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La crociata del traditore ~ la fine del mondo

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view post Posted on 10/6/2016, 16:56
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INDICAZIONI

in riferimento a La crociata del traditore ~ terra bruciata
k3hQPky

I vostri personaggi si trovano all'improvviso in uno spazio nero, privo di distanze misurabili. Hanno l'impressione che potrebbero camminare in qualsiasi direzione senza mai raggiungere un confine, un muro o un ostacolo di qualsiasi tipo. Se la loro immaginazione glielo permettesse, potrebbero addirittura deambulare verso l'alto e verso il basso, perpendicolarmente al terreno. Non ricordano chi siano loro stessi né i loro compagni, non dispongono di tecniche, ma mantengono un'idea del loro carattere originale: ciascuno di loro ha con sé un solo oggetto/arma che rappresenta il personaggio (presumibilmente un caro ricordo o qualcosa di altrettanto significativo) e da esso deve ricostruire la propria coscienza. Di fatto, Shahryar sta divorando le loro anime con il potere dell'incubo di Eitinel, e qualora non riuscissero a uscire dall'incoscienza, sparirebbero nel nulla. La sensazione che provano i vostri personaggi è la stessa di quando si cede lentamente al sonno.

Pian piano le tenebre si diradano, dandovi il tempo di scambiare qualche parola e rivelando due percorsi: una strada pavimentata di mattoni a spina di pesce, come l'entrata di una villa, e una seconda via - nella direzione opposta - di terra battuta, che sembra inoltrarsi in una foresta. Ai lati della strada di mattoni vi sono delle armature immobili, mentre l'altro percorso sembra disabitato, benché fra le fronde si nascondano creature che si spostano agilmente tra le foglie.

I vostri personaggi dispongono di tre punti azione, che possono spendere come di seguito, nella combinazione che preferiscono:

  1. • 0p. il personaggio non prende alcuna strada e resta a vagare nell'oscurità.

  2. • 1p. il personaggio si avvia a passo d'uomo lungo una delle due strade.

  3. • 1p. il personaggio osserva attentamente il luogo intorno a sé mentre lo percorre, cercando di scoprire qualche trappola.

  4. • 1p. il personaggio fa molto rumore/si mostra coraggioso attraversando il luogo intorno a sé, cercando di dissuadere chiunque voglia assalirlo.

  5. • 2p. il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé, qualunque sia il suo utilizzo.

  6. • 2p. il personaggio attacca un altro personaggio (va concordata con il seguente, l'esito nel prossimo post).

  7. • 3p. il personaggio corre disperatamente lungo una delle due strade, ignorando tutto quanto.
Il post va scritto come un post normale, anche breve e sintentico, seguendo queste indicazioni. Qualsiasi altra azione i vostri personaggi vogliano compiere e qui non contemplata, varrà chiesta in confronto e le verrà attribuito un prezzo in PA. I vostri personaggi sono messi a risorse com'erano in Terra Bruciata. Qualsiasi nuovo utente può unirsi a questa quest, qualora lo desiderasse. La quest avanzerà in una settimana di tempo.

k3hQPky



Edited by Ray~ - 10/6/2016, 19:24
 
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Caccia92
view post Posted on 15/6/2016, 16:37






« Da qualche parte »
— in qualche tempo


Sette. Ventisette. Una qualche maniera per farlo, in fondo. Possibile? Possibile che sia tutto così difficile? Dell'altra cinta di mura si conosce solo un'immagine e nemmeno quella. Un'ombra, relegata nel pensiero, fonte di speranza e tremito. Sette. Trentasette uomini sono pochi. Oppure sono tanti, ma non m'importa. Chi assalta il portone? Ah, il mercenario con l'ascia di diamante. Secondo me cinquantasette sono davvero pochi. La balista sulla torre Nord ha una protezione. Possiamo scavalcarla con delle scale. Non abbiamo corda? Cosa ci serve la corda?

Anima. Un flusso continuo di parole, suoni, odori, sensazioni, colori, significati, impressioni, emozioni. Vita.
Ero io in mezzo all'oscurità? Mi sentivo nudo, forse perché non indossavo nulla. Non faceva freddo. Nemmeno caldo. In compenso potevo andare dove volevo, senza restrizioni di sorta. Libertà, per la prima volta in assoluto. Camminavo in linea retta, poi a sinistra, poi in alto, poi in basso, poi chissà dove. Non avevo una meta, sapevo esattamente dove andare. Contraddizioni? I miei pensieri erano corretti, analitici, ben arroccati nella scatola cranica. Uscivano, ogni tanto, perché la guardia del cervello faticava a contenerli tutti. Ecco, un altro che fuggiva nell'ombra e si perdeva nella selva di vuoto. In che posto ero finito? Cosa stavo facendo prima di vagare in quella landa desolata?
Chi ero?

Sette. Trentasette. Manca il tempo e stiamo morendo tutti. Sono arrivati i rinforzi? No? Che diavolo stanno aspettando, dannazione! Porta un messaggio là, sulla montagna...digli che siamo in arrivo. No, questa strada è troppo corta per raggiungere il promontorio, meglio raccogliere le armi e salvare un paio di legni. Altrimenti non avremo nulla per scaldarci durante l'inverno. Sette. Sete. Qualcuno ha dell'acqua? La brace si sta spegnendo e dobbiamo indicare la nostra posizione.

Ma non c'era nessun fuoco sul pavimento. In effetti, mancava il pavimento. Oppure era troppo in basso e non riuscivo a vederlo. Stavo volando? Non mi sembrava, anche perché non avevo mai volato prima di quel momento. Ero nudo e non sentivo freddo o caldo, come se le stagioni si fossero cristallizzate e il cielo fosse sparito. Il cielo non esisteva. Io, esistevo?
Feci un altro passo in avanti, in traiettoria con le strane immagini che si palesavano davanti al mio sguardo. Stranamente riuscivo a vedere con entrami gli occhi, nonostante uno fosse di vetro. Lo era? Portai una mano sulla faccia per controllare, ma non sapevo dov'era la faccia. E non sapevo nemmeno come usare le mani. O cosa fossero, almeno. La testa mi suggeriva parole strambe, facili da utilizzare e facili da pronunciare. La mia voce fuoriusciva dalla bocca come un serpente di fumo, perché si perdeva immediatamente nell'aria. C'era tanto buio.
Avevo un libro. Un manoscritto. Lo percepivo sotto i polpastrelli, unica sensazione che ancora riconoscevo. Era un tomo abbastanza grande, con la copertina di pelle marrone e titolo placcato in argento. Codice dei Cavalieri. Così recitava la prima serie di lettere sul frontespizio. La rilegatura era raffinata e le pagine sapevano di antico e familiare allo stesso tempo. Lo annusai ripetutamente, perdendomi nei ricordi che non possedevo. Era il codice. Sì, qualcosa mi diceva. In passato rispettavo un codice particolare, fatto di regole ferree e dogmi irrinunciabili. Era forse un cavaliere. Che cos'era un cavaliere?
Ecco che ricominciava. La spirale.

Sette. Ho sette motivi per intendere ciò che dici. Sette pene e sette ferite. Quali sono? Non te le dirò, non sono di tuo interesse. Anzi, lo farò. Un buco nell'anima, perché l'ho perduta; un taglio nel cuore, perché mi è stato precluso; una botta sulla spalla, perché combatto con la rabbia; una lacerazione sul piede, perché il mio cammino è storpio; una freccia nel cervello, perché non riconosco me stesso; una lama nel fianco, perché sono stato tradito molte volte; infine...non ricordo. Ho come una ferita nella memoria.

Le tenebre si stavano diradando. Comparve, all'improvviso, una strada fatta di terra. Tutt'intorno vi erano alberi strampalati, senza foglie e senza vita. C'era anche qualcosa che saltava di fronda in fronda, macchie d'inchiostro appena visibili oltre la luce. Mi girai: sapevo che un'altra via era apparsa. La seconda metteva in bella mostra piastre di mattone levigato, a spina di pesce, disposte a generare un raffinato disegno. Conduceva sicuramente ad una casa, un'abitazione confortevole, nobile. Ai lati, come sentinelle inamovibili, presenziavano della armature. Vuote.
La mente suggeriva che quelle erano armature, che era sbagliato non averne una. Mi serviva anche una spada, ma avevo solo il libro con il codice dei cavalieri. Potevo leggerlo, magari, a qualcuno. Forse avrebbero capito chi ero e mi avrebbero dato un elmo e una spada.
Accanto a me c'erano delle altre persone. Non mi piacevano, sembravano deliranti. Le armature, invece, ascoltavano con attenzione tutto ciò che si muoveva nell'etere. Loro mi avrebbero sentito e compreso meglio di chiunque altro. Sì, loro erano corrette e leali.
Mi avviai per la strada di mattoni. Passai accanto alla prima coppia di statue metalliche, pronunciando ad alta voce il codice. Cercai di scandire al meglio ogni lettera.

« Un Cavaliere... »
Mi ascoltavano? O facevano finta?
« Un Cavaliere è devoto al valore! »
Sì, il valore era importantissimo. Lo sapevo.
« Il suo cuore conosce solo la virtù! »
Il mio era nel petto. Pompava o era fermo?
« La sua spada difende i bisognosi! »
Avevo bisogno di essere ciò che ero.
« La sua forza sostiene i deboli! »
Dovevano sostenermi. Mi sentivo stanco.
« Le sue parole dicono solo la verità! »
La verità faceva male, a volte. Anzi, quasi sempre.
« La sua ira si abbatte sui malvagi! »

Mancava una parte. La prima pagina terminava con la parola "malvagi", ma mancava chiaramente una regola.
Sette. Erano sette le frasi.
La dovevo inventare? Non potevo fare brutta figura di fronte alle armature. Il mio codice era chiaro, lineare, sicuro. Come i miei pensieri. Sette, sette frasi. Sette regole. Sette pensieri. Quante armature c'erano? Sette?
« La sua anima risplende nelle tenebre! »
Sì, era quella la frase giusta. La regola a cui dovevo appellarmi.

« La sua anima risplende nelle tenebre! »

Io ero il codice.










ALEXANDER



Punti: 3
Punti spesi 1 + 2
Azioni eseguite il personaggio si avvia a passo d'uomo lungo una delle due strade (1) + il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé, qualunque sia il suo utilizzo (2)

Riassunto/Note/Altro:
Follia. Pura follia in questo testo. L'ho scritto in un'ora. Tutto di getto. Ed è folle. Non è lungo, nemmeno scritto benissimo. Però mi piace.
Le azioni fatte sono abbastanza chiare.
Vado a riprendere le normali funzioni cognitive.
 
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John.Doe
view post Posted on 16/6/2016, 09:19




Ridotto all'osso.
Come del resto lo era sempre stato, un insulso e informe pezzo di metallo.
Era stato creato per salvare gli umani, ma da cosa? I demoni più pericolosi sono mostruosi ma non hanno corna, non sputano fiamme, non scalano l'inferno.
L'homo homini lupus era il titolo della canzone che si ripeteva incessante, banale quanto terrificante. Non c'era pace, forse non ci sarebbe mai stata.
Eppure si doveva provare. E la spada era la prova che una lama può nascondere una risata.
Che un cuore d'acciaio può cercare di essere leggero come una piuma.

Schizzava nell'aria come un atomo freddo e pesante. Si agitava, urlava, fendeva l'aria verso nemici invisibili.
Due piccoli mani serravano un cuore di ferro cercando di sbarrarlo dall'oscurità.
Era un sogno? Uno scherzo?
Sospeso in aria appeso all'invisibile filo della sorte, l'artefatto affrontava la disperazione.

"Chiunque voi siate! IO sono la spada delle leggende, IO non temo nessuna oscurità, IO non tremo davanti nessun demone, IO...io...sono.."



CITAZIONE
Note: Ridotto all'osso, nel verso senso della parola. Data la natura del personaggio ho deciso di far mutare direttamente tutto il suo "corpo", riducendolo ad un piccolo cuore di ferro con due mani che lo stringono. Ne approfitto anche per sperimentare uno stile/emozioni che il pg non ha ancora affrontato,speriamo bene.
Punti Spesi: 1 (il personaggio fa molto rumore/si mostra coraggioso attraversando il luogo intorno a sé, cercando di dissuadere chiunque voglia assalirlo.)
 
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miky1992
view post Posted on 16/6/2016, 15:03




Buio.



Non sarebbe nemmeno così male se non fosse per questo fastidioso rumore. Mi da sui nervi, è come se una goccia d'acqua mi cadesse ritmicamente sulla fronte, o qualcuno si divertisse a punzecchiarmi il cervello con uno spillo. È fastidioso, vorrei solo chiudere gli occhi e dormire... è così invitante, così piacevole.

Dove sono?



Non m'importa, smettila di chiederlo. Mi piace l'oscurità, in qualche modo mi fa sentire a mio agio. Sono felice rannicchiato al buio, lontano dagli sguardi altrui.

Ho qualcosa stretto tra le mani, al tatto sembra cuoio, o stoffa. Abbasso lo sguardo e dalle tenebre emerge una maschera antigas. Per un momento la fisso confuso, non so perché ce l'abbia e nemmeno m'importa. Vorrei semplicemente essere lasciato in pace. Rigiro la maschera tra le mani, le mie mani... sono strane, ricoperte di scaglie, mani da rettile. Sono sbagliate. È strano, so che sono le mie, le percepisco... eppure non sono mie, non lo sono, ne ho la certezza.

Accarezzo il cuoio della maschera, il vetro delle lenti... provo ribrezzo e nostalgia per questa cosa. Non lo capisco, come si può essere disgustati e attratti da qualcosa allo stesso tempo?

-D'ora in poi potrai solo alzare lo sguardo al cielo e rimpiangere ciò che hai perso. Lascerai le tue impronte su questa terra, proprio come le creature a cui hai inflitto tanto dolore.

Ce l'hanno con me?

Con me chi?



Ora che ci penso non me lo ricordo. È buffo, nemmeno me ne importa; forse non voglio, forse non DEVO ricordarlo. Magari tutto questo è una benedizione, un colpo di spugna alla mia mente e via. Eppure sento come un senso di vuoto, ho bisogno di sapere, voglio sapere. Non m'importa se quello che sono poi mi disgusterà. Allora devo imparare di nuovo tutto dall'inizio.
Inspiro a fondo e mi guardo attorno con attenzione: Intorno a me c'è solo buio. Non è semplice oscurità, è qualcosa di più. Ha consistenza. Spicco un salto, le tenebre mi sostengono, mi trasportano verso l'alto, sto volando. Una fitta di dolore mi mozza il fiato, mi raggomitolo su me stesso, mentre fiamme mi penetrano nella schiena. È come se mi stessero incidendo la schiena con un coltello arroventato.

-È un sentimento falso. Per quanto tu possa volare il cielo ti ripudierà perché sa la verità.

Stringo le mani e premo i dorsi contro gli occhi. La voce continua a ripeterlo, è doloroso. MOLTO.

Non importa
non importa
non importa



Tasto la schiena nel punto in cui il dolore mi lacera. Segni di tagli che si allargano irregolari attorno a delle eruzioni ruvide, una ferita guarita male? No, sembra il segno di una bruciatura. Mi torna in mente il dolore, la lama che lentamente mi sega le ali.

Perché?



Giustizia.



-Io... io ho causato questo. È la mia punizione.

Buio.



Mi piace il buio, mi aiuta nella ricerca di un posto in cui nascondermi, nella ricerca di cibo e protezione per la notte, mi difende dalle occhiate di sospetto e disprezzo che mi accompagnano ogni volta che entro in un villaggio, o in una città. Ho imparato a cacciare di notte, a trovare cibo nel buio, mentre le creature della luce dormono. Ho imparato a nutrirmi dei loro scarti, a entrargli in casa e a derubarli... cammino ne buio, non mi azzardo a volare perché il vento non mi vuole, i suoi abitanti non mi vogliono, io non lo voglio.
Il buio mi piace, perché ha visto con me cose perverse... Ci sono tante immondizie, gli umani e i nani scartano cose davvero interessanti alle volte.
Abbiamo visto miliziani ripescare morti dai fiumi, seppellire moribondi ancora vivi per eliminare epidemie, uccidere per qualche capriccio. Esseri disperati come me accalcati gli uni sugli altri per cercare calore, ho visto quegli esseri miserabili colpiti dalla cosiddetta gente perbene, mentre i miliziani li aiutavano.

Avrei dovuto abbandonarmi all'oscurità tante volte...

