Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Fetiales; shabāha, dall'abisso

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view post Posted on 8/3/2015, 21:09

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{ qashra, alba ~ pov: jahrir }

« Che strada intendi seguire? »

La voce di Shaelan lo colse di sorpresa, riscuotendolo dalle sue meditazioni.
Jahrir si trovava sulla soglia della loro casupola fuori dalle mura della capitale nanica, a riflettere sugli avvenimenti degli ultimi giorni e soprattutto su quello che sarebbe potuto succedere nei seguenti. Il pensiero di una nuova, terribile minaccia per il suo popolo e tutte le razze libere di Theras lo angosciava, ma al tempo stesso l'idea della battaglia era inebriante. Da troppo ormai le sue mani stringevano solo vanghe per l'orto e suppellettili: era giunto il momento che tornassero a serrare la presa sul suo martello da guerra per schiantarlo sui crani deformi dei propri nemici. Un ghigno inquietante, famelico si disegnò sul volto segnato dalle battaglie; un ghigno che si premurò di nascondere prima di voltarsi verso l'amata.
Raggiunse a grandi passi il tavolo rozzamente squadrato che capeggiava al centro della stanza e vi srotolò sopra una mappa, fissandola ai quattro angoli con ciò che trovò a disposizione: una coppia di pesanti boccali in ferro, un piatto in terracotta, una piccola anfora colma di idromele sciabordante. La carta era ingiallita e approssimativa, ma rappresentava con sufficiente chiarezza i territori dell'Akeran; due nomi spiccavano in particolare: Jahrir appuntò l'indice sul primo.

« Qashra. » Trascinò il dito lungo la superficie ruvida della mappa, seguendo il percorso tratteggiato da una linea discontinua che attraversava la regione contrassegnata come Sultanato fino ad arrivare al simbolo circolare indicante la seconda città. « Taanach. »

Shaelan aggrottò la fronte, corrucciata: « Quella via passa troppo vicino allo Sürgün-zemat. Non è la più sicura. »

« Ma è la più veloce. »

Lei sospirò, conscia che non avrebbe potuto fargli cambiare idea su quel punto. Tentò allora un'altra strategia:

« Chiedi aiuto a Zeheb; almeno un tentativo prima di partire per Taanach, te ne prego. Il Sultano non potrà negarlo, non a te! »

« Zeheb è un bravo nano e un buon amico, ma l'età l'ha reso debole e pavido: rimarrà chiuso nella sua rocca persino quando i demoni busseranno alle sue porte. » Scosse la testa, sconsolato. « Crede di salvare il nostro popolo, e invece lo porterà alla rovina. »

Prima che lei potesse obiettare ancora, Jahrir tornò ad affacciarsi oltre l'uscio, lo sguardo perso in lontananza, verso i palazzi svettanti della capitale.

« Guarda: è l'alba. »

Sotto il cielo screziato di rosa, la luce rossastra del sole nascente inondava il mondo,
macchiando le cupole di Qashra
col sangue.

____

F E T I A L E S
« shabāha »

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{ taanach, mezzodì ~ pov: raegar }

Raegar, il Primo Assistente di Acheiron Graub, Beik della Chimera, si voltò un'ultima volta, e ciò che vide non gli piacque affatto.
Alle sue spalle si apriva uno dei molti ingressi del Labirinto, tra le zone più malfamate di Vecchia Taanach: un budello intricato di viuzze, alcove segrete e baracche fatiscenti, immerso nelle tenebre perenni delle costruzioni che lo sovrastavano. Un inferno senza cielo, nel quale le misteriosi sparizioni erano all'ordine del giorno: molti di quelli che vi entravano non vedevano più la luce. Un brivido lo scosse alla vista delle figure assiepate all'ombra dello squarcio che fungeva d'accesso al Labirinto: sembrava quasi che lo invitassero a tornare, con la tacita promessa che la prossima volta non sarebbe stato così fortunato.
Fu ben felice di allontanarsene; anzi, sarebbe stato ancor più contento se non fosse mai dovuto entrarci, ma era alla ricerca di informazioni per conto del suo Signore, del genere che non si possono trovare alla luce del sole, e quello era il luogo più adatto dove ottenerle. Rimuginò angustiato su quest'ultime, mentre attraversava la città affollata in direzione del Palazzo dei Triarchi, nella parte nobile della metropoli. A dire il vero, dei tre Beik rimaneva ormai il solo Graub, viste le defezioni del Pavone e del Drago, già allontanatisi da Taanach come previsto in quelle circostanze. Al loro posto si era insediato Duilio, l'ex schiavo ora nominato Tsar. Tuttavia, in attesa della cerimonia ufficiale che avrebbe dovuto sancire il passaggio di poteri, Acheiron aveva preferito attardassi in città per occuparsi dei suoi affari. Raegar sospettava che, dietro la facciata di consenso, il Signore non fosse affatto soddisfatto della piega presa dagli eventi.

Realizzò di essere arrivato a destinazione quando si ritrovò il cammino sbarrato dalle due alabarde incrociate delle guardie poste all'ingresso del palazzo. Non si era neanche accorto di portare ancora il cappuccio calcalo sul volto fin dalla sua incursione nei poco raccomandabili meandri del Labirinto: si rivelò e le sentinelle lo riconobbero, lasciandolo passare.
L'interno era avvolto nel silenzio: gran parte della servitù e degli attendenti avevano seguito i propri padroni; Graub dimorava nei piani alti, per cui laggiù non c'era che il solitario Tsar, rinchiuso probabilmente in una delle sue stanze ad esercitarsi con la spada contro nemici invisibili. Non amava la compagnia, e non aveva voluto aiutanti nè assistenti. Raegar avanzò verso le scale, i suoi passi che riecheggiavano fra i candidi marmi del corridoio con echi spettrali. Raggiunse lo studio del suo Signore, soffermandosi un momento ad ammirare lo stemma intagliato nel legno della porta: un mostro orripilante con testa di leone, corpo caprino e coda di drago, che sputava fuoco dalle fauci spalancate. Bussò educatamente, ricevendo il permesso d'entrare.

« Quali notizie? » Lo accolse brusco il Beik, un uomo di mezza età dalla figura appesantita e freddi occhi azzurri, velati da una strana ombra, come d'acqua profonda sotto uno spesso strato di ghiaccio.

« Cattive notizie. Le mie fonti hanno confermato i nostri timori: lo Sürgün-zemat è in subbuglio, i demoni hanno già cominciato a riversarsi fuori dagli abissi del Baathos, e il flusso non fa che aumentare. I nani si sono asserragliati nella loro capitale e non sembrano intenzionati ad ostacolarli. A Dorhamat contrastano il morbo col pugno di ferro: ormai è un regno del terrore. Temo che presto la minaccia sarà su di noi. »

« E io temo che tu abbia ragione: bisogna prendere dei provvedimenti, e in fretta. »

« Lo Tsar ha già indetto una leva militare su vasta scala: in molti si stanno arruolando per difendere Taanach. »

« Lo Tsar, dici? » A Raegar non sfuggì la sottile vena di rancore presente nella sua voce.

« Esatto. Avevo appunto intenzione di andare a cercarlo, per riferirgli degli ultimi sviluppi. Forse è il caso di... » esitò, incerto se proseguire per paura della sua reazione, ma alla fine si risolse: « ... di anticipare l'investitura pubblica, così che possa prendere pieno possesso dei suoi poteri. » E noi andarcene da qui prima che sia troppo tardi, pensò, ma non lo disse a voce alta.

Il Beik trasalì, come se le sue parole gli avessero pungolato un nervo scoperto.

« Tutto bene, mio Signore? »

« Sì, sì, certo. È solo che... non mi fido pienamente di Duilio. Girano strane voci sul suo conto: presta attenzione. »

« A tal riguardo, ho sentito anch'io certe dicerie sullo Tsar, nei quartieri bassi. » Un fremito percorreva la sua voce: finchè si trattava delle maldicenze della feccia era un conto; ma se il Beik in persona si mostrava propenso a prestare loro ascolto, allora la cosa diveniva preoccupante. « Solo sciocchezze, con ogni probabilità, ma alcuni dicono che- »

« Zitto! » Lo interruppe bruscamente Graub, lanciando nervose occhiate intorno a sè. « Dovresti saperlo: in questo palazzo, anche i muri hanno orecchie! »

Il Primo Assistente chinò il capo in segno di scusa. Il Signore aveva ragione: certe pareti, nel Palazzo dei Triarchi, erano più sottili di quanto si potesse pensare, altre celavano intercapedini in cui un ascoltatore si sarebbe nascosto facilmente. Secondo alcuni, gli architetti che avevano progettato l'edificio l'avevano anche disseminato di corridoi e passaggi segreti. Lui però non ne aveva mai trovato nessuno.

« Va' ora, ho molto da fare. »

Raegar prese commiato e ripercorse a ritroso la strada che l'aveva portato fino alla stanza di Acheiron. Alla luce delle recenti rivelazioni, la quiete assoluta del primo piano era ammantata di un'aura ancora più sinistra di prima; per un attimo, si ritrovò a rimpiangere l'atmosfera del Labirinto. Lo Tsar non era nel suo studio, nè nelle altre stanze in cui aveva sperato di trovarlo. Si ricordò che al suo arrivo aveva fatto allestire una piccola armeria sfruttando un vecchio magazzino inutilizzato da tempo, nella parte sotterranea del palazzo. Lo troverò lì, si disse. Discese una stretta scala a chiocciola, che lo portò nei seminterrati, e si avviò lungo un lungo corridoio avvolto nella penombra. Alle pareti erano affisse delle fiaccole, ma le fiamme bruciavano troppo flebilmente, ed erano troppo distanziate, per scacciare le tenebre che si annidavano fra una torcia e l'altra. Camminando, passava dalla luce all'oscurità, con un'indefinita sensazione d'ansia crescente dentro di lui, come un macigno che si gravasse sul petto. Arrivò dinnanzi all'entrata dell'armeria, una porticina malmessa chiusa da un chiavistello arrugginito. Bussò, e mentre le sue nocche battevano sul legno gli parve di udire un altro suono, come un'eco beffarda che si mascherava dietro i suoi colpetti nervosi alla porta. Si girò di scatto, ma non c'era nessuno. Ovviamente, idiota che non sei altro!
Nessuna risposta dall'interno: fece per picchiare ancora col pungo chiuso, ma questa volta il tramestio estraneo lo precedette, un rumore liquido e putrido, ben più chiaro e vicino adesso.

Si voltò terrorizzato. Non ebbe neppure il tempo di gridare,
prima che le fauci si chiudessero su di lui.

____


{ qashra, mattina ~ pov: jahrir }

Jahrir controllò un'ultima volta di non aver dimenticato nulla: armi, provviste, equipaggiamento per il viaggio, era tutto al completo.
Rimaneva solo una cosa da fare. Davanti a lui, il pesante martello da guerra era appeso alla parete; lo contemplò in silenzio per un lungo minuto, poi lo staccò, afferrandolo saldamente. Lo fece rigirare fra le mani, ne saggiò il peso rassicurante e il bilanciamento impeccabile. Le sue dita aderirono perfettamente all'impugnatura, come se fosse una parte stessa del suo corpo, un prolungamento naturale del suo essere. Un pezzo della sua anima da cui era stato separato per troppo tempo.
Uscì all'esterno dove lo aspettava Shalean e insieme si avviarono verso Qashra. L'idea iniziale e istintiva, dopo le notizie recate da Alexei, era stata di partire immediatamente. Avevano dovuto però subito ripensarci: il viaggio dal Sultanato a Taanach non era dei più semplici e occorreva organizzazione. Come se non bastasse proprio in quei giorni la situazione pareva precipitata, con notizie sempre più frequenti e cupe riguardo lo Sürgün-zemat e le incursioni delle creature corrotte nei territori circostanti. La loro missione era troppo importante per affrontare consapevolmente un rischio gratuito come viaggiare da soli attraverso le terre contaminate. Per tale ragione, avevano deciso di arruolare un ristretto gruppo di avventurieri come scorta e compagnia, non tanto numeroso da attirare attenzioni sgradite, nè così modesto da non rappresentare motivo di scoraggiamento contro eventuali nemici. L'identità e l'esistenza di Jahrir dovevano rimanere ancora segrete, per cui non potevano chiedere aiuto ai loro conoscenti nani. Avevano invece fatto affiggere bandi e annunci di reclutamento nella capitale, e diffuso la voce nelle zone circostanti: cercavano degli accompagnatori per un viaggio fino a Taanach, in grado all'occorrenza di impugnare un'arma contro briganti e altre minacce. Non si parlava di demoni nel reclutamento, ma la parte inespressa sarebbe risultata lampante a chi fosse stato dotato di un minimo di sagacia. Speravano così di attirare avventurieri in cerca di imprese, mercenari allettati dalla ricompensa promessa, magari persino qualcuno mosso da sinceri sentimenti che lo spingevano ad opporsi al flagello in espansione.

