Sono passati ormai tre anni dalla distruzione del clan Ennòn a opera di Drakar e di quel gruppo di criminali rimangono solo brutti ricordi e i resti di una villa bruciata, in uno sperduto paesino del mondo terreno. Tuttavia ci sono cose che non andrebbero trascurate e l’illusionista lo sta per scoprire a caro prezzo: alcuni superstiti sono in cerca di vendetta e sanno perfettamente dove possono trovarla.
Il giovane correva nella fitta e lussureggiante foresta attorno alla nave del clan. Il tridente stretto nella destra, pronto alla battaglia. Mai avrebbe immaginato di passare quella mattina così, alla ricerca di un fantomatico e tremendo nemico nascosto tra gli alberi. Normalmente era una persona calma, che rifletteva prima di agire, ma non poteva permetterselo, non in quell’occasione almeno. Muovendosi tra le piante giunse in una piccola radura dove finalmente trovò il suo bersaglio: sedeva su una roccia, chiaramente in attesa dell’illusionista. I loro sguardi si incrociarono e per un breve istante i due provarono una grande rabbia l'uno nei confronti dell’altro. L’individuo si alzò e, con tono pacato, semplicemente disse:
« Ti stavo aspettando. »
Una battaglia stava per iniziare. Uno dei due sarebbe morto quel giorno.
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Tutto era iniziato in modo normale. I raggi del sole erano filtrati debolmente attraverso le tende che ricoprivano l’oblò, giungendo agli occhi di Drakar. Le due fessure si erano aperte, timide, abituandosi a quello stato di semioscurità. Dopo un lungo sbadiglio si era tirato su e, giunto nel bagno personale della sua stanza, piccolo privilegio ottenuto con l’accesso nella gerarchia, aveva aperto il rubinetto, immergendo il volto nell’acqua fredda. Il contatto con il liquido gelato l’aveva svegliato definitivamente, rendendolo lucido e pienamente cosciente. Ma qualcosa stava per accadere, qualcosa che l’illusionista non avrebbe mai potuto immaginare. Dopo essersi vestito con i soliti abiti, giacca, scarpe e pantaloni scuri, maglietta bianca e cravatta nera, si era diretto verso la cassapanca, per prendere i suoi piccoli tesori, i due magnifici anelli. Qui, sotto i preziosi monili, aveva trovato un foglio di carta bianca, ripiegato su se stesso più e più volte.
Rimase immobile, fissando quel messaggio: come diavolo era arrivato lì? Nessuno poteva essere entrato in quella stanza: era chiusa a chiave dall’interno e se qualcuno avesse provato a forzare la serratura lui se ne sarebbe sicuramente accorto. Allora chi era stato a riporlo in quel luogo? La domanda rimaneva senza risposta: ciò che restava da fare ora era leggere il misterioso biglietto. Con fare cauto e dubbioso aprì la lettera e, quasi riluttante, iniziò a leggerla.
Foresta, a nord della nave. Troverai un piccolo spiazzo e io sarò lì. Vieni subito. Nienor Ennòn Saeros.
Quelle parole furono come macigni per il ragazzo, che si era seduto immediatamente sul letto, evidentemente scosso. Ciò che aveva causato tale reazione non era stata la strana brevità del messaggio, il suo alone di mistero o i suoi modi imperativi, ma il mittente. Conosceva Nienor da quando era entrato nella famiglia criminale Ennòn all’età di dieci anni: si trattava di uno dei migliori maghi del clan, esperto in incantesimi di distruzione e votato all’omicidio. Proprio per la sua esperienza era continuamente mandato da una parte all’altra del mondo, a seconda di dove i suoi servizi fossero richiesti. E ora cercava lui, probabilmente per vendicarsi della distruzione del clan.