Mi sono sempre rifiutato di accogliere il suo dolce abbraccio.

Eppure eccomi qui, di nuovo mi viene in contro, come una dolce madre...

E di nuovo dovrei rifiutarla?



Le tenebre si diradano. Ora le vedo: due strade, una pavimentata e protetta da cavalieri in armatura, o semplici armature, non so dirlo. La osservo per qualche secondo e scuoto la testa, non è una strada per me. Il suo opposto è molto più interessante; da l'impressione di condurre in un luogo protetto... qualcosa si nasconde tra le fronde, ombre indistinte. Non ho paura delle ombre anzi, starmene con i sensi all'erta mi fa sentire a mio agio.
Ci sono altri con me, non li avevo notati prima... uno prende la strada sbagliata, o forse lo è per me e non per lui. Come può qualcuno resistere alle occhiate cariche di giudizio di quelle armature?
Un altro sembrava confuso, almeno tanto quanto dovevo esserlo io, però era troppo rumoroso, troppo agitato... preferisco scivolare lungo il sentiero, accompagnato dalle ombre e dal silenzio, non so perché ma credo di avere tanto su cui riflettere.

CITAZIONE
e boh, seriamente questo post mi ha messo in crisi, però mi ha anche divertito esplorare nuovamente le prime giocate fatte con Stig :asd:
Spendo 1 punto per andare verso il percorso disabitato.
 
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Numar55
view post Posted on 16/6/2016, 18:11




Il buio avvolgeva ogni cosa, l'aveva sempre fatto del resto. Sin dal primo momento, sin dal primo istante in cui noi... ma ora non stavamo cadendo, no? No, no, no, eravamo fermi. Eppure eravamo fermi anche allora, immobili, freddi, e cadevamo. Ora ci muoviamo, eppure siamo fermi. L'ironia risplende anche nelle tenebre più profonde. Dovevo andarmene. Ora. Ma non potevo fare a meno di restare, lì, nel buio, a riposare. Avevo fallito quindi? Immagini confuse mi apppannarono la vista mentre la sensazione di una stretta al collo mi toglieva il respiro. Ah. Giusto. Io non respiravo.
Notai solo allora che i miei occhi stavano cominciando a chiudersi. Dettaglio difficile da notare nelle ombre ma comunque fondamentale: non potevo addormentarmi, avevamo un piano, dovevamo fuggire. Fuggire... dove? Davanti a me, dietro di me, persino sotto di me, stava l'oblio. Ed io mi stavo lasciando andare ad esso.
Le braccia si erano fatte pesanti, ma non era semplice stanchezza. Guardai i miei polsi e vi trovai una coppia di bracciali, lunghi fino al gomito ed interamente in ferro nero. Vi erano incise delle immagini su di esse ma non riuscivo a ben definirle in quell'oscurità. Le avvicinai dunque ai miei occhi per poi allontanarle di nuovo, sorpreso dal sibilo e dallo scatto che fecero le lame, simili ad artigli, uscendo dai bracciali. Quel suono, il sibilo, rimbombò nelle mie orecchie nonostante la sua debolezza iniziale fino a divenire assordante.
D'improvviso i bracciali non erano più in mio possesso, ma su altri mani. Mani dure, bluastre e scagliose. Mani crudeli, arroganti e spietate. Mani che detenevano il potere. Mani tremanti, flaccide e deboli. Mani fredde, immobili e morte. E poi di nuovo in mio possesso, in mani degne di indossarli.
I Padroni crollano per aver venerato gli dei sbagliati.
Le tenebre si diradarono e la luce fece infine capolino. Dovevamo andarcenene. La luce ferisce, ma l'ombra incatena. Gli dei non possono indossare un collare.
Altri erano comparsi al mio fianco, forse erano lì da sempre, incatenati come cani a picconare nelle profondità. Non erano degni delle mie attenzioni; lo erano a malapena i Padroni, di certo non lo sarebbe stata la feccia. Se non erano riusciti a rialzarsi dalla polvere, meritavano di essere carne da macello.
Due strade erano apparse davanti a noi, anche qui la scelta si ripeteva. Una fatta di pietra, adornata da statue, conduceva verso la civiltà, verso le vestigia mortali del passato. Non potevamo tornare laggiù, non ne facevamo più parte. Eravamo al di fuori della scacchiera. Fu quindi la strada polverosa, quella che portava verso la foresta, ad attirare l'attenzione. Dovevamo ritirarci là dentro, la giungla ci avrebbe fornito ristoro mentre decidevamo il da farsi. Qualcosa si muoveva fra le fronde ma l'avrei affrontato, non avevo paura. Non l'avevo più da molto tempo ormai...
Con sguardo deciso mossi i primi passi avvicinandomi sempre più alla vegetazione. Incrociai le lame davanti a me facendole stridere al contatto mentre riportavo le braccia lungo i fianchi. Snudai i denti e esplosi in un ruggito, rivolto verso le fronde.
Non avevo bisogno di forti parole per minacciare, né di fruste affilate.
Se qualcuno mi avesse sfidato, lo avrebbe fatto a sue spese.
Perché io non ero un debole, e tutti dovevano saperlo.
Non ero neppure il forte, e tutti dovevano saperlo.
No, io ero il potere stesso.
E tutti l'avrebbero scoperto.

Az xun karam khisândan tang frendhay mahryb



L'Artista


- Basso: 5% - Medio: 10% - Alto 20% - Critico: 40%

Fisico: 75%

Mente: 65%

Energia: 80%


Passive:
- Può trasformarsi in una creatura mostruosa di notte (4)
- Capacità di volare (5)
- Insensibilità al dolore (6)
- Compiere azioni con forza sovrumana (6)
- Rende guarigione di potenza pari a consumo (6)


Attive:


Note:

Ok, come al solito questo genere di post mi fanno impazzire (sia in senso positivo che in senso negativo). Mi rendo conto che è uscito decisamente corto come post, ma temo che allungandolo con qualche aggiunta avrei finito solo per peggiorarlo. Quindi eccolo qua, spero sia uscito qualcosa di piacevole. A me di certo ha divertito scriverlo!
Spendo 1 punto per percorrere la strade della foresta e 1 punto per dimostrarmi coraggioso mentre lo faccio.
L'ultima frase in corsivo è Lingua dei Demoni Antica e significa: "Che il sangue dei deboli bagni le gole dei figli del male"
EDIT: Aggiunta la descrizione dei punti azione usati.




Edited by Numar55 - 17/6/2016, 00:57
 
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view post Posted on 16/6/2016, 19:01
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Maestro
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Mani attorno alle mani.
Nel placido candore di dita che si intrecciano, le nocche rossicce scorticavano carni arrossate e anime gonfie. Aveva lacrime piene di se stessa, ricolme in un'angoscia che prendeva forma e sostanza entro quelle nocche consumate. Sentiva gravare il peso di se stessa, come una colpa di cui non ricordava l'origine. Né la natura.
Era appesantita. Gambe esili si reggevano a stento in un tramonto senza sole. Le sentiva fredde e nude, così come il torso e il petto. Nuda con se stessa, indifesa e violata, come mai nessuno l'aveva fatta sentire prima - come mai niente l'aveva resa.

Il nulla aveva gli occhi di un vuoto. La guardava da dietro un velo di nero orrore cui non riusciva a ricambiare alcuna smorfia.
Avrebbe voluto vederlo, capirlo. Comprendere il nome e il volto del suo nemico, ma non poteva. Non riusciva, o forse non voleva. Temeva che quel volto avrebbe avuto i tratti esili del suo stesso faccino smunto, i suoi stessi capelli biondo scuro - tendenti al castano. Quei suoi stessi occhi verdi e azzurri che si confondevano nell'aldilà e la tacciavano di crimini immondi.
Quei crimini ora li dimenticava. Avevano assunto il vuoto profondo di quel sentiero scarno, ma le scavavano il cuore esattamente come prima di dimenticarli. Erano una lunga marea morbosa, che si era spinta fin sotto le soglie del suo cuore, salvo poi ritrarsi e lasciare ovunque resti di umidità, coniglie vuote e spoglie di innocenza.
Si guardava ripetutamente le mani, che vedeva a stento. Non le percepiva a dovere, eppure poteva sentirne il sangue ancora pulsare oltre la carne. Quel grumo caldo che le gocciolava dalle unghie e che la tacciava di quella colpa atavica di cui non ricordava il nome. E che, per questo, le pesava ancora di più.

Ricordava poco. Molto poco.
Ricordava quel sentimento di angoscia che l'aveva presa per giorni. E che ancora la cingeva quando tutto era scomparso.
Sapeva qualcosa, ma non voleva pronunciarlo. Sapeva il sentimento che si strofinava lungo la sua pelle e che si era stretto a se come i legacci di scarpe troppo consumate. Come quelle vesti umide e sporche che le irritavano l'inguine, o quei capelli stopposi che non si scindevano più oltre il cappuccio che aveva portato.
Come tutto quello, era lei. Vinta e torva, in un'angoscia che non poteva più capire. E che, per questo, finiva per lacerarla ancora di più.

« Fuggi », disse qualcuno.
Si girò improvvisamente alle sue spalle. Non vide nulla. O nessuno, almeno.
Vide tutto quello che non avrebbe voluto vedere, nel colore del suo sentimento diviso come i suoi occhi. Vide un sentiero lastricato di mattoni lucidi, salire a serpentina oltre un viale e cedere il passo verso una costruzione vittoriana, con colonnato a fronte e mani di rosso a rinfrescarne la facciata. Si scindeva come un nido di vespe entro una caverna cava e buia, tetra certezza entro un mondo che faceva dell'oscurità qualunque via di fuga alternativa.
L'istinto fu di percorrerlo. Di bussare a quella porta nobiliare e chiedere l'ospitalità del Signore del borgo.
L'istinto fu quello solito, per una come lei. Per una principessa di dame e sentimenti cui nessuno avrebbe negato quell'affetto. D'altronde, le sue mani potevano significare solo quello: mani di una nobile, mai callose, ma sottili. Mani di una dama abituata a stringere ventagli e merletti, non armi e scudi.
Eppure, qualcosa la straniva. Un sentimento di amarezza che le pesava il cuore e che si ritorceva sulla sua carne come una ferita di cui non si è mai dimenticato il dolore.
Ma l'origine.

« Non di li, sciocca » esclamò nuovamente la voce. I suoi occhi sussultarono; girò il volto, scivolandosi sulla guancia una ciocca unta di capelli ramati.
« Dall'altra parte », concluse, poi.

L'altra parte, dunque.
L'altro sentiero era diametralmente opposto, per posizione e concetto. Un tortuoso arcano che tirava dritto entro una selva, se possibile ancora più buia. Gli alberi si snodavano oltre di esso con famelica alterigia, disegnando ghirigori di orrore oltre i suoi occhi spauriti. Vi avrebbero nascosto il cielo, semmai ci fosse stato; vi avrebbero nascosto qualunque bagliore di lucidità che avrebbe spinto una principessa come lei a rifuggire la corte per trovare la morte. Ciò che non nascondevano, invece, erano i rapidi fruscii delle fronde, che sentenziavano epitaffi di orrore nell'immaginario di chiunque vi si fosse avventurato. Erano sorrisi, erano ghigni; erano movimenti rapidi e decisi di felini, ricercando un sontuoso appiglio da dove balzare sulla preda. O, più probabilmente, era soltanto il vento che si divertiva.
Si, era il vento. Mandò giù un grumo di saliva, continuando a ripeterselo.

« Non perdere altro tempo, fuggi » scandì la voce per la terza volta.
La ragazza tirò su col naso, trattenendo l'ennesima lacrima da entrambi gli occhi. Poi si fasciò la coda già fasciata, stringendosela oltre la schiena in un cordone più compatto.
Al suo fianco, c'era sempre lui. Lo ricordava, se lo stringeva. Lo teneva a se come un diamante prezioso, benché in quel momento non ricordasse nemmeno come se lo fosse procurato. Era una specie di coltello in ottone, smaltato in oro. Una fodera di pelle nera e zirconi, attorniava una lama azzurra e luccicante. Dall'elsa, invece, la guardava un leone bianco, macchiato d'argento, con fauci spalancate e una lunga criniera.
Provò a farsi coraggio, negli occhi di quel fiero animale. Senza troppo successo, però.

Chi sei?
Avrebbe voluto dire. Ma aveva paura, troppa paura.
D'altronde non ricordava nemmeno se stessa, il suo percorso o il motivo per cui fuggiva.
Ricordava solo il sangue grondante sulle sue mani e quel sentimento di sconforto che le faceva rifuggire la sontuosa villa. O qualunque palazzo vagamente simile.
Quindi fece un passo oltre il sentiero sterrato e si addentrò con circospezione oltre le fronde, sperando che ci fosse il vento - e solo il vento - a divertirsi con lei quella notte.



Note. Due punti utilizzati: 1 per scegliere il sentiero del bosco e 1 per guardarsi intorno in cerca di trappole / imprevisti.
 
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view post Posted on 17/6/2016, 16:51
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INDICAZIONI
k3hQPky

All'inizio di questo turno subite tutti un danno Alto (a meno che diversamente indicato qui sotto) a una risorsa a vostra scelta. Inoltre, queste sono le ricompense per i punti utilizzati nel turno precedente (qualsiasi punto non speso nel turno precedente resta a vostra disposizione):

  1. • il personaggio non prende alcuna strada e resta a vagare nell'oscurità: il personaggio recupera l'utilizzo di tutte le tecniche psioniche di cui è in possesso.

  2. • il personaggio si avvia a passo d'uomo lungo una delle due strade: se ha percorso la strada pavimentata, il personaggio recupera l'utilizzo di tutte le tecniche fisiche di cui è in possesso. Se ha percorso quella sterrata, di tutte le tecniche magiche.

  3. • il personaggio osserva attentamente il luogo intorno a sé mentre lo percorre, cercando di scoprire qualche trappola: il personaggio riceve danni minori (Medio invece che Alto) se ha preso la strada di città, e ha la sensazione che le armature possano animarsi da un momento all'altro.

  4. • il personaggio fa molto rumore/si mostra coraggioso attraversando il luogo intorno a sé, cercando di dissuadere chiunque voglia assalirlo: il personaggio riceve danni minori (Medio invece che Alto) se ha preso la strada del bosco, e spaventa le ombre che li assalgono, che saranno intimidite dal suo comportamento.

  5. • il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé, qualunque sia il suo utilizzo: il personaggio recupera coscienza di sé. Si ricorda perfettamente chi è, ma ancora non sa come è arrivato qui.

  6. • il personaggio attacca un altro personaggio: il personaggio infligge un danno Basso a un altro personaggio e ricarica le proprie risorse di una quantità Bassa.

  7. • il personaggio corre disperatamente lungo una delle due strade, ignorando tutto quanto: il personaggio non subisce alcun danno in questo turno.
Il buio si dirada lentamente intorno a voi, ma non come se stesse sorgendo un'alba: piuttosto come se il vostro cervello iniziasse a mettere a fuoco le sagome nell'oscurità, delineandole in maniera sempre più precisa e bagnandole di luce una volta comprese. Distinguete un paesaggio di campagna, simile alla Roesfalda, costellato da piccole abitazioni di pietra e piacevoli zone di verde; prima che riusciate a rendervene conto, un sole radioso brilla su tutta la fine del mondo. Anche il vostro udito riparte normalmente, e con esso vi arriva il canto degli uccelli, lo sciabordio dell'acqua e il fruscio del vento.

Capite di essere sempre stati ai margini di una città silenziosa che si affaccia sul bosco. Eravate apparsi al centro di un piccolo ponte di pietra, sotto il quale scorre un fiume tranquillo; alcuni di voi - nella quasi totale oscurità - si sono diretti verso la città (strada pavimentata), altri verso il bosco (strada sterrata), altri ancora sono rimasti fermi nella posizione iniziale. Guardandovi intorno, scoprite che l'orizzonte è tagliato da una muraglia gigantesca che contiene al suo interno sia la città che il bosco. Sembra invalicabile.