Il sole era a metà strada fra l'orizzonte e lo zenit, quando arrivarono a destinazione: una sparuta macchia di vegetazione poco a nord delle mura della capitale. Il boschetto era il luogo designato come punto d'incontro per coloro che avrebbero risposto al bando.

Era il momento di vedere chi aveva accolto il loro appello
e muovere il primo passo nella lotta all'annientamento.


CITAZIONE
QM POINT ~

Benvenuti a Fetiales; shabāha, quest del ciclo Dall'abisso. Iniziamo con alcune specifiche: come potete capire dal post, la giocata è situata temporalmente subito dopo gli eventi descritti in Fetiales; la terza marcia, ma poco prima della piena realizzazione di quanto narrato nel bando dell'evento generale; diciamo che la situazione è in rapido sviluppo. Passando alla quest, il primo post è come di consueto molto semplice: si tratta semplicemente di descrivere in che modo i vostri pg sono venuti a conoscenza della missione - vi ho dato alcuni suggerimenti nel post, ma siete liberi in tal senso, nei limiti della ragionevolezza - e il loro arrivo nel luogo prefissato per l'incontro. Se volete interagire con Jahrir (di cui non conoscete l'identità) o Shaelan, chiedere loro ulteriori informazioni o altro, possiamo organizzarci nel topic di confronto. Per il momento è tutto, il termine per postare è fissato alle 23.59 di venerdì 13.
Buon divertimento!

 
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Wolfo
view post Posted on 9/3/2015, 21:52





« Fetiales; shabāha »
dall'abisso

─ ─ ─


Amarantha, Jaahya, Eliphas, Roderith, Selene, Kirin.
La mente di Ged era ancora lì, nell'oblio dello Sürgün-zemat. Le sue mani erano ricoperte di sangue, e il suo cuore ricolmo di cenere. Dopo l'incontro con l'Ahriman, il sacerdote non aveva mangiato per diversi giorni, come se il suo corpo preferisse la morte. Persino l'idea di incontrare nuovamente quella creatura lo terrorizzava, così come il ricordo dei suoi compagni. Ripeteva i loro nomi ogni giorno, pregando e chiedendo perdono a R’hllor.
Li aveva uccisi; li aveva uccisi tutti.

Diversi giorni dopo lo scontro con la bestia, il sacerdote fu portato a Qashra dal suo maestro, che lo lasciò nelle mani di Runba, una giovane nana devota a R’hllor, esperta in erbe e abile nell'arte della cucina. Aveva all'incirca sessant'anni, e continuava a fare avanti e indietro dal suo orto al letto del sacerdote, portandogli tisane e intrugli miracolosi a ogni ora del giorno. Ged era contento della sua presenza; Runba allietava le sue giornate, e gli permetteva di riflettere su quanto era successo nello Sürgün-zemat. Forse era merito delle pozioni della donna, resta il fatto che in poche settimane il sacerdote recuperò le forze, e fu in grado di riprendere il viaggio.
Ovviamente, come ogni buon medico che si rispetti, Runba non era per niente d'accordo.

« Tu non vai da nessuna parte! » sbraitò Runba al prete, che nel frattempo si era già alzato dal letto, ed era pronto per riprendere i suoi affari. « Sei debole, e sotto la mia responsabilità! »

Ged sorrise; sapeva che la donna era preoccupata per lui, e ne fu immensamente felice: « Ti ringrazio, davvero. Sei stata un'amica, e non mi dimenticherò mai di te... né delle tue tisane. » continuò « Ma è successo qualcosa laggiù. Il male incombe su di noi... quindi, ti prego, fuggi da qui, allontanati... scappa! »

Runba sbuffò, e il suo sguardo si perse al di là della piccola finestra della stanza, fino a raggiungere il punto esatto in cui l'alba emergeva dalle tenebre.

« Se dici il vero, le mie erbe potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte. Sono rimasta a fianco del mio popolo durante la Riunificazione, e rimarrò a fianco del mio popolo anche se le ombre dovessero inghiottire Qashra.
Questo è il mio posto... ma non il tuo, temo.
» lo sguardo di Runba divenne tetro e severo; era consapevole che il sacerdote sarebbe dovuto partire e, se gliel'avesse impedito, sarebbe fuggito durante la notte. Allontanò per un attimo i suoi pensieri, e torno ad essere quella di sempre: « Ingrato! Non te ne andrai da qui! ...non prima di aver fatto colazione! »

Il sacerdote non riuscì a trattenere una goffa risata, né a rifiutare l'invito della donna.
In fondo al cuore, lo sapeva.
Quello era un addio.
─ ─ ─


Il sole era ormai alto e una lieve brezza accarezzava i giardini della capitale, portando con sé una lieve sensazione di pace. Il sacerdote avrebbe voluto rimanere a Qashra per molto tempo, esplorando ogni singola biblioteca e mettendo il naso nei tomi più complicati. Tuttavia, non parlava la lingua dei nani, né aveva il tempo per fermarsi a nutrire la propria curiosità.
Aveva maturato a lungo la sua decisione. Quello che aveva visto nello Sürgün-zemat era troppo pericoloso per tenerlo nascosto; doveva riportare la notizia dell'arrivo dell'Ahriman a figure ben più importanti di un semplice sacerdote del sole.
In primo luogo pensò al Sultano ma, oltre a non avere la possibilità di avvicinarlo, Ged era convinto che una figura del genere non gli avrebbe prestato ascolto. Era passato troppo poco tempo dalla Riunificazione; i nani non erano pronti per un'altra guerra, e avrebbero ignorato ogni possibile diceria.
Andare a Dorhamat sarebbe stato inutile; ci era già stato in passato, e aveva conosciuto soltanto avidità, menzogne e tradimenti.
L'ultima alternativa era Taanach; l'intento di Ged era quello di riportare la notizia ai Triarchi, sperando che almeno uno di loro riuscisse a capire la gravità della situazione. Non era un buon piano, anzi, a dirla tutta, era un pessimo piano; il sacerdote non conosceva i lord delle tre casate, e nemmeno era sicuro che si trovassero in città. Tuttavia, era l'unica alternativa rimasta; se avesse fallito, sarebbe rimasto a Taanach, e avrebbe cercato di diffondere la notizia dell'arrivo dell'Ahriman in qualsiasi modo, sperando di destare l'attenzione di qualche figura di rilievo.
Più si ripeteva quello che doveva fare, e più si rendeva conto che sarebbe stato un viaggio a vuoto.

« Aptal! Aptal! » gridò una tozza figura, troppo bassa di statura anche per essere un mezz'uomo. Probabilmente stava parlando nella lingua dei nani, rivolgendosi bruscamente ai suoi compagni « Chi lascerebbe la capitale? Non andrei a Taanach nemmeno per tutto l'oro del mondo... si dice che sia una città piena di ladri e assassini! »
Il nano teneva tra le mani un volantino giallognolo, che non tardò a gettare via.
Come spinto dal volere di R’hllor, il foglio si librò nell'aria tiepida del mattino, fino a toccare gli stivali di cuoio del sacerdote. Quest'ultimo lo raccolse, incuriosito. Si trattava di una richiesta di aiuto e - per fortuna - era scritta in lingua comune.
Secondo il testo della richiesta, c'era un nano a Qashra che stava organizzando una piccola spedizione verso Taanach. Per precauzione, cercava un gruppo di volenterosi che - per un motivo o per l'altro - lo accompagnassero durante il viaggio.
Il sacerdote non riuscì a nascondere una nota di stupore e, senza indugiare oltre, seguì le indicazioni scritte nella pergamena e si diresse verso il luogo dell'incontro.
Molti potrebbero definirla "coincidenza", ma per Ged quello non era altro che il volere del primo drago. Il volere di R’hllor.
─ ─ ─


Una goccia di sudore solcò la fronte del pastore mentre, passo dopo passo, raggiungeva la destinazione. La sua figura, sottile e slanciata, si muoveva in completa sintonia con la delicata e pungente brezza, accompagnata da una folta chioma dorata in costante movimento. Qualche minuto più tardi, Ged arrivò in una piccola zona boschiva, dove i raggi del sole riflettevano sulle foglie degli alberi, donando loro scintille luminose. La zona era poco più a nord delle mura della capitale; non dovette metterci molto per raggiungerla e, al suo arrivo, notò diverse figure occupate in un'insolita conversazione.
« ...Dhweg, e lei è mia moglie Shaelan. » disse il nano rivolgendosi alla donna. Probabilmente, anche lei avrebbe partecipato al viaggio. Il sacerdote attese qualche istante e, non appena arrivò il silenzio, si fece avanti.

« Siete diretti a Taanach, giusto? » chiese con gentilezza « Il mio nome è Ged e, se non vi dispiace, vorrei unirmi a voi. »
Fece scorrere i propri occhi di ghiaccio da destra a sinistra, squadrando i presenti.
« Sembra che di questi tempi non sia saggio viaggiare da soli. »

« La luce della tua fiamma è ben accetta, in questi tempi bui. » rispose Dhweg con un cenno del capo, cercando di far capire a Ged che aveva intuito il suo culto di appartenenza. Che i sacerdoti del sole fossero arrivati fino al Sultanato? Difficile a dirlo; i nani erano laboriosi, ma solo pochi di loro seguivano la via della devozione. Per quello che ne sapeva, Ged aveva conosciuto soltanto una fedele, Runba, e gli aveva detto addio solo qualche ora prima.

« Un'intrigante alchimia di individui. » ghignò una voce familiare alle sue spalle.
« Xari Drenthe, al vostro servizio. Alexei vi porge i suoi omaggi, mastro nano. »
Per esperienza, quando Xari era invischiato in qualcosa, voleva dire che c'era dell'altro. Il sacerdote non disse nulla, non sapendo nemmeno come reagire; era furioso e incuriosito allo stesso tempo. La presenza del pirata gli fece capire che stava per prendere parte ad un viaggio tutt'altro che tranquillo.

Chi era Alexei, e quale rapporto aveva con Xari? Dhweg voleva davvero arrivare a Taanach?
Troppe domande, troppi misteri.

Ged non era l'unico a nascondere qualcosa.


CITAZIONE
Energia: 125%
Mente: 100%
Corpo: 75%

Note: Il tutto si svolge diverso tempo dopo la quest "Thàr".
Ged è stato portato a Qashra per ricevere delle cure (in fin dei conti, se l'è vista brutta con l'Ahriman), e ora vuole tornare a Taanach, per informare i Triarchi della situazione, e di quello che ha visto nello Sürgün-zemat.
Una nota, "Aptal" significa "stupido", nella lingua dei nani.
Detto questo, buona quest a tutti! ;)

Abilità utilizzate: -
 
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Verel
view post Posted on 10/3/2015, 13:09




Il vento caldo delle terre del sud accarezzò il volto e i capelli di Lena, troppo impegnata ad osservare lo splendore di Qashra per schermarsi dalle folate sempre più forti. Il sole stava calando sulla città, coprendola con il velo stellato della notte, e Lena fu meravigliata nel vedere una miriade di luci accendersi pian piano, incastonandosi tra le cupole della civiltà nanica in concerto con l'illuminarsi delle stelle nel cielo buio.
Lena era già stata nel Sultanato per studiarne l'immenso patrimonio culturale, ma non si era mai soffermata sulla meraviglia di quel luogo. Il dolore forse l'aveva accecata e solo ora stava ricominciando a vederne la bellezza. Per quanto quel pensiero fosse ottimistico, Lena non poté che mordersi il labbro inferiore ripensando alla malinconia contraddistinta dall'allontanarsi di ricordi così intensi e diversi tra loro, ricordi che avrebbe voluto tenere stretti a sé senza vederli sbiadire nel passato.
Forse in un'altra vita avrebbe potuto percorrere le grandi sale dei palazzi e avrebbe potuto condividere i suoi studi con i saggi nani, forse si sarebbe anche fermata in quel luogo così vivo e vivace, allontanandosi dagli intrighi di Basiledra e dalla boriosità delle sue università. Forse... «Signora?» La voce squittente del conducente della carovana la risvegliò dai suoi pensieri. Lena lo guardò in modo arcigno e quando quello la esortò a salire sul carro, lei prese i pochi averi che aveva portato con sé e disse che se la sarebbe cavata da sola da quel punto in avanti. Pagato il conducente, la carovana si diresse verso la città lasciando Lena su quello sperone roccioso scosso dal vento. La traversata del deserto dei See era stata ardua e avevano evitato per miracolo una Marea, una delle caratteristiche tempeste di sabbia del deserto che avrebbe potuto sbaragliare completamente il convoglio. Lena era esausta, e non si sarebbe voluta separare presto dalla vista ristorativa della città.
Si sedette sul bordo del precipizio, accarezzando uno degli sparuti ciuffetti d'erba con la mano sinistra ed osservando la prossima meta del suo viaggio malinconicamente.