Nonostante avesse distrutto la sede principale e ucciso tutti i membri presenti nell’edificio, compreso il capo stesso della famiglia, Drakar era conscio che qualche Ennòn doveva essere sopravvissuto, poiché assente al momento della sua dolce vendetta. Ma mai, mai avrebbe immaginato che qualche superstite riuscisse a rintracciarlo e seguirlo persino all’inferno. Ma in quel momento l’illusionista non provava paura, bensì meraviglia. Confidava nelle sue capacità ed era certo di poter sconfiggere e uccidere chiunque lo minacciasse. Persino se si trattava di Nienor, esperto e temuto incantatore.
Si fermò un secondo a pensare: ma se lo voleva morto, perché aveva scritto quella lettera e non si era limitato a coglierlo di sorpresa, in modo da eliminarlo più facilmente? La risposta giunse dopo un veloce ragionamento: probabilmente non voleva inimicarsi il clan Goryo uccidendo un membro all’interno del suo quartier generale, oppure più semplicemente voleva sconfiggerlo in un duello leale e onorevole. Poco importava. Ciò che contava veramente era trovare quell’essere e ucciderlo. La sua vendetta non si era certo conclusa quella fatidica notte di tre anni prima: per considerarsi pienamente soddisfatto avrebbe dovuto eliminare ogni singolo membro del clan che si fosse messo sulla sua strada. Compreso quel folle omicida. Se quindi il signor Saeros aveva buoni motivi per uccidere Drakar, ora anche lui ne aveva per fare lo stesso con l’assassino.
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Nienor era un uomo sulla trentina, con capelli fluenti e neri come l’ombra. Gli occhi verdi e profondi, così come le orecchie leggermente appuntite, erano un simbolo di lontana discendenza elfica, alla quale probabilmente doveva gran parte del suo potere magico. Le vesti erano scarlatte, così come il mantello, stracciato in alcuni punti. Fissava il giovane con uno sguardo imperscrutabile, in silenzio, dopodiché si decise a parlare, sputando nelle parole che disse tutto l’odio e il rancore covato in questi anni:
« Hai distrutto la mia casa, hai ucciso la mia famiglia e ne hai cancellato ogni traccia. Tutto è andato in fumo quando hai appiccato il fuoco alla nostra nobile magione. Ti ho inseguito per tre lunghi anni, cercandoti ovunque e arrivando persino all’inferno. Ma, prima di prendere la tua vita, ti voglio fare una semplice domanda. Perché… - e qui si interruppe, distogliendo lo sguardo per qualche secondo, per dire poi con enfasi - Perché hai tradito la tua stessa famiglia?! »
Delle lacrime iniziarono ad affacciarsi agli occhi dell’assassino, gocce non solo di tristezza ma anche d’ira, di collera. Davanti a tutto ciò Drakar scoppiò a ridere, senza alcun ritegno. Non era solo quello strano spettacolo a divertirlo, un lupo che davanti a un altro lupo si maschera da agnello scoppiando in lacrime, ma anche l’idiozia di quell’individuo. Era sconcertante, del tutto priva di logica. Per prima cosa dalle sue parole si capivai che Saeros aveva considerato l’illusionista un fedele membro degli Ennòn. In realtà quel clan era stato per il giovane solo uno strumento, sin dal suo primo ingresso nella grande magione, la sede principale della famiglia. Inoltre considerava la morte dei suoi compagni alla stregua di quella di un gruppo di innocenti. Invece tutti i morti per mano del ragazzo in quella fatidica notte erano stati dei criminali, assassini, ladri, stupratori. Tutti avevano già ucciso. Ma evidentemente quell’individuo che ora aveva davanti non riusciva a capirlo quindi decise di spiegarglielo, di dirgli le ragioni che l’avevano spinto a compiere quella strage.