Inoltre, non siete più soli. L'ombra del vostro personaggio si anima, assume i tratti di una persona vera e inizia a parlare.
Essa è in tutto e per tutto una replica del vostro personaggio, sebbene leggermente diversa. Rappresenta un possibile presente che non è quello vissuto dal vostro personaggio. Sostanzialmente, essa simboleggia "come sarebbe il vostro personaggio, se le cose in un certo punto del suo background fossero andate diversamente." Siete liberi di scegliere quale punto del BG, quali cose, ecc. l'ombra è gestita interamente da voi e accompagna il vostro personaggio. Come quest'ultimo non sa come siete finiti qui, né chi siete (a meno che anche il personaggio non abbia recuperato coscienza di sé usando l'oggetto personale), ma sa che questo luogo vi sta uccidendo, e ve lo spiega. È la fine del mondo ad avervi fatto il danno Alto, semplicemente perché ci siete dentro. Questo luogo vi sta consumando e se non scappate vi ucciderà.

CITTÀ: i personaggi che si sono diretti nella città (strada con le armature) la scoprono completamente disabitata. Le case sono abitabili e ben ammobiliate, ciò nonostante le uniche persone presenti sembrano essere quelle inquietanti armature che se ne stanno fuori dalle porte, tutte in fila come soldati. La città ricorda vagamente Ladeca: un crocevia di provincia ricco e trafficato - o almeno così dovrebbe essere. L'unica cosa che si muove sono alcuni animali da fattoria che di tanto in tanto vi tagliano la strada, noncuranti e privi di preoccupazioni: maiali, galline, un cavallo...
Dopo qualche tempo i personaggi raggiungono una piazza con un gigantesco e nodoso albero al centro, e proprio ai suoi piedi notano il primo essere umano in carne e ossa. Un omone alto almeno due metri, robusto, vestito come un fabbro e con una folta barba nera, che sta spennando un pollo. Appena sente i vostri passi alza la testa e sorride, con espressione goliardica: "Nuovi arrivati! Benvenuti, benvenuti! Avete ancora le vostre ombre, addirittura." la sua voce è tanto potente da far tremare le pareti delle case, ma non è minacciosa. "Benvenuti alla fine del mondo! Vedrete che vi troverete bene, qui. Come prima cosa, devo chiedervi di abbandonare il vostro compagno." si riferisce all'ombra, naturalmente, e così dicendo estrae un coltellaccio dal fodero. "Quella cosa vi sta uccidendo, sapete?"

BOSCO: i personaggi che si sono diretti nel bosco (strada sterrata) scoprono gli alberi molto meno minacciosi di quanto l'oscurità non lasciasse intendere. Attraverso le fronde, possono vedere la città alle loro spalle e la cinta muraria che circonda tutta la fine del mondo. La sensazione di essere osservati, però, non si è attenuata. E infatti, dopo qualche minuto a camminare, i personaggi vengono circondati da un gruppo di uomini che si affacciano dai rami, dagli arbusti e da dietro ai tronchi. Fra le loro mani sono sono strette alcune armi di fortuna ricavate da ciò che il bosco metteva loro a disposizione: fragili archi, asce di pietra, ecc.
Guardandoli più attentamente, scoprite che non sono uomini. Sono ombre; esattamente come quella che vi accompagna. Il loro volto è scavato e denutrito, le loro vesti strappate, i loro capelli in disordine e i loro arti secchi come paglia; se non fosse per questi tratti selvaggi, sarebbero impossibili da ricordare: visi anonimi, sguardi contadini e corporature qualunque. Una di loro mugugna qualcosa, e al suo ordine abbassano tutte le armi.
"Perdonateci visitatori, non avevamo visto che eravate in compagnia dei vostri umani." dice con tono stanco, rivolgendosi alle vostre ombre, con un fiatone da maratona. "Temevamo che foste abitanti della città. Se volete passare di qui, però, i vostri umani devono acconsentire a versare parte del loro sangue. È la regola."

FIUME: i personaggi che sono rimasti al fiume (coloro che non hanno preso alcuna strada) possono gironzolare al margine tra la città e il bosco. Capiscono che la fine del mondo è strutturata come quattro anelli concentrici: il nucleo interno è la città, circondata dal fiume che la separa dal bosco, e più in là di tutto si trova la gigantesca muraglia che impedisce di scrutare l'orizzonte. Lungo il fiume non c'è anima viva, e il corso d'acqua si raccoglie in un piccolo lago dall'altra parte della città rispetto al ponte, che non sembra avere altri affluenti né emissari: è come se tutta l'acqua della fine del mondo finisse lì, e in qualche modo non ristagnasse, girando ad anello intorno alla città.
Ad abbeverarsi alle sponde del lago ci sono un mezzo centinaio di animali d'allevamento: maiali, galline, cavalli, pecore, vacche, capre, asini, ecc. ecc. non sembrano notare il personaggio, né scappano nel caso in cui lui tenti di avvicinarsi.

Come avrete intuito, la quest consiste nel capire che cosa sta succedendo e fuggire dalla fine del mondo, consumando i propri punti azione nel modo più intelligente e cercando di intuire - grazie alle indicazioni fornite - quale sia il risultato di ogni scelta. Vi notifico che sbagliare le scelte può portare alla morte del pg nella quest (questo non significa che muoia per davvero e per sempre nel gioco, comunque), quindi state attenti e valutate con attenzione, anche discutendo tra di voi, cosa fare. Le scelte possibili con i vostri 3 punti azione, in questo turno sono:
  1. • 1p. il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato (il guardiano in città, le ombre nel bosco o gli animali sul lago). Il risultato va determinato in confronto.

  2. • 1p. il personaggio usa una tecnica (è possibile selezionare questa scelta massimo due volte per turno).

  3. • 1p. il personaggio acconsente alla richiesta del PnG che ha incontrato (solo per il guardiano - cedere la propria ombra, che viene separata dal pg e si lamenta a gran voce, arrabbiandosi e/o spaventandosi per il suo destino - e le ombre - subire un danno Basso sotto forma di ferita di coltello; le ombre raccolgono il sangue del personaggio in una fiala e lo portano via).

  4. • 2p. il personaggio attacca o si approccia in modo ostile con il PnG che ha incontrato.

  5. • 2p. il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé (il risultato sarà lo stesso del post precedente).

  6. • 3p. il personaggio ignora tutto quanto e scappa verso il muro al limitare della fine del mondo, cercando una via d'uscita.
Il post va scritto come un post normale, anche breve, seguendo queste indicazioni. La quest avanzerà in una settimana di tempo.

PS: qualora non si fosse capito, questa quest è un grossa citazione a un libro che ho adorato. La fine del mondo e il paese delle meraviglie, di Haruki Murakami.

k3hQPky



Edited by Ray~ - 17/6/2016, 19:13
 
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view post Posted on 21/6/2016, 19:39
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Un sorriso iconico.
Un diaframma cadenzato di malessere, che ribolliva nel suo petto come mille fratture dello stesso spavento. Aveva il suo aspetto, apparentemente, benché rifiutasse quasi di ammetterlo. Aveva i suoi capelli ramati, cadenti ai lati di un viso sinuoso e paffuto sulle guance. Teneva, sopratutto, le braccia esili congiunte all'altezza del petto, e si rigirava le dita con altrettanto nervosismo.
Eppure, qualcosa di corrotto si disgregava entro quegli occhi grandi di cui non scorgeva il colore. Era un variopinto bisogno di crudeltà, che si dipanava in lei come la peggiore delle torture. Forse era solo la sua impressione - o la prevedibile diffidenza di una principessa sperduta nel buio, eppure la creatura le dava un senso di nausea e sgomento. Era composta di un nero pece, densa e corposa come mai ne aveva viste di simili. Non sembrava fittizia, ma si disgregava in impercettibili movimenti del petto, come se respirasse la sua aria, ansimasse la sua paura e affrancasse le sue sensazioni in un inspiegabile desiderio di emozione.
L'aveva vista comparire prossima a se, dal nulla. Prima vide un incomprensibile spostamento d'aria che le occupava una parte della visuale; poi il movimento leggiadro divenne un contorno più spesso e oscuro, almeno fino a quando l'occhio non parve abituarsi più cautamente a esso. E fu allora, e solo allora, che il cuore le balzò con un salto fin quasi alla mandibola: vide solo dopo quel sorriso appena accennato marcare un viso così familiare, nonché capelli ramati come i suoi scostarsi nel vento e rivelare uno sguardo attento, che la fissava intensamente.
E che pareva gustarsi la sua paura con ogni boccata di quell'ansante respiro.

« Eccoti, finalmente. »
Disse quella cosa. La squadrò di rimando, come l'ignorante fissa un quadro impressionista. Inconsapevolmente e inconcepibilmente, come solo si può guardare la propria ombra sorridere e parlare.
Fece un passo indietro calpestando dei rami secchi. Un grumo di saliva le si caricò in gola, fino a scivolare giù come un pazzo di carne secca.
« C-cosa sei? » Disse, s'istinto. L'ombra fece spallucce, seguitando in quel sorriso beffardo. Le giunture della mandibola si dipinsero di rosa, mentre le labbra color prugna si inarcavano fin quasi a non sembrar più umanoidi.
« Tu... ti ricordi chi sei? » Rispose, con scherno. Lei scosse il capo; negava, sapendo di dire il vero. Ricordava la paura, ricordava la menzogna e quelle mani sporche di sangue. Ma non ricordava altro. « E allora come credi possa saperlo io? » Aggiunse l'ombra, avanzando di un passo.
Il vestito irriso di rugiada era umido e appiccicoso; lo sentì scivolare lungo le cosce nude come un serpente che striscia con la coda. Dunque fece un altro passo, sentenziando quel cammino come la più intelligente delle fughe. L'ombra colse e - divertita - parve compiacersi ancor di più di quella situazione di stallo.
« Va bene » sospirò, come si sospira coi capricci dei bambini. « Vorrà dire che andrò avanti io. »

Le ci vollero pochi istanti per capire che era una pessima idea.
Intorno a lei il mondo prendeva forma. Il sontuoso velo di nulla che l'aveva soffocata fino a qualche tempo, parve diradarsi di pari passo con le sue insicurezze. Era ancora spaventata e spaurita; eppure, il lento passar del tempo dava confidenza a un borgo logoro ma non ignoto. Una città fatta di mattoni da un lato e un bosco folto dall'altro. E lei in mezzo, con scarpe di pezza rosse sporche di fango, calpestando un ponticello al limitar della radura. Attorno a lei scompariva il buio, ma iniziava il silenzio. Il rumore del ruscello sotto al ponte scorticava quella plausibile vastità come le note di una melodia. Una melodia, però, fatta del suo respiro ansante, che non avrebbe richiamato nessuno in suo soccorso, quando chi la cercava l'avrebbe trovata.

Ma chi la cercava?
Non era dato saperlo. Non lo ricordava e la cosa, se possibile, la spaventava ancora di più. Sapeva soltanto che qualcuno c'era e l'incidenza di quel sentimento le opprimeva il cuore, al punto da farle riconsiderare lo spavento per l'ombra parlante. Anche per questo riprese il filo del suo sguardo e la cercò tra i rami secchi dei primi arbusti. La vide, dopo poco. Aveva un passo lemme che cadenzava ogni orma con lenta commemorazione. Avanzava piano, sapendo che la sua gracile inseguitrice avrebbe temuto il nulla molto più del mostro. Avrebbe temuto il peggio, ove mai quel peggio fosse qualcosa di peggiore dell'ombra stessa. E anche per quello il suo sorriso greve non si staccava dalle giunture della mandibola, seguitando a schernirla anche nel momento in cui lei non fosse più in grado di vederla.
« Aspetta! » Lei udì e l'ombra trattenne una risata. « Ti sei decisa, finalmente. »

Il bosco aveva le fattezze di quello che si aspettava. I rami secchi e torti si intricavano con altri rami più secchi e più torti, creando un groviglio fitto che nascondeva il cielo oltre di esso. Era una rete intricata di scherni, che si riflettevano sul terriccio come lunghe dita di plurime mani. Avevano arbusti e sensazioni di oppressione, che chiudevano anche gli occhi e la mente degli avventori più sagaci. Attorno al bosco il coraggio perdeva credibilità come un vascello che affonda. Ogni metro di sentiero era uno sguardo tremulo che scompariva dietro un tronco d'albero, un macigno che chiude una via d'uscita e un soffio di vento che porta con se l'odore del sangue. Teneva le mani giunte attorno al petto, sforzandosi di non muoversi oltre il necessario; le sue ginocchia scricchiolavano talvolta, quasi avessero deciso di tremare al pari passo della pelle. Gli occhi, poi, scivolavano nervosamente dietro ogni colle, cercando il tronfio bisogno di fuga che si sarebbe celato oltre una via d'uscita.

Ma trovarono ben altro.

« Eccoli, sapevo che sarebbero arrivati. »
Ancora un balzo al cuore. L'ombra si era fermata, avvisandola del pericolo con la goliardia di chi avverte uno scherzo divertente. Lei, invece, sobbalzò a piè pari, ritrovandosi in un lampo a tenere la mano gelida e nera della sua ombra come quella di un confidente stretto. Quando se ne rese conto, poi, la ritirò con altrettanta velocità, strusciandosi compulsivamente il palmo sul vestito umidiccio.
« Non temere, cara » argomentò l'ombra, inarcando lo sguardo con pietà, « guardali: non fanno mica paura, no? »
Il dito lungo e nero si rivoltò oltre i rami secchi, indicando un punto imprecisato tra la fitta coltre di arbusti. Oltre di essi, la principessa rivide altra paura e altro sgomento. Questa volta il dolore prese le forme di altrettante ombre con occhi grandi e sguardi fissi, incastonati in corpi smunti e visi truci. Avevano le fattezze di piccoli mostri, aggrappati agli alberi come al bene più prezioso, onde elevarsi di diversi metri oltre le certezze degli astanti. Senza che se ne fosse mai resa conto, ne contò decine intorno a loro. Li avevano circondati e presero a respirare all'unisono l'odore acre del suo terrore.
Una di loro digrignò i denti e diede fiato a un rantolo incomprensibile. Forse era il vento, forse la paura; forse il semplice bisogno di sapere che quell'essere deforme non avesse nulla di simile rispetto a lei; che fosse solo morte e che da lui sarebbe dovuta fuggire. Come da tutto il resto.
Forse, o forse no. Ma più probabilmente era la sua mente che si sforzava di non comprendere quel lamento inerme, quasi non dovesse riguardarla.
A comprenderlo, d'altronde, ci pensò la sua ombra, che si compiacque a più riprese di quelle esternazioni quasi tendesse lo sguardo a un messo reale. Di quel dialogo comprese sole poche frasi: visitatori, umani e... sangue.

Si rivolse alla sua ombra nel momento esatto in cui quest'ultima torno a guardare verso di lei.
Quel sorriso beffardo che prendeva le mosse in un'arcigno sberleffo, fece capolino nuovamente sul suo musetto oscuro. E la fissavano, quasi come se dovesse leccarsi i le labbra da un momento all'altro.
« Hai sentito, piccola? » Le disse, tendendo le dita paffute della sua mano oscura. « Hanno detto che ci faranno passare; potremo... fuggire! »
Parlò lentamente, come si parla a un folle. Le lacrime presero a scendere nuovamente dai suoi occhi colorati, mentre le guance si arrossivano e si rigavano di umida pietà. Prima tese le mani sulle orecchie, quasi a non voler sentire. Poco dopo, sentì quasi il bisogno di sentirsi dire qualcosa di carino. Allungò la mano di rimando, quasi afferrando quella dell'ombra.

Poi, però, l'ombra terminò la frase.
« C'è solo una condizione, un... prezzo » asserì, mentre gli occhi oscuri tornavano a schernirla. « Un tributo... di sangue! »
La mano nera che si tendeva parve sfumarsi. Attorno a se le ombre parvero moltiplicarsi e divenire plurimi replicati di se stesse; era come se, improvvisamente, tutte loro fossero esplose in una coltre di spettri replicanti che presto divennero indistinguibili tra loro. Ciascuna di esse la guardava con sguardo famelico e, tendendo un pugnale, bramava il suo corpo con la sagacia di un macellaio di vacche.

Fu a quel punto che non ne ebbe più.
« NO - NO - NO....! »
Urlò, con più quanto fiato avesse in corpo. Urlò fino a quando lo stomaco non le fece male; urlò fino al punto di spaccarsi le labbra dallo sforzo. E, mentre urlava, il suo inconscio produceva qualcosa che nemmeno lei sapeva spiegarsi. Anche lei si replicava, ma in un modo totalmente diverso. Una figura del tutto affine a se stessa si disegnò a un passo da lei, con lo stesso vestito stopposo aggrappato al ventre e gli stessi capelli umidicci, ramati, che discendono dal viso smunto. Una persona del tutto identica alla principessa che - però - a differenza sua soccombeva sotto i colpi dei pugnali.
Il sangue le schizzò fin quasi al viso, e lei stessa prese a spaventarsene, nonostante incosciamente sapesse essere una mera illusione. Era l'immagine del suo vestito strappato dalle lame di decine di coltelli, che la passavano da parte a parte, sollevandole lembi di carne e rivelando le nudità sotto di essa. Tormentandole le caviglie, il petto e il seno con le punte insanguinate. In pochi attimi, quell'immagine di lei si ricoprì del suo stesso sangue rosso scuro, mentre il capo si rivolgeva indietro e lo sguardo perdeva lucidità, oltre che vomito dalla bocca.