Non ti dimenticherò mai.

LJCLlvA

Dopo un breve tragitto, Lena arrivò a Qashra. Ad accoglierla non fu il caos e la vitalità, ma una tranquillità silenziosa più tipica della notte, ora completamente regnante nei cieli dell'Akeran. Le strade della capitale erano ancora popolate ovviamente, e nei quartieri più vivaci si potevano udire gli schiamazzi di qualche grande celebrazione -forse un matrimonio? Lena percorreva lentamente le strade, ancora non completamente sicura di voler cercare immediatamente un posto in cui dormire -l'indomani sarebbe dovuta partire all'alba, abbandonando Qashra per chissà quanto altro tempo ancora. C'era tanto che avrebbe voluto visitare, per una volta lontana dai libri ammuffiti e dai nomi impronunciabili, per una volta libera dai petulanti e capricciosi clienti che le chiedevano gli di risolvere i casi più insignificanti. Lena non aspirava alla gloria, ma certamente avrebbe preferito esercitare la sua professione in un ambiente più accademico, più colto, più interessante e dalle offerte più intriganti di quanto non fosse tra le strade più umili di Taanach. L'investigatrice agognava per i grandi misteri, per il fascino dell'ignoto, il brio della scoperta. Era contenta della sua sistemazione, ovviamente. Al pensiero che avrebbe presto rivisto Marcus e Maximillian Lena sorrise, appoggiandosi pigramente ad una cancellata.
Davanti a sé si apriva un giardino pensile degno della più grande aristocrazia, con sottili corsi d'acqua che andavano a confluire in un'impressionante cascata. L'acqua fluiva in modo da garantire che fosse riciclata e tornava al piano superiore, nel giardino, solo per poi ricadere nel grande pozzo posto al livello inferiore. Lena immaginò che all'alba quel luogo si sarebbe riempito di nane venute a prendere l'acqua per la giornata, e che poi si sarebbero dirette verso il mercato o nelle loro case, dalle loro famiglie. Era un perfetto meccanismo di ingegneria strutturale e sociale. Era l'utopistica prosperità garantita dagli sforzi del Primo Sultano.
Lena osservava quel mondo dietro ad uno sguardo di celata tristezza, come se quella cancellata fosse davanti a sé e non alle sue spalle. Eppure era una barriera fragile quella, sottile come un foglio. Era lei che non voleva strapparlo. E presto si sarebbe rinchiusa di nuovo nel suo studio, davanti ai grimori ammuffiti, cercando di decodificare tutti i misteri della vita dal punto più lontano possibile da essa.
Basta, si disse. Quei pensieri stavano rovinando quanto di bello Qashra potesse offrirle.
Lena tornò a immergersi nella vita notturna della capitale del Sultanato, questa volta evitando le sfere più alte e magnifiche del centro urbano ma dirigendosi verso le sue più remote estremità, tra le strade ancora brulicanti di vita, le luci della mondanità e le voci dei contadini venuti a prendersi una sbronza. Non poté fare a meno di sentirsi un po' fuori luogo nella locanda in cui scelse di restare: benché non altissima, la figura snella e aggraziata di Lena emergeva tra quelle dei nani in modo discordante, come una spiga di grano in un prato verde. Ma gli abitanti di Qashra non la degnavano di troppe attenzioni, concedendole fugaci sguardi prima di ritornare al boccale di birra o allo spudorato corteggiamento. Non aveva idea di che ora fosse, ma i segni della stanchezza erano come spariti dal corpo dell'investigatrice. Non si sarebbe certo messa a correre, ma era rilassata e pacifica -sicuramente Maximillian sarebbe stato felicissimo di vederla così invece del più caratteristico carattere aggressivo e pungente che la contraddistingueva. Ma che altro avrebbe potuto farci, lei? Era un'investigatrice, e la grinta era necessaria per avere un minimo di richiesta e guadagnarsi il pane. Mentre faceva questi discorsi farfuglianti fra sé e sé, Lena si avvicinò distrattamente al bancone e ordinò un pasto. Rimase a fissare il piatto fumante di carne in brodo che le portarono poco dopo per qualche istante, finché un nano particolarmente paffuto si sedette sullo sgabello affiancato al suo. Lena lo guardò per un secondo con interesse prima di tornare alla sua cena di mezzanotte: era un nano dal tipico aspetto tarchiato, sicuramente grasso e con una lunga barba grigia e increspata da continui maltrattamenti. Nonostante l'aspetto un po' trasandato, il suo odore non sembrava identificarlo come un mendicante, inoltre i suoi due grandi occhi grigi possedevano un certo bagliore che Lena non mancò di identificare come segno dell'antica tenacia nanica. «Signorina, concedetemi un momento di attenzione.» Disse il nano con artificiosa cortesia, sicuramente non appartenente ai suoi soliti discorsi. Lena aveva appena infilato un boccone di carne tra le fauci, quindi gli rispose affermativamente con un gesto distratto della forchetta. «Perdonate l'indiscrezione, ma non sembrate provenire da Qashra. Sarei molto interessato a sapere qual'è la situazione al di fuori della città... sapete, per la rumoreggiata piaga...» Nel pronunciare quelle parole, il nano abbassò percettibilmente la voce. Lena si fece immediatamente più seria.
La corruzione.
Quella era la voce che circolava incontrollabile per tutto l'Akeran da quando le tre maggiori città della regione -Taanach, Qashra e Dorhamat- avevano preso misure eccezionali per scongiurare il pericolo di un'invasione di demoni che ogni giorno sembrava sempre più una realtà. Neppure l'opulenza del Sultanato e il benessere che concedeva ai suoi abitanti sfuggivano all'ombra di inquietudine che quella minaccia gettava ovunque: la corruzione era una forza invisibile che infettava i cuori dei viventi con la malignità, distorcendo anima e corpo di chi incappava nella sua gelida presa. A tenere le briglia di questa forza oscura c'era l'Ahriman, il signore dei demoni, anche se alcuni dicevano che fosse la corruzione stessa a comandare la sua volontà e non il contrario.
Lena e il nano discussero a lungo sull'incombente piaga della corruzione e sulla situazione politica e militare dell'Akeran in rapporto alla crescente minaccia. L'investigatrice fu molto sorpresa dal parlare preciso e attento del nano, dal suo atteggiamento lucido e la sua vasta conoscenza. Presto la discussione virò sul passato di Qashra, sul Primo Sultano Jahrir e la sua fedele compagna di vita Shaelan, sul mistero del ripristino della città, l'Asgradel e la morte del Kahraman.
Lena era affascinata, ma anche ormai terribilmente assonnata. Probabilmente era la cena ad averla stesa. Il nano le parlò di una spedizione verso Taanach che sarebbe partita proprio la mattina seguente e Lena lo ringraziò promettendogli di offrirgli il miglior servizio possibile in caso avesse mai avuto bisogno delle sue capacità investigative. I due si congedarono presentandosi, in quello che per il dispiacere di entrambi sarebbe probabilmente stato un addio.
« Mi chiamano Akhar Occhiogrigio, signorina. Spero tornerà. »
« Temo di non potervelo promettere, Akhar. Ma se vi capiterà di arrivare a Taanach, vi prego -
cercate Lena Lauren, l'investigatrice. »

~

Quando la luce dell'alba inondò Qashra, Lena era già sveglia.
Abbandonata la locanda, Lena racimolò quel che rimaneva dei soldi che aveva a disposizione e comprò provviste e abiti nuovi, gettando quelli reduci dal viaggio nel deserto. Era sicura che non c'era alcun bisogno di imbellettarsi per il tragitto che avrebbe dovuto percorrere insieme a chissà quale compagnia, ma visto che non se ne parlava di rimettersi a dormire Lena decise di dedicare quel poco tempo che le restava a Qashra dedicandosi a sé stessa. Una nana particolarmente affabile le diede carta bianca, ponendola di fronte ad uno specchio altezza-uomo (era una bottega piuttosto fornita). Lena decise di comporre la sua caratteristica treccia, visto che tenere i capelli sciolti era sconveniente per lei e spesso distraente per gli uomini che la circondavano; prese una camicia candida dai ricami floreali e la abbottonò fino al collo, un paio di calzoni da uomo neri, degli stivali nuovi ed un mantello corto dai risvolti in velluto che cadeva solo fino alle cosce. L'investigatrice se lo mise sulle spalle senza legarlo alla camicia e si assicurò che Misericordia fosse ben salda all'interno delle sue pieghe. Mentre compiva questo rito quasi capriccioso, i suoi gesti perdevano la solita frenesia, diventando calmi, precisi e delicati. Si sistemò infine i due orecchini a cerchio nei lobi e rimirò l'opera compiuta nel riflesso dello specchio, soddisfatta. La sarta la guardava con interesse, e quando la notò, Lena distolse immediatamente il suo sguardo girandosi imbarazzata. Fece del suo meglio per ricomporre la sua solita espressione dura e inflessibile, pagò ed uscì verso la sua prossima meta, con la mente più libera e serena, impaziente di tornare a casa. Sapeva che non era un viaggio facile quello che la attendeva, soprattutto dopo aver parlato con Akhar Occhiogrigio. Tuttavia non si lasciò scoraggiare -avrebbe sorpassato qualsiasi ostacolo pur di tornare da quella che ormai definiva la sua famiglia.

Lena impiegò poco tempo ad uscire dalla città. Portandosi in spalla un sacco con gli oggetti più indispensabili e le provviste, si inoltrò in una minuta macchia di vegetazione poco lontana dalle mura. Estrasse la daga dalla cintura che legata ai suoi calzoni e iniziò a farsi strada nel fogliame, senza notare segni di passaggio recenti. Evidentemente anche dopo aver perso tutto quel tempo alla bottega era arrivata per prima al punto di incontro.
La vegetazione smise di intralciarla dopo poco. Lena si ritrovò in uno spiazzo privo di alberi o cespugli, generato dalla caduta di un vecchio albero ora diventato tronco senza vita. Sembrava che per timore di invadere quella tomba, il resto dell'oasi avesse deciso di starne alla larga. Lena si sedette sul vecchio tronco e iniziò a lisciare un rametto con la daga, pazientemente. Chi avrebbe risposto all'appello? Lena aveva bisogno di quella compagnia per tornare a Taanach. Le carovane che di solito percorrevano quel tragitto ora sceglievano di allungare la strada di due settimane pur di non sfiorare nemmeno il territorio più controllato dai demoni, e chi ci provava scompariva nel nulla molto spesso a testimonianza della veridicità sull'avanzamento delle forze corrotte. Immersa in questi pensieri Lena non si accorse del frusciare delle foglie, e quando alzò lo sguardo notò una coppia di nani di fronte a sé. Ripose velocemente la daga e li salutò con tutta la gentilezza che era in grado di mostrare: «Salute, mastri nani. Suppongo che siate voi a necessitare di accompagnatori per un viaggio verso Taanach?» I nani erano una coppia: un maschio dai lineamenti duri, piccoli occhi scuri e un corpo costruito per la battaglia; la femmina aveva tratti più addolciti e tutto di lei -dal modo di camminare al fianco del compagno rimanendone un passo indietro, agli sguardi indagatori che rivolse sia all'investigatrice che all'altro nano per sondarne la reazione, sembrava suggerire a Lena che i due si conoscessero da tempo immemore, forse che ci fosse anche un rapporto sentimentale dei più profondi. Lena fu subito incuriosita dagli occhi di lei, il cui sguardo possedeva grande autorità e tristezza.
«Supponi bene» Le rispose il nano, facendosi avanti. «Il mio nome è... Dhweg, e lei è mia moglie Shaelan.» Lo sguardo di Lena si fece di ghiaccio, ma l'investigatrice non si scompose di un millimetro dinnanzi alla menzogna del nano. Curiosamente, egli aveva deciso di nascondere la sua identità ma non quella della moglie, il cui nome era curiosamente lo stesso della compagna di Jahrir, il Primo Sultano. Lena non poté fare a meno di essere sospettosa, rimanendo indecisa sul fidarsi o meno di "Dhweg". Decise di indagare: «Permettetemi di presentarmi: il mio nome è Lena Lauren, di professione investigatrice, e sto tornando nella città dei mercanti dopo recenti affari nelle terre più a nord. Se posso permettermi di chiedervelo, quale interesse vi spinge ad abbandonare Qashra?»
Shaelan prese parola. «Abbiamo degli affari da svolgere a Taanach, e non vogliamo rischiare di rimanere intrappolati qui quando il Sultano deciderà di chiudere le porte di Qashra. Sai, per le cattive notizie che arrivano dallo Sürgün-zemat.» Lena annuì, ricordando con una certa inquietudine le parole di Akhar. Pensieri simili si fecero strada nella mente di Dhweg, il cui sguardo di incupì. «A tal proposito, dobbiamo metterti in guardia: lungo il cammino potremmo incappare in ostacoli ben più pericolosi di semplici furfanti. Ritieni di poter dare il tuo contributo, in simili circostanze?» Lena esitò. Il tono di Dwheg era fermo e sicuro, il suo volto era severo. Una risposta negativa si sarebbe sicuramente tradotta nella perdita di quella opportunità, quindi Lena non poté fare altro che mostrare le sue carte. «Ammetto di non essere la migliore delle combattenti,» e dicendo ciò scostò un lembo della mantella, rivelando la sua pistola Misericordia, tra l'altro figlia proprio degli studi che Lena aveva effettuato a Qashra. «...ma so difendermi, se necessario. Devo tornare a Taanach, nella mia gilda e casa: permettetemi di unirvi alla vostra compagnia e vi assisterò al meglio delle mie capacità. Non c'è trappola o menzogna che io non sappia riconoscere, sono sicura che vi sarò utile.» Accompagnò quelle parole con un ovvio ammiccamento verso Dwheg, mostrandogli di aver compreso che il nano le aveva dato un nome falso. Gli sorrise pacificamente, sperando di aver reso chiaro il fatto che ingannarla non gli sarebbe servito a nulla. Ma era anche vero che ci potevano essere una miriade di motivi dietro a quella menzogna, motivi che non c'entravano con gli affari di Lena e che probabilmente non lo avrebbero fatto mai. Quel compromesso fu compreso e accettato dal nano in pochi istanti, anche se il suo sguardo incerto non lasciò dubbi sulla sua indecisione. Tra Lena e Dwheg si creò una fiducia precaria.
Shaelan sigillò l'accordo: «La mente è importante quanto il braccio. Saremo lieti di averti fra di noi.»

