Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Crogiolo

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view post Posted on 28/10/2019, 23:15
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Rumore di assi che scricchiolano, fondamenta che gemono sotto passi pesanti. Questo è il preludio di una storia lasciata da tempo in sospeso, una frase privata di un legittimo punto da parte di mano incapace di dare un finale degno, per pigrizia o incapacità. Sono passati sei anni, sei lunghissimi anni in cui la memoria si è riempita di ragnatele e buchi. Ma le mani sono divenute più grandi, il cuore a muoverle dietro rigonfio di un rimorso cresciuto giorno per giorno. E oggi, nella città della nebbia, un uomo riprende la penna ancora una volta. Un ultimo sontuoso banchetto alla fine del mondo, circondato da volti familiari e amichevoli. Ancora una volta, riecheggiano le parole: tempo e spazio si riavvolgono a questo comando, riportando l'uomo indietro. Eppure la penna esita, gratta senza inchiostro la superficie, incerta su come procedere. Era timoroso di non valere più abbastanza, non quanto una volta. Di deludere di nuovo. Un sospiro, prima di trovare nuovamente il coraggio: se aveva paura di scrivere per altri, allora avrebbe scritto per sè stesso. Per tutto ciò che aveva amato, anche avendolo tradito.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb


Crogiolo è il nome che intendo dare all'insieme di scene ambientate in tempi e luoghi diversi che man mano sento la necessità di mettere per iscritto, onde fornire più contesto tanto a me, che man mano riprendo i fili di una trama a lungo accantonata, quanto ad altri potenziali interessati. Piuttosto che appesantire i post del Lascito con flashback infiniti (cosa che conoscendomi potrei fare ugualmente), ripongo in questo scrigno i ricordi di storie mai raccontate man mano che mi vengono.
 
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view post Posted on 28/10/2019, 23:33
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La commozione nella piazza era nata per caso: un uomo che inciampando si era avvicinato troppo vicino ad uno straccione riverso per terra in una pozzanghera. Un pretesto come un altro per sollevarsi e chiedere una moneta di rame, ricevere un rifiuto aspro, magari uno sputo ai suoi piedi per rimarcare il fatto che col cazzo che avrebbe dato da mangiare ad ogni dannatissimo miserabile che popolava i bassifondi della città. Magari lui avrebbe insistito per aver pietà, trovato qualche scusa per far salire il senso di colpa e spillare qualcosa e l'altro avrebbe minacciato di malmenarlo, e alla fine uno dei due avrebbe ceduto.

Ma quella volta andò diversamente. Il malcapitato non si era reso conto della pelle grigia e squamosa lungo i lineamenti stremati del volto del mendicante, né dei suoi compagni che si erano trascinati alle sue spalle e lati chiudendogli ogni via di fuga. Solo quando aveva avvertito un rumore liquido e disgustoso alla propria destra e una botta di vento gli aveva portato il tanfo della carne putrefatta, seguito da un dolore lancinante alla gamba, che realizzò di essere in pericolo. Era troppo tardi: una delle mani dello straccione era diventata uno spuntone nero e lucente, che gli aveva trafitto da parte a parte la coscia. Aveva fatto appena in tempo ad emettere uno strillo allarmato, abbastanza perché qualcuno lanciasse un'occhiata nella sua direzione notando i tre corrotti, prima che una colata di bile sputata in faccia gli sciogliesse la gola riducendo il suo urlo inorridito in un gorgoglio inintelleggibile.

Fu silenzio e confusione, la calma prima della tempesta. Poi esplose il trambusto delle folle per le strade, scalpitando, spintonando e calpestando gli sventurati caduti sul lastricato. Le guardie inondate dalla folla, le armi ancora rinfoderate - perché sarebbe bastato un lampo di riflesso dell'acciaio negli occhi di uno solo in mezzo a quella massa impanicata per innescare un putiferio persino peggiore - non furono nemmeno in grado di vedere chiaramente da cosa stessero fuggendo. Due sole figure incappucciate erano rimaste vicine alla fonte del caos, gli esseri che da tempo avevano abbracciato appieno la Tentatio sino a permetterle di trasformarle. Una delle due portava un'asta una cui estremità era ricoperta di bende lacere, dal mantello dell'altra emergeva all'altezza del fianco una spada.

Il tumulto non si spense nemmeno quando i due incappucciati avevano estratto le loro armi e molto rapidamente ridotto i caduti a carcasse mutilate. Per l'uomo aggredito non c'era più nulla da fare: la testa si era separata dal resto del corpo, sfigurata tanto dall'orrore quanto dall'acido dei mostri. Si guardarono attorno: alcuni erano ancora rimasti a terra, tenendosi il viso o il corpo feriti dalla calca, un bambino che non potè avere che sei, forse sette anni aveva smesso di muoversi del tutto dopo aver sollevato il braccio alla ricerca di qualcuno che gli prendesse la mano e lo aiutasse. Alcuni fra loro mostravano tratti simili a quelli degli aggressori: quei quartieri ormai persi alla disperazione erano pieni di coloro che non riuscivano a reggere alla contaminazione, cedendo alle sue parole seducenti.

L'odore del sangue, il sapore della paura: abbastanza per accendere una lussuria senza fine. Le membra si animarono di una nuova forza, una linfa che scorre risvegliando nervi rimasti sopiti o brutalmente messi a tacere. Un desiderio che gonfiava il petto, un languore nelle viscere.

