| Caccia92 |
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« Un luogo chiamato Fine del Mondo » — una sezione del tempo Theraniano
Tutta l'adrenalina svanì in un istante e la pressione si affievolì. I muscoli si rilassarono e la mente divenne lucida, finalmente pensante. Realizzai, osservando le decine di costrutti semoventi, che la mia era una follia. Non avrei mai potuto vincere uno scontro del genere. Eppure, per quei pochi istanti di sano coraggio, per quella causa così vicina e al tempo stesso lontana dalla mia persona, ero tornato il giovane errante delle Montagne Bianche. Ma non c'era un nemico da affrontare, non questa volta: il fabbro, con la sua calma spaventosa, aveva cominciato a lisciarsi ripetutamente la barba folta. Se esisteva veramente qualcuno o qualcosa da combattere, bisognava ricercarlo nell'ombra, nel vuoto. Il fabbro sbrigava un compito, era una pedina. Un guardiano. Stranamente mi sentivo comunque affaticato. Avevo il fiato corto e mi sentivo pesante. Avvertivo che l'armatura era tornata a premere sulle spalle e l'elmo sul capo. Sulla schiena, invece, stava Ambrinxer, riposta e pronta all'uso; cigolava lamentosa e bramosa di essere estratta. Quando era avvenuto? Quando avevo riacquistato il possesso del mio equipaggiamento? Quel mondo si faceva beffe di me e io non avevo idea di come contrastarlo. « Temo di non essermi spiegato. Parlare non è mai stato il mio forte. » borbottò il fabbro « Le regole non le ho fatte io, e se dico che l'ombra non può stare qui, non è perché ci sia una legge che lo vieta e che io sia qui per farla rispettare. Significa letteralmente che l'ombra non può stare qui. » Letteralmente. Quella parola mi lasciò turbato e spaventato. Mi voltai verso Alexander, cercando nei suoi occhi una sicurezza o un appoggio. Vi trovai sgomento. Non per la mia situazione o per le armature, ma per ciò che stava succedendo al suo corpo. Seppur in maniera impercettibile, i tratti somatici del cavaliere argentato stavano assumendo dei connotati sbagliati. La sua faccia si allungava, la posizione diveniva curva, le braccia e le gambe si inspessivano; la corazza non seguiva questa metamorfosi e in alcuni punti aveva già cominciato a deformarsi o a creparsi. Che cosa stava accadendo? Per quanto orribile da immagine o persino da concepire, il mio sguardo stava osservando un uomo che assomigliava ad un cavallo. Ed era ironico, brutalmente ironico, che un cavaliere fosse costretto a piegarsi come la propria cavalcatura. Non riuscii ad esserne divertito. Anzi, la bocca faticava a trattenere le urla di terrore. « Eventualmente te la toglierò, ma posso tranquillamente aspettare che la sua trasformazione sia completa ed evitare questo scontro. Per allora, però, le probabilità che ti abbia già ucciso sono già alte. » Il fabbro, sempre con l'innaturale calma, iniziò ad affilare il suo coltello da macellaio. Pareva a proprio agio. « Questa città è stata costruita per ospitare la vostra anima per sempre. È la fine del mondo, d'altra parte; da qui non si va da nessuna parte. Ma è naturale che il tuo passato, il pensiero di ciò che potresti essere se non fossi qui, combatta contro il destino immortale e immutabile della tua anima, e questo conflitto potrebbe anche ucciderti. » si lisciò ancora una volta la folta barba « Quell'ombra ti sta uccidendo. Ma se me la dai, io la trasformerò in un concetto più semplice, un animale che non possa danneggiarti. E dopo di lei ne genererai altre, e dovrai darmele tutte, o la tua anima non riuscirà a scendere a patti con ciò che avresti potuto essere e invece non sei. In cambio, il tuo pensiero continuerà a dividersi e dividersi all'infinito nella fine del mondo, e così facendo non morirà mai. Vivrai per sempre, in un solo secondo. » Dovevo ammetterlo: non ero mai stato così spaventato come in quel momento. Forse per la mia vita, per la possibilità di restare bloccato per sempre in un posto che non potevo definire realtà; forse per il destino della mia anima, intrappolata in un vortice autodistruttivo. Il solo