« Faust Ennòn Berger era il mio maestro, l’unico di cui mi fidassi all’interno del clan. Lui era come un padre per me e tutto ciò che so riguardo a me, alla mia vera natura, lo devo a lui e alle sue ricerche. Era ciò che più mi ricordava una famiglia. E adesso è morto. Per colpa del capo del clan… - smise di parlare, portando il tridente davanti a sé, con una stretta presa sulla superficie lignea - Per colpa della sua idiozia Faust morì in missione e io, per placare le mie sofferenze, mi vendicai di tutti gli Ennòn. E la mia vendetta non si è ancora conclusa. Fatti avanti. »
Drakar terminò il discorso con un sorriso malizioso, di sfida, in grado di instillare la rabbia in chiunque. Uno dei trucchi appresi nel corso della sua vita per manipolare le persone. La gente dimentica che, a volte, per far fare ciò che si vuole alle persone, non sono necessarie abilità di ammaliamento o tecniche di controllo: possono bastare anche i gesti e le parole del corpo. L’illusionista ne era invece perfettamente conscio e, infatti, ottenne ciò che voleva. L’incantatore, rispondendo alle ovvie provocazioni, non esitò a scagliare una piccola saetta verso l’illusionista. Questo non si mosse, non provò nemmeno a schivarla: semplicemente divenne una figura illusoria, lasciando che quel colpo gli passasse attraverso le carni per poi ritornare a essere reale. Saeros mostrò stupore per questo strano fenomeno e il giovane ne approfittò. Fissandolo dritto negli occhi iniziò l’inganno. L’impulso partì veloce e colpì l’avversario, del tutto privo di difese mentali: nella sua testa, per un solo istante, apparve la magione degli Ennòn in fiamme. Un solo momento, eppure trovarsela davanti fece infuriare ancora di più l’assassino. Stava andando tutto come previsto.
Mentre l’illusionista si avvicinava con passi lenti all’avversario, questo prese un coltello, precedentemente riposto sotto le vesti scarlatte, e lo conficcò a terra. Quando il ragazzo comprese cosa stava accadendo era ormai troppo tardi. Un’ondata di energia cremisi lo investì da sotto il terreno, causandogli diverse bruciature alle gambe e alle braccia. Drakar non era un gran guerriero, non aveva quindi una gran soglia di sopportazione e questo fattore, insieme alla potenza della tecnica, incrementò il dolore. Urlò, sentendo la propria pelle bruciare e marcire, mentre le proprie carni soffrivano sotto gli effetti negativi di quello strano potere. La sofferenza ebbe tregua solo al termine dell’attacco. Le sue pene erano indicibili, incredibili rispetto a tutte le ferite riscontrate in precedenza. L’aveva sottovalutato, quel nemico, e ora ne pagava le conseguenze. Si accasciò a terra, sentendosi svenire.
In uno stato di quasi incoscienza sentì il mago avvicinarsi, ridendo soddisfatto. I suoi passi lenti si confondevano con il dolore lancinante. Sapeva che svenire avrebbe significato la morte. Non poteva permettersi un lusso del genere, non poteva addormentarsi lì, nel bel mezzo della battaglia. Sfruttò l’odio per gli Ennòn e la rabbia di essere stato umiliato per muoversi, per reagire. Pose le mani a terra, davanti a sé, facendo leva su queste per alzarsi, per risollevarsi dalla polvere. E ci riuscì. Si guardò le braccia e le gambe: la giacca e i pantaloni erano completamente integri. Osservando meglio vide che la pressante sensazione di bruciore che aveva avvertito non aveva in realtà causato nessuna scottatura. Era andato a fuoco, ma solo nella sua mente. L’illusionista era stato ingannato. E questo causò in lui più ira di ogni altra cosa. Riprese da terra il tridente, puntandolo contro il nemico e, con fare deciso, utilizzò una delle sue abilità preferite. Entrò nella sua mente, per scavare nelle memorie e trovare la persona a lui più cara, e ci riuscì.