« Respirano solo per morire. Non rimane che un giorno, forse meno. Perché non posso aiutarli? Non vedi che soffrono? »
Jevanni non si voltò verso di lei. Sentiva il suo stesso odore, ma non la sua stessa brama. Rinfoderò la spada, lei fece lo stesso a malincuore con la lancia.
« Quella sofferenza è l'unica cosa rimasta loro. Lasciagliela. »
Ella non rispose, benchè il suo respiro tremolante tradisse comunque l'inquietudine di cui era pregna. La mano affondava nelle tasche del mantello lacero, alla ricerca di un oggetto freddo e metallico; pregava di essere estratto, messo in uso, inserito nel contesto per cui era nato. Ma anche senza vedere granché dai suoi occhi privi di pupilla, la Neiru sapeva che se avesse anche solo provato a sfoderare il pugnale, il Guerriero sarebbe stato capace di tranciarle di netto il polso in un batter di ciglia. L'elfa non provava odio nei suoi confronti, né per i poveri mendicanti disseminate per i viottoli lordi di Tanaach lasciati a pregare i loro dèi per trovare un domani; allo stesso tempo, però, sì. Lo provava eccome.

GTa9JG3

Seyrleen non riusciva più a sopportare la vista delle spalle curve dell'uomo che aveva accompagnato dall'Edhel sino alle sabbie aride dell'Akeran.
Si rese conto di provare un sentimento che non le era mai stato concesso, un germe che le stava tarlando l'anima.
Non lo aveva compreso subito - di essere gelosa.

Fu un sentore strano sin dall'inizio. Fu nella maniera in cui lo salvò da Borgoverde e dalla vendetta del Duca, strappandolo dalle sue grinfie e lasciando al suo seguito una scia di sangue nobile e non che li aveva costretti a fuggire per giorni e per notti rocambolesche e colme di risentimento. Per lui avrebbe fatto quello e altro, non per gratitudine o debito, non per buona volontà: ma perché non avrebbe saputo fare diversamente. Una sensazione che a lungo l'elfa non seppe spiegarsi, ma che inevitabilmente venne a palesarsi con più veemenza con la scomparsa della Regina senza regno e la perdita, uno per uno, di coloro che l'avevano accompagnata una volta che si era allontanata dal suo popolo. Radici tranciate con furia dal Sole Nero, appendici mai ricresciute che l'avevano lasciata senza una famiglia; solo una luce si era rifiutata di svanire del tutto, non importava quanto lontano andasse o quali trame il destino ordisse per spazzarla via come una foglia spinta dalla tramontana. Seyrleen aveva compreso che il Guerriero dell'Inverno era e sarebbe stato l'unico appiglio rimastole. E così lo aveva seguito, ovunque avesse voluto. Persino ai confini del mondo. Talvolta rimanendo in assoluto silenzio per giornate intere. Esistevano notti che trasformavano quei silenzi in pura tortura, stelle che splendevano indifferenti su un sentimento non corrisposto. Interiora rivoltate dall'angoscia di uno sguardo spento che l'uomo preferiva rivolgere al nulla piuttosto che a lei.

Erano giunti alle porte dell'Akeran, dove le fauci del diavolo si spalancavano rigurgitando pestilenza e caos - e avevano sentito il fetore del suo fiato sulla loro pelle; no, fin dentro le recondite pieghe dell'anima raggrinzita dagli orrori incontrati nella Theras ormai sull'orlo di un burrone. Lei più di lui: il mantello copriva chiazze di pelle che dal colorito di un rossastro scuro tipico dell'elfa erano divenute pallide con tracce di crepe. Man mano che appresero le condizioni della regione, meta solo naturale dopo la fuga dai regni umani e dall'Edhel troppo vicino all'Oneiron, il significato della parola Tentatio si era fatta strada nei meandri della mente di Seyrleen con ogni giorno che passava. Ad ogni sorgere del sole, qualcosa si perdeva - eppure era rimasta in silenzio, incapace di parlare a quelle spalle curve. Finché le labbra non si inaridirono, e il capo si chinò sotto il peso delle voci.

Quel giorno le voci avevano parlato tanto. E lei suo malgrado aveva ascoltato, ignorando il vociare della folla, persino ignorando la voce di Jevanni. Ad un certo punto questi aveva preso nota del suo camminare sbilenco e del suo sguardo privo di vita; le aveva chiesto se andasse tutto bene. Poi era scoppiato l'inferno, e loro ne erano stati investiti in pieno. Jevanni era sempre stato al sicuro dietro il suo cuore di ghiaccio, nonostante la ragnatela di crepe che non aveva fatto altro che infittirsi: le dita del diavolo non erano mai state in grado di ghermirlo e impossessarsene. Per lei era troppo tardi.

Prima di rendersene conto si era avvicinata ad un vecchio, il suo labbro spaccato e un occhio praticamente chiuso per il rigonfiamento sul volto a seguito di chissà quale mostruosa botta presa. Sarebbe bastato calare la punta del coltello sulla gola: non se ne sarebbe nemmeno reso conto. Il cruore era ambrosia e inchiostro, lei una fanciulla assetata e bisognosa di sfogare la propria penna; non seppe ricordare quanto tempo prima, quando ancora non si era cosparsa di cenere il volto e i capelli vermigli, aveva avvertito per la prima volta il bisogno di uccidere per sentirsi appagata. Lo aveva fatto più e più volte, sinché il Guerriero non l'aveva sconfitta e le aveva mostrato con la forza un'altra via. E se anche i suoi occhi di un azzurro smorto non si fossero mai più posati su di lei, se anche non l'avesse più chiamata con quello stupido nomignolo, lei era sicura che Jevanni l'avrebbe riportata indietro ogni volta che lei si fosse abbandonata alla sete.

Avvertì il suo sguardo vigile sulla schiena, quindi diede le spalle al poveruomo e tornò dallo spadaccino - non senza mordersi un labbro e stringendo i pugni. Si diressero senza dirsi altro fuori dalla piazza, quindi oltre dalle mura della città.

Seyrleen non odiava Jevanni. Però...però sì.
Lo odiava eccome.

Per questo, una volta calata la notte, lo pugnalò.

(...)

 
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view post Posted on 29/10/2019, 17:42
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(...)