Alla fine l'urlo le si soffocò in gola.
Lei, l'originale, quasi non svenne a quella visione. Per quanto potesse comprenderne l'irrealtà, il fatto stesso di averla partorita la fece star male.
Pianse a dirotto, mentre il volto si gonfiava di uno sgomento che non sapeva più chiamare. Si portò la mano destra sulla bocca, strozzando l'ennesimo urlo sgomento. Poi seppe solo voltarsi, fissare il resto del bosco oltre di lei, e correre a perdifiato fino ovunque il sentiero l'avrebbe portata.
Perse una scarpa, perse mille lacrime e il poco di fiducia che ancora covava in corpo. Pagò tutto, sperando che bastasse a regalarle la fuga.
La salvezza. O anche la morte.



50 / 145 (-20 - 10) / 75

Stato fisico: stanca, ma illesa;
Stato mentale: scossa, disturbata

Passive:
Personale n. 1, Passiva. Iride può percepire i sogni e le emozioni di chi le è difronte, che ella vede come immagini reali attorno a se. 1/6
Passiva talento "Studioso magico". Iride può materializzare le sue tecniche magiche istintivamente. 1/6

Attive:
Personale n. 2, Attiva, magica, Illusoria, Potenza Media, Autodanno alla Mente. Iride può dar forma alle immagini che vede, facendole vedere anche alle persone intorno a se (quindi, materializzandole come illusione).

Riassunto
Incasso l'Alto come un danno mentale, in quanto Iride interpreta tutto questo come un incubo che la fa lentamente impazzire. Saputo della richiesta di tributo, percepisce le emozioni delle ombre interpretandolo come immagini delle stesse ombre che la colpiscono a morte; usando l'attiva personale (uso della passiva personale), da forma a quelle immagini creando un'illusione di se stessa che muore (consumo Medio, scalato come autodanno alla mente). All'esito di tutto questo, che compie quasi inconsapevolmente (uso della passiva del talento), fugge con tutta la sua forza.

Note. Quattro punti utilizzati: 1 per usare una tecnica magica (sbloccata a causa della scelta del percorso) e 3 per fuggire. Spero di non aver male interpretato la funzione della mia ombra o di quelle nel bosco, ma ho letto tutto in chiave di "follia". Ogni elemento non fa che aggravare la psiche di Iride; alla luce di ciò, non è escluso che gran parte del narrato siano sue interpretazioni della realtà, al di là di ciò che realmente facciano / dicano le ombre. Al lettore il compito di capire cosa è vero e cosa è solo interpretazione (sbagliata) della protagonista. Mi sono dilungato in alcuni punti e me ne scuso.
 
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Caccia92
view post Posted on 24/6/2016, 09:36






« Da qualche parte »
— in qualche tempo


L'ombra svaniva, lentamente, come un manto levato dal cadavere di un uomo. Sotto la cappa nera esisteva qualcosa, molto più reale di quello che avevo inizialmente immaginato. Una sorta di paesaggio naturale, una piana erbosa, un ponte, una cinta di mura. Una città. Alle orecchie mi giungeva il canto dei fringuelli, lo sciabordio dell'acqua sulle sponde, il ticchettio frenetico di creature e animali. Nell'aria potevo percepire odore di terra bagnata e di resina d'albero. Il mio occhio sano osservava un cielo azzurro e un sole splendente. Ricordavo un amico del passato che, colpito a morte da una lancia, mi aveva descritto la sua idea di paradiso: non si discostava molto da ciò che potevo vedere in quel momento. Respirai a pieni polmoni, percependo finalmente un lieve tepore e la consapevolezza di esistere.
Mi toccai lievemente la testa per indagare il motivo dell'amnesia. Non trovai tagli, botte o sangue, il ché mi lasciò pieno di dubbi. Forse ero caduto da cavallo o forse erano passati alcuni giorni da quando avevo ricevuto il colpo sulla nuca. Non vi erano altre spiegazioni per quell'improvvisa e pericolosa perdita di memoria. Perché era ancora io, Alexander, a calcare il pavimento di mattoni. Completamente nudo, derubato della spada e dell'armatura, dei vestiti, dei pochi denari e del mantello. Non riuscivo a capacitarmi della presenza del manoscritto del Codice tra le mie mani: quel testo, ricopiato per lunghi anni nelle sale del Santuario di Alabastro, era andato distrutto il giorno del...un giorno terribile. Lo rimirai per diversi minuti, assaporandone la fattura, le parole mirabilmente incise sul frontespizio, la rilegatura squisita; lo annusai, godendomi il profumo di pergamena antica. Quel Codice era la mia vita, anche se l'avevo gettata tra la neve e il fango. Era lì, tra le mie braccia, pronto a sostenermi, come un compagno di viaggio che era stato abbandonato ma aveva continuato a seguirmi.
« Quello è il Codice dei Cavalieri. Come lo hai avuto? »
Mi voltai con uno scatto. Davanti a me stava un Cavaliere in armatura argentata. Era alto e possedeva una corporatura simile alla mia. L'elmo, che copriva interamente il volto, rappresentava un raffinato volto femminile. Lo scudo, invece, recava un simbolo che mi era estremamente familiare: un albero d'Inverno. Quell'uomo era al cento per cento un Uradel o era legato alla mia famiglia da un vincolo d'onore.
La mente viaggiava veloce, ripercorrendo i vari rami della genealogia. Non trovai alcun personaggio da collegare allo sconosciuto.
Restai sulla difensiva, indietreggiando di un passo.
« Questo è il Codice e non ho idea di come sia entrato in mio possesso. Ma, certamente, è di mia proprietà. »
L'uomo rimase immobile, scrutandomi. Sollevò quindi la visiera dell'elmo, mostrandomi il volto di un giovane di trent'anni, pulito, affascinante. Aveva gli zigomi alti, le sopracciglia sottili e occhi azzurri come il cielo. Ai lati si potevano intravedere folti capelli corvini.
Era il mio sguardo che osservava dietro la lastra d'acciaio. Erano le mie labbra che si alzavano in un sorriso sincero. Era la mia espressione che palesava onestà.
Ero io, ma diverso.
« Ti credo, Cavaliere. Perché sei nudo? Sono stati i briganti a ridurti così? »
Lui - me stesso - non si era accorto della situazione paradossale. Probabilmente le cicatrici, l'occhio di vetro, lo sporco e la perdita di capelli mi avevano reso molto diverso dal giovane Alexander del Cavalierato di Alabastro. Eppure...eppure quel sosia aveva la mia stessa età. Lo sapevo, nel profondo dell'anima.
« Tu...tu... » balbettai ridicolmente.
Ma ero io in errore.
« Io sono Sir Alexander Chorster Uradel. Anche tu lo sei. » come? « La cosa non mi sorprende affatto. Guarda per terra. »
Guardai. Sul terreno di mattoni c'erano i miei piedi, nudi e incrostati di fango, con le unghie spezzate; proseguendo, incontrai il riflesso della mia ombra, poi gli stivali di cuoio dell'altro. Non vi era alcuna differenza di postura o di posizione. Come uno specchio, un riflesso invisibile di due momenti differenti. Sollevai una gamba e Alexander fece lo stesso. Spostai un ginocchio e Alexander fece lo stesso.
Non riuscivo a capire. L'ombra proiettata dal sole non s'infrangeva sul corpo solido del me stesso in armatura d'argento, anzi...pareva immergersi in esso. Come se fosse lui...
« ...la tua ombra? Oppure il contrario. Non ho idea di come e perché siamo finiti in questo posto, né ho memoria di cosa stessi facendo prima di ritrovarmi qui, davanti a te. »
« Dove...dove hai preso quell'armatura? »
L'espressione di Alexander mutò da tranquilla a confusa.
« Questa? Dovresti conoscerla: è la corazza delle Spade di Alabastro. »
La corazza delle Spade di Alabastro. Sì, la portavo anch'io in passato, quando ancora non avevo abbandonato i monti. Quel particolare, seppur insignificante in sé, concedeva alla mia mente due riposte importanti. La prima spiegava la possibilità dell'esistenza di due diverse realtà che, per qualche motivo, erano venute a collidere in un sogno estremamente realistico; la seconda, invece, mi faceva più paura e riguardava la mia esistenza. Chi ero io? Un Alexander? Un abbaglio? Il frutto delle magie di stregoni aberranti? Un tassello della mente di un Cavaliere che aveva, per fortuna, ottenuto un destino migliore dagli dei?
Mi toccai il petto per trovare il battito cardiaco. Uno, due, tre, quattro...batteva. Batteva davvero. Ma se ero stato, fino a quell'istante, certo della capacità dei miei sensi, la comparsa dell'altro Alexander mi aveva gettato in un baratro d'incertezza.
« Conosci...conosci... » avevo la gola secca e mi sembrava di aver corso per decina di miglia « lei... »
Alexander sollevò un guanto argentato e scosse la testa.
« So cosa stai per chiedere, ma te lo impedirò. Soffriresti troppo. Sappi solo che, nella mia modesta opinione, noi due rappresentiamo la stessa persona che, ad un certo punto, ha preso vie differenti. Come un'anima singola, ma con diverse manifestazioni. Ed è inutile domandarsi chi è vero e chi è falso, perché ci porterebbe alla pazzia. Convinciamoci, invece, della realtà di entrambi e della convivenza reciproca. E so un'altra cosa... »
Sollevai l'occhio per guardare il mio sosia.
« Stiamo morendo. Non ho prove per dimostrarlo: dovrai credermi sulla parola. »
Dovevo farlo. Non perché percepissi anch'io il pesante affaticamento o il sudore che m'imperlava la fronte, ma per il Codice. Il Codice recitava: "Le sue parole dicono solo la verità!"
E Alexander, a tutti gli effetti, era un Cavaliere. Molto più di me.





« Un luogo chiamato Fine del Mondo »
— una sezione del tempo Theraniano


Se quel luogo ci stava uccidendo lentamente non avevamo via di scampo. Le alte mura che costeggiavano la piana erbosa rappresentavano un ostacolo troppo grande per essere sormontato senza l'ausilio di rampini o scale; avremmo potuto abbattere alcuni alberi presenti nella zona boschiva, ma con poco tempo a disposizione e privi di ascia era praticamente una causa persa. Sospettavo, inoltre, che non sarebbe servito a nulla uno sforzo di tale portata: la "Fine del Mondo", come l'aveva definita l'altro Alexander, era una dimensione infame e piena d'ombra. Ma non ero disperato e nemmeno depresso. Mi meritavo una punizione del genere, per ogni singolo errore commesso, dagli omicidi alle azioni disonorevoli. L'unica mia pena - ed era veramente paradossale - riguardava il destino del mio sosia. Lui non aveva alcuna colpa, era pulito, sincero, onesto. Un sano Cavaliere. Anche se non avevo testimonianze scritte o visive, il cuore me lo suggeriva...era da molto tempo che non lo ascoltavo, il cuore. Chissà quante volte aveva sofferto nel vedere come gestivo la vita, le strade che percorrevo, le scelte errate, i comportamenti aberranti. Ero sereno, nonostante quello: gli dei mi avevano offerto una punizione adeguata.
Non sapevamo cosa fare. Ci inoltrammo nella città che si allungava fino all'orizzonte splendente della Fine del Mondo. Gli uccelli cantavano felici, molti animali pascolavano tranquilli e le abitazioni parevano estremamente curate. Un cheto borgo di campagna. Ma era solo un'illusione e noi ce ne rendemmo conto alla svelta. Più camminavamo attraverso il centro urbano, più la sensazione di essere soli ci attanagliava. Una desolazione interna, potente, sconfortante. Eravamo destinati a vagare in eterno, fino a consumare membra, ossa e muscoli? Quella percezione estranea faceva rimpiangere Theras che, con i suoi problemi, le lotte dinastiche, la Corruzione, i demoni e i mostri, pullulava di vita. Caos, naturale e, soprattutto, reale. Pensai di essere morto, svenuto o dormiente, eppure sapevo che non era così. Qualcuno o qualcosa mi avvertiva con voce sibilante del pericolo insito nel paradiso schifosamente luminoso della Fine del Mondo.
Chiamai mia madre e gli chiesi perdono. Chiamai mio padre e gli chiesi perdono. Chiamai i miei fratelli tutti, domandando immensamente perdono. Ero un fallito, un criminale, la nemesi del Cavalierato. E solo Alexander, di cui ero un'ombra sporca, sapeva quanto la mia anima era pregna di marciume.
Poi comparve l'albero. Giungemmo in una piazzetta circolare in cui convergevano diverse vie secondarie. La pianta, nodosa e gigantesca, si ergeva singola al centro esatto del cerchio di pietra. Sotto, intento a spennare con minuzia un pollo, sostava un uomo dalle dimensioni ragguardevoli; alto due metri, barbuto, indossava i classici abiti da fabbro di provincia. Ma c'era qualcosa di sbagliato, di diverso in quell'incontro fortuito. Il sollievo per aver trovato, finalmente, un essere umano non arrivò mai.
Il fabbro sollevò il capo e mi guardò con profondo interesse. Sorrise.
« Nuovi arrivati! Benvenuti, benvenuti! Avete ancora le vostre ombre, addirittura. » la voce potente scuoteva armature, pareti e anime « Benvenuti alla fine del mondo! Vedrete che vi troverete bene, qui. Come prima cosa, devo chiedervi di abbandonare il vostro compagno. »
Compagni. Ci aveva definiti tali perché eravamo associati da un legame più profondo della semplice uguaglianza? La mia mente speculava per non perdersi nel baratro della pazzia.
Il fabbro, con estrema calma, recuperò un coltellaccio dalla cinta e cominciò a passarlo su una striscia di cuoio.
« Quella cosa vi sta uccidendo, sapete? »
Spostai l'attenzione su Alexander argentato. Lui mi guardò di rimando, con i suoi intensi occhi azzurri. Ancora una volta indagai nello specchio del mio Io e trovai soltanto sincera preoccupazione e uno spirito cristallino. Ciò mi riempiva di rabbia, orgoglio, invidia, sollievo e molte altre cose tutte insieme. Ma confermava il mio sospetto: entrambi dovevamo lottare insieme per difendere il nostro diritto d'esistere. E l'uno dipendeva dall'altro. Ci completavamo.
Alexander - non mi sarei mai abituato a quella situazione - comprese i miei pensieri e trovò il coraggio di affrontare un nemico invisibile. Lo fece nella maniera opposta al mio approccio abituale, indagando con garbo e senza pregiudizi.
« Dove sono tutti i popolani? E il signore? E le dame? E i soldati? »
Era una domanda legittima. La risposta, purtroppo, fu ambigua.
« In giro. Non ce ne sono tanti di abitanti, in verità, ma ci sono. Questa città è adibita a ospitare chi deve ancora arrivare, per sempre, però è ancora abbastanza vuota. » il fabbro fischiò e due armature - dannatamente vuote - si avvicinarono alla piazza « I soldati però li avete visti, se venite dal ponte. Ne abbiamo a bizzeffe, di questi. »
Quel particolare rendeva la situazione estremamente pericolosa. Non solo il fabbro aveva dimostrato di avere il controllo sulle armature, ma palesava anche il numero ingente di guardiani silenti. Se non era una minaccia velata, rappresentava sicuramente un punto di svolta nella breve conversazione.
Si decideva, in definitiva, quando cominciare a combattere. Entrambi - io e il mio compagno - eravamo giunti immediatamente alla stessa conclusione.
« Se non volessi separarmi dalla mia...da Alexander, come reagiresti ad una nostra permanenza? »
Volevo lasciare il beneficio del dubbio, ma il mio tono era eccessivamente aggressivo e metteva in chiara luce i miei pensieri. Provavo paura, anche se non volevo accettarla.
Il volto del fabbro si scurì.
« Non si può È la regola, e io sono stato messo qui a far rispettare le regole. In questa città non possono vivere le ombre. Quindi dovrei chiederti di andartene. Puoi andare nei boschi, se vuoi, ma lì non sopravvivrai a lungo. E se intendi ribellarti, dovrò strapparti l'ombra con la forza. »
Eccolo, lo schiaffo con il guanto.
Alexander percepì il mio terrore e pose una mano sulla mia spalla. Il contatto con la sua forma fisica infuse forza nelle mie convinzioni. Era una sensazione che non provavo da decenni, quando ancora conoscevo la fratellanza tra Cavalieri. Il reciproco sostegno, la condivisione dei problemi, la solidarietà d'onore.
La voce di Alexander sapeva di coraggio e fortezza.
« Abbiamo affrontato battaglie più dure. Scontri disperati, duelli impossibili. Siamo rimasti in piedi. Le tue cicatrici appartengono all'anima, non al corpo. »
Poi quella parola. Quella singola parola che dissipava ogni incertezza.
« Io sono con te, Cavaliere. »
Con il torace che fremeva e il cuore che batteva all'impazzata, spostai leggermente la gamba all'indietro. Sì, avevo affrontato battaglie disperate durante la mia esistenza. Avevo perso la più importante, forse perché ero rimasto solo sulla cima della montagna.
Ma non ero più solo, non in quel momento.
Sollevai l'unica arma che ancora manteneva la sua fedeltà alla mia causa. Il Codice, inamovibile nei sui principi.
« Queste sono le mie regole. Non accetto più ordini da monarchi folli. » sussurrai, mentre tutta la vita mi passava davanti « Lui ha diritto di stare tanto quanto me. Se ciò non è permesso... » indietreggiai di un passo, restando comunque davanti ad Alexander « ...farò ciò che devo. »
E, come il più vero dei Cavalieri, lasciai la prima mossa al mio nemico.