fatto di non poter morire mi lasciava frastornato o disorientato. Non avevo paura della morte, ma della sofferenza...la strisciante inquietudine di realizzare la propria impotenza. Il blocco assoluto. A cosa servivano la spada e il coraggio in un incubo? No. Ci doveva essere un modo per cambiare tutto quello. Una scappatoia. Una soluzione. Un nemico vero. « D'accordo fabbro, ti credo. Ma se non è la tua mente a dirigere questo circo, qual'è? Tu stesso hai detto di non essere l'artefice delle regole che governano il mondo. Allora, chi è il suo sovrano? » « Oh beh, Shahryar, naturalmente. Ha avuto l'accortezza di modellare questa frazione dell'Oneiron per generare la fine del mondo. Penso che volesse rendere il luogo il più piacevole possibile per chi ci avrebbe mandato a vivere. » Il più piacevole possibile? Era uno scherzo, forse. Continuavo a non capire se il guardiano volesse aiutarmi o semplicemente confondermi le idee. Se il suo intento era il secondo, allora ci stava riuscendo in maniera eccellente. « E tu, fabbro? Sei vincolato a questo luogo o appartieni ad esso? » « Si può dire che io sia stato messo qui apposta, sì. Di certo non ho un corpo fuori di qui al quale tornare. » La mente ebbe una scossa. Distolsi improvvisamente l'attenzione da tutto il resto: le case, le mura, il cielo, Alexander che stava continuando la sua trasformazione. Quell'ultima frase aveva acceso una debole fiamma di speranza nel mio cuore. Parlai con più forza, scacciando le ombre di paura. « Un corpo a cui fare ritorno? Quindi è possibile farlo...questa non è la fine. » « Uhm... sì » il fabbro si accigliò, come se stesse pensando a cosa rivelare « Dunque... come posso spiegarlo... questo luogo è strutturato per rendervi immortali, come ho accennato, ma non come pensi tu. Le persone pensano sempre che l'immortalità consista nell'allungare la propria vita, ma Shahryar qui ha provato a dividere le vostre. Immortalità per divisione dell'anima. Ecco, aspetta, fammi fare un esempio... » Si alzò, mostrando la sua imponenza. Poi, con tutta calma, utilizzò il coltellaccio per staccare di netto uno dei rami del mastodontico albero alle sue spalle. Incise su quel ramo, con particolare minuzia, due tacche ben visibili. Me lo mostrò, indicando i segni. « Ecco, diciamo che questo ramo è la tua anima, e che qui in alto c'è un ricordo A, e questo in basso è un ricordo B. Possiamo immaginare che il segno A sia la tua nascita, e il segno B l'avvenimento che ti ha portato qui dentro, ma non è detto, è solo un esempio. Uno può pensare a come è arrivato da A a B, giusto? E può farlo all'infinito, giusto? Ma dopo un po' la sua anima si stufa di pensare sempre la stessa cosa, si stressa dell'immobilità, e quindi... » fece una nuova tacca, questa volta al centro del ramo « Crea un nuovo ricordo qui, tra il punto A e il punto B. Se lo immagina, proprio, per reazione. E quel ricordo è la tua ombra. Lo chiameremo A1. » Il fabbro mi stava facendo un discorso estremamente serio, eppure le sue frasi assomigliavano ad una lezione noiosa. Persino la voce seguiva un ritmo regolare e privo di enfasi. Continuò a disegnare righe con la punta del coltello, dimostrando una certa perizia. La corteccia del ramo, nel frattempo, era quasi svanita. « Quando poi si stuferà di A1, creerà altri ricordi. Uno qui, che chiameremo A01, uno qui, che chiameremo A11... ecco, io ora non sono abbastanza preciso, ma puoi ben immaginare che se il mio coltello fosse abbastanza sottile, la mia mano abbastanza ferma e il mio occhio abbastanza acuto, allora potrei continuare a scavare dei segni in questo ramo, facendoli sempre in mezzo ad altri due. E ti assicuro che la tua anima è abbastanza precisa. Solo che dopo un po', a furia di scavarci, esattamente come questo ramo, si spezzerà. » E spezzò il ramo. Lo schiocco secco mi fece rabbrividire. « Ecco, la fine del mondo è fatta apposta perché questo non accada. Fintanto che rimarrai in città, la tua anima ci metterà sempre di più a creare nuove ombre, e io te le toglierò sempre, e così avrai