L'aveva avvertito nell'aria. Una zaffata putrefatta, un fremito incontrollabile e febbrile che aveva permesso a Jevanni di rimanere all'erta e non cader preda del sonno. Di prepararsi al momento temuto.

Lei calò il pugnale, ma invece di trovare il suo collo affondò nel terra - rotolando sulla destra, l'uomo evitò il colpo altrimenti fatale; mentre lei tentava di estrarlo dal solco profondo scavato dalla veemenza, lui riuscì a balzare poi in piedi. Si riebbe dal breve momento di confusione e piantò gli occhi sulla Neiru. « Seyr...perchè? » le uniche parole in grado di emergere dalla gola stretta come in una morsa, prima che lei gli si lanciasse contro ringhiando stringendo il manico del pugnale con ambo le mani in un altro affondo mirato all'addome. Jevanni rimase fermo, il viso accartocciato in un'espressione sconfortata che non mutò nemmeno quando gli brillò fra le dita la spada richiamata e con il suo fodero deviò a lato attacco e attaccante, sfruttando lo stesso impeto per spingerla via e farla quasi ruzzolare. L'elfa normalmente era più furba di così, aveva già visto combattere il Guerriero. Sapeva di non essere abbastanza imponente da scalzare la sua abilità con sola forza brutale; soprattutto doveva essere cosciente del fatto che il suo intento omicida era palpabile, una fiamma che non aveva smesso di ardere per giorni. Di arderla. Jevanni era sicuro che non fosse sè stessa: per quello la spada rimase nel fodero, benchè fosse un elemento di rischio. « Perchè? Perchè no? Presto moriremo comunque. Meglio farlo divertendoci, no? » rispose lei con un sorriso debole sulle labbra, un sorriso che sarebbe sembrato genuino se le parole non fossero state così colme di sarcasmo. I denti parvero zanne pronte a schioccare, bramose di strappare le carne ad una preda, pregustando dietro le labbra inaridite un pasto di sangue ed adrenalina. Voleva combattere.

« Divertirmi? Sei pazza? » Faticava a parlare; cosa dire? Come dirlo? « Non voglio ucciderti. Nè ho intenzione di morire. » Lei rise e accarezzò con l'indice il filo del pugnale. Un rivolo di sangue scuro, quasi coagulato, fluì lungo le scanalature del pugnale e man mano plasmò una lama rossa scurissima, allungandone la portata. La vera forma di un'arma immaginata con lo scopo di uccidere ad ogni costo: sangue per sangue. « Vedi, direi che nessuno vuole morire - ma sto iniziando a cambiare idea. » Si lanciò in avanti calando un fendente dall'alto, ma la lama venne intercettata nuovamente dal fodero sollevato perpendicolarmente sopra di sè. « Non voglio combatterti » ripetè, ma la voce uscì a fatica - un groppo a impedirgli di parlare chiaramente, il petto pesante che cercava aria disperatamente. « Non voglio combatterti » lo scimmiottò, stizzita, prima di sferrare un secondo colpo questa volta dal basso diretto al piatto della lama che colse alla sprovvista l'uomo; sfruttando la sua postura ora sbilanciata, rincarò la dose sferrandogli un calcio insolitamente forte che lo colpì duramente sul fianco, facendolo quasi volare di lato e mozzandogli del tutto il poco fiato rimasto in corpo. « Sei un Guerriero, o no? È tuo dovere combattere. » Lo raggiunse lentamente, la gamba con cui l'aveva colpito lievemente zoppicante come se avesse immesso troppa energia o lo avesse fatto nella maniera sbagliata. Avesse avuto l'armatura non ne avrebbe accusato così tanto, probabilmente il ginocchio si sarebbe invece ferito molto più, decisamente una mossa poco azzardata. Decisamente non da lei, nemmeno nei momenti più sanguinari della sua vita. Jevanni fu sicuro: era opera della corruzione che flagellava l'Akeran.

« Ne ho incontrati tanti, di guerrieri. Ashlon, Alexandra, Donovan. E poi te. Siete tutti accomunati da un filo, uno che ho ciecamente seguito per tutta la mia vita. » Sollevò il pugnale e ne puntò la lunga lama scura pulsante di vermiglio verso Jevanni, colto nell'atto di risollevarsi. « Quello della delusione. » La lama guizzò cercando di recidere con un unico movimento ambo gli occhi attraversando il viso, ma lo spadaccino si gettò all'indietro lasciando che cogliesse solo l'aria, quindi con una capriola si rimise in piedi, nuovamente in posa di combattimento. Eppure Orizzonte era ancora rinfoderata. « Tutti a fregiarvi di un obiettivo, uno scopo, tutti pronti a proiettare quella radianza che i miserabili cercano di seguire per non rimanere sperduti in un'incertezza infinita. E poi - nel momento di debolezza - vi spegnete, sparite come se niente fosse. Come se fosse solo un problema vostro. » Abbassò il pugnale mentre diceva quelle parole, come se invece di liberarsi di un peso questo si fosse solo ingigantito una volta che i pensieri furono espressi a voce, mutando in piombo le sue dita. L'espressione era accartocciata in una mistura indecifrabile di emozioni che si avvicendavano come mosche su una carcassa, gli occhi incapaci di rimanere fissi su un punto per più di qualche breve istante.