ALEXANDER



Mente: 75%
Energia: 30%
Corpo: 125% - 20% (peso della Fine del Mondo) = 105%

Punti: 3
Punti spesi: 1
Azioni eseguite: il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato (il guardiano in città, le ombre nel bosco o gli animali sul lago). Il risultato va determinato in confronto (1).

Riassunto/Note/Altro:
La prima parte è quella assente nel confronto. Riguarda direttamente l'incontro tra Alexander Theraniano e Alexander della realtà "pulita". Tutte le considerazioni fatte sono riferibili alla storia, non ancora narrata in toto, del mio personaggio. Spero sia una lettura piacevole.
La seconda parte riporta le azioni effettuate in confronto. Decido di non attaccare, seguendo coerentemente la linea di pensiero del Cavaliere Bianco (che, in qualche modo, sta influenzando positivamente la sua controparte oscura - come considero l'attuale Alexander). Un rischio enorme, ne sono consapevole. Accetterò di buon grado le conseguenze.
Al prossimo turno.
 
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miky1992
view post Posted on 25/6/2016, 07:52




Immerso in quella oscurità Stig era sicuro di essere finito all'interno di un limbo immateriale, già da se la capacità di fluttuare e muoversi come più gradiva gli aveva dato l'impressione di essersi trasformato in pensiero puro. Invece toto il velo di oscurità il mondo si rivelò più concreto di quello che credeva. Aveva inconsciamente preso la strada che conduceva verso un bosco, alle sue spalle un ponte di pietra e più in la una città immersa nel silenzio. Al di la di tutto un muro, Stig si fermò per un istante a osservarlo: la muraglia non sembrava avere una fine, e se l'aveva al drago non era dato vederlo. Gli appariva nella mente come qualcosa di troppo alto per poter essere scalato o superato in volo e se la muraglia fosse stata veramente infinita allora non avrebbe avuto modo di aggirarla. A prescindere ritenne per adesso uno sforzo inutile provare a vincere quell'ostacolo.
Tanto che aveva già il fiatone. Non sapeva perché in fondo non si era sforzato così tanto, eppure a ogni passo sentiva come se si stesse trascinando dietro un enorme macigno.
A quel punto qualcosa attirò la sua attenzione: c'era qualcosa tra i cespugli.
-Fatti avanti.
La cosa emerse dall'oscurità. Si trattava di un'ombra, l'ombra di un uomo muscoloso, i capelli lisci arrivavano fino a metà schiena, indossava un'armatura leggera meno grigia rispetto al resto del corpo. Non aveva colore, poteva distinguerne i tratti somatici dalle diverse tonalità di grigio. Aveva uno strano ghigno dipinto sul volto.
Stig d'istinto si mise sull'attenti, pronto a colpire l'estraneo se questi si fosse avvicinato ancora o avesse mostrato cattive intenzioni. -Chi sei? Chiese allarmato.
L'uomo si limitò a storcere la bocca e a incrociare le braccia. -Dimmelo tu.
Per un momento Stig non capì, poi toccò la maschera sul viso. I ricordi lo investirono come un fiume in piena, non fu un'esperienza traumatica o dolorosa, semplicemente prima non era nulla e dopo era di nuovo Stig.
-Capisco. Disse. -È passato così tanto tempo che ormai non mi riconosco più.
-Pensa la mia di sorpresa vedendoti ridotto così.
-Nostro padre ha sempre avuto una vena sadica in cuor suo. A conti fatti però sono felice di tutto quello che è successo, mi ha aperto gli occhi.
-Mi sono rassegnato a vivere come uno di loro... non l'avrei mai immaginato.
-Non è così male. disse Stig -una volta che ti ci abitui.
-Non importa, adesso ci sono cose più importanti di cui parlare. Questo posto sarà la tua tomba se non te ne vai, non so bene come funzioni ne perché lo so, ma tutto questo è veleno per te, dobbiamo trovare un modo per andarcene. Disse con tono grave.
-Perché sei qui? Disse Stig sospettoso.
In quel momento Stig sentì rumori di rami spezzati e fruscii di foglie, si guardò attorno e scoprì di essere circondato. Gli esseri attorno a lui erano sempre ombre, benché mostrassero un aspetto ben più sciupato e trasandato della sua cosa che lo fece ben sperare. Se Ombra Stig avesse potuto -e voluto- avrebbero potuto sconfiggere gli aggressori, ne era certo.
Per fortuna non ve ne fu motivo.
-Perdonateci visitatori, non avevamo visto che eravate in compagnia dei vostri umani. Anche lui aveva il fiatone, cosa che preoccupò non poco Stig. -Temevamo che foste abitanti della città. Se volete passare di qui, però, i vostri umani devono acconsentire a versare parte del loro sangue. È la regola.
-cosa intendete con versare parte del proprio sangue?
Quanto letteralmente chiesto. l'ombra estrasse un punteruolo e un barattolo di vetro. Se volete vivere nei boschi, dovete pagare una tassa di sangue, poco poco ogni mese, è la regola.
Tutto questo era troppo per Stig. Ombre guerriere, regole, tante cose di cui non capiva il senso. Senza contare che Stig Ombra gli dava sui nervi, si sentiva inferiore come sempre quando si trovava di fronte a un drago e il fatto che quel drago fosse lui stesso accentuava la sensazione. -Chi siete, cosa vi è successo, perché siete solo ombre?
Siamo le ombre di chi si è rifiutato di vivere nella città. I nostri padroni erano troppo affezionati a noi per lasciarci andare, ma il guardiano impone a chiunque entri in città di abbandonare la propria ombra. Nessuna ombra su cui il guardiano ha poggiato le dita ha mai fatto ritorno, però.

una domanda sorge spontanea: DOVE SONO I PADRONI?



Tante cose di cui non gli importava. -Vorrei solo andarmene, se pagherò il vostro tributo potete mostrarmi come farlo?
Ma non c'è modo di andarsene. Sei alla fine del mondo, non lo sapevi? Non c'è niente al di fuori di qui.
-Deve esserci! questo posto ci sta uccidendo, ci sarà qualcuno con cui possa parlare, qualcuno che sa cosa sia questo posto e come andarsene! Disse con tono disperato.
L'ombra lo guardò con espressione dolorante. Se sapessimo come andarcene, non saremmo qui...
-Allora perché dovremmo stare nel bosco e perché dovrei darvi il mio sangue mi chiedo.
È sempre meglio che vivere in città! esclama un'altra ombra. Lì le ombre le ammazzano! Ti porterebbero via il tuo compagno e non lo rivedresti più! Saresti così crudele da lasciarlo morire?
-In città sanno qualcosa in più di voi? potrei andare li e domandarglielo. Disse. Non voleva veramente liberarsi di una potenziale risorsa come il suo doppio, ma sperando che le ombre facessero gioco di squadra e SOPRATTUTTO che gli stessero nascondendo qualcosa quella minaccia avrebbe potuto avere l'effetto di sciogliergli la lingua.
Non puoi andare in città! Ammazzerebbero la tua ombra!
Lei non può staccarsi da te.

Infine, quella che sembra il comandante disse:
Se vuoi andare in città, vattene ora e non te lo impediremo, ma sappi che da quel momento in poi non sarai più il benvenuto nei boschi.
Stig si morse il labbro. Un maledetto buco nell'acqua. -vi ho solo chiesto se in città avrei trovato informazioni visto che non ho nessuna voglia di morire qui. Comunque non ho intenzione di separarmi dal mio doppio, non per un salto nel buio almeno. Disse, porse l'indice e lasciò il tributo.
-adesso voglio vedere il vostro bosco magari ci capirò qualcosa di tutta questa faccenda.


CITAZIONE
Stig
100 corpo -20 fine del mondo – 5 tributo 75
55
75

Punti 5 spesi 3. uno per interagire e pagare il tributo alle ombre e 2 per usare l'oggetto e ricordare. Bom lo stig che ho scelto è uno Stig senza maledizione, il perché lo approfondiremo via via se il vero Stig con complessi di inferiorità non lo ammazza prima xd. Vedremo cosa vincerà se il buon senso o l'invidia.
 
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Numar55
view post Posted on 25/6/2016, 13:28




Il dolore mi colse all'improvviso.
Mi ero infine inoltrato nella boscaglia, ringhiando e cercando di colpire qualunque cosa si muovesse tra le ombre, quando accadde. Fu come se fossi stati colpito da una scarica elettrica, i nervi del mio corpo esplosero dopo secoli in un sentimento quasi dimenticato: dolore. Durò pochi secondi e non fu neppure tremendo come ricordassi ma fu sufficiente per gettarmi in ginocchio. Qualunque domanda su cosa potesse essere successo in quel momento o quale fosse stata la causa di quel malore venne subito soppiantata dal fastidio che quella posizione mi provocò. Lanciai uno sguardo di puro odio alle mie ginocchia, come fosse loro la colpa di quel cenno di debolezza. Troppe volte in passato, ora non più...
Con una smorfia mi rimisi in piedi, sperando che i miei improvvisati "compagni" non l'avessero notato. Ma era rivolta ad altro la loro concentrazione al momento: la luce era infine ritornata, come all'arrivo dell'alba, rischiarando l'intera zona e penetrando attraverso le fronde; poco più in là una cittadina si ergeva solitaria, e ancora più distante una lunga cinta muraria. Che i Padroni alzino le loro mura, gli Dei non camminano...
Mi portai una mano al volto massaggiandomi la fronte mentre voci passate risuonavano nella mia mente, quand'ecco che posai lo sguardo al suolo. A terra la mia ombra si muoveva in maniera strana, contorcendosi come un serpente e discostandosi dalla mia immobilità. Pareva quasi in preda alle convulsioni. Confuso da quello strano avvenimento, mi chinai a terra toccandola con la punta della dita ma quella con un guizzo si staccò definitivamente dal mio corpo. Non sentii niente fisicamente ma non potei fare a meno di allarmarmi quando la vidi gonfiarsi assumendo una forma solida. Istintivamente portai le lame in alto, pronto al combattimento, per poi abbassarle di nuovo quando l'ombra assunse forma e colore. L'informe massa oscura aveva lasciato spazio ad un giovane dai capello molto biondi, quasi albini, la pelle era bianca come la neve e gli occhi gialli brillavano di luce furba. La bocca semiaperta respirava ad ampie boccata, quasi come avesse trattenuto il respiro da un bel pezzo, mostrando una coppia di canini appuntiti.
Quell'ombra era identica a me. Beh con qualche differenza.
Al posto degli abiti poveri che mi coprivano, quello vestiva riccamente con pantaloni larghi ed un busto di pelle senza braccia. Portava inoltre diversi orecchini dorati sulle orecchie e sul volto. I capelli inoltre erano rasati sui lati.
Mi rivolse uno sguardo insolente con la testa inclinata ma non riuscii ad irritarmi per ciò. Era lo stesso sguardo che gli stavo rivolgendo io.

"Chi sei?"

Quello rise cristallinamente mostrando per intero la sua dentatura candida.

"Beh mi sembra ovvio! Sono te."

Schioccai la lingua a quel commento che voleva dire tutto e niente.

"Io non ho idea di chi sono..."

"Peccato... temo di non saperlo neanch'io! Anche tu non hai ricordi?"

Annuì gravemente con sguardo cinereo.

"Solo sprazzi..."

"Lo immaginavo. Io ricordo un nome sopra tutto il resto: Iri."

Lo disse come se fosse la più dolce delle parole e sorrise estasiato, quasi provasse piacere anche solo pronunciando quel nome. Io invece percepii un brivido lungo la schiena ed un buona dose di bile che mi risaliva lungo la gola. Lo conoscevo quel nome...forse...
Così com'era sopraggiunto il ricordo svanì in un battito di ciglia lasciandomi confuso e con un'insensata rabbia in corpo. Nel frattempo l'altro aveva assunto un'espressione più grave guardandosi intorno.

"Senti non so come spiegartelo ma dobbiamo muoverci. Se restiamo in questo moriremo..."

La risposta fu quasi meccanica.

"La morte non è cosa nostra."

Lui annuì frettolosamente, con gli occhi che giravano inquieti da una parte all'altra.

"La morte non è cosa nostra...
Ma questo luogo è strano, persino noi potremmo conoscere la fine.
Dobbiamo andarcene!"


Non capii come facesse a saperlo ma dal tono con cui lo disse gli credetti immediatamente, del resto non potevo dubitare di me stesso. Il malore subito poco prima poi avvalorava di molto la sua tesi.
Così ci incamminammo inoltrandoci sempre di più nel bosco, senza tuttavia liberarci della sensazione di essere osservati da qualcuno. O qualcosa.
Quasi li avessi chiamati poi un gruppo di umani fece la sua comparsa circonda me e i disgraziati che mi seguivano. Indossavano vesti lacere ed impugnavano armi di fortuna. Nel vederli non potei trattenere un guizzo divertito nei miei occhi, anche se, come al solito, non seppi fino in fondo il motivo. Uno di loro, probabilmente il capo, si fece avanti.

"Perdonateci visitatori, non avevamo visto che eravate in compagnia dei vostri umani."


Ci misi qualche attimo a rendermi conto che si stava rivolgendo alle nostre vecchie ombre. Strinsi i denti, irritato, per il modo in cui quell'impudente mi aveva definito. Non avevo idea di cosa fossi, ma di certo "umano" era piuttosto denigratorio nei miei confronti.

"Temevamo che foste abitanti della città. Se volete passare di qui, però, i vostri umani devono acconsentire a versare parte del loro sangue. È la regola."


Una delle poche cose di cui ero certo era che non avevo bisogno di respirare. Ma mi costrinsi a fare un bel respiro profondo prima di rispondere, ascoltai in silenzio gli sproloqui degli altri umani per poi rivolgere al capo di quei vagabondi uno sguardo glaciale. La semplice e sola richiesta di donare una parte del mio sangue mi pareva assolutamente ridicola, oltre che profondamente offensiva. Io acquisivo sangue, non il contrario. Bagnate di rossi le vostre gole, miei Cavalieri. Il sangue era importante per me, ne ero certo. E a giudicare dallo sdegno presente sul volto della mia ombra anche lui era d'accordo.

"Camminerò in questi boschi. E il mio sangue rimarrà dov'è."

"Dovrai passare sul nostro cadavere."


Un patto accettabile. Ancora una volta incrociai le lame facendole stridere tra loro mentre un sorriso crudele mi compariva sul volto. La mia ombra invece snudò le mere unghie.

"Miserabili vermi..."

Lentamente i miei piedi si staccarono da terra e mi innalzai fino ad un paio di metri dal suolo. Man mano che salivo i ricordi vennero a me, ma in maniera scomposta come prima. Ordinati. E con la forza di un fiume in piena.
Finalmente sapevo chi fossi e cosa doveva fare.