Lena finalmente si rilassò, smettendo di crucciarsi sulla menzogna di Dwheg. In pochi attimi arrivarono anche gli altri componenti del gruppo: Ged, un uomo dalle movenze sinuose e una lunga chioma bionda che riconobbe come appartenente ad una stirpe dragonica, un viaggiatore abbastanza arrogante (anch'egli di stirpe dragonica, per la sorpresa di Lena) e un uomo dall'aspetto ancora più particolareggiante, Xari Drenthe, che incuriosì l'investigatrice per via del colorato abbigliamento.
Svolti i convenevoli, la compagnia era ormai fatta.

L'investigatrice non sapeva cosa sarebbe successo durante quel viaggio, e ne era anche lievemente spaventata. C'era una cosa di cui poteva essere certa, guardando all'orizzonte:
l'Ahriman li stava guardando tutti.

Risorse
Energia: 100%
Fisico: 75%
Mente: 125%
Passive utilizzate
Lena può riconoscere le menzogne (utilizzi: 5/6)
Lena può riconoscere la razza altrui (utilizzi: 5/6)
Lena può venire a conoscenza delle generalità storiche del territorio (utilizzi: 5/6)

 
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Lul~
view post Posted on 10/3/2015, 16:07




{ bekâr-şehir, un'ora al tramonto ~ pov: ashlaìn; dromoka }

La pelle si squarciò come si squarcia una membrana, tesa, accarezzata dalla lama di un coltello. Inarcò la schiena, quasi quel gesto potesse levigare il dolore bruciante della ventottesima frustata. « Ne mancano soltanto due » si ripeteva. « Ne mancano soltanto due ». Poco prima dell'ultimo schiocco, un grido gutturale provenne da est, più o meno dalla direzione della porta del Basilisco, la più ornata e imponente delle quattro porte della città. Ashlaìn non sapeva se il posto non cui si trovava aveva un nome: era una città autosufficiente nel bel mezzo del deserto, sviluppatasi fra due oasi abbastanza vicine. Lì i Padroni addestravano e vendevano schiavi, lì la gilda degli Occhi del Serpente preparava i propri corpi d'elité. I Naja, i sonagli.
Quando il caos scoppiò, i Padroni pensarono bene di mettere prima al riparo loro stessi, senza curarsi degli schiavi: quelli più indottrinati cominciarono a combattere l'invasore, gli altri erano come paralizzati dalla paura, ancora incapaci di cogliere un'occasione come quella, che Ashlaìn sapeva bene essere unica nella vita. Le sue braccia erano alte e larghe, sorrette da catene fissate a pali alti anche tre figure. Al contrario di chiunque altro in quella piazza sapeva - o almento immaginava - cosa stava accadendo alla porta est: un attacco di chissàcchì, tumulti, confusione. Un'opportunità. Ascoltò il canto del vento che rinfrescava le sue ferite, poi la fortuna volle che un manipolo di schiavi - solidali col proprio compagno di sofferenze - smontasse quell'impalcatura e lo trasse in salvo. Il resto è racconto, è leggenda. Lo videro semplicemente scappare verso la porta sud.
Quella che non veniva aperta da anni.

« Trovate quel bastardo! Non possiamo permettere che scappi. Non un Naja! Non lui! »

Gli attendenti corsero dallo studio del padrone ai quattro angoli del palazzo, a sventolare la bandiera verso i segnalatori. Di lì a pochi secondi, nessuno sarebbe più potuto uscire dalla città, nonostante l'assedio. La situazione era critica, ma le legioni di schiavi stavano lentamente riportando tutto alla normalità, respingendo il nemico e tornando in controllo degli snodi principali della città. Il Padrone era comunque inquieto, come se tutto quanto era successo non fosse che uno brutto scherzo del fato. Un attacco alla città come non accadeva da decenni, e - cosa ancor più grave - la tentata fuga di uno schiavo. Trangugiò il liquore che aveva fatto arrivare direttamente dai contrabbandieri di Dorhamat, lanciando subito dopo il calice contro ila porta con un gesto di stizza. Quel ragazzo non era come tutti gli altri schiavi, e la sua indole lo confermava. La levatrice, quando in lui riconobbe quei tratti, probabilmente aveva avuto ragione. Aveva sottovalutato il problema, e forse i Sette lo stavano punendo per quello. L'attendente entrò di corsa, senza chiedere il permesso. Aveva notizie che non potevano attendere. « Che cazzo aspetti!? Parla! »

« S-Signore, lo schiavo è-- », aveva paura. « Lo schiavo è fuggito »
« Sfidi la sorte, Silumgar, a dirmi cazzate del genere~ »
lo schiavo però aveva già srotolato la carta dell'Akeran sulla tavola del Padrone, puntando il dito sulla regione peggiore su cui avrebbe potuto farlo « e si sta dirigendo verso il Sürgün-zemat »

____

F E T I A L E S
« shabāha »


{ qashra, mattina ~ pov: ashlaìn }

Il suo peregrinare lo aveva portato a Qashra, capitale del Sultanato. Voleva correre, avvisare chiunque della minaccia che - come una bomba a orologieria - incombeva sull'Akeran. Prima di decidere di intraprendere questo viaggio, aveva vagato per il Sürgün-zemat fuggendo dalla lunga mano degli Occhi del Serpente. Sebbene avesse scelto la regione meno ospitale dell'intero continente come rifugio, credeva di aver sempre fatto la scelta giusta: ancora qualche settimana e le acque si sarebbero calmate, di lui sarebbe rimasto solo il ricordo, e avrebbe potuto far ritorno in cività. Da uomo libero. Fino ad allora, accompagnava le carovane di passaggio nel deserto, chiedendo in cambio solo cibo e ospitalità e - giunto a un qualche confine - si sarebbe semplicemente voltato, accompagnando una carovana diversa. Fu costretto dagli eventi e dai demoni a dover rivedere la propria strategia. Ormai la sua pelle non reagiva nemmeno più al dolore del surriscaldarsi dei propri gioielli: lino e ampie vesti cingevano il suo corpo, una spada ricurva adornava la cintola, così come dilatatori ricavati dai denti di demoni attraversavano i lobi delle sue orecchie. I sonagli, i gingilli d'oro che risuonavano ad ogni suo passo, propri dei Naja erano ancora lì, ad incutere timore col proprio tintinnare a chiunque avesse osato minacciarlo. Quando il Baathos cominciò a vomitare i sussurri dell'oscurità, Ashlaìn era ancora nel Sürgün-zemat. Riparato vide qualche volta sciami di bastardi volargli sopra la testa, diretti verso chissà quale méta da spolpare e corrompere. Il Male aveva evidentemente deciso di mettersi a giocare con la civiltà, e lui - che aveva imparato ad affrontare quei demoni che avevano osato tornare in superficie da soli - aveva il sacrosanto dovere di aiutare l'Akeran a sopravvivere.
La vendetta contro la gilda poteva aspettare: se il Male avesse vinto, non ci sarebbe stato più nulla nell'Akeran e nel Continente.

Non sapeva se fidarsi o meno. Gli Occhi del Serpente aveva spire che potevano arrivare nei salotti e nelle città più sperdute di Theras. Infidi, sfuggevoli, viscidi, gli agenti dell'organizzazione sapevano nascondersi in mezzo alla gente, sommersi dalla caotica confusione delle città dell’Akeran. Esseri astuti e scaltri, in grado di mimetizzarsi nella folla, di cambiare il tono della loro voce pur di ingannare il prossimo. Sono le lingue che animano i segreti più nascosti; la voce del serpente che racconta le debolezze altrui. Molti imperi sono caduti per una malalingua, un pettegolezzo, il sussurro spietato e veritiero di un serpente, e Ashlaìn non poteva permetterselo, prima per sè e poi per l'Akeran intero. Il gruppo sembrava però completamente arrabattato e improvvisato per poter essere una pensata di un'organizzazione superiore. Due nani, una donna e un prete. Non il massimo della sicurezza, ma giunto a quel punto doveva tentare.

Giunse appena in tempo per carpire dal discorso il nome del prete: « Il mio nome è Ged e, se non vi dispiace, vorrei unirmi a voi. »
A occhio e croce, per tenere lì quella donna, non dovevano essere persone che guardavano troppo alla forma, quei nani. Si rivolgevano tutti a loro come coloro dai quali dipendere, ai quali porgere i loro saluti. Ascoltò la risposta nel nano al sacerdote prima di esordire lui stesso, mettendo bene in chiaro chi fosse, cosa cercasse e cosa poteva mettere al servizio del gruppo. La propria spada, sicuramente. E forse - in casi disperati - il proprio dono.
« Viaggiate nella direzione di Taanach » disse « e fate bene. Conosco cosa sta uscendo dal buco del Surgun-zemat » lo aveva visto, lo aveva combattuto.
« Permettetemi di unirmi a voi »

Alzò l'estremità destra del labbro quando pose l'accento sui gingilli d'oro che ornavano i suoi fianchi, il suo collo. Non si vantava di essere stato un Naja, ma sapeva che quelli erano unanimemente considerati simboli di terrore.
« E come potete intuire dai miei sonagli, so come aprire in due esseri del genere. »

Un ghigno comparì sul volto del nano, che probabilmente aveva imparato a conoscere usi, costumi, e individui dell'Akeran.
Lui sicuramente sapeva di trovarsi di fronte a un guerriero. « Io invece preferisco sfondare loro il cranio. »
Rispose accarezzando la testa del pesante martello da guerra appeso alla cintola. « Ma il tuo metodo va bene uguale, » concluse sghignazzando.