« Non mi sono spento. Guardami. Guardami. Sono ancora qui. » Jevanni alzò una mano, tendendole il palmo, e nel portarvi lo sguardo sopra ella parve riscuotersi dal momento di confusione. « Non vado da nessuna parte. » Rimase in silenzio a lungo, gli occhi puntati sulla mano raschiata dalla sabbia e qui e lì scottata dal sole impietoso del deserto, bagnata dalla luce di una luna che timidamente faceva capolino da un banco di nuvole plumbee. Un sipario sollevato sull'ultimo capitolo dell'atto. Poi incontrò lo sguardo supplicante dell'uomo. « Sì. Sì, hai ragione. Non vai da nessuna parte. » La stretta sull'arma si allentò, una mano ricadde mollemente lungo il fianco. Il mantello non la copriva più, mostrando la pelle dal gomito fino alla spalla piena di graffi ancora rossi, ferite autoinflitte nella speranza di nascondere lo stato sempre più decadente risultato della Tentatio; gli occhi di lui vagarono un attimo dal suo viso ai segni che percorrevano il braccio. Un solo attimo - ma bastò a infrangere la stasi. « Non andrai da nessuna parte, quando avremo finito qui. » La mano tremò di un'emozione violenta che si impossessò di lei pervadendole i muscoli man mano di tutto il corpo, una nuova forza che non derivava dalla comune adrenalina. « Sia che vivi. » si chinò, i capelli rossastri le coprirono il volto come uno straccio lacero « Sia che muori. » Un'esplosione di sabbia dal punto in cui partì, il momento di un battito di ciglia in cui il balzo la proiettò verso la sua preda; ancora i granelli non erano in procinto di ricadere, il volto della donna era apparso ad un soffio da quello di Jevanni. La mano libera, stretta in un pugno, affondata nel suo stomaco.

Prima ancora di rendersene conto, prima ancora che gli occhi registrassero l'accaduto e prima il tocco e poi il dolore si manifestassero, il Guerriero si trovò a librarsi nell'aria allontanandosi dall'elfa. Sempre più, fino a vedere il mondo avvolgersi più e più volte, fermandosi con il viso riverso nella sabbia - gelida come la neve, ma più ruvida. Quando l'attimo terminò e il mondo si scongelò, le interiora del Guerriero strillarono dal dolore - non emise nemmeno un rantolo, contorcendosi per terra, quasi incapace di formulare un pensiero sensato. Udì, distanti come eoni, i passi incerti della Neiru e il suo respiro pesanti: parvero singhiozzi. « Tu...tu. TU. GUARDAMI » Disse infine, strillò e con un calcio riportò il Guerriero a pancia all'aria - e la guardò. Due lacrime nere lungo le guance, scie che sembravano scavare solchi nel viso e scioglierlo; il braccio che aveva sferrato il pugno era deforme, come se l'impatto l'avesse polverizzato e ora al suo interno vi fosse una qualche sostanza che si dimenava al suo interno. « Mi tocca ucciderti, perchè sia tu a guardare me! » sussurrò, la voce ridotta ad un tono stridulo, che esplose in una risata folle. « Vedi come affondo, nelle tue orme pesanti! Passi di chi non si rende conto del presente e fugge. Fugge! La mia vita, la mia stupidissima vita al tuo servizio non è bastata per trovare coraggio nel perseguire il tuo dannatissimo cammino?! »

La linea rubiconda del pugnale sfrecciò in avanti in un affondo diretto alla fronte, esattamente fra i due occhi, solo per trovare l'ennesimo ostacolo: il Guerriero aveva snudato di qualche centimetro la spada, e col piatto della lama cercava di respingere la punta rossa - ma la nuova forza della donna non gli permise di porre che due dita di distanza fra la lama gelida di Orizzonte e la fronte lucida di sudore. « Quanto tempo sei rimasto fermo? Abbiamo camminato, oh se lo abbiamo fatto, ma non ci siamo mai mossi. E io stupida, stupida io! Stupida a sperare che tu potessi finalmente decider--! » Il braccio sinistro si rigonfiò improvvisamente e le parole successive si strozzarono in gola, forzandola ad indietreggiare stringendosi la spalla. Lo spadaccino non esitò e approfittò dell'attimo cruciale: ignorando il dolore lancinante all'addome nel sollevarsi di scatto, fece balenare la lama cerulea due volte - tanto velocemente che parve un unico fluido movimento, partito in un arco che terminò con la spada nuovamente riposta. La lama del pugnale tranciata fino all'impugnatura cadde nelle dune, il sangue che l'aveva allungata tornato alla sua forma liquida che andò a tingere di rosa l'Akeran; seguito subito dopo, il braccio di Seyrleen - di un grigio ormai tendente al nero - si afflosciò al suolo pompando cruore che di umano aveva ormai ben poco. L'elfa non ebbe il tempo di capacitarsene, ancora stordita dal dolore che la corruzione le aveva spedito nell'arto ormai assente, che una spallata del Guerriero la spedì a terra. Il coltello ormai inutile le scappò di mano, dalla spalla monca uscì un liquido impuro e viscoso che sciolse la sabbia sottostante.

« Non... » tossì, piegato in due dalla sofferenza che le contusioni ancora infliggevano. « ...non sono una luce. Non lo sono mai stata. Non ho mai voluto esserlo. Ero "qualcuno" molto, molto...molto tempo fa. E ho fallito. Non sono un condottiero. » Lei sussultò, un ardore indicibile che avvampò spietato l'intero corpo come lenzuola infernali. Sapeva cosa le stava succedendo - lo aveva saputo a lungo - ma non aveva mai saputo come fermarlo. Forse, non ci aveva nemmeno mai pensato. « Lo eri per me. » mormorò debolmente, il volto ormai rigato e macchiato da pece se non per gli occhi bianchi privi di pupille. Non era mai riuscita ad abituarsi davvero al sole, e anche guardare fissa la luna le pizzicava ancora. La superficie era un mondo alieno, completamente diverso - solo, non era mai riuscita ad apprezzarlo appieno. Non era mai stata in grado di vederla con quei suoi occhi appannati, abituati al buio. Però al fianco di Jevanni era riuscita a scorgerne fosse pur per poco, fosse pur male, i colori vibranti e le forme smisurate. « Continui a pensare a lei. » Lo spadaccino, che si stava avvicinando all'elfa, rimase paralizzato. « Non hai mai smesso. Anche quando c'ero io, disposta ad affrontare il domani con te - lei era più degna dei tuoi pensieri. »