"Io sono l'Arista..."
"Io sono il Re...."

"E voi assaggerete la mia furia!"
"E voi asseggerete il mio potere!"


E come un sol uomo ci lanciammo all'attacco.



L'Artista


- Basso: 5% - Medio: 10% - Alto 20% - Critico: 40%

Fisico: 75%-10%= 65%

Mente: 65%

Energia: 80%


Passive:
- Può trasformarsi in una creatura mostruosa di notte (4)
- Capacità di volare (4)
- Insensibilità al dolore (6)
- Compiere azioni con forza sovrumana (6)
- Rende guarigione di potenza pari a consumo (6)

Attive:


Note:

Uso due punti per mostrarmi ostile e due punti per usare il mio oggetto. Il mio pg si alza in volo con la passiva e attacca le ombre dall'alto con le lame, mentre la mia ombra si scaglia frontalmente addosso a loro con gli artigli.
Scusa il post e il riassunto scarno ma devo tornare subito al lavoro :ray:

 
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view post Posted on 25/6/2016, 17:13
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INDICAZIONI
k3hQPky

All'inizio di questo turno subite il consueto danno Alto (a meno che diversamente indicato qui sotto) a una risorsa a vostra scelta. Inoltre, queste sono le ricompense per i punti utilizzati nel turno precedente (qualsiasi punto non speso nel turno precedente resta a vostra disposizione):

  1. • il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato: il personaggio recupera il suo equipaggiamento consueto (ma non gli artefatti), che si forma intorno a lui rivestendolo in un barlume di coscienza.

  2. • il personaggio usa una tecnica: il personaggio recupera l'utilizzo di tutte le sue tecniche.

  3. • il personaggio acconsente alla richiesta del PnG che ha incontrato: il personaggio non subisce il danno Alto se ha ceduto la propria ombra. Subisce il danno Basso del prelievo di sangue invece dell'Alto del turno, se ha acconsentito a pagare il tributo.

  4. • il personaggio attacca o si approccia in modo ostile al PnG che ha incontrato: il personaggio recupera l'utilizzo di tutti gli artefatti e dell'equipaggiamento in suo possesso, che si formano intorno a lui rivestendolo in un barlume di coscienza.

  5. • il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé, qualunque sia il suo utilizzo: il personaggio recupera coscienza di sé. Si ricorda perfettamente chi è, ma ancora non sa come è arrivato qui.

  6. • il personaggio ignora tutto quanto e scappa verso il muro al limitare della fine del mondo, cercando una via d'uscita: il personaggio subisce un danno alto aggiuntivo (vd. indicazioni).
Chi di voi subisce il danno Alto in questo turno percepisce la sua origine distintamente dall'ombra che lo accompagna, come se la sua stessa esistenza si nutrisse inconsapevolmente delle risorse del vostro corpo. Lei non sembra esserne cosciente, e non ha alcuna reazione all'accaduto; anzi, si preoccupa per voi nel vedervi indeboliti.

Iniziate a comprendere il senso di questo mondo: una metafora. Una gigantesca metafora. Siete intrappolati in un sogno. I vostri corpi giacciono da qualche parte su Theras, e le vostre anime sono state strappate e gettate nella prigione di una gigantesca similitudine resa reale che avete bisogno di comprendere, o vi ucciderà: la fine del mondo, appunto.

CITTÀ: il guardiano non sembra avere intenzione di attaccare, ma le armature si schierano al suo fianco per difenderlo. Si liscia la barba con la mano e aspetta. "Temo di non essermi spiegato. Parlare non è mai stato il mio forte." dice con voce meditabonda. "Le regole non le ho fatte io, e se dico che l'ombra non può stare qui, non è perché ci sia una legge che lo vieta e che io sia qui per farla rispettare. Significa letteralmente che l'ombra non può stare qui." Le parole del guardiano ti lasciano qualche dubbio e voltandoti verso Alexander ombra, noti che la sua figura sta assumendo lentissimamente e in maniera grottesca i connotati di un animale da allevamento (a te la scelta quale). "Eventualmente te la toglierò, ma posso tranquillamente aspettare che la sua trasformazione sia completa ed evitare questo scontro. Per allora, però, le probabilità che ti abbia già ucciso sono già alte."
A questo punto estrae il coltellaccio e inizia ad affilarlo su una cote accanto a lui, con aria annoiata. Sembra aver vissuto molte situazioni simili a quella.
"Questa città è stata costruita per ospitare la vostra anima per sempre. È la fine del mondo, d'altra parte; da qui non si va da nessuna parte. Ma è naturale che il tuo passato, il pensiero di ciò che potresti essere se non fossi qui, combatta contro il destino immortale e immutabile della tua anima, e questo conflitto potrebbe anche ucciderti." Dopo aver raggiunto un'affilatura che sembra ritenere soddisfacente, il guardiano rinfodera il coltellaccio e torna a lisciarsi la barba. "Quell'ombra ti sta uccidendo. Ma se me la dai, io la trasformerò in un concetto più semplice, un animale che non possa danneggiarti. E dopo di lei ne genererai altre, e dovrai darmele tutte, o la tua anima non riuscirà a scendere a patti con ciò che avresti potuto essere e invece non sei. In cambio, il tuo pensiero continuerà a dividersi e dividersi all'infinito nella fine del mondo, e così facendo non morirà mai. Vivrai per sempre, in un solo secondo."

BOSCO: Il sangue donato da Stig viene messo in un barattolino e, con grande sorpresa, donato alla sua ombra. L'ombra non sembra sapere cosa farsene, ma lo accetta comunque. In questo modo Stig subisce il danno Basso del prelievo invece del danno Alto del turno. Rael invece subisce il danno Alto come spiegato in queste stesse indicazioni, poco più sopra. Aver visto questa scena da l'accesso a voi due a un'opzione speciale per il prossimo turno.
Quando Rael attacca, le ombre pongono una debole resistenza e vengono massacrate senza pietà, riuscendo a infliggere soltanto un ulteriore danno Medio al vampiro e un ulteriore danno Basso a Stig, che resta coinvolto nel combattimento (a voi interpretare e descrivere l'accaduto). Poco dopo, un gruppo di persone vere appaiono dagli alberi con fare agitato: sono identici alle ombre che avete ucciso, ma non sono denutriti. Con loro ci sono anche alcune ombre, identiche a quelle che avete ucciso. Sembra un armata di cloni delle solite tre/quattro persone. Chiaramente sono stati attirati dal rumore del combattimento.
"Che cos'è successo?!", "Oh no!", Che cos'avete fatto?!"
Gli originali iniziano a disperarsi sul cadavere delle loro ombre, piangendo e rimanendo increduli davanti a quel massacro. Con voi parlano solo le poche ombre rimaste.
"Sempre così, voi nuovi arrivati. Siete pronti a menare le mani prima ancora di capire come funziona il ciò che vi circonda. Se volete stare nella fine del mondo dovrete imparare a obbedire alle sue regole, o morirete prima di riuscire anche solo a rendervi conto di cosa sta succedendo." alcune ombre si chinano sui loro padroni per consolarli. È una scena paradossale, quella di vedere una persona consolare se stessa della morte di una parte di sé. "La tassa di sangue serve a mitigare il danno che noi ombre provochiamo ai nostri padroni, anche se questo ci affama e ci rende deboli. In compenso da ai nostri padroni più tempo per scoprire come uscire da qui, e prima che lo chiediate: no, non l'abbiamo ancora scoperto." Notate un fermaglio con il simbolo di Lithien che blocca il mantello sulle spalle dei padroni. "Ora andate via di qui. Non siete più i benvenuti."

LAGO: la scena al fiume non è cambiata dal post precedente. Dopo un po' dalla città esce una persona in carne e ossa, che si dirige al lago dove si abbeverano tutti gli animali. È una ragazza piccola ed esile, con indosso una toga bianca e un fermaglio con lo stemma di Lithien che le blocca il vestito. Curiosamente indossa un elmo di ferro e un guanto d'arme sulla mano sinistra, che impediscono completamente di vedere che cosa c'è sotto, se non per uno sbuffo di lisci capelli castani che le cadono sulle spalle. Si china accanto agli animali, che non scappano alla sua vista, e dice: "Buongiorno." e loro, quasi all'unisono. "Buongiorno Airin.", "Come va?" e Ciao, bellezza."
Airin inizia a conversare con gli animali come se fosse tutto normale, parlando del tempo, della tranquillità, di poesia, natura e musica.

MURO: chiunque si sia diretto al muro vede una seconda ombra apparirgli accanto, che gli intima di fermarsi. Questa seconda ombra gli provoca un altro danno Alto (come indicato a inizio post) nel momento stesso in cui si genera. Quando il personaggio giunge a destinazione, scopre che la cinta è ancora più invalicabile di quanto non pensasse: centinaia, se non migliaia di metri di pareti liscia come uno specchio. Sembra crescere mano a mano che ti avvicini, come se avesse la volontà propria di impedire agli abitanti della fine del mondo di uscire da lì.
Ai piedi del muro vi è un numeroso gruppo di persone (ombre e non) che sono riusciti a incidere la parete con dei rampini e tentano di scalarla. I loro sforzi sono di un'ingenuità infantile, ma loro comunque si gettano a turni di due persone alla volta contro al muro, riuscendo al massimo a guadagnare qualche metro in più e agganciare un paio di morse più in alto della volta prima. Per ora sono riusciti a salire di una decina di metri sulla parete a specchio, il che potrebbe essere considerevole soltanto se non paragonato all'imponenza della cinta. Alcuni dei loro volti li riconosci: appartengono al popolo del bosco.
"Ragazzina, cosa ci fai qui?!", "Presto, aiutatela prima che si consumi!"
Iride viene attorniata dal gruppo di persone che la tranquillizza (ci prova) e le spiega la situazione per intero (le informazioni le puoi estrapolare dalle indicazioni date per gli altri luoghi) e aggiungono: "Qui al confine della fine del mondo siamo molto vicini alla realtà, e la tua anima non può fare a meno di tormentarsi pensando a cosa potrebbe essere se non fosse qui. Di conseguenza continua a generare ombre, ma queste potrebbero ucciderti! Devi imparare a pagare la tassa di sangue, o rischi davvero di rimanerci secca."

Bene, spero che il senso della cosa si stia pian piano chiarendo. Dovreste parlare tra di voi per arrivare a una soluzione comune, almeno a livello di metagame! Le scelte possibili con i vostri 3 punti azione, in questo turno sono:
  1. • 1p. il persona paga la tassa di sangue (è possibile selezionare questa scelta solo se si è a conoscenza di questo metodo per mitigare il danno alto all'inizio di ciascun turno, subendo un basso per ombra invece che un alto).

  2. • 1p. il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato (il guardiano in città, le ombre nel bosco, Airin e gli animali sul lago, gli abitanti del bosco alle mura). Il risultato va determinato in confronto.

  3. • 1p. il personaggio si sposta in un'altra zona (può essere fatto sia all'inizio del turno - e quindi consumare tutti gli altri punti per interagire con chi si trova nella nuova zona - che alla fine del turno - dopo aver interagito normalmente con chi è nella zona in cui ci si trova ora).

  4. • 2p. il personaggio attacca o si approccia in modo ostile con il PnG che ha incontrato.

  5. • 2p. il personaggio utilizza l'oggetto personale che ha con sé (il risultato sarà lo stesso del post precedente).

  6. • 3p. il personaggio uccide tutte le proprie ombre.
Il post va scritto come un post normale, anche breve, seguendo queste indicazioni. La quest avanzerà in una settimana di tempo.

k3hQPky

 
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miky1992
view post Posted on 29/6/2016, 15:18




Stig si immaginava chissà quale strano rituale fosse legato a quella donazione di sangue, aveva anche pensato a un gesto simbolico simile a un pegno da donare per dimostrarsi pacifici negli intenti. A quanto pareva anche Stig ombra rimase sorpreso quanto l'originale nel ricevere il sangue appena donato. Stig fissò basito il barattolo, poi Stig ombra e questi rispose con un'alzata di spalle. Di certo quel mondo aveva regole bizzarre e Stig era deciso a impararle tutte. Ormai Stig era certo di essere entrato nelle grazie delle ombre, e forse era veramente così.
Purtroppo il destino aveva altri piani.
Nemmeno aveva calcolato l'altro “originale” arrivato quasi insieme a lui, ma evidentemente i suoi intenti non erano pacifici come i suoi. Senza una motivazione logica lo vide trasformarsi in un mostro e lanciarsi in un vero e proprio massacro ai danni delle ombre. Stig già troppo sconvolto da quanto successo in precedenza non ebbe la prontezza di riflessi necessaria a salvare le ombre. Rimase imbambolato a fissare la scena, senza nemmeno avere la forza di evitare di essere investito dal corpo di un'ombra che lo sbatté a terra facendogli battere la testa.
Fu Stig ombra a tirarlo fuori dai guai, lo afferrò per le spalle e lo allontanò dal luogo dello scontro.
Stig ebbe appena il tempo di rialzarsi e subito arrivarono degli uomini in carne e ossa, al seguito di alcune ombre. "Che cos'è successo?!", "Oh no!",Che cos'avete fatto?!
Nel vederli disperarsi Stig comprese di essersi giocato il loro aiuto.
- Sempre così, voi nuovi arrivati. Siete pronti a menare le mani prima ancora di capire come funziona il ciò che vi circonda. Se volete stare nella fine del mondo dovrete imparare a obbedire alle sue regole, o morirete prima di riuscire anche solo a rendervi conto di cosa sta succedendo. alcune ombre si chinano sui loro padroni per consolarli, la qual cosa impressionò non poco Stig. Un fugace pensiero gli attraversò la mente, quello poteva essere... -La tassa di sangue serve a mitigare il danno che noi ombre provochiamo ai nostri padroni, anche se questo ci affama e ci rende deboli. In compenso da ai nostri padroni più tempo per scoprire come uscire da qui, e prima che lo chiediate: no, non l'abbiamo ancora scoperto." Hanno tutti lo stesso fermaglio, mi pare sia il simbolo di Lithien che blocca il mantello sulle spalle, vengono quindi da li? "Ora andate via di qui. Non siete più i benvenuti.

Per Stig rimanere in quel posto a scusarsi era solo un'inutile perdita di tempo, aveva altro da fare e soprattutto aveva molto da capire. Quindi decise di andarsene senza ribattere. A ogni passo il drago si sentiva più piccolo e insignificante, se prima era sicuro di potersene andare tranquillamente ecco che ora non ne era più sicuro. Appena arrivato ecco che trova un numeroso gruppo di uomini e ombre gettarsi contro il muro di cinta nel tentativo di scalarlo, uno sforzo tanto grande quanto vano pensò Stig in un primo momento il quale però per il momento non trovava un'alternativa valida a quell'impresa impossibile per andarsene. Altro particolare: avevano lo stesso simbolo degli uomini nel bosco, quel fermaglio... evidentemente vengono tutti dallo stesso posto. Subito un gruppo di persone lo circondò, perlomeno questi erano bendisposti nei suoi confronti e gli diedero qualche informazione in più.
- Qui al confine della fine del mondo siamo molto vicini alla realtà, e la tua anima non può fare a meno di tormentarsi pensando a cosa potrebbe essere se non fosse qui. Di conseguenza continua a generare ombre, ma queste potrebbero ucciderti! Devi imparare a pagare la tassa di sangue, o rischi davvero di rimanerci secca.
-pagando la tassa quindi posso ridurre lo sforzo necessario per restare qui, ma perché?
e cosa sapete di questo posto?