Sorrise, mentre l’ambiente attorno a lui mutava, mentre al posto degli alberi spuntavano quadri, a terra delle mattonelle pregiate e lo spazio aperto veniva cancellato da possenti mura bianche. Ovunque spuntarono soprammobili preziosi, librerie piene di tomi rari e, al centro della stanza, una grande scrivania. Aveva creato un ambiente artificiale, illusorio,attraverso il quale solo lui poteva scrutare, dall’esterno della stanza, mentre Nienor, intrappolato al suo interno, sarebbe certamente caduto nel tranello. Si trattava dello studio del capo del loro vecchio clan, Robert Ennòn. L’aveva ricostruito con precisione, grazie alle sue memorie e a quelle spiate dall’avversario. Con un’altra delle sue abilità l’illusionista ricreò accanto a sé un fantoccio magico, presente solo nella mente dell’avversario. L’aveva reso uguale al vecchio Robert, sia nell’aspetto che nei vestiti. Aveva i materiali giusti per mettere in atto il suo inganno. Sorrise, e i meccanismi si misero in moto.
Drakar si era sempre meravigliato di come le sue illusioni assomigliassero ai numeri di un prestigiatore. Ogni numero di magia è composto da tre parti. La prima viene detta “Promessa”: allo spettatore, in questo caso l’assassino, viene mostrato qualcosa di normale e familiare, come lo studio dell'ormai distrutta magione degli Ennòn, anche se non lo è realmente. Dopo si procede con la “Svolta” il normale diventa straordinario. E questa è forse una delle parti che richiede maggior impegno.
Robert entrò nello studio illusorio attraverso la porta fittizia, camminando verso Saeros. Questo rimase ammutolito alla vista di quell’individuo, dell’uomo che per lui era stato un mentore e che più l’aveva aiutato nella sua permanenza nella famiglia. Istintivamente gli corse incontro per abbracciarlo, per ammirare quel suo aspetto fiero, con i capelli grigi e corti, la corporatura massiccia e gli abiti eleganti. Ma non lo fece: dopotutto si trattava pur sempre di un suo superiore. Inaspettatamente il fantoccio illusorio gli mise una mano sulla spalla, un gesto che ad alcuni potrà apparire sciocco ma che, per la rigidità a cui si era stati abituati nel clan, era un atto di enorme importanza. Il mago sollevò lo sguardo, sorpreso, guardandolo negli occhi.
« Ma voi… Voi siete morto… Non è così? »
L’uomo sorrise o, per meglio dire, Drakar lo fece sorridere, comandandolo a distanza, nascosto dalle mura della sua tecnica. Fece un respiro profondo e, con tono pacato e amichevole, si rivolse a Nienor:
« Sì, sono morto ormai, Questa altro non è che un’illusione. Ignoro le cause che mi abbiano riportato qua, ma ti devo avvertire di un incombente pericolo. L’uomo che hai sfidato, che hai cercato per tutto questo tempo… Devi evitarlo. Appena arriverà qua tu devi fuggire o morirai. È ben oltre le tue possibilità, credimi. Io sono morto, ma tu… tu devi vivere. »
Mentre questo parlava apparve una nuova presenza alle sue spalle: si trattava dello stesso Drakar, ora entrato anche lui nell’ambiente illusorio. Era arrivato il momento di concludere l’inganno.
Infine c’è la terza parte, il “Prestigio”. Qui l’inganno non viene svelato, ma la situazione ritorna alla normalità. Qualunque cosa sia successa al momento della Svolta rimane inspiegabile per lo spettatore, ma ciò non lo infastidisce: egli vuole essere ingannato. È per questo che ha assistito allo spettacolo, è per questo che ha osservato il prestigiatore in ogni sua mossa. Solo per essere ingannato.
« Tu… Tu devi fuggire! »
« Basta così, la devi finire. Non mi servi più ormai. »
Con un gesto della mano l’illusionista fece dissolvere nel nulla il suo fantoccio, che scomparendo emise un lungo tetro urlo di sofferenza. Tutto parte del suo gioco. Sorrise, fissando l’incantatore che aveva davanti, vedendo la sua rinnovata paura. Le gambe e le braccia, seppur sane, gli dolevano ancora a causa della magia mentale dell’avversario, ma cercava di mascherare la sofferenza, per dare maggior credibilità alla scena. Saeros gli scagliò addosso nuove magie che, come le precedenti, gli passarono attraverso. Provò con una palla di fuoco di medie dimensioni, con una scheggia di ghiaccio gelida e affilata, con delle saette pericolose e temibili, ma tutte, senza eccezione, si infransero alle sue spalle. Era arrivato il momento di finirla, questa volta per davvero.