Fu come se un maglio si fosse abbattuto sul suo petto, un dolore più atroce di quello inflitto dallo scontro antecedente. Parole dette con tono flebile, sereno, scevro dalla fatica e dal cinismo che avevano caratterizzato da sempre la Seyrleen nata con la scomparsa di Lady Alexandra. Volle rispondere, ma non ci riuscì. Volle prenderle la mano, ma i muscoli non riuscirono a muoversi. « Non ho mai avuto sogni. Mi dicevo che non importava: che servire un sogno superiore fosse altrettanto onorevole. Che sarebbe bastato realizzare la felicità di qualcun altro, aiutarlo a costruire il mondo a cui aspirava, a darmi pace. » Il Guerriero si destò dalla costernazione nell'avvertire un moto sotto la sabbia: fece appena in tempo a scartare di lato che da sotto i piedi, dove si trovava nemmeno un attimo prima, che spuntò un fiotto grigio-giallastro dal suolo. Uno zampillo d'acido che sfrigolò lungo i bordi e schizzò il dorso della mano sinistra del Guerriero, ustionandolo, prima di ritirarsi con la stessa irruenza con cui era sgorgato. Seyrleen esalò un sospiro. « Oh. Come mi sbagliavo. » La spalla si rigonfiò mentre il liquame acido si dipanava e si agitava fluendo dal sottosuolo e ritornando al suo corpo, strappandole qualche smorfia di dolore e gemiti strozzati. « ...ognuna...di queste fiamme si è spenta, lasciandomi da sola a vagare nei loro tizzoni morenti. Cioccadicenere...il mio nome è sempre stato il presagio. »

« Non importa. Non più. »

La corruzione sgorgò nuovamente come un torrente dalla Neiru e si solidificò in un nuovo arto, amorfo e ricordante solo alla lontana un braccio - chiaramente smisurato rispetto al suo possessore, grottesco sul corpo aggraziato che aveva combattuto assieme a Jevanni Glacendrangh durante il Crepuscolo anni addietro. Ma il tempo le era stato inclemente: con esso, anche la storia. E più di tutti, si rese conto il Guerriero con orrore - lo era stato lui.

« Ti prego... »
"Fermati."
Non riuscì a dirlo.

« Cenere sono, cenere tornerò. Ormai è tardi. » Il braccio tornò fluido e la avvolse come una gigantesca mano e la risollevò in piedi, quindi guizzò come una frusta ad afferrare la lancia dell'elfa, rimasta conficcata nella sabbia assieme agli effetti personali di entrambi. Non molti: viaggiare giorno per giorno sarebbe stato faticoso con troppo peso sulle spalle - ma in due erano riusciti a dividersi il fardello. In due. L'acido sciolse incurante le bende di Flêche e rivelarono la sua punta biforcuta. Jevanni dovette dar fondo a tutta la sua forza di volontà per tenere a bada gli occhi lucidi e brucianti. « Non posso farci nulla. Solo uccidendo il mio appetito viene saziato: se non so creare, distruggerò. Se non so amare, odierò. » L'intero corpo aveva ormai assunto un colore grigio scurissimo ricoperto di venature giallastre, più simili a crepe, calcate e spesse lungo dove una volta il Fiume aveva fatto il suo corso dandole un'identità. Uno scopo. Anch'esso, forse, fasullo. « Una volta mi hai detto di non puntare mai un'arma contro un guerriero - nemmeno per scherzo. Perchè è un gesto che invita a far lo stesso, una sfida a cui bisogna rispondere a tono. » I capelli erano l'unica parte ancora viva e rossa, forse persino più di quanto non lo fossero stati da quando era divenuta un fiore reciso. Si muovevano, animati da un vento inesistente che li faceva ondeggiare sopra le spalle esili. « Ti ho rivolto contro il pugnale che tu stesso mi hai dato in dono. Ti ho vomitato in faccia i miei sentimenti sapendo che ti avrebbero ucciso. Ora ti punto contro la mia lancia: cosa devo fare perchè tu estragga quella spada? » Cosa devo fare, perchè tu mi spenga?

Il Guerriero cedette. Si lasciò cadere in ginocchio e si strinse il petto dolorante, digrignò i denti e sfogò il suo pianto silenzioso dinanzi alla creatura che era una volta Seyrleen - lacrime di tristezza e rabbia. Lacrime di disperazione. Non voleva farlo. Sarebbe significato restare di nuovo solo, ancora una volta - persino la mera consapevolezza di avere un altro paio di orme accanto alle sue, il conforto che qualcun altro sapesse che lui era vivo, al mondo, gli sarebbe bastato. No. Una stilettata di gelo gli entrò nell'animo. Non è affatto vero. Giorno dopo giorno si era trascinato lontano dall'Edhel, lontano da dove il marchio nero di Ilthan pulsava più vivido; quando Seyrleen aveva iniziato ad accompagnarlo, si era detto che era perchè non voleva metterla a rischio: lo Specchio avrebbe potuto sfruttarla, ferirla, ucciderla. La realtà era che aveva paura. Aveva paura di cosa avrebbe trovato una volta alle pendici della torre spezzata - no. Di cosa avrebbe potuto non trovare. Eppure nell'intraprendere quel cammino non aveva mai smesso di pensare a lei: il suo viso morbido, i suoi capelli profumati e il calore delle sue braccia attorno al collo. La promessa mai mantenuta. Nel nome di quella promessa, nel nome di Visilne, aveva ignorato l'elfa e segretamente posto una barriera che aveva fatto impazzire entrambi, chi una maniera e chi in un'altra, sprofondando in un oceano di sogni affogati nell'indolenza.