« Considerati dei nostri. »



CITAZIONE
Allora, non posto da anni su Asgradel, praticamente, e tornare subito in quest è quanto di più difficile mi sia capitato: gli altri vanno alla grande e non posso permettermi di essere da meno :v: Niente di che, comunque, antefatto e presentazione. Nessuna passiva sfruttata, mi limito per ora a riportare le mie tre statistiche, poi ad aspettare il post di Drag. che chiude il giro. Statemi bene, e divertiamoci :asd:

Energia: 100%
Fisico: 100%
Mente: 100%

 
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Drag.
view post Posted on 13/3/2015, 01:06




Navigava nella nebbia.
Xari inspirò a fondo, cercando di calmare il senso d'inquietudine che gli stava ghiacciando le vene: nuvole bianche lo circondavano completamente, senza tuttavia permettergli di vedere. Abbassò lo sguardo: laddove si sarebbe aspettato di trovare il rassicurante legno del brigantino, i suoi piedi calpestavano soltanto un uniforme, grezzo suolo di pietra calcarea. Inconsapevolmente, tentò di chinarsi per tastare quel pavimento con le proprie dita... ma neppure un muscolo rispose al suo ordine.
Il grigiore regnava sovrano: il cielo era velato dalla bruma candida, instillandogli la fastidiosa sensazione di essere stato abbandonato, lasciato solo nel vuoto alla fine del mondo. Si tratta del Limbo, immaginò; sono giunto nelle infinite sale sommerse di Voljund, il Dio Abissale. Questa era la conclusione della storia di Xari Drenthe: amante, baro e pirata. Avrebbe dovuto provare paura - rassegnazione? -, ma l'unico sentimento che stava montando nel suo cuore era l'ira.
L'umidità che bagnava le sue braccia veniva percepita in maniera distorta dai suoi sensi - come se si trattasse di una finzione, un'imitazione scadente del respiro del mare levato dal repentino sbalzo di temperature, quando l'alba respinge la notte. Non poteva accettare una sorte del genere: era un'uscita di scena silenziosa e ingloriosa - del tutto priva di significato. Gli dèi gli avevano infine voltato le spalle? Loec aveva volto il suo astuto sguardo altrove, lasciandolo nell'anonimato?

No, si disse. Sto osservando questa illusione da una prospettiva errata e rancorosa.
La superficie grigia che costituiva l'unico suolo di quel mondo onirico scomparve, spodestata da sabbia e terra battuta. La nebbia, densa e carica di profumi sconosciuti, rifiutò di alzarsi e svelare i segreti che nascondeva; nonostante non esistesse alcun punto luminoso preciso, bagliori lontani - minuscoli fuochi fatui che s'accendevano ritmicamente nel suo subconscio - parevano annunciare dei portici; case; taverne.
Un porto, e decine di navi alla fonda.

« ʤɛna è un labirinto, », sussurrò la Sognatrice, cingendo con le sue esili braccia la schiena del pirata.
« Dorhamat è un labirinto, », rispose Xari, scrutando oltre la chioma corvina di Intet.

« e io ne sono il mostro. »
« e io ne sono il mostro... »

Spettri di marinai camminavano dinanzi a lui, attraversando il suo spazio visivo; essi erano del tutto ignari della stolta, insulsa vita che stavano conducendo: intrappolati nel magnifico regno della mente che Intet aveva donato a Drenthe. Tutto era totalmente, assolutamente, indistruttibilmente perfetto Ogni parola, azione, pensiero degli abitanti di quel castello di menzogne era il risultato della sua concertazione - un'architettura costruita a regola d'arte secondo ogni suo capriccio.
Come Intet prima di lui, Xari era divenuto il burattinaio del racconto: ogni dettaglio ora aveva trovato spazio nel suo impero illusorio - un quadro pulito, ordinato ed immutabile.

« Riesci a capire perché ti sto dicendo questo, Xari? », gli disse quindi la Sognatrice, muovendo una mano per accarezzargli la guancia « Puoi immaginare per quanto tempo io abbia atteso che qualcuno turbasse le acque di questo patetico stagno? »
Un bridivo incontrollabile scosse la schiena del pirata, i cui occhi azzurri erano ancora concentrati sui fantasmi che la mente proiettava al di là della bellissima dea di ʤɛna. Quelle parole, realizzò, quelle parole erano identiche a quelle pronunciate nel momento prima della sua catàbasi. La Tentatio aveva vinto: la corruzione aveva ghermito il cuore dell'avventuriero ed aveva straziato la sua anima mentre contemporaneamente cullava il suo orgoglio cantando dolci ninnananne. Esse lo facevano sentire al sicuro, paralizzando completamente la sua forza di volontà.

« Resta con me. »
Era restato. Era lì. Era con lei.

Gli occhi del pirata, tuttavia, continuavano ad osservare ciò che lei non poteva promettere - nè raggiungere. Il sogno stava regredendo, comprese; la sabbia stava lentamente scivolando via dal terreno, gli spiriti venivano dissolti dalla luce di un sole invisibile e il pavimento tornava ad essere solida - anonima - pietra.
« RESTA CON ME. »

Si rese improvvisamente conto di averla respinta: le sue mani la allontanavano delicatamente, spingendo le esili spalle lontano da lui.
Fece persino un passo indietro, con suo estremo sconcerto; lui non era padrone di quei gesti. Qualcosa lo stava chiamando - una ragione che stava faticosamente tentando di penetrare le colossali mura di bugie che la Sognatrice aveva eretto attorno a lui.

« Non devi fare altro che cedere alla tentazione. »



FETIALES
shabāha


« Non devi fare altro che cedere alla tentazione. »
« CAPITANO! »

Xari si levò dalla branda istantaneamente, impugnando Litigio con la mano destra.
La lama damascata dell'elegante wakizashi balenò per un sole istante di luce dorata, incrociando le fiamme danzanti di una lampada ad olio assicurata vicino all'uscio e dondolante al rollìo della nave. Il filo affilato del pugnale si fermò soltanto a pochi centimetri dalla gola di Kara "Piccola Ape", capitana della Nereide. Entrambi rimasero perfettamente immobili, l'uno scioccato dalla sua stessa vulnerabilità e l'altra sconcertata dalla reazione del suo (ex) superiore.
« Non sono più il tuo capitano da più di due anni, Piccola Ape. », rispose il pirata; la sua espressione era mutata con la stessa velocità di un battito di ciglia. Kara sbattè le palpebre, quasi domandandosi se non avesse immaginato l'espressione inverosimilmente terrorizzata che era comparsa sul volto di Xari. Questi abbassò prontamente la lama, nascondendola nell'elegante fodero sotto il rozzo cuscino di tela. Il gesto fu naturale e misurato, ma lo zelo con il quale lo fece tradì il leggero tremolìo delle sue mani - prontamente celate assieme a Litigio.
« Sarete sempre il comandante dei Prigionieri. », commentò la donna dalla pelle scura, allontanandosi di un passo dalla branda di Drenthe per permettergli di riordinare se stesso.
Lui si alzò in piedi, cercando i propri vestiti; Kara gli spiegò brevemente di aver quasi raggiunto l'approdo esterno di Qashra, un porto tranquillo e periferico che non avrebbe sollevato troppe domande o pubblicità. L'aria della capitale era pesante - tesa. La paranoia e il catastrofismo cominciavano ad aleggiare tra i suoi cittadini ogni qual volta le notizie degli incidenti lungo la frontiera raggiungevano gli affollati mercati del gioiello del Sultanato. Si parlava di mostri, di demoni; si vociferava di un esercito del Baathos, sotto l'egida di un singolo, malevolo condottiero.
Lentamente, il pirata indossò la giubba colorata sopra la grezza camicia di lino. Non stava più ascoltando il rapporto di Kara: i suoi pensieri erano tornati laggiù, nel sogno - nella realtà fittizia che sarebbe potuta accadere se Xari avesse davvero ceduto alle lusinghe della Sognatrice.
Perchè Xari aveva quasi giaciuto con l'Ahriman prima che diventasse davvero tale - distrutta dalla stessa marea che pensava di sfruttare. Egli sapeva ora riconoscere il terribile, mortifero sorriso che celava la chiostra di zanne dietro il bel volto dell'arcidemone.
Riusciva ancora a vederlo - lì, nell'oscurità, che aspettava.



« Torna da me.
Resta con me.
»


( Qashra, radura alla periferia della capitale - Akeran )

Non si presentò immediatamente al luogo dell'incontro prefissato dal modesto bando di reclutamento.
Xari sapeva chi doveva incontrare: Alexei era stato molto specifico, al riguardo. I punti di vista dell'avventuriero e del rosso divergevano su molti punti, ma l'impellenza di trovare una soluzione alla drammatica mareggiata che stava per abbattersi sul continente meridionale era un solido fondamento della loro alleanza; Drenthe aveva molti affari reconditi che lo spingevano a supportare la crociata del misterioso giovane dai capelli cremisi, ma non era uno sciocco. Egli sapeva che non esisteva luogo migliore per sfruttare l'instabilità che quel caos avrebbe generato: aveva rifiutato il palcoscenico fittizio di Intet, ma ciò non significava che lui non amasse tirare le fila della storia. Se poteva essere protagonista e saziare al contempo la sua inesauribile sete di conoscenza, avrebbe volentieri militato in prima fila.
Agghindato nel modo più vistoso possibile, Xari osservò da posizione innocua i pochi istanti che precedettero la sua presentazione; non poteva udire appieno ciò che veniva pronunciato, ma l'aspetto e la gestualità di coloro che sarebbero stati i suoi compagni di viaggio furono più che sufficienti per abbozzare dei primi ritratti - e con essi, un percorso d'approccio. Per primi vide i coniugi nani di cui Alexei gli aveva parlato - i suoi primi alleati durante la prima fase della lotta contro l'Ahriman. Shaelan non faceva mistero dello spirito indomito di cui la sua razza andava fiera (specialmente nei giorni della loro gioventù, quando la gloria della Riunificazione non aveva ancora appesantito le loro menti e le loro pance); il marito, invece, malcelava un'aria umile tradita dalla cura che prestava ad un magnifico, pesantissimo maglio da guerra. Benchè il rosso gli avesse garantito che costui non costituisse un avversario per la causa, aveva espressamente dichiarato che non si sarebbe presentato a lui con il suo vero nome. Il solo pensiero di svelarne l'identità eccitò l'entusiasmo del pirata, il quale scrutò i seguenti accompagnatori con occhio sempre più interessato: prima una donna dal portamento sicuro e l'evidente, totale autocontrollo di ciò che la circondava (come un occhio d'aquila nel cielo che scruta la radura prima di balzare sulla preda); poi, addiruttra un Naja degli Occhi del Serpente. Quel genere di guerrieri-a-sonagli (così venivano spesso soprannominati a Dorhamat i corpi scelti degli schiavisti di Taanach) agivano raramente da soli e la loro libertà di pensiero era semplicemente inconcepibile. Quel ragazzo snello raccontava con il suo aspetto molto più di quanto avrebbe potuto dire durante un'intera notte di narrazione dinanzi ad un falò: il solo fatto che costui avesse un legame con la potentissima organizzazione del Serpente comportava un aumento esponenziale delle complicazioni che andava di pari passo con quello delle opportunità.

E infine... Ged. Oh, Ged.

Xari sorrise, scoprendosi estremamete invaghito dal pensiero di sviscerare i segreti dei suoi compagni e farli danzare come marionette sul filo che li teneva sospesi sopra il baratro oscuro del Sürgün-zemat. La sua indole manipolativa poteva essere frenata sino a certo punto: riconosceva i lunghi, bui tentacoli della Tentatio nei suoi pensieri... ma la corruzione non aveva più alcun potere su di lui - non dopo aver rifiutato il fulcro stesso di quella pulsione degradatrice.
« Un'intrigante alchimia di individui. », esclamò infine, annunciandosi a voce alta diversi passi più indietro rispetto al cerchio di personaggi radunatisi alla chiamata di Dhweg. Egli era, come suo solito, vestito di eccessi e vistosi ammennicoli: i capelli tinti, gli occhi a mandorla allungati con dell'ombretto, l'armatura costruita da pezzi casuali e colorati; tutta la sua figura era preparata per sembrare appariscente e lasciare una forte impressione. Dal fianco pendevano due lame di foggia orientale, e dalla cintola sbucava l'impugnatura di una pistola.
« Xari Drenthe, al vostro servizio.
Alexei vi porge i suoi omaggi, mastro nano.
»

Strizzò vistosamente l'occhio in direzione di Ged, con il quale non si era lasciato in termini propriamente amichevoli.

« A quanto pare abbiamo delle amicizie comuni. Spero che anche i nostri scopi possano esserlo. »
Non sai quanto, caro Dhweg.