Ora, secondo il suo piano, avrebbe dovuto terrorizzare il nemico, spaventarlo a morte. Ma doveva trattarsi di una paura irrazionale e non verso altre fonti, magari illusorie, ma proveniente proprio da Drakar in sé. Concentrando le sue energie nel proprio sguardo, il giovane mandò un nuovo impulso magico al cervello dell’avversario. Questo percorse i vari neuroni fino a giungere all’Amigdala e qui ebbe effetto. Nell’assassino nacque una paura oscura verso il suo avversario, tale che mai aveva avuto precedenti in tutta la sua vita. La reazione, considerando ciò che gli aveva detto Robert, fu la fuga, una corsa scomposta per salvare la propria vita. Come da copione. Ma l’illusionista non l’avrebbe lasciato certamente andare: protendendo una mano verso il nemico che gli voltava le spalle evocò ai suoi piedi delle spesse catene oscure, che ne ghermirono i polsi e le caviglie, immobilizzandolo.
Nienor non aveva tuttavia rinunciato alla fuga: provò a muoversi, contorcendosi, e cadde a terra inerme. Con le unghie graffiava il pavimento, cercando di scappare, di allontanarsi da Drakar, di fuggire da quell’essere così spaventoso, così oscuro, il tutto vanamente. Dal canto suo il ragazzo si avvicinava sempre più, soffrendo alle gambe per ogni singolo passo e usando il tridente come un bastone d’appoggio. Lentamente giunse sopra l’assassino, che si voltò, per fissarlo negli occhi, e tutto ciò che vide fu morte.
« Addio, Nienor Ennòn Saeros. È stato certamente divertente. »
Le tre punte affilate dell’arma impugnata dall’ingannatore calarono sulla testa della preda immobilizzata, trafiggendola e sottraendogli la vita. Il prestigio era finalmente concluso.
Il giovane si accasciò a terra, esausto per l’incontro. Tutto sommato non se l’era cavata malissimo: non aveva riportato nessuna ferita e aveva eliminato uno dei membri della fazione tanto odiata. Sorrise, sentendo il dolce sapore della vendetta che agiva quasi da morfina, inibendo il dolore mentale agli arti. Ma si era scordato di un dettaglio: quando aveva richiamato le catene d’ombra per immobilizzare il nemico aveva usato l’anello, il suo prezioso monile, e, ora, doveva pagare il prezzo di tale gesto. L’illusione usata gli si ritorse contro.
Si ritrovò in un ambiente completamente bianco, appeso a delle catene completamente nere. Non poteva muoversi e non si sentiva più nessuna parte del corpo. In questo stato di trance vide davanti a sé Faust, il suo maestro, che lo fissava, quasi contrariato. Cosa aveva fatto di male? Non riusciva a spiegarselo. Dopo diversi minuti di assoluto silenzio l’uomo si decise a parlare, ponendogli una semplice ma importante domanda.
« È davvero questo ciò che vuoi? »
Si risvegliò nella radura. Non sapeva dire per quanto tempo avesse dormito ma ora le stelle erano alte nel cielo. Alzandosi riscontrò con piacere che il dolore agli arti era scomparso del tutto, probabilmente la tecnica aveva esaurito il suo effetto e, dopo aver raccolto la sua arma, si diresse con passi stanchi verso il cadavere del nemico. Questo giaceva supino, con una tremenda espressione in volto e tre fori sulla fronte, ognuno con un rivolo di sangue ormai rappreso che colava fino agli occhi. Il giovane sbuffo. Era davvero questo quello che voleva?
« Sì, è questo che voglio. Io esigo vendetta. E la avrò. »
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