è propria evocazione e va trattata come tale, Il suo aspetto è puramente scenico. Ha natura magica e consumo critico, che attinge dall'energia. Può evocare una catena con otto CS, per due turni, con una potenza alta, o due catene con quattro CS l'una, per due turni, con una potenza media ognuna, o ancora, quattro catene con due CS ognuna, per due turni, con una potenza bassa ognuna.). E dunque, posso usarle in maniera offensiva (abilità personale II, attacco frontale. Evoca una catena che colpirà il nemico bersagliato. Essa scomparirà subito dopo l'offensiva. Ha natura magica e consumo e potenza medi. Attinge dall'energia e bersaglia il corpo.
richiamo superiore. Evoca una catena che ha origine nel suo corpo, ma può muoversi come una noramale evocazione. In effetti è una vera è propria evocazione e va trattata come tale, Il suo aspetto è puramente scenico. Ha natura magica e consumo alto, che attinge dall'energia. Può evocare una catena con quattro CS, per due turni, con una potenza media, o due catene con due CS l'una, per due turni, con una potenza bassa ognuna.
sfera d'energia. Crea una sfera d'energia che va ad infrangersi a grande velocità contro il bersaglio. Potenza e consumo sono alti, attinge all'energia e bersaglia il corpo.
catena mentale. Si insinua nella mente dell'avversario, facendogli credere che lo sta realmente attaccando con una catena. In realtà questa visione avviene solo nella mente dell'avversario, ma se non si difenderà accuratamente, subirà danni al corpo proprio come se una vera catena lo avesse colpito. La tecnica ha natura psionica, ed ha potenza consumo alto, bipartito tra mente e energia. L'auto danno alla mente è da intendersi come un forte mal di testa, dovuto all'eccessiva concentrazione.

Le tecniche passive utilizzate sono:
abilità passiva del talento, emanazione arcana – un utilizzo su sei . Posso utilizzare l'energia arcana per sferrare dardi magici.
abilità passiva del talento, studioso magico – un utilizzo su sei. riesco ad utilizzare tecniche magiche con una velocità inaudita.

Ora spiego un po' più tecnicamente lo scontro.
Prima ancora dello scontro, Esiodo viene colpito al capo (colpo di potenza media, che gli causa un danno basso a corpo e a mente), al fianco (danno medio corpo) ed alla spalla (danno basso corpo). Poi schiva l'attacco fisico dell'orco armato di spada con la tecnica Elusione, chi gli fa guadagnare anche 2 CS in forza. Evoca quattro catene a 2 CS ognuna con la tecnica Richiamo supremo. L'orco armato di spada tenta un altro attacco a 2 CS, che viene fermato da una delle catene che impiega anch'essa due CS. Le altre due catene attaccano l'orco con le asce, una, e quello con la balestra, l'altra, utilizzando anche loro tutte le CS che hanno a disposizione. Cagionano ad entrambi danni medi. Esiodo, approfittando che l'orco armato di spada è impegnato con la catena, sferra una spadata a 2CS alla gamba, cagionandogli un danno alto (considerando che era distratto) e mettendolo fuori gioco. Kurmbag colpisce Esiodo al fianco con una tecnica di potenza media, che gli causa danni medi al corpo. Tenta di riutilizzare la stessa tecnica, che viene in parte schivata da Esiodo con la tecnica Elusione. Esiodo guadagna 2CS in forza, ma subisce comunque un danno basso. L'orco con la balestra, però, riesce a colpirlo con una tecnica a potenza alta, che gli causa altri danni alti al corpo. Esiodo richiama tutte le catene verso Kurmbag per tenerlo occupato. Lancia dei dardi magici con le 2 CS guadagnate all'orco armato di asce, grazie alla passiva Emanazione Arcana. Gli causa danni medi alle gambe. Subito dopo usa la tecnica Sfera d'energia, resa più efficace dall'utilizzo della passiva Studioso Arcano, contro l'orco armato di balestra, mettendolo fuori gioco.
La catena che ancora non era stata usata, riesce a cagionare danni bassi a Kurmbag. Kurmbag, però, le distrugge tutte con tecniche di potenza bassa. Esiodo evoca altre due catene, usando la tecnica Richiamo superiore. Ogni catena ha 2 CS. Un delle due tiene occupato Kurmbag, l'altra usa le 2CS per mettere fuori gioco l'orco armato di asce, che già era stato ferito alle gambe. Esiodo, termina lo scontro usando la tecnica Catena Mentale contro Kurmbag.