"Per allungare il tempo necessario per trovare un'uscita, no? Parli come se potessi andartene da un momento all'altro. uno lo guardò con aria stizzita, evidentemente l'avevano frainteso. - Sappiamo di essere nell'oneiron, ma non sappiamo sotto l'influenza di quale daimon. Questo spazio sembra essere stato costruito per imprigionarci qui per sempre, e non sembra avere vie d'uscita. Ciò, però, non può essere: tutte le superfici cosmologiche di Theras sono tutte collegate tra loro, dunque da qualche parte ci deve essere per forza un passaggio per uscire da qui, altrimenti quest'isola non potrebbe rimanere ancorata alla trama dell'Oneiron e finirebbe per andare alla deriva nell'universo onirico fino ad autodistruggersi. Bisogna trovare l'ancora. L'ancora è il passaggio per uscire da qui.
-Mi sono spiegato male: la domanda è perché pagando di mia spontanea volontà posso ridurre il danno. e quest'ancora potrebbe essere qualsiasi cosa giusto?
L'uomo si schiarì la voce. -Dunque, la tua ombra ti provoca danno in maniera indiretta e inconsapevole poiché la tua anima non è in grado di sostenere il peso del pensiero di ciò che avrebbe potuto essere se non fosse stata imprigionata qui. Quindi si lacera alla sua vista, incapace di accettare il suo confinamento in quest'isola dell'Oneiron. Di fatto basterebbe non mostrarle la tua ombra per un po' perché la tua anima non soffra, ma essendo la prima una proiezione dei tuoi pensieri, non c'è modo di allontanarla. soddisfatto della spiegazione, proseguì più spedito. -La tassa di sangue è un gesto metaforico ma importante. I gesti metaforici sono sempre importanti. Pagando la tassa, è come se tu spingessi la tua anima a scendere a patti con la situazione corrente; un po' come se la prendessi a schiaffi per dirle di riprendersi e smetterla di lamentarsi. Naturalmente qualsiasi azione di questo tipo potrebbe impedire la lacerazione dell'anima, ma prendere un ago e bucarsi un dito è senza dubbio la meno dolorosa e impegnativa. Tutto qui.

-è chiaro.


LE MIE CATENE...



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Stig si allontanò di una decina di metri dal gruppo intento a scalare le mura e si sedette a gambe incrociate con la schiena contro la parete. -Cosa ci facciamo qui? Stiamo perdendo tempo. Stig ombra lo fissava con espressione crucciata, i pugni puntati contro i fianchi. -Non voglio creparci, o meglio non dovresti volerlo.
Era vero, ma non poteva allontanarsi ora.
-Siediti.
L'ombra si sedette.
-Credevo di aver fatto progressi; di aver accettato le occhiate di sospetto e disprezzo che mi accompagnano ogni volta che entro in un villaggio, o in una città, a trovare cibo nel buio, a vivere come uno di loro. Stig sorrise e inghiottì amaro. -Mi ero riempito la bocca di tante belle parole: non voglio tornare indietro, sono grato di aver sperimentato l'umanità, che tutto sommato ero felice di essere diventato qualcosa di inferiore perché questo mi aveva insegnato qualcosa!
L'ombra corrugò la fronte e abbassò lo sguardo pensierosa. -Ma non è così vero? Perché io sono qui.
-Già. Stig trasse un lungo sospiro e disse: -Se dovessi legarti a dei sentimenti sarebbero rabbia e rancore, penso più rabbia. Quindi è questo il verdetto: non ho imparato nulla, mi ero auto illuso di aver superato la mia condanna.
-Io sono quello che la tua anima desidera e allora lotta per ottenerlo.
-No, quella strada è persa ormai. Siamo qui per questo infondo: voglio affrontare i miei demoni, vederli.
La seconda ombra comparve poco dopo. Come la prima anche questa rappresentava uno Stig libero dalla maledizione e subito il drago poté comprendere che nella linea temporale che l'aveva generata non si era mai ribellato a suo padre. Se l'aspettava. In cuor suo aveva desiderato spesso poter tornare indietro e cambiare le cose, contrariamente a quanto affermava. Vedere quell'ombra lo metteva di fronte a questa innegabile verità, avendone la possibilità anche ora avrebbe voluto tornare a casa, alla vita di prima, dimenticandosi di tutto quanto.
No, non poteva affrontare questa questione ora, ma averlo davanti agli occhi perlomeno aveva l'effetto di impedirgli di negare l'evidenza. Il sentimento che l'ombra gli suscitava era il rammarico.
La terza ombra fu qualcosa che Stig non aveva previsto. Aveva le sue fattezze, dunque era uno Stig ancora vincolato dalla maledizione. Eppure era diverso dallo Stig originale, il drago lo comprese non appena capì ciò che rappresentava: Il sentimento che l'aveva richiamata era infatti la paura.
Stig originale e le altre sue ombre per un momento rimasero interdette, incapaci di rapportarsi con Stig-corrotto. Sul suo volto c’era un ghigno, ma, viste le sue condizioni, non poteva essere altrimenti.
-Questa non me l'aspettavo. Disse Rammarico.
-Che tu sia dannato. Disse Rabbia.
-NON E' COSI' MALE. Si affrettò a dire Stig Corrotto, -UNA VOLTA CHE TI ABITUI.
-È per forza un inganno! Una trappola di questo luogo! Urlò Rabbia.
-SE LA COSA VI CONFORTA.
-Adesso basta. Disse Rammarico. -Cosa vuoi fare con lui?
Stig ancora sconvolto si tirò in piedi. Voleva solo correre via da quel maledetto muro, forse non avrebbe retto alla prossima ombra.
Stig corrotto certo di non essere il benvenuto e aspettandosi una fine prematura allargò il ghigno e si avvicinò a Stig originale. -FAI FINTA CHE NON SIA DAVVERO SVANIRE. Disse. FA CONTO CHE SIA UNA PARTENZA INTELLIGENTE.
Stig si prese un'istante per chiedersi se quella dell'ombra fosse una battuta, e decise che non lo era.
-Troviamo un modo per andarcene.
Un guizzo di sorpresa distorse il ghigno di Stig corrotto.
Rabbia e rammarico fecero per dire qualcosa, ma Stig le zittì. -Tutti possiamo cadere in tentazione. Noi siamo migliori di lui, ma ucciderlo ora non farebbe altro che indebolirci e negare quello che vedo non mi aiuterà, anzi.
-Allora allontaniamoci. Disse rammarico. -Meglio evitare altre sorprese.
-Si andiamocene. Disse Stig.


CITAZIONE

Stig
75-5 tributo
55
75



Punti 4 spesi 2. allora ho speso 1 punto per andarmene dal bosco e 1 per interagire al muro. Una precisazione: visto che le ombre sono a nostra discrezione (almeno da quel che ho capito) ho deciso di far si che Stig apprendesse quale via ogni ombra generata rappresenti non appena queste si mostrano a lui. In pratica ogni ombra è legata a un sentimento (almeno uno principale sugli altri suscitati) la prima ombra rappresenta uno Stig che ha trionfato sul resto della famiglia e perciò non ha subito alcuna maledizione. (rabbia) il secondo invece rappresenta uno Stig che ha deciso di non ribellarsi, un bravo bambino insomma. (rimorso) per ultimo stig corrotto rappresenta la paura di Stig, ovvero che ciò che vuole ottenere, il suo modo di vedere il mondo siano qualcosa di malvagio. Questo Stig ha ceduto alla corruzione nel breve periodo in cui l'ha combattuta per gli interessati durante la quest Arife :D (paura)
E ok l'immagine è troppo grossa. amen.
 
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Numar55
view post Posted on 4/7/2016, 22:05




Deboli. Fragili. Patetici.
I mortali erano esattamente come li ricordavo, il fatto che fossero ombre poi non cambiava poi di tanto la situazione. Mossero una minima resistenza con i loro bastoni e in un paio di situazioni riuscirono persino a colpirmi, ma io non prestavo loro molta attenzione mulinando colpi quasi meccanicamente. La mia mente era tornata dov'era e i miei ricordi erano finalmente tornati in mio possesso; era stata una sensazione disarmante, quasi come ascoltare un racconto e scoprire di riconoscersi nel protagonista. Io ero Raell, prima schiavo, divenuto poi dio con la rinascita a Primogeno. Avevo combattuto i Maegon e divorato i loro schiavi. Avevo combattuto i miei simili ed avevo perso. Per ora.
Quando non trovai più nulla da colpire, tornai finalmente il suolo osservando con un sorriso soddisfatto la massa di cadaveri. Il sorriso però si tramutò presto in una smorfia di dolore quando il mio corpo fu per la seconda volta percorso da quella maledetta scarica elettrica. Non caddi nuovamente in ginocchio ma mi andai vicino; strinsi con forza i pugni e digrignai i denti in un ringhio. Mi piegai un attimo in avanti chiudendo gli occhi per tentare di far smettere di girare il mondo. Quando li riaprii, una folla di persone era sopraggiunta sul luogo. Ad una prima occhiata non lo notai ma appena si fecero più vicini non potei fare a meno di notare quanto fossero simili tra di loro. Anzi altro che simili: erano diverse coppie di veri e propri cloni. Identici a quelli che giacevano a terra! Con un sospiro portai una mano a massaggiare la tempia; ci capivo sempre meno di quel posto...

"Sempre così, voi nuovi arrivati. Siete pronti a menare le mani prima ancora di capire come funziona il ciò che vi circonda. Se volete stare nella fine del mondo dovrete imparare a obbedire alle sue regole, o morirete prima di riuscire anche solo a rendervi conto di cosa sta succedendo.
La tassa di sangue serve a mitigare il danno che noi ombre provochiamo ai nostri padroni, anche se questo ci affama e ci rende deboli. In compenso da ai nostri padroni più tempo per scoprire come uscire da qui, e prima che lo chiediate: no, non l'abbiamo ancora scoperto."


Alcuni cloni si erano chinati sui loro stessi cadaveri generando una scena che trovai deliziosamente comica, ma le parole di una di quella cosidetta ombre mi costrinsero a riflettere. Affermava che le ombre danneggiassero i propri padroni... valeva per tutte le ombre? Era quella la sensazione che avevo provato prima? La mia ombra sapeva di questo fatto?

"Ora andate via di qui. Non siete più i benvenuti."

Non degnai della minima attenzione l'ultima frase pronunciata da quel mortale. Mi limitai a voltarmi verso la mia ombra con sguardo dubbioso, quella rispose semplicemente con un'alzata di spalle.

"Restare qui è uno spreco di tempo!
Forse nella cittadina troveremo qualche indizio su come andarcene."


"Forse."

Il dubbio ormai si era fatto strada in me come un rampicante che cresce a ridosso di un albero. Ero certo ormai che la causa del mio dolore fosse veramente quel me dagli abiti ricchi, ma non avevo idea di come poter reagire a questa cosa. Mi sarei dovuto abbassare a quel miserabile rituale? E se invece l'ombra fosse mia nemica? Potevo davvero uccidere me stesso, o sarei morto anch'io con lei? L'immortalità aveva sempre contraddistinto la mia razza, ma in quello strano mondo ero piuttosto certo che anche qualcosa di improbabile come morire potesse accadere.
Quasi in opposizione alle mie preoccupazioni l'ombra mi mise una mano su una spalla sorridendomi solare per incoraggiarmi e invintandomi ad avviarmi assieme a lui lungo la strada del ritorno.

"Non temere, amico mio.
Probabilmente tutto questo è una prigione costruita dall'Ingannatore per vendicarsi della morte del suo padrone!"


L'Ingannatore. Non ci avevo pensato.
Eppure avevo visto le sue illusioni talmente tante volte e mai prima di allora mi erano sembrate così fisihe e reali. Per di più se l'ombra stessa fosse stata un'illusione, non avrebbe mai fatto il nome del suo padrone. E di cosa si sarebbe dovuto vendicare poi quel leccapiedi?!

"Troveremo una via di fuga.
Tu tornerai al tuo mondo ed io tornerò dalla mia Iri!"


Il suono di un ingranaggio che va finalmente al suo posto riempì la mia mente. Mi ci volle qualche istante per fare i dovuti collegamenti, ma alla fine tutto mi fu chiaro. Le labbra si distesero in un calmo sorriso in risposta all'altro.
Poi, di scatto, mossi un braccio verso l'alto aprendo un grosso taglio nel petto dell'ombra.

"C-cosa..."

Un altro fendente, un altro squarcio. Quello si allontanò da me con un salto fissandomi colmo di incredulità ed ira.

"COSA STAI FACENDO?!"

Sempre sorridendo rilassato alzai le lame osservando il sangue nero evaporare come fumo al vento, poi riportai lo sguardo su di lui.

"Scusa. Niente di personale.
Ma se quel che dicono è vero, tu mi stai lentamente uccidendo.
E ciò mi da abbastanza fastidio."


"Razza di idiota! Siamo la stessa persona!"

"Non credo."

Da calmi i miei occhi divennero glaciali. Persino da quella distanza percepii il brivido che percorse l'ombra.

"Ciò che loro hanno detto, ciò che tu hai detto...
Credo che tu sia un'altra versione di me, diversa e... inesistente."


"Sei impazzito?"

La paura permeava ormai la sua voce, come a cercare di farmi tornare sulla via della ragione, ma ormai non avevo più alcun dubbio.

"Parli della sconfitta dell'Assetato quando è stato lui a sconfiggerci, parli di Iri con passione quando quella sgualdrina di merda..."

"Non osare parlare di lei in questo modo!"

In un attimo l'ira prevalicò sul timore spingendolo ad attaccarmi. Alla pari di un animale ferito mi si gettò contro sfoderando i meri artigli, mentre da abile cacciatore evitai il suo attacco e lo colpii conficcandogli in profondità le lame in una gamba. Un semplice grugnito giunse in risposta all'attacco e quello crollò a terra. Come se niente fosse accaduto, continuai a parlare.

"Iri era una puttana dal cuore di pietra, e lo sarà fino al giorno in cui io glielo strapperò!"

Lo rivoltai con un calcio costringendolo a guardarmi negli occhi. Volevo che percepisse fino in fondo la triste verità.

"Quando l'Assetato mi rinchiuse ad Ur Lachesh, lei si mi stava guardando e RIDEVA!"

Gli schiaccia violentemente una mano con il mio piede e poi, tenendola ferma, mi inginocchiai accanto a lui con lo sguardo sempre puntato nel suo.

"Tu sei solo la rappresentazione dell'infantile desiderio che le cose non fossero andate come sono andate. Ma la realtà è una sola e tu sei un'ombra di quest'ultima, un inutile peso da portar dietro."

Ero convinto che quell'essere fosse una parte di me, e in fondo non avevo sbagliato più di tanto. Ma era una parte inconsistente, se non addirittura pericolosa, da portar dietro. Tenerla equivaleva a farsi uccidere e non semplicemente per i danni che continuava a causarmi in quello strano mondo: trascinare con sé il rammarico di ciò che sarebbe potuto essere nella mia lotta contro i Primogeni sarebbe servito solo a farmi ammazzare.
Nel frattempo l'ombra, nonostante la paura che si leggeva nei suoi occhi, emise un verso vagamente riconducibile ad una risata.

"Io sarei l'ombra?! Ma guardati...
Sconfitto, solo, sei solo un pallido riflesso di ciò che eri!"


Cercò di colpirmi al volto con l'unica mano rimasta libera, ma fu troppo lento e lo bloccai facilmente. Ora i nostri volti erano a pochi centimetri di distanza l'uno.

"La vittoria e la felicità ti hanno rammollito, la sconfitta e l'odio mi renderanno più forte di quanto sia mai stato..."

Mi allontanai di qualche centimetro osservandolo con disgusto. Sarei davvero divenuto così se... il passato è passato.

"Quel giorno giurai che avrei ucciso tutti i Primogeni.
Ironico che debba iniziare proprio da me!"


Le lame si conficcarono in mezzo al suo volto. Chiusi gli occhi con un profondo respiro, quando li riaprii non vi era alcun cadavere ma solo sottili volute di fumo.
Ora che non avevo alcun peso morto, dovevo darmi da fare per uscire di lì.