Ora, ai confini del mondo, tutto era finito.
Non c'era più dove correre, e Seyrleen aveva piantato i piedi per terra.
« Non voglio... »
sussurrò lui. Lei scosse appena il capo.
« Non fraintendermi: non ti lascerò da solo.
Ti trascinerò con me.
Moriremo entrambi qui,
consumati da questo potere proibito,
sciolti in un unico crogiolo
finchè qualcuno più coraggioso di noi
non ci ucciderà al posto nostro.
»

Jevanni sussultò, un singhiozzo represso e strangolato per non spezzare il lungo silenzio che seguì.
Quando rialzò il capo le labbra erano incurvate in un sorriso, gli occhi rossi socchiusi in agonia.
« Devi imparare a convincermi meglio, Lina.
Non pare molto allettante come proposta.
»

Si puntellò sul fodero per rimettersi in piedi e portò la mano solennemente all'elsa, lentamente estraendo la lama blu scuro. Assieme ad essa, volute di foschia si spansero nell'aria fino ad inghiottire entrambi in coltri spesse. Presto non vi fu nulla più che un pallore di perla, che nemmeno lo sguardo della luna sarebbe riuscito a penetrare.
« Quel nomignolo... » sussurrò. « Non hai idea di quanto sia stupido. »
Sorrideva anche lei. Lo spadaccino era sparito nel grigiore, ma sapeva che non avrebbe approfittato della nebbia per fuggire.
Non quella volta.
« Io sarò cenere frigida allo scoccare dell'alba.
Ma tu...tu abbi cura della fiamma che ancora ti aspetta. Te ne prego.
»

Quando la nebbia si mosse alle sue spalle,
lo accolse a braccia aperte.


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Seyrleen è un PnG (link) nato durante le quest aperte del Valzer al Crepuscolo, precedentemente parte dei predatori dei Neiru che in seguito si è unita al Sorya. Benchè sia stato utilizzato poco effettivamente su Asgradel, chi ha avuto a che fare con me anche quando mi sono allontanato dal forum sa che mi ci sono affezionato abbastanza (pur magari non ricordandosi dell'originale creata qui) da portarmi una parte di lei altrove; le storie da cui era nata sono continuate almeno nella mia testa a lungo, e pur non potendole raccontare per iscritto, ho scelto di darle un finale su Asgradel con la scena Rakshasi, divisa in due parti perchè davvero troppo lunga.
 
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view post Posted on 30/10/2019, 19:01
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path

« Stupido. »
Un rumore indistinto, appena udibile; un peso si abbattè contro la porta, il legno cedette quasi subito, marcito come era dai venti infausti delle cime dell'Erydlyss. Dalla casa dalle mura storte, rudere ormai incapace di contenere la furia della bufera, ruzzolò una figura bianca. Lasciò una scia profonda nella neve, e presto altri fiocchi partirono a ricoprirla: una mantellina sulle sue vesti lacere, macchiate di nero in più punti di sangue ormai rappreso da tempo. Una coperta candida lasciata dalla mano pietosa di una consorte preoccupata - ma nessuno si sarebbe mai premurato di seguirlo in quella traversata. Jevanni Glacendrangh aveva seguito la via opposta rispetto a molti umani ed elfi, raggruppati in colonne munite di fagotti, carri e asini scheletrici nell'impresa di lasciarsi del tutto alle spalle l'Edhel. Aveva scelto di scalare le montagne per raggiungere l'incubo che avanzava.

Dalla soglia della casa emerse un altro uomo, ampie vesti grigie frustate dalle correnti infauste plasmando un corpo massiccio. I suoi occhi verdi smeraldini erano fissi sulla figura riversa a terra, assottigliati non per l'intensità della tormenta, ma per l'espressione di autentico fiele.
« Sei così stupido, Ilthan. Perché sei così stupido? »

Sollevò un braccio, palmo aperto, quindi lo calò bruscamente a palmo aperto e dita allineate mimando un taglio dinanzi a sé. Il fagotto bianco riprese vita e rotolò di lato, scrollandosi di dosso la neve e risollevandosi su un ginocchio; al suo fianco si aprì violento varco nella neve, profondo sino a far vedere il terriccio nero ormai brullo. Ansimante, ciocche bianche lungo le guance visibilmente arrossate, il corpo in tensione in perfetta contrapposizione alla quiete emanata dall'uomo sulla soglia. In una delle mani stringeva una spada dalla lama scura, riflessi blu che baluginavano alla luce di un sole strozzato dalle nubi, faticosamente puntata verso l'aggressore in piedi.
« Luce e ombra, fuoco e acqua, giorno e notte, bianco e nero. Eppure eccoci qui, ancora oggi. »

L'ululare del vento coprì i passi dell'uomo verso Ilthan. La strada del villaggio era deserta, come del resto lo era il villaggio stesso: il lezzo dell'invasione dei demoni era arrivato da tempo a Linanne, nome ricordato solo da un cartello sepolto e sbiadito - un'umile lapide. Era giunta la paura, così tipica di coloro che non sono in grado di imbracciare le armi e combattere, e così scelgono di sopravvivere lasciando indietro una parte di sè. Il Guerriero aveva a lungo dato per scontata la dicotomia fra paura e coraggio: aveva impugnato la spada per intagliare il proprio cammino alla stessa maniera con cui un carpentiere disegna volute su un tavolo: metodicamente, pazientemente, senza emozioni, senza pensieri confusi. Era come se la memoria tattile trasmettesse una scintilla e poi un torrente di serenità e determinazione lungo il corpo.

Ilthan calò la spada conficcandola nel terreno, usandola per puntellarsi e rialzarsi barcollante in piedi. Dalle labbra si liberava vapore, aria condensata in volute, sudando bile mista a paura. La stessa paura che aveva arbitrariamente dato come soluzione alternativa all'affrontare l'avversità; non aveva mai pensato che il peso della sua spada potesse trascinarlo in basso, che persino avendo i mezzi per contrastare il nemico egli sarebbe stato assoggettato dalla paura. Mai avrebbe detto, mai nemmeno pensato, concepito, che avrebbe potuto provarla mentre combatteva. Ilthan aveva combattuto per tanto, tantissimo tempo la sua ombra.