 
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view post Posted on 15/3/2015, 22:56

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······

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{ akeran, in viaggio ~ pov: jahrir }

Quando partirono da Qashra il sole si approssimava all'apice del suo arco e le ombre iniziavano già ad accorciarsi. Erano ben altre tenebre, però, quelle che preoccupavano Jahrir: le tenebre che si celavano nei cuori degli uomini; le tenebre annidiate negli abissi del Baathos; le tenebre che minacciavano di seppellire il mondo intero.
Si ritrovò ben presto a procedere in silenzio, assorto nei suoi pensieri. Gli individui che avevano risposto all'appello erano quanto più diversi non si poteva: Ged, il sacerdote dalla chioma dorata, gli occhi cerulei e le vesti raffinate; il nano ne aveva subito riconosciuto il culto, non era il primo accolito di R'hllor in cui si imbatteva. C'era poi Lena Lauren, una giovane umana dalla figura aggraziata, che aveva dato subito prova della propria arguzia lasciando intendere di non essere stata ingannata dalle sue bugie. Fra di loro si era instaurato un patto implicito e reciproco, venato da una punta di circospezione. Ashlaìn era il nome del guerriero armato di scimitarra; i bracciali e i sonagli d'oro di cui si adornava lo identificavano inequivocabilmente come un Naja, il braccio armato della fazione schiavista degli Occhi del Serpente, radicata in profondità a Taanach. Jahrir era rimasto interdetto di primo acchito, ma poi aveva subito riflettuto che per trovarsi lì il Sonaglio doveva essere sfuggito alla sua passata condizione di schiavo, il che gli faceva avvertire una certa affinità: anche lui appena pochi anni prima - quando Erdkun era ancora soltanto una speranza mormorata a fior di labbra - aveva vissuto in servitù come gran parte del suo popolo; inoltre un abile combattente era quello che serviva al gruppo. L'ultimo ad arrivare era stato l'esotico Xari Drenthe: aveva i capelli tinti di un verde che sfumava nel blu e gli occhi a mandorla, indossava abiti appariscenti ed era ingioiellato da ninnoli e gemme varie; completava l'opera un'accozzaglia di pezzi d'armatura mal assortiti. Ancora una volta l'opinione di Jahrir era stata costretta a mutare in fretta, non appena il pirata aveva nominato Alexei. Le domande si affastellavano nella sua mente, senza risposta: che rapporto aveva col misterioso giovane dai capelli ramati? Era stato quest'ultimo a indirizzarlo da loro, o Xari era mosso da motivazioni proprie? E in tal caso, quali erano i suoi reali scopi?
Per il momento dovette accantonare questi e altri quesiti. Avevano formato una compagnia eterogenea e variegata, senza alcun senso apparente. Potevano trovare un piano comune su cui basare la loro collaborazione, o sarebbero stati soverchiati dalle differenze che li separavano? Forse, pensava speranzoso Jahrir, sarebbe stata proprio la loro diversità la chiave del successo: la Corruzione era una minaccia che riguardava tutti, nani e uomini, pirati e investigatori, guerrieri e sacerdoti - e tutti dovevano combatterla. Era necessario che ciascuno fornisse il proprio personale contributo alla causa, se volevano uscirne con successo.

Immerso nelle proprie elucubrazioni, fu quasi sorpreso dal calare della sera. Fatta eccezioni per qualche parola scambiata con Shaelan e gli altri avventurieri aveva marciato in silenzio fino ad allora, arrovellandosi sul futuro. D'un tratto l'incalzare del crepuscolo rivestì di nuova luce le previsioni sull'avvenire: mentre il paesaggio si colorava della tenue luminescenza soffusa del tramonto e una piacevole brezza spirava rinfrescandolo dalla calura del giorno, tutto gli apparve sotto una prospettiva diversa. Forse stava esagerando nell'angosciarsi a tal punto riguardo la minaccia della Tentatio. Forse Alexei si preoccupava inutilmente, e del resto - era risaputo - le voci si ingigantiscono sempre passando da una bocca all'altra, arricchendosi di interpretazioni e dettagli fantasiosi. Come se non bastasse avevano già sconfitto i demoni una volta, perchè adesso sarebbe dovuto essere diverso? Con ogni probabilità li aspettava un viaggio tranquillo fino a Taanach, dove i Triarchi o chi per loro, saputa la sua identità, gli avrebbero offerto un corpo di spedizione per debellare la minaccia una volta per tutte. Sì, sarebbe andata così - disse a se stesso, cercando di convincersi.

I fuochi incenerirono i suoi castelli di carta.

Si accesero uno dopo l'altro, fiammelle danzanti all'orizzonte, o almeno così apparivano per la distanza. Le tenebre adagiatesi sulla pianura erano rischiarate dai bagliori lontani, simili a lucciole ardenti nella notte. Mentre i falò avvampavano uno dopo l'altro, nella volta ormai nera comparivano le prime stelle e sembrava quasi che cielo e terra si rispecchiassero uno sull'altra come il riflesso su uno specchio d'acqua immota. Jahrir si chiese cosa fossero: villaggi in fiamme o roghi appiccati per scacciare le mostruosità in agguato nelle tenebre? Forse entrambe le cose, pensò incupito. Il pericolo era reale, inutile ingannarsi, e di una portata che non avevano mai affrontato.

Quella notte si accamparono al riparo di una cresta del terreno.
Jahrir dormì sonni inquieti.


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L'indomani partirono di buon ora e avanzarono speditamente senza interruzioni, a eccezione di una breve sosta per il pranzo. Il viaggio proseguì tranquillo e non ci furono impedimenti, eppure nell'aria aleggiava una tensione inesprimibile che opprimeva il cammino della compagnia.
Il paesaggio nel frattempo era mutato: una cordigliera frastagliata aveva interrotto la monotonia pianeggiante del Sultanato, un susseguirsi di picchi montuosi che sembravano rocce scagliate lì per gioco dalla mano di un gigante e rappresentavano le estreme propaggini settentrionali dei massicci di cui era costellato il Sürgün-zemat. Un fiumiciattolo tortuoso scendeva dalle vette e scorreva faticosamente scavandosi a stento un passaggio nel terreno pietroso. Il corso d'acqua aveva favorito la crescita di chiazze di vegetazione e donato alla zona un aspetto più benevolo e fertile, nonostante nell'aria si respirasse l'aridità delle lande desolate non troppo lontane.
Jahrir si ritrovò a scacciare con la mano un nero uccellaccio appollaiatosi sulla sua spalla. Il corvo si levò in un frullio d'ali, gracchiando irritato; seguendone il volo con lo sguardo il nano avvistò le cime di quello che pareva essere un bosco adagiato in una lieve conca appena dopo l'ondulazione del terreno davanti a loro. Lo indicò agli altri e quando ebbero raggiunto il crinale potè ammirarlo nella sua interezza: una macchia rigogliosa e isolata, non molto estesa, ammassata intorno al fiume come una folla incuriosita. Non rimaneva che un'ora o due di luce e in giro non si scorgevano altri ripari, per cui Jahrir ritenne che quello poteva fare al caso loro.

« Ci accamperemo lì per la notte. »

Comunicò agli altri. Aveva appena finito di parlare quando avvertì un sentore acre nell'aria, come di carne bruciata. Il vento soffiava verso est: voltatosi in direzione opposta, scorse un pennacchio di fumo levarsi da dietro una collinetta non molto lontana. Non ebbe neanche il tempo di esplicitare quanto infausto gli paresse quel segno, perchè sulla cresta del pendio stesso si affacciarono una dopo l'altra cinque, dieci... venti figure o forse più. Dai gesti frenetici con cui indicavano la compagnia di Jahrir e Shalean, capì che anche loro li avevano visti. Erano bassi e tarchiati come dei nani, ma le loro intenzioni sembravano decisamente ostili, a maggior ragione quando si lanciarono giù dal declivio urlando e agitando le armi in pugno.

« Dannazione! »

Il manipolo nemico li sopravanzava nettamente in numero e uno scontro in campo aperto li avrebbe sfavoriti ancora di più. Il bosco non era così distante e protendeva le sue verdi fronde in un abbraccio protettivo... se solo avessero potuto raggiungerlo in tempo! Li avessero sorpresi di spalle prima degli alberi, sarebbe stata la fine. I sei compagni si trovavano a metà strada tra la foresta e gli assalitori, ma quest'ultimi avevano il vantaggio del pendio favorevole e della carica già avviata.

Jahrir digrignò i denti, indeciso.
La striscia d'erba ingiallita che li separava dallo scontro non si estendeva che per poche centinaia di passi,
e la distanza si assottigliava a ogni secondo.


CITAZIONE
QM POINT ~

Vediamo di movimentare un po' la situazione! Quello che succede è molto semplice: al secondo giorno di marcia, verso la sera, siete attaccati da un gruppo di Caduti. Vi trovate in vista di un boschetto quando avvistate i nemici, che sono molto più numerosi di voi (almeno una ventina). Potete voltarvi ad affrontarli oppure tentare di raggiungere il riparo offerto dalla vegetazione per seminarli o combatterli da una posizione più vantaggiosa. Nel secondo caso, però, è probabile che senza qualche stratagemma da parte vostra il manipolo vi raggiunga prima che voi possiate arrivare al bosco. Mettetevi d'accordo in Confronto e fatemi sapere; se volete organizzare qualche dialogo e interazione durante il viaggio precedente, potete farlo. Scadenza: 23.59 di Venerdì 20.

 
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Wolfo
view post Posted on 21/3/2015, 15:16





« Fetiales; shabāha »
dall'abisso

─ ─ ─


La compagnia uscì dai confini del Sultanato, alla volta di Taanach.
Durante le prime ore di viaggio, Ged giocherellava con i propri poteri, creando delle piccole fiammelle sulle punte delle dita, per poi lanciarle da una mano all’altra come un abile giocoliere. Per ben due volte rischiò di bruciarsi le maniche della veste e, per non risultare ridicolo, preferì mettere da parte i suoi numeri. Era sensibilmente annoiato. Per quanto amasse viaggiare e ammirare nuovi luoghi, detestava il silenzio. Come se non bastasse, percepiva anche una insolita sensazione di inquietudine, che rendeva il tragitto ancora più tortuoso.

Stanco dell’atmosfera monotona, tentò di rompere il ghiaccio con uno dei suoi compagni, il Naja, che lo aveva affiancato fin dalla partenza.

« Non ci siamo ancora presentati; il mio nome è Ged. » esordì.
« Trovo insolito che un Naja abbia deciso di unirsi a questo gruppo. »

Forse era stato arrogante, ma se ne accorse soltanto in seguito. Non poteva negare il sospetto che provava nei confronti di Ashlaìn, ma il suo tono di voce era più influenzato dalla stanchezza che dalla malafede. Sperando di non aver offeso il suo interlocutore, Ged rimare in ascolto, abbozzando un leggero sorriso.

« Il mio nome è Ashlaìn.
Un Naja, sì. Una volta mi chiamavano così. Prima che mi liberassi delle catene, prima che scappassi nel Surgum-zemat.
Questi sono, per così dire, una garanzia di incolumità.
»

Il discorso si concluse immediatamente. Ged non riuscì a nascondere il suo imbarazzo, ma fu lieto di aver appreso quelle informazioni. In fin dei conti, a eccezione di Xari, non conosceva molto bene i suoi comagni di viaggio. A dirla tutta, non conosceva nemmeno Xari; quel pirata aveva una innata capacità nel cambiare le carte in tavole e rivoltare ogni situazione a suo favore. Lo osservò diverse volte durante il viaggio, ma non ottenne nulla.
─ ─ ─


« Ci accamperemo lì per la notte. » disse il nano al resto del gruppo. Il sacerdote stava osservando l'ambiente, quando qualcosa squarciò la tranquillità del viaggio. Un gruppo di Caduti - una ventina, circa - indicò la piccola compagnia; il nano fu il primo ad accorgersene, destando l'attenzione di tutti: « Dannazione! »

Gli assalitori avanzarono velocemente, e quello che successe fu incredibile.
Probabilmente mossi dal medesimo istinto, Xari e Ged reagirono prontamente alla minaccia. Il sacerdote non vide con chiarezza l'operato del pirata, tuttavia, si rese conto che la sua distrazione fece guadagnare diverso tempo al gruppo. Una densa nube intossicò la maggior parte dei Caduti, e del restante se ne occupò Ged. Intrecciò la sottile trama magica che legava il suo spirito a quello del primo drago, e generò dal terreno diverse lingue di fuoco che - rapide - andarono a paralizzare i bersagli.