anche il tempo di guarire tra un'ombra e l'altra. Questo è il processo, detto un po' così come mi veniva. Il punto è... » si bloccò per un attimo, dimenticando di allacciare due concetti « ...Ah sì, il punto è che anche se il tuo corpo è rimasto dall'altra parte, la tua anima qui continua a vivere. Insomma, il tempo non è fermo. Anzi, sta andando avanti velocemente, più velocemente del solito, e anche se qui vivrai per sempre, di là...beh, non è che un corpo possa rimanere tanto senza anima, ecco. » Numeri per identificare parti dell'anima. Segni per calcolare le possibili strade di un uomo. Parole per esprimere l'esistenza intera. Non ero avvezzo a quei tipi di discorsi filosofici e nemmeno con algebra andavo forte. Ma non potevo semplicemente lasciar correre ed accettare la versione esposta dal fabbro con il coltello. Tutta la mia vita era stata dedicata al completamento di una missione...quante vie avevo imboccato per sbaglio? Quanti errori avevo commesso? Sommandoli potevo tranquillamente riempire le note di un manoscritto. E lo avrei fatto se mi fosse servito in qualche modo a ribaltare la situazione della Fine del Mondo. Ma non avevo intenzione di arrendermi alla semplice inevitabilità. La mia anima, seppur macchiata di sporco, valeva qualcosa. Cercai di ricostruire il quadro generale, trovando una soluzione per mettere in dubbio le regole delle ombre. « Solo io ho un corpo, quindi io sono l'Anima. Ma perché dovrei stufarmi inconsapevolmente delle direzioni che prendo? La vita è fatta di scelte e proprio per questo è impossibile da definire, incidendo su un ramo le sue percorrenze, con regole ben precise e punti d'arrivo. » Portai la lama della spada al collo di Alexander. Sapevo, nel profondo del cuore, di non poter lasciar vivere un'aberrazione del genere. Lo dovevo soprattutto per il rispetto che provavo nei confronti del cavaliere argentato. « Se ora io uccidessi quest'ombra, essa non farebbe più parte di me. Ed è un tassello della mia Anima, una via che non ho preso. Un taglio cancellato dal ramo per mantenerne l'integrità. » rivolsi la spada verso il fabbro « Questo mondo propone rami lisci e perfettamente dritti, ma è un artificio errato. Anzi, è proprio quello che tende ad eliminare: la volubilità dell'uomo. Io già sono un ramo contorto e segnato dalle imperfezioni, contengo già tutte le anime che tenderebbero ad uscire. Perché dovrebbero farlo? Se sono ciò che sono è anche merito loro e della loro esistenza. Se tutte le strade della vita fossero a senso unico, nessuno potrebbe arrivare qui. Un paradosso, dunque. » indicai, infine, la schiera di armature che si era disposta nelle vicinanze « Come queste armature. Vuote, immortali. Prive di giudizio. Sono qui, si muovono, ma non sanno perché o per quale fine. » Il mio braccio crollò, stressato dal peso dell'elsa. Osservai il fabbro per capirne le intenzioni, le reazioni, sperando di cogliere un briciolo di umanità. « Nemmeno tu, fabbro, vorresti privarti della libertà di fare ciò per cui sei stato concepito. E se anche non possiedi un corpo, puoi renderti conto che la tua individualità è qualcosa da preservare. » Ancora una volta, tuttavia, il guardiano colossale mi rispose con la calma di un maestro. « Ah, di certo a me piace stare qui. È tranquillo, il tempo è mite, il cibo è buono... ma non sono così intelligente da pensare a tutte queste cose. Mi limito a fare quello che sono stato creato per fare, e rispondere alle domande di chi passa dalla fine del mondo. Io mi ci trovo bene in questo posto, e mi sembra assai strano che tutti quelli che passano di qui se ne vogliano andare. Però forse fa proprio parte della mia "individualità", come dici tu. Chissà. » No. Non era umano. Anche il più insensibile degli uomini avrebbe provato qualcosa in quel momento. « Per quanto riguarda la risposta alla tua prima domanda, direi che è proprio perché quelle scelte qui non possono essere prese, che prendono vita, diventano ombre, e stressano la tua anima. Non stufano, stressano, è un termine più adatto. Forse se ne