Dunque, le risorse alla fine dello scontro sono:

Energia: 125 - 10 (Elusione) - 40 (Richiamo supremo) - 10 (Elusione) - 20 (richiamo superiore) - 20 (Sfera d'energia) - 10 (Catena mentale) = 15%
Corpo= 75 - 05 - 10 - 05 - 10 05 - 20 = 20%
Mente= 100 - 05 - 10 (Catena mentale) = 85%
 
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view post Posted on 8/4/2016, 13:39
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CORREZIONE
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Prima di iniziare la correzione, voglio farti un plauso per i contenuti. L'idea delle due fazioni in lotta, del pregiudizio razziale, delle ragioni identiche, della rabbia e del pentimento sono tematiche molto importanti; tanto suggestive quanto complicate da trattare. A livello di storia e di trama, il tuo racconto ci riesce benissimo; la vicenda non è originalissima (un gruppo vuole insediarsi e l'altro non vuole che lo facciano), ma è resa bene e in maniera credibile. Ho apprezzato molto la vicenda, compresa la sua conclusione non scontata.
Il tuo problema principale penso che risieda in altro: innanzitutto, le ripetizioni. Ne compi in gran numero, e quasi volutamente. Termini molte frasi utilizzando una parola, e le riapri utilizzando sempre la stessa, ad esempio "Lasciai cadere il pesante zaino sulla terra che ormai doveva essere molto fredda. E fredda era quella serata, in effetti." In questi casi sarebbe più gradevole utilizzare un sinonimo, o semplicemente non ripetersi del tutto: al lettore non serve leggere due volte la stessa cosa per comprendere un dettaglio del mondo che sei andato a imbastire; uno è più che sufficiente.
E con questo intendo introdurre il secondo problema. Ho avuto l'impressione che a volte tu non ti ritenessi in grado di descrivere il mondo intorno al tuo personaggio; l'esempio lampante di ciò che intendo dire sta in questa frase: "era davvero, ve l'assicuro, un paesaggio incredibile che non poteva aver luogo se non nella mente dei più grandi scrittori." che sembra quasi un'ammissione di colpa nel non riuscire a descrivere il paesaggio come vorresti. È sempre, sempre, sempre meglio descrivere "cosa" è qualcosa, piuttosto che "come"; se il paesaggio è incredibile o meno, lascialo decidere al lettore dopo che sarai riuscito a farglielo immaginare - aldilà dell'opinione del personaggio.
E qui arriviamo al terzo grande nodo, ossia lo stile. Molto spesso sembra che il tuo stile sia un dialogo che il tuo personaggio compie con il lettore, come se gli stesse parlando direttamente. L'impressione è alimentata dall'utilizzo continuo di formule colloquiali come "davvero" al termine dei pensieri; come se il protagonista stesse cercando di convincere il lettore di una storia. Questo è molto interessante e sarebbe anche positivo, se non fosse alternato a paragrafi del tutto differenti, narrati in prima persona ma con uno stile neutro. Ad esempio: "Non c'era la luna in cielo. [...] Un po' triste, pensai." mantenendo lo stile del primo paragrafo, potrebbe diventare qualcosa come: "Non è triste/non pensate sia triste, quando non c'è la luna in cielo?". Insomma, se coltivi lo stile e l'idea di scrivere come se il personaggio parlasse direttamente con i lettori, questa potrebbe diventare il tuo punto di forza e renderti molto originale.

RICOMPENSA:
275G

k3hQPky

 
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1 replies since 12/3/2016, 19:01   86 views
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