L'Artista


- Basso: 5% - Medio: 10% - Alto 20% - Critico: 40%

Fisico: 65%-20%= 45%

Mente: 65%

Energia: 80%


Passive:
- Può trasformarsi in una creatura mostruosa di notte (4)
- Capacità di volare (4)
- Insensibilità al dolore (6)
- Compiere azioni con forza sovrumana (6)
- Rende guarigione di potenza pari a consumo (6)

Attive:


Note:

Uso 3 punti per uccidere la mia ombra. Iri è un personaggio che introdurrò più avanti nelle mie future giocate. Non credo ci sia molto altro da dire... scusate per il ritardo :bah:

 
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Caccia92
view post Posted on 5/7/2016, 14:27






« Un luogo chiamato Fine del Mondo »
— una sezione del tempo Theraniano


Tutta l'adrenalina svanì in un istante e la pressione si affievolì. I muscoli si rilassarono e la mente divenne lucida, finalmente pensante. Realizzai, osservando le decine di costrutti semoventi, che la mia era una follia. Non avrei mai potuto vincere uno scontro del genere. Eppure, per quei pochi istanti di sano coraggio, per quella causa così vicina e al tempo stesso lontana dalla mia persona, ero tornato il giovane errante delle Montagne Bianche. Ma non c'era un nemico da affrontare, non questa volta: il fabbro, con la sua calma spaventosa, aveva cominciato a lisciarsi ripetutamente la barba folta. Se esisteva veramente qualcuno o qualcosa da combattere, bisognava ricercarlo nell'ombra, nel vuoto. Il fabbro sbrigava un compito, era una pedina. Un guardiano.
Stranamente mi sentivo comunque affaticato. Avevo il fiato corto e mi sentivo pesante. Avvertivo che l'armatura era tornata a premere sulle spalle e l'elmo sul capo. Sulla schiena, invece, stava Ambrinxer, riposta e pronta all'uso; cigolava lamentosa e bramosa di essere estratta. Quando era avvenuto? Quando avevo riacquistato il possesso del mio equipaggiamento?
Quel mondo si faceva beffe di me e io non avevo idea di come contrastarlo.
« Temo di non essermi spiegato. Parlare non è mai stato il mio forte. » borbottò il fabbro « Le regole non le ho fatte io, e se dico che l'ombra non può stare qui, non è perché ci sia una legge che lo vieta e che io sia qui per farla rispettare. Significa letteralmente che l'ombra non può stare qui. »
Letteralmente. Quella parola mi lasciò turbato e spaventato.
Mi voltai verso Alexander, cercando nei suoi occhi una sicurezza o un appoggio. Vi trovai sgomento. Non per la mia situazione o per le armature, ma per ciò che stava succedendo al suo corpo. Seppur in maniera impercettibile, i tratti somatici del cavaliere argentato stavano assumendo dei connotati sbagliati. La sua faccia si allungava, la posizione diveniva curva, le braccia e le gambe si inspessivano; la corazza non seguiva questa metamorfosi e in alcuni punti aveva già cominciato a deformarsi o a creparsi. Che cosa stava accadendo?
Per quanto orribile da immagine o persino da concepire, il mio sguardo stava osservando un uomo che assomigliava ad un cavallo. Ed era ironico, brutalmente ironico, che un cavaliere fosse costretto a piegarsi come la propria cavalcatura. Non riuscii ad esserne divertito.
Anzi, la bocca faticava a trattenere le urla di terrore.
« Eventualmente te la toglierò, ma posso tranquillamente aspettare che la sua trasformazione sia completa ed evitare questo scontro. Per allora, però, le probabilità che ti abbia già ucciso sono già alte. »
Il fabbro, sempre con l'innaturale calma, iniziò ad affilare il suo coltello da macellaio. Pareva a proprio agio.
« Questa città è stata costruita per ospitare la vostra anima per sempre. È la fine del mondo, d'altra parte; da qui non si va da nessuna parte. Ma è naturale che il tuo passato, il pensiero di ciò che potresti essere se non fossi qui, combatta contro il destino immortale e immutabile della tua anima, e questo conflitto potrebbe anche ucciderti. » si lisciò ancora una volta la folta barba « Quell'ombra ti sta uccidendo. Ma se me la dai, io la trasformerò in un concetto più semplice, un animale che non possa danneggiarti. E dopo di lei ne genererai altre, e dovrai darmele tutte, o la tua anima non riuscirà a scendere a patti con ciò che avresti potuto essere e invece non sei. In cambio, il tuo pensiero continuerà a dividersi e dividersi all'infinito nella fine del mondo, e così facendo non morirà mai. Vivrai per sempre, in un solo secondo. »
Dovevo ammetterlo: non ero mai stato così spaventato come in quel momento. Forse per la mia vita, per la possibilità di restare bloccato per sempre in un posto che non potevo definire realtà; forse per il destino della mia anima, intrappolata in un vortice autodistruttivo. Il solo fatto di non poter morire mi lasciava frastornato o disorientato. Non avevo paura della morte, ma della sofferenza...la strisciante inquietudine di realizzare la propria impotenza. Il blocco assoluto. A cosa servivano la spada e il coraggio in un incubo?
No. Ci doveva essere un modo per cambiare tutto quello. Una scappatoia. Una soluzione.
Un nemico vero.
« D'accordo fabbro, ti credo. Ma se non è la tua mente a dirigere questo circo, qual'è? Tu stesso hai detto di non essere l'artefice delle regole che governano il mondo. Allora, chi è il suo sovrano? »
« Oh beh, Shahryar, naturalmente. Ha avuto l'accortezza di modellare questa frazione dell'Oneiron per generare la fine del mondo. Penso che volesse rendere il luogo il più piacevole possibile per chi ci avrebbe mandato a vivere. »
Il più piacevole possibile? Era uno scherzo, forse. Continuavo a non capire se il guardiano volesse aiutarmi o semplicemente confondermi le idee. Se il suo intento era il secondo, allora ci stava riuscendo in maniera eccellente.
« E tu, fabbro? Sei vincolato a questo luogo o appartieni ad esso? »
« Si può dire che io sia stato messo qui apposta, sì. Di certo non ho un corpo fuori di qui al quale tornare. »
La mente ebbe una scossa. Distolsi improvvisamente l'attenzione da tutto il resto: le case, le mura, il cielo, Alexander che stava continuando la sua trasformazione. Quell'ultima frase aveva acceso una debole fiamma di speranza nel mio cuore.
Parlai con più forza, scacciando le ombre di paura.
« Un corpo a cui fare ritorno? Quindi è possibile farlo...questa non è la fine. »
« Uhm... sì » il fabbro si accigliò, come se stesse pensando a cosa rivelare « Dunque... come posso spiegarlo... questo luogo è strutturato per rendervi immortali, come ho accennato, ma non come pensi tu. Le persone pensano sempre che l'immortalità consista nell'allungare la propria vita, ma Shahryar qui ha provato a dividere le vostre. Immortalità per divisione dell'anima. Ecco, aspetta, fammi fare un esempio... »
Si alzò, mostrando la sua imponenza. Poi, con tutta calma, utilizzò il coltellaccio per staccare di netto uno dei rami del mastodontico albero alle sue spalle. Incise su quel ramo, con particolare minuzia, due tacche ben visibili. Me lo mostrò, indicando i segni.
« Ecco, diciamo che questo ramo è la tua anima, e che qui in alto c'è un ricordo A, e questo in basso è un ricordo B. Possiamo immaginare che il segno A sia la tua nascita, e il segno B l'avvenimento che ti ha portato qui dentro, ma non è detto, è solo un esempio. Uno può pensare a come è arrivato da A a B, giusto? E può farlo all'infinito, giusto? Ma dopo un po' la sua anima si stufa di pensare sempre la stessa cosa, si stressa dell'immobilità, e quindi... » fece una nuova tacca, questa volta al centro del ramo « Crea un nuovo ricordo qui, tra il punto A e il punto B. Se lo immagina, proprio, per reazione. E quel ricordo è la tua ombra. Lo chiameremo A1. »
Il fabbro mi stava facendo un discorso estremamente serio, eppure le sue frasi assomigliavano ad una lezione noiosa. Persino la voce seguiva un ritmo regolare e privo di enfasi.
Continuò a disegnare righe con la punta del coltello, dimostrando una certa perizia. La corteccia del ramo, nel frattempo, era quasi svanita.
« Quando poi si stuferà di A1, creerà altri ricordi. Uno qui, che chiameremo A01, uno qui, che chiameremo A11... ecco, io ora non sono abbastanza preciso, ma puoi ben immaginare che se il mio coltello fosse abbastanza sottile, la mia mano abbastanza ferma e il mio occhio abbastanza acuto, allora potrei continuare a scavare dei segni in questo ramo, facendoli sempre in mezzo ad altri due. E ti assicuro che la tua anima è abbastanza precisa. Solo che dopo un po', a furia di scavarci, esattamente come questo ramo, si spezzerà. »
E spezzò il ramo. Lo schiocco secco mi fece rabbrividire.
« Ecco, la fine del mondo è fatta apposta perché questo non accada. Fintanto che rimarrai in città, la tua anima ci metterà sempre di più a creare nuove ombre, e io te le toglierò sempre, e così avrai anche il tempo di guarire tra un'ombra e l'altra. Questo è il processo, detto un po' così come mi veniva. Il punto è... » si bloccò per un attimo, dimenticando di allacciare due concetti « ...Ah sì, il punto è che anche se il tuo corpo è rimasto dall'altra parte, la tua anima qui continua a vivere. Insomma, il tempo non è fermo. Anzi, sta andando avanti velocemente, più velocemente del solito, e anche se qui vivrai per sempre, di là...beh, non è che un corpo possa rimanere tanto senza anima, ecco. »
Numeri per identificare parti dell'anima. Segni per calcolare le possibili strade di un uomo. Parole per esprimere l'esistenza intera.
Non ero avvezzo a quei tipi di discorsi filosofici e nemmeno con algebra andavo forte. Ma non potevo semplicemente lasciar correre ed accettare la versione esposta dal fabbro con il coltello. Tutta la mia vita era stata dedicata al completamento di una missione...quante vie avevo imboccato per sbaglio? Quanti errori avevo commesso? Sommandoli potevo tranquillamente riempire le note di un manoscritto. E lo avrei fatto se mi fosse servito in qualche modo a ribaltare la situazione della Fine del Mondo. Ma non avevo intenzione di arrendermi alla semplice inevitabilità.
La mia anima, seppur macchiata di sporco, valeva qualcosa.
Cercai di ricostruire il quadro generale, trovando una soluzione per mettere in dubbio le regole delle ombre.
« Solo io ho un corpo, quindi io sono l'Anima. Ma perché dovrei stufarmi inconsapevolmente delle direzioni che prendo? La vita è fatta di scelte e proprio per questo è impossibile da definire, incidendo su un ramo le sue percorrenze, con regole ben precise e punti d'arrivo. »
Portai la lama della spada al collo di Alexander. Sapevo, nel profondo del cuore, di non poter lasciar vivere un'aberrazione del genere. Lo dovevo soprattutto per il rispetto che provavo nei confronti del cavaliere argentato.
« Se ora io uccidessi quest'ombra, essa non farebbe più parte di me. Ed è un tassello della mia Anima, una via che non ho preso. Un taglio cancellato dal ramo per mantenerne l'integrità. » rivolsi la spada verso il fabbro « Questo mondo propone rami lisci e perfettamente dritti, ma è un artificio errato. Anzi, è proprio quello che tende ad eliminare: la volubilità dell'uomo. Io già sono un ramo contorto e segnato dalle imperfezioni, contengo già tutte le anime che tenderebbero ad uscire. Perché dovrebbero farlo? Se sono ciò che sono è anche merito loro e della loro esistenza. Se tutte le strade della vita fossero a senso unico, nessuno potrebbe arrivare qui. Un paradosso, dunque. » indicai, infine, la schiera di armature che si era disposta nelle vicinanze « Come queste armature. Vuote, immortali. Prive di giudizio. Sono qui, si muovono, ma non sanno perché o per quale fine. »
Il mio braccio crollò, stressato dal peso dell'elsa. Osservai il fabbro per capirne le intenzioni, le reazioni, sperando di cogliere un briciolo di umanità.
« Nemmeno tu, fabbro, vorresti privarti della libertà di fare ciò per cui sei stato concepito. E se anche non possiedi un corpo, puoi renderti conto che la tua individualità è qualcosa da preservare. »
Ancora una volta, tuttavia, il guardiano colossale mi rispose con la calma di un maestro.
« Ah, di certo a me piace stare qui. È tranquillo, il tempo è mite, il cibo è buono... ma non sono così intelligente da pensare a tutte queste cose. Mi limito a fare quello che sono stato creato per fare, e rispondere alle domande di chi passa dalla fine del mondo. Io mi ci trovo bene in questo posto, e mi sembra assai strano che tutti quelli che passano di qui se ne vogliano andare. Però forse fa proprio parte della mia "individualità", come dici tu. Chissà. »
No. Non era umano. Anche il più insensibile degli uomini avrebbe provato qualcosa in quel momento.
« Per quanto riguarda la risposta alla tua prima domanda, direi che è proprio perché quelle scelte qui non possono essere prese, che prendono vita, diventano ombre, e stressano la tua anima. Non stufano, stressano, è un termine più adatto. Forse se ne vogliono andare, o forse vogliono aiutare te ad andartene. Ma d'altronde quell'ombra non è muta, no? Quindi se fosse così, lo sapresti. »
Ero fermo. Non sapevo più cosa dire o pensare. Non trovavo la forza per tornare a fissare Alexander, sebbene percepissi chiaramente i suoi lamenti che mutavano in nitriti. Il suono prolungato, unito al respiro accelerato, mi costringevano a chiudere le palpebre. Ignorarlo non serviva, ovviamente. Il dolore per la fine della sua esistenza mi lasciava a bocca asciutta. Ero caduto più in basso di quanto potessi sopportare ed ora...la luce sembrava troppo lontana, irraggiungibile.
Cosa dovevo fare?
« Perché si trasformano in animali? » chiesi, quasi con indifferenza.
« E chi lo sa come funziona la testa di quello scriteriato... »
Shahryar. Il nome del nemico. Un nemico impossibile da colpire.
« C'è altro che puoi dirmi su questo posto? »
« Tieniti lontano dal bosco e dalle mura. Più ti avvicini alla realtà, più ombre inizierai a generare, e questo potrebbe ucciderti velocemente. Tanto non c'è modo di superare la cinta, casomai dovesse passarti per la testa di farlo. »

Cominciai a vagare per la città. Ovunque andassi potevo constatarne la desolazione. Non vi era nulla di "vivo" in quel posto. Abitazioni, palazzi, strade e armature vuote che facevano la ronda come sentinelle. Di tanto in tanto spuntava un animale, ma ormai sapevo che le creature non erano reali. Ombre, una moltitudine di ombre che erano state legate alla Fine del Mondo come prigionieri; parti di anima strappate e rielaborate per sopravvivere. Mi domandai per quale motivo. Non aveva senso esistere in una forma così semplice e priva di scopo.
I miei piedi erano stanchi. Facevo sempre più fatica a sopportare il ragliare lamentoso di Alexander, che da alcuni minuti camminava addirittura a quattro zampe. In effetti, seppur inconsapevolmente, stavo ricercando una zona appartata per compiere il mio dovere.
Passando attraverso una piccola piazzola ornata di vasi, raggiunsi il limite della zona urbana. Oltre una collinetta s'intravedeva un fiume e più in là un laghetto circondato da animali. Altri animali. Mi voltai verso Alexander, tenendo la testa china per non osservane la bruttezza. Lui aveva capito e si ammutolì. Lentamente e con le labbra strette, recuperai la spada dal fodero sulla schiena. Non attesi perché non volevo farlo. Un colpo secco, preciso, portato con tutta la forza che avevo, staccò di nettò il legame che univa il mio corpo all'ombra. Alexander si lamentò un'ultima volta, poi si dissolse in una nuvola scura. Lo avevo liberato.
Sollevai lo sguardo per osservare il lago. Non compresi ciò che stavo vedendo, anche se ci stavo facendo l'abitudine: c'era una nuova figura in mezzo alle bestie che si abbeveravano. Era una donna, una ragazza, dalla candida veste bianca. Indossava curiosamente anche un elmo e un guanto d'arme sulla mano sinistra. E parlava...parlava con gli animali.
Se la mia mente poteva concepire altre stranezze, probabilmente ero giunto al culmine. Le gambe si muovevano da sole, sospinte dal semplice subconscio. L'espressione del mio viso doveva essere qualcosa di simile ad una maschera. Fortunatamente non dovevo per forza mostrarla.
M'incamminai, con la testa svuotata di ogni prospettiva, verso il lago. Rassegnato, distrutto, lacerato.
Esattamente come su Theras.








ALEXANDER



Mente: 75%
Energia: 30%
Corpo: 105% - 20% (peso della Fine del Mondo) = 85%

Punti: 5
Punti spesi: 5
Azioni eseguite: il personaggio parla o si approccia in modo pacifico con il PnG che ha incontrato (il guardiano in città, le ombre nel bosco o gli animali sul lago). Il risultato va determinato in confronto (1). Il personaggio uccide tutte le proprie ombre (3). il personaggio si sposta in un'altra zona (1).

Riassunto/Note/Altro:
Nulla, ho riportato e rielaborato ciò che avevo concordato in confronto con il QM. Ovviamente sono state aggiunte quelle parti che derivano dal mio punto di vista vero e proprio. Perdonate il leggero ritardo.
Al prossimo turno.
 
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19 replies since 10/6/2016, 16:56   486 views
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