« Presto! Via da qui! » urlò il sacerdote, correndo verso il fitto bosco davanti a lui.
Sembrava l'unica via di uscita da quella situazione...
...beh, forse si sbagliava.
─ ─ ─


La fitta atmosfera di quel luogo era opprimente.
L'aria risultava pesante e, a ogni passo, il sacerdote faticava a respirare. Gli stivali di cuoio si logoravano nel terriccio umido del bosco, mentre le sue vesti si erano strappate durante la fuga dai Caduti. Ged non aveva un bell'aspetto ma, per fortuna, era vivo. Forse viaggiare così liberamente era stato un errore, tuttavia, non si sarebbe mai aspettato un attacco. Non così presto, almeno.
Faticava a respirare, come se quel luogo misterioso lo stesse lentamente sconfiggendo.

« Restiamo in guardia... » sussurrò « ...questo non è luogo per noi. ». Si voltò alla ricerca degli sguardi dei suoi compagni ma, inaspettatamente, mancava qualcuno all'appello: « ..dove sono finiti Ashlaìn e la donna? »

Non ebbe il tempo di udire alcuna risposta.

Dal maleodorante terreno emersero decine di vermi, grossi almeno quanto un cucciolo di lupo. Vantavano una colorazione tendente al nero, anche se alcuni esemplari erano persino più scuri, e ricoperti di una fetida melma verdastra. Non avevano occhi - forse seguivano l'olfatto - e non facevano altro che sbattere rapidamente la loro insolita mascella. Una di quelle creature balzò rapidamente verso il tallone del sacerdote, ferendolo e tentando letteralmente di strappargli al carne dalle ossa. Una volta che la creatura lasciò la preda, altre due si prepararono per la medesima strategia, ma a quel punto il pastore reagì prontamente.

« draco »
Sussurrò, mentre soffiava delicatamente sulla mancina, generando una piccola fiamma che - rapidamente - finì per inglobare l'intera mano. Nell'istante successivo, Ged scagliò la fiamma a terra, creando un vero e proprio baratro di fuoco, da cui emerse un piccolo drago fiammeggiante, privo di ali.



La creatura si erse con tutta la sua potenza, tentando di azzannare le serpi con le proprie fauci.
Il primo assalto fu mosso dalla vendetta; il rettile si fiondò verso l'orrido verme che aveva ferito il suo padrone, spalancando le fauci e mostrando una coppia di zanne affilate. Una volta esaurito l'attacco, il drago avrebbe spostato la propria attenzione verso il gruppo di serpi più vicine al sacerdote. Sarebbe corso verso di loro, concludendo l'assalto con un possente attacco con le zampe anteriori, nel tentativo di spazzarle via.

« Q-quanti sono?! »


CITAZIONE
Energia: 125% - 10% - 10% = 105%
Mente: 100%
Corpo: 75% - 5% = 70%

Ferite
─ Basso al corpo (5%), morso al tallone destro.

Evocazioni in gioco
─ Drago, piccole dimensioni
── Riserva: 2 CS (1 in velocità, 1 in forza) -> 0 CS
── Turno: 1/2
── Vita: bassa (5%)


Abilità utilizzate
─ Ged può, consumando energia, creare delle lingue di fuoco per paralizzare i bersagli (abilità media, magica, ad area).
─ Evocazione, consumo medio di energia: 2 CS, due turni (richiamo comune, magica).

Note
─ Subisco un danno basso al corpo dovuto all'attacco delle serpi.
─ Evoco un piccolo drago, e utilizzo subito i suoi 2 CS per l'attacco fisico contro le serpi:
── uso 1 CS in velocità per attaccare la serpe che ha colpito Ged.
── uso 1 CS in forza per attaccare le altre del "mio" gruppo. Non essendo un atk ad area, il colpo è diretto alla prima serpe che incontra.
 
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Lul~
view post Posted on 21/3/2015, 16:56




{ akeran, in viaggio ~ pov: ashlaìn }

Che poi, l'Akeran non era nemmeno quella brulla distesa di terra lavica che tutti immaginavano. Disegnava gli ambienti più vari, dalla perla di Qashra alle costruzioni di Taanach, dal deserto del Bekâr-şehir all'azzurra distesa del Qatja-yakin. Non sarebbe stato un viaggio rapido, quello che li avrebbe condotti a Taanach, né - immaginava - tranquillo: corrotti, criminali, fuggiaschi. Da quel punto di vista l'Akeran era l'inferno che tutti descrivevano. Non esisteva un viaggio sicuro, né - tantomai - una persona avrebbe potuto dirsi mai al sicuro. Sopravvive chi vince, e vince il più forte. Laggiù, nel Sud di Theras, era sempre stato così.

« Non ci siamo ancora presentati; il mio nome è Ged. » disse il prete, che richiamò la sua mente dal limbo dove erano finiti i suoi pensieri. « Trovo insolito che un Naja abbia deciso di unirsi a questo gruppo. »

Naja. Non sentiva quella parola da mesi e mesi. Forse anche più di un anno, dall'lultima volta in cui quell'epiteto aveva suscitato il terrore negli occhi del suo nemico. I Naja erano il braccio armato dell’associazione più spietata dell'Akeran, soldati letali perfettamente addestrati. In ogni battaglia campale i Naja erano sempre presenti come rappresentanti degli Occhi del serpente.

« Il mio nome è Ashlaìn. »
Già. Anche un nato schiavo aveva un nome, anche se molti sembravano non tenerne conto.
Avrebbe anche potuto rispondergli semplicemente Yangin, così come avevano preso a chiamarlo nel Sürgün-zemat.
« Un Naja, sì. Una volta mi chiamavano così. Prima che mi liberassi delle catene, prima che scappassi nel Sürgün-zemat.
Questi sono, per così dire, una garanzia di incolumità.
»

Vide chiaramente l'imbarazzo dipingersi sul volto del prete, e scelse di accelerare il passo, quasi per rompere quel silenzio che si era creato, dettato evidentemente dall'imbarazzo di chi - libero - aveva scelto di servire qualcunaltro. Esattamente il contrario di quella che fu la vita di Ashlaìn.
Quanto ai sonagli, li portava perché sapeva bene l'effetto che avrebbero sortito su chi lo avesse incontrato. Quei gingilli lo avrebbero universalmente identificato come Naja, e solo un folle avrebbe attaccato apertamente un Naja. Solo uno stupido, solo un folle.
O - forse - anche un'orda di caduti bastardi.

~~

Sbucarono dal nulla, come il peggior sciame di calabroni. Coprirono la distanza così in fretta che non dovevano conoscere fatica. Coprirono la distanza così in fretta che Ashlaìn stette lì immobile, a pregustare quel sapore di sangue sparso durante ogni maledetta battaglia. Poi guardò meglio. Bassi e tarchiati come nani, ma più rapidi, più famelici. Più scuri. Caduti. Furono Ged e il pirata a fare la prima mossa: fra una cortina di fumo e l'evocazione di un draghetto, la compagnia riuscì a seminare i corrotti, lasciando che il bosco avvolgesse i propri corpi e li nascondesse agli occhi di chi ne rimaneva al di fuori.
Stava per aprire la bocca per complimentarsi coi propri compagni quando si rese conto che lui e la donna, quella che aveva detto di chiamarsi Lena, erano rimasti completamente isolati rispetto al gruppo. Dovevano aver seguito dei passi diversi, dovevano essere stati attirati da quell'incontrastabile desiderio di seguire quella tenue e candida luminescenza, quasi fosse luce in fondo al tunnel d'una caverna. Quasi fosse l'unica cosa che potesse fare.

« Dove cazzo s~ »

Non fece in tempo a finire la frase. Si sentì un'idiota - dopo i pericoli che aveva corso nel deserto - ad essere caduto in una trappola del genere. Si sentì un'idiota per non aver visto, in quella luminescenza, un pericolo madornale, un'ombra sinuosa e cangianti, dalle fattezze vagamente umanoidi e con gli occhi color della lava. Un fuoco fatuo. Sorrise per la rabbia e per il fatto che - molto probabilmente - avrebbe dovuto combattere comunque, nonostante l'intervento del prete e del pirata. Sorrise, perchè un Naja non poteva aver paura di uno spiritello. Sorrise, probabilmente, perché lo spirito aveva invaso la sua mente per la seconda volta, stravolgendola dopo aver accarezzata, deridendola dopo averla ghermita. Se lo ritrovò addosso, un istante dopo aver sentito il petto avvampare. Quel bastardo voleva cavargli il cuore, o forse soltanto operargli un buco da parte a parte. Tornò lucido un attimo prima del peggio, quando la carne sanguinava, sì, ma per una ferita superficiale. Sudava come se avesse subito le peggiori ingiurie, ma capiva perfettamente che quel bastardo aveva perforato la sua mente più di quanto non sembrasse a guardarlo. Riuscì a difendersi scartando di lato, ruotando verso destra per evitare il primo attacco e alzando la lama ricurva - estratta nel movimento - a intercettare l'altro. Toccava a lui, e l'ultima cosa che mostrò a quel bastardo prima di sparire fu il suo sorriso.

Non cercò di prenderlo alle spalle. Sapeva che per quel che stava per succedere non ce n'era affatto bisogno. Inspirò in silenzio, poi soffiò, tornando visibile insieme alla lingua rossa che si produsse dal suo soffio. Avrebbe rischiato di dar fuoco a tutto - forse - ma era un rischio che era disposto a pagare.



CITAZIONE

Energia | 100% [-20%] = 80%
Corpo | 100%
Mente | 100% [-10%] = 90%

Con una legione intorno, è facile attaccare il nemico. Un Naja deve imparare a farlo anche quando, rimasto da solo contro tutti, deve sopravvivere e uccidere la propria preda; figurarsi se può non averlo imparato lui, un essere capace di fuggire, per settimane, mesi, forse anni alle atrocità della porta del Baathos, rendendosi - di fatto - invisibile a quei deformi esseri che popolano la regione meno colonizzata di Theras, esattamente come un'ombra che sparisce, sfasando nelle tenebre. Ashlaìn ha dunque imparato a celare la propria presenza per un turno - senza però annullare eventuali rumori prodotti o tracce lasciate dal passaggio - per prepararsi a colpire il proprio nemico. In questo modo, potrà aggiungere anche 2 CS (forza) alla propria riserva e il prossimo attacco fisico - compreso il soffio di fuoco - che effettuerà contro il suo avversario sottrarrà a questi 2 CS, se non difeso. Tale effetto però varrà soltanto se al momento dell'attacco Ashlaìn sarà ancora celato al proprio avversario [occultamento maledetto fortificato ─ cons. alto].

Il dono di Alshaìn è dunque la caratteristica predominante dei draghi, la possibilità di soffiare fuoco sui propri nemici, ardendoli vivi e consumandoli nelle fiamme. Consumando un utilizzo di questa passiva è infatti possibile per lo Yangin emettere un getto di fuoco che andrà considerato dall'avversario come un normale attacco fisico e seguirà tutte le normali regole di confronto fra CS [passiva razziale ─ soffio di fuoco; 6 [-1] utilizzi].

Aaallooraa. Ho scritto il post abbastanza in fretta perchè devo uscire :asd: In ogni caso, Ashlaìn subisce la malia, torna in sè al primo sintomo di dolore e schiva/para gli attacchi fisici con equivalenti difese fisiche. Poi, sfasa, diventando invisibile per disorientare il proprio nemico, e spende entrambi i CS nel soffio di fuoco, che vale come attacco fisico.