vogliono andare, o forse vogliono aiutare te ad andartene. Ma d'altronde quell'ombra non è muta, no? Quindi se fosse così, lo sapresti. » Ero fermo. Non sapevo più cosa dire o pensare. Non trovavo la forza per tornare a fissare Alexander, sebbene percepissi chiaramente i suoi lamenti che mutavano in nitriti. Il suono prolungato, unito al respiro accelerato, mi costringevano a chiudere le palpebre. Ignorarlo non serviva, ovviamente. Il dolore per la fine della sua esistenza mi lasciava a bocca asciutta. Ero caduto più in basso di quanto potessi sopportare ed ora...la luce sembrava troppo lontana, irraggiungibile. Cosa dovevo fare? « Perché si trasformano in animali? » chiesi, quasi con indifferenza. « E chi lo sa come funziona la testa di quello scriteriato... » Shahryar. Il nome del nemico. Un nemico impossibile da colpire. « C'è altro che puoi dirmi su questo posto? » « Tieniti lontano dal bosco e dalle mura. Più ti avvicini alla realtà, più ombre inizierai a generare, e questo potrebbe ucciderti velocemente. Tanto non c'è modo di superare la cinta, casomai dovesse passarti per la testa di farlo. »
Cominciai a vagare per la città. Ovunque andassi potevo constatarne la desolazione. Non vi era nulla di "vivo" in quel posto. Abitazioni, palazzi, strade e armature vuote che facevano la ronda come sentinelle. Di tanto in tanto spuntava un animale, ma ormai sapevo che le creature non erano reali. Ombre, una moltitudine di ombre che erano state legate alla Fine del Mondo come prigionieri; parti di anima strappate e rielaborate per sopravvivere. Mi domandai per quale motivo. Non aveva senso esistere in una forma così semplice e priva di scopo. I miei piedi erano stanchi. Facevo sempre più fatica a sopportare il ragliare lamentoso di Alexander, che da alcuni minuti camminava addirittura a quattro zampe. In effetti, seppur inconsapevolmente, stavo ricercando una zona appartata per compiere il mio dovere. Passando attraverso una piccola piazzola ornata di vasi, raggiunsi il limite della zona urbana. Oltre una collinetta s'intravedeva un fiume e più in là un laghetto circondato da animali. Altri animali. Mi voltai verso Alexander, tenendo la testa china per non osservane la bruttezza. Lui aveva capito e si ammutolì. Lentamente e con le labbra strette, recuperai la spada dal fodero sulla schiena. Non attesi perché non volevo farlo. Un colpo secco, preciso, portato con tutta la forza che avevo, staccò di nettò il legame che univa il mio corpo all'ombra. Alexander si lamentò un'ultima volta, poi si dissolse in una nuvola scura. Lo avevo liberato. Sollevai lo sguardo per osservare il lago. Non compresi ciò che stavo vedendo, anche se ci stavo facendo l'abitudine: c'era una nuova figura in mezzo alle bestie che si abbeveravano. Era una donna, una ragazza, dalla candida veste bianca. Indossava curiosamente anche un elmo e un guanto d'arme sulla mano sinistra. E parlava...parlava con gli animali. Se la mia mente poteva concepire altre stranezze, probabilmente ero giunto al culmine. Le gambe si muovevano da sole, sospinte dal semplice subconscio. L'espressione del mio viso doveva essere qualcosa di simile ad una maschera. Fortunatamente non dovevo per forza mostrarla. M'incamminai, con la testa svuotata di ogni prospettiva, verso il lago. Rassegnato, distrutto, lacerato. Esattamente come su Theras.
ALEXANDER Mente: 75% Energia: 30% Corpo: 105% - 20% (peso della Fine del Mondo) = 85%
Punti: 5 Punti spesi: 5 Azioni eseguite: il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato (il guardiano in città, le ombre nel bosco o gli animali sul lago). Il risultato va determinato in confronto (1). Il personaggio uccide tutte le proprie ombre (3). il personaggio si sposta in un'altra zona (1).
Riassunto/Note/Altro: Nulla, ho riportato e rielaborato ciò che avevo concordato in confronto con il QM. Ovviamente sono state aggiunte quelle parti che derivano dal mio punto di vista vero e proprio. Perdonate il leggero ritardo. Al prossimo turno. |
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