Ogni volta l'aveva sconfitta.
Con ogni sconfitta spariva qualcosa.
E, dopo ciascuna sconfitta, ella si lanciava nuovamente al suo inseguimento.

Era tornata anche quella volta.

« Bianco e nero non possono coesistere, e allora perché? Perché vorresti ancora avvicinare il mio mondo al tuo? »
Un altro respiro affaticato, aria calda che si disperse subito nell'aria pungente, ma nessuna risposta. Un lampo percorse la lama nel suo guizzare in alto sollevando terriccio e batuffoli candidi a lordare il viso dello Specchio e spegnergli per qualche breve, vitale attimo la vista. Ma imperturbabile lo Specchio intercettò il fendente successivo con il palmo della mano, quasi accogliendo l'acciaio sulla pelle liscia e priva di imperfezioni con la naturalezza di chi stringe la mano ad un amico. Come era sempre stato, come sempre era accaduto, perché quella era una recita che aspettava il calare della notte e il risollevarsi delle palpebre per riavvolgersi e pazientemente, non senza una goccia di sadismo, dipanarsi per mano dei due attori.

L'ultima battuta quella notte non riuscì a scalare la gola e librarsi in volo. Bastò però lo sguardo: occhi di un azzurro tendente al grigio incavati in occhiaie mostruose di chi aveva cessato da tempo di dormire sogni tranquilli. Erano spalancati sulla figura serena di fronte a sé. Perché sì. Un turbinare di ragioni incrinate dalla disperazione, attorcigliate e avvolte in un'unica matassa che ad ogni risveglio diveniva ancora più intricata. Il mondo stava cadendo, immagini che si sbiadivano o cadevano a pezzi; un mare di uomini e donne, ciascuno di loro con vite e morti e voci che risuonavano in templi ormai vuoti, addii e risate cariche di paura per un futuro incerto.

E lui era lì fermo mentre l'oscurità incedeva, alla ricerca di una fiamma.

Una lacrima salata scivolò a riscaldargli le gote.

« E perchè tu vorresti dopo tutto questo tempo fermarmi? Non ne sei stato in grado prima, nè i riflessi che hai spedito a darmi la caccia. » Il volto dell'altro si corrugò appena. « Può un eretico chiedere al sacerdote perchè osservare il decreto divino? Oltre al corpo ti si sta rammollendo il cervello, Guerriero? »

I poteri concessi dal marchio di Velta gli avevano permesso di scorgere mondi che non avrebbe dovuto scorgere, volti e sagome di coloro che non sarebbero nemmeno mai dovuti camminare al suo fianco, men che mai poter udire la sua voce. Jevanni lo sapeva. Aveva tenuto a bada quelle visioni, ignorandole, fingendo che non esistessero. Credendo che si sarebbero risolte, come una ferita che si rimargina. Poi, però, qualcosa si crepò: la barriera fra i due mondi iniziò a mostrare le sue debolezze, e man mano dalle fessure colò la curiosità che è inevitabile negli umani. Gli occhi avevano dapprima visto il nulla - poi lo videro. Infine, lo osservarono.

Non ricordava nemmeno più quando era successo. Quando invece di limitarsi ad osservare da lontano si era avvicinato sempre più, tanto da poterne appannare col fiato la superficie speculare che dava al mondo oltre la realtà, tanto da appoggiarvi le dita e infine penetrarla con la stessa brama di un pirata che affonda le mani in un tesoro. Non ricordò quando fu la prima volta che tentò di estrarre dallo specchio qualcosa e trovando briciole, ombre e poco più - effimere fiammelle prossime al morire praticamente subito - solo per poi sollevare il capo e scoprire un altro paio di occhi piantati su di sé. Come lance di cacciatori di fronte alla loro preda, una missione mortale da compiere.

Lo spadaccino impugnò con ambo le mani l'arma e si lanciò in una fitta sequenza di attacchi, quasi una danza. La sagoma dell'altro, schermata da una barriera di luce liquida che pigramente ammortizzò ogni singola offensiva, si stava iniziando ad offuscare man mano sotto gli assalti. Era solo una manifestazione del potere del vero Specchio, intrappolato nell'Oneiron come Ilthan in Theras, impedendogli di portare la sua vera arma e affrontare il Guerriero alla pari. Ogni volta questi era riuscito a sconfiggere questi riflessi, ma ogni volta essi imparavano qualcosa di più. E ogni volta, un trucco in meno avrebbe funzionato su di loro. Ma lo stallo era solo temporaneo. Seyrleen non c'era più a dargli man forte.

« Stai diventando sempre più debole. »
Anche tu.

Una risposta che non ebbe tempo di pronunciare: l'energia esplose in un'onda concentrica che, per la seconda volta quella giornata, colse lo spadaccino di sorpresa sbattendolo persino più lontano. La spada gli sfuggì di mano, rimbalzando e affondando nella neve con lo stesso silenzio del suo padrone, nuovamente sdraiato nella terra ricoperta di bianco frigido, senza fiato per la batosta. La mano destra esposta ai rigori fino al gomito pulsava doppiamente: ardeva dal dolore e gelava per il marchio nero che la pervadeva; la maledizione mascherata come dono che aveva spinto i suoi passi sino a giungere in quel punto, in quel momento. La maledizione che gli aveva lasciato quel nome, derubandolo però di tutto il resto.

Il mio mondo al tuo.
Non poteva dargli veramente torto. Per quanto annebbiata fosse la sua mente, quel poco riusciva a riconoscere: realtà e sogno non dovevano coesistere. E allora perché? Perché per lui poteva essere possibile?
Chiudeva gli occhi e riusciva ancora a vederla.
Velta.
I sogni andati.
Le storie passate, future e mai accadute.
Quando riapriva gli occhi non sparivano: erano sempre .

Perchè lui era Ilthan Ahil.

Lo Specchio allontanò ulteriormente la spada cerulea con un calcio sull'elsa dal suo proprietario, squadrando quest'ultimo dall'alto con un'espressione non di trionfo, non disprezzo, astio né rabbia. Era un'espressione stanca. Un cammino durato quella che poteva apparire come un'intera vita, o una porzione abbastanza lunga perché nessuna delle due parti riuscisse più anche solo a reggere lo scontro. Abbastanza lunga perché nemmeno vederne la fine desse una qualche gioia. Estese il braccio tendendolo verso Ilthan e spalancò la mano per ghermirgli la gola, porre fine a quel capitolo - quando un improvviso movimento ai lati del proprio sguardo catturò la sua attenzione.

Un attimo troppo tardi.
L'ombra onirica animata come da fili invisibili partiti dalla mano marchiata in nero di Ilthan guizzò in volute nere e assunse una forma umanoide. Un uomo senza volto reggeva una spada, sollevata sopra il proprio capo: una linea nera tremolante nell'imperversare della tempesta come una tenue fiamma di candela; la calò brutalmente sulla nuca dello Specchio.

Questi barcollò sotto l'impatto, eppure non cambiò per nulla espressione: ci mise qualche secondo prima di rendersi conto di cosa fosse successo, tastando la lama affondata fino a dove si sarebbe dovuto trovare il pomo d'Adamo.
« Alla prossima volta...Guerriero. »
Una voce sarcastica scevra da sofferenza, come se il dolore non fosse che uno sbadiglio represso, come se l'ennesima morte inflitta dallo spadaccino non fosse che un inconveniente previsto. Senza emettere una goccia di sangue cadde al suolo, ad un palmo dalla preda ambita. Sparì dissolvendosi nella neve, lasciando dietro di sé solo la sagoma dei suoi passi - almeno per qualche momento, perché il vento li cancellasse poi senza troppe cerimonie.

Così la recita terminò ancora una volta, lasciando l'uomo in mezzo al campo candido senza fiato. Centinaia di Guerrieri prima di lui avevano combattuto ed erano morti nel nome di ciò per cui credevano - o così diceva il maestro Asmus. Quanti fra loro erano morti in mezzo al nulla, incapaci di proteggere ciò che amavano? Quanti prima ancora di riuscire a conquistarlo? Quanti erano arrivati a perderlo, proprio combattendo? Non aveva mai ponderato queste domande; sarebbe stato come soffermarsi sul ciglio di un abisso colossale, nessuna fine in vista. Nè poteva farlo in quel momento - la meta si avvicinava, nel fitto dell'Edhel dove le spoglie dormienti di una torre ancora sorvegliavano una terra incapace di colare nel sogno, come un boccale dal fondo bucato incapace di trattenere. E lo spadaccino se ne rendeva conto giorno per giorno, sentendo la presenza sempre più forte di un Ilthan che lo spiava dall'altro lato dello specchio, pronto all'imminente confronto finale.

Si rialzò a fatica massaggiandosi i polsi, poi la fronte imperlata di sudore con il dorso del braccio - un braccio martoriato da cicatrici passate, le stesse che si portava dietro da una vita. Poiché combattere era il suo compito. Lo era ancora, dopotutto. No? Il tono canzonatorio dello Specchio prima di svanire non era stata che un'eco dei suoi stessi interrogativi. Poco più in là l'ombra strappata dall'Oneiron aveva lasciato cadere la spada e si stava stringendo il corpo, sussultando visibilmente come se scosso da brividi e cingendosi le spalle, magari a cercare conforto e calore - eppure non ne avrebbe trovati. Benché non avesse un volto, l'uomo dai capelli bianchi riusciva perfettamente ad intravedere in quei lineamenti sfumati ed incapaci di prender forma l'emozione che li pervadeva. Come non avrebbe potuto? Era la stessa che provava lui.

Lo lasciò al suo destino, recuperò la spada e la rinfoderò; dopo aver recuperato i suoi averi, il suo sentiero nella tormenta si perpetuò ancora una volta lasciandosi anche Linanne alle spalle. Il grosso della scalata era finito, presto sarebbe arrivata la discesa. Non sarebbe arrivata con essa la parte più facile; quella no. Dopotutto, il cammino lo avrebbe portato proprio dove tutto era cominciato.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb


Ilthan (link alla scheda per leggere l'artefatto) è il dono ricevuto come premio per l'Ad Extirpanda ed è una delle chiavi che mi ha permesso di mutare drasticamente un personaggio senza una meta precisa, trovandogliene una - un'idea che senza dubbio devo ad Eitinel, anche se l'ho sfruttata molto più in ritardo di quanto avrei dovuto o potuto. La sua abilità di permettere a Jevanni di percepire l'Oneiron e interagire coi suoi abitanti lo ha a lungo confuso, ed è una delle storie che se avessi avuto le energie avrei potuto raccontare più in dettaglio. Adesso a mancarmi è, invece, il tempo. Ad ogni modo, la scena Path (cronologicamente ambientata dopo Rakshasi), è stata effettivamente scritta prima di tutte le altre per aiutarmi a riprendere la mano con Jevanni, vuole dare un'idea più precisa del presente generico del personaggio - il risultato di tutto ciò che è successo dalla mia sparizione fino al manifestarsi degli eventi che segnano l'inizio del Lascito, piccoli racconti che forse lascerò nel crogiolo. Dopo una fuga dall'Edhel per evitare gli scontri con lo Specchio generato dallo sfruttamento dei poteri di Ilthan, finalmente Jevanni ritorna.
 
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3 replies since 28/10/2019, 23:15   88 views
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