 
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Drag.
view post Posted on 22/3/2015, 01:48




Drenthe voltò lentamente pagina, indugiando con lo sguardo sulle ultime righe di quanto aveva scritto.
Non era uno studioso: non era meticoloso negli appunti, nè preciso nei collegamenti; la penna aveva vergato sull'inchiostro pensieri confusi, dettagli mischiati e una serie infinita di grezze frecce arzigogolate - le quali, nella sua mente, avrebbero dovuto legare i passi importanti delle informazioni ottenute.
Il pirata alzò per qualche istante gli occhi, attirato dalle chiacchiere del gruppo riunitosi attorno al tepore di un fuoco; non erano di molte parole. Nessuno tra loro aveva sentito il bisogno di discutere con gli altri compagni di viaggio durante le lunghe ore di marcia, nè il cameratismo era riuscito a prendere i loro cuori. Xari stesso, solitamente allegro (o impegnandosi ad apparire come tale), aveva preferito tacere: tale era il peso che quel viaggio sembrava significare per ognuno di loro. Il paesaggio sembrava invocare la stessa tetraggine: gli spazi brulli che circondavano la regione del Sürgün-zemat sembravano morti tanto quanto i suoi inesistenti abitanti. La paura che serpeggiava tra i luccicanti viali della splendida Qashra lì trovava origine e linfa vitale: non si trattava più di un lontano spauracchio - come la notizia di una guerra in una terra distante, che li riguarda solo indirettamente.
Non poteva negare che la stessa sensazione stesse cercando di ghermire anche lui; per quanto potesse covincersi di essere al di sopra di ogni corruzione, Xari sapeva di essere ben diverso da un eroico paladino del bene. Osservare per ore la landa desolata che stavano attraversando lo metteva sempre più a disagio, come se una sottile, impercettibile inquietudine stesse montando dentro di lui - un cattivo presagio, lontano dall'oceano.
Sono lontano dal mare, si disse. Questo è l'unica ragione dei miei tentennamenti, si giustificò.
Ma non era tutto. Probabilmente affrontare l'Ahriman - e la vuotezza spettrale delle sue stesse ambizioni - lo avevano scosso più nel profondo di quanto desiderasse ammettere. Non si trattava dell'inutilità di ciò che perseguiva, poichè il pirata continuava imperterrito nei propri intenti e modi senza alcun tentennamento. Vedere in lontananza i fuochi di villaggi incendiati e di vite spezzate lo aveva lasciato completamente indifferente - arido. Questo lo spaventava: stava indurendo a tal punto il proprio cuore da divenire impermeabile a qualsiasi goccia d'umanità?
Forse non era tanto diverso da Intet - forse aveva davvero accettato la sua offerta, a ʤɛna... e tutto quello che lo circondava era soltanto un'elaborata illusione. La Tentatio non avrebbe avuto bisogno di trasformarlo in un demone: lo era già.

Xari distolse gli occhi azzurri dallo spettacolo ipnotico delle fiamme, origliando svogliatamente la breve conversazione tra Ged e il Naja di Taanach. Con suo estremo stupore, si scoprì annoiato dallo scambio di battute tra il prete e Ashlaìn: il guerriero-a-sonagli aveva raccontato di essersi liberato dai ceppi che lo incatenavano, ma lui sapeva che quel genere di servitù era irreversibile. Forse, quel ragazzo mentiva a se stesso dicendo di essere libero - vivendo invece un tipo diverso di prigionia.
Quel pensiero lo fece tornare sui propri appunti - pergamene raccolte di bianco osso di seppia larga, scritte con una sgraziata calligrafia nella lingua della Costa. Quelle pagine erano tutto ciò che Xari aveva scoperto sull'arcidemone, i Maegon e il Ciclo. Anche loro erano imprigionati nel continuum temporale: la marea che stava per travolgerli aveva già avuto dei precedenti. Se avessero vinto (dopotutto, Theras esisteva ancora nonostante due precedenti invasioni), la Tentatio sarebbe regredita. Con il tempo, però, ella sarebbe tornata a far udire il proprio richiamo ai deboli, agli avidi e agli stolti.
Xari non comprendeva questa forza mistica - metafisica - che sembrava aleggiare sopra l'Akeran. La sua influenza era evidente in molti punti focali della storia del Sud, ma non sembrava che vi fosse qualcuno capace di convogliarla - controllarla, e sfruttarla appieno. L'Ahriman stesso era più un suo prodotto perfetto che il burattinaio dietro le quinte.
Stiamo sbagliando prospettiva, ragionò. Una punta di frustrazione condì quel pensiero, facendogli assumere involontariamente una leggera smorfia sulle labbra. Se fossero riusciti a recidere il legame tra la Tentatio e Theras, forse avrebbero eliminato il problema alla radice... Ma come si può affrontare ciò che è invisibile, intangibile - a malapena esistente?

____


« Preparatevi a correre verso la foresta. »
Questo non li fermerà.

Xari agì rapidamente, mantenendo una spavalda calma dinanzi all'imboscata. L'orda di mostri li aveva colti proprio al tramonto, al termine dell'ennesima, faticosa giornata di cammino; non si trattava di bestie prive di intelligenza: avevano deciso di gettarsi su di loro solo quando si erano trovati sul fondo di un crinale, bloccati tra il nemico e un bosco avvizzito. Affrontarli su quel genere di terreno sarebbe stato pericoloso: non dubitava ne sarebbero usciti vincitori (conosceva il valore di Ged e immaginava che un Naja si fosse guadagnato quegli orecchini), ma ciò poteva essere dispendioso. A dispetto dell'apparenza e dell'indiscussa abilità, Drenthe non amava combattere. Trovava la lotta un fastidioso, barbaro mezzo di risoluzione delle controversie: non potendo ragionare con gli avversari, non esisteva altra scelta che la battaglia.
A patto che si giungesse ad essa, ovviamente.

Il pirata colse dal braccialetto al polso destro una piccola perla verde, scagliandola diversi passi dinanzi a sè. I demoni stavano rapidamente colmando i metri che li separavano, rivelando forme e sembianze assolutamente raccapriccianti. Nervosamente, egli cercò di non prestarvi attenzione - erano troppo simili, nell'aspetto, a ciò che aveva mangiato l'anima di Mehmet Sahin (il nano spedizioniere che aveva imbastito l'avventura per ʤɛna).
La biglia si frantumò, liberando nell'aria un gas denso e torbido - quasi viscoso. Senza ulteriori indugi, il pirata attinse al potere del suo guanto d'arme per sprigionare un forte vento in direzione dei demoni, spingendo così quella nube tossica dritta su di loro. L'aria si raccolse attorno alla sua figura variopinta come i vestiti semitrasparenti di una voluttuosa cortigiana, abbandonando poi il suo evocatore per comprendere nel suo abbraccio irresistibile i mostruosi inseguitori.

Consapevole del supporto che Ged aveva garantito al suo piano, Xari si lanciò di gran carriera in direzione del bosco; non appena vi mise piede, le immagini soffocanti e alienanti della giungla del Plaakar assalirono la sua mente con una furia scioccante. Per un istante, il pirata si scoprì paralizzando dalla potenza di quella memoria - un trauma che non credeva di aver subìto. L'avventura a ʤɛna stava riscuotendo dei pesanti tributi sul suo subconscio, e prima o poi avrebbe dovuto pagarli.
Quella foresta, tuttavia, era diversa: Xari non riconosceva in quel luogo la stessa atmosfera che dominava il Plaakar. Sembrava quasi che la natura stessa avesse ceduto alla Tentatio, come se questa fosse riuscita a corrompere la terra, gli alberi e le sue acque. Non era stata un'impressione, dunque: i demoni che erano sfuggiti alla loro trappola avevano desistito dall'inseguirli ulteriormente non perchè sconfitti, ma perchè spaventati.

Quasi percependo le loro paure, la foresta non diede alcun respiro ai suoi invasori.
Il terreno sembrò improvvisamente tremare, rigurgitando dalle sue malsane profondità degli invertebrati gonfi e malevoli; ogni fenditura nella palude rilasciava odori infernali, come se i vermi affamati provenissero direttamente dalle profondità del Baathos. Febbrilmente, Xari ragionò che niente di tutto questo sarebbe accaduto se avesse tenuto i piedi ben saldi sul ponte di un brigantino, nelle irrequiete - ma familiari - acque dell'oceano Zar.

« Bestie immonde... », imprecò, osservando il moltiplicarsi di quei serpenti senza saper perfettamente come reagire.
Uno di essi balzò direttamente su di lui, cercando di azzannargli la gamba: gli schinieri, seppur vistosi, erano costruiti in buon metallo, e lo protessero egregiamente. Altri mostri, tuttavia, seguirono l'esempio del primo temerario: Drenthe ne schivò la maggior parte, dimostrando un gioco di gambe e un'agilità incredibile - abilità perfezionate in anni di combattimento sui ponti scivolosi e insicuri dei vascelli corsari.
Percepì la Tentatio solleticargli ancora una volta il cuore, esigendo il sangue e la sua ira; come rispondendo ad un tacito segnale, le mani del pirata agirono con una rapidità incredibile: prima ghermirono una nuova biglia dal bracciale, poi sfoderarono Litigio, l'elegante wakizashi.
Le azioni di Drenthe vennero svolte con velocità disarmante, impossibile da seguire a occhio nudo: la sfera esplosiva racchiusa nella minuscola perla venne scagliata contro un gruppo di vermi assembratosi a pochi passi da lui, mentre la lama affilata danzava instancabilmente verso qualunque mostro avesse il coraggio di balzare contro di lui.
Xari sapeva di partecipare a un gioco molto pericoloso: non poteva permettere alla marea di controllarlo così facilmente. Se voleva sopravvivere, tuttavia, avrebbe dovuto sfruttare ogni singola goccia di quella sottile forza corruttrice...


Status: 90% fisico (-10% autodanno Medio per attivare Wind Rider), 95% energia (-5% basso per schivata), 95% mentale (autobasso per attivare Fortificazione Minore)
CS: 2 nella riserva (utilizzata 1), Destrezza.
Equip (utilizzato):
Litigio: un'elegante wakizashi.
Al Milite Ignoto: una male assortita, variopinta armatura.
Trucchi del Mestiere: biglie di vario tipo (utilizzata 1 deflagrante e 1 tossica)
Passive utilizzate:
Sword Dancer (part one): [...] Tutto ciò non sarebbe possibile senza la naturale maestria con il quale è capace di brandire le proprie armi. Drenthe, infatti, ha guadagnato la capacità di estrarre le proprie armi con tanta velocità da sembrar quasi un gesto istantaneo, rapido ed appena percettibile agli occhi. Tale circostanza si applicherà non solo all'estrazione dell'arma propria del pirata dal fodero ove è naturalmente riposta, ma anche all'eventualità che questo sia costretto ad impugnare un'arma secondaria o qualunque oggetto offensivo possieda. Potrà così cambiare arma in un attimo, cambiando strategia e potenza offensiva. Intimando il proprio avversario ad una resa senza condizioni, o, più semplicemente, tappandogli la bocca per sempre. [5/6 utilizzi - passiva di natura fisica di estrazione rapida]
Tecniche utilizzate:
Wind Rider: Il guanto d'arme sinistro della scombussolata armatura di Xari ha un segreto: permette al suo proprietario di controllare il vento. All'apparenza elegante ma privo di particolari qualità, questo pezzo d'armatura (costituito dal bracciale e dalla cubitiera che raggiunge il polso dal gomito, difendendo tutto l'avambraccio) è in realtà un manufatto molto particolare. Senza particolari gesti evocativi (ma necessitando di qualche istante di concentrazione), il guanto sprigionerà il proprio potere attorno al pirata: il controllo sul vento è quasi totale, spaziando da un singolo, semplice soffio per spegnere una candela ad una leggera brezza. Ai livelli più estremi, il guanto permette a Xari di scatenare persino un devastante tornado. Effetti scenici che non causano danno alcuno, invece, saranno ottenibili con un semplice dispendio di energie pari a Nullo. La tecnica dura il singolo turno di attivazione e può essere utilizzata solo ad area (conseguentemente perdendo un livello di potenza). [tecnica di natura magica offensiva al fisico, autodanno variabile al fisico]
Sword Dancer (part three): [...] Se la parata non dovesse funzionare, però, può sempre ricorrere alla sua inafferrabilità: spendendo un consumo variabile (di natura fisica), Xari diverrà in grado di evitare una qualunque offesa avversaria semplicemente facendo ricorso alla sua agilità. Nessun vincolo potrà più trattenerlo, e grazie alla sua innata rapidità sarà in grado di uscire dalle situazioni più spinose. In termini di gioco si tratta di una difesa fisica variabile basata sulla velocità. Questa abilità, inoltre, proprio in funzione della particolare destrezza e del controllo sui vincoli, può anche essere utilizzata per forzare serrature o aprire lucchetti, che se non protetti da particolari incantamenti richiederanno un semplice consumo nullo per essere violati. [tecnica di natura fisica difensiva, variabile all'energia]
Note: la prima parte è come descritta in Confronto.
Per la seconda, invece, Xari si difende come può dai vermi: alcuni vengono fermati dall'armatura, per altri invece è costretto alla schivata. Decide di contrattaccare repentinamente (estrazione rapida, passiva) servendosi di una biglia deflagrante contro un gruppo e falcidiando come può con il boost in Destrezza quelli che decidano di attaccarlo.
 
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view post Posted on 29/3/2015, 10:09

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{ akeran, in viaggio ~ pov: jahrir }

Forse, dopotutto, lui e Shaelan non avevano fatto una cattiva scelta nell'accozzare in tutta fretta quel gruppo scalcinato di individui così diversi, riflettè Jahrir.
Alla vista dei nemici Ged e Drenthe agirono senza esitazioni, con una strategia in perfetta sintonia nonostante la concitazione del momento e quella vena di tensione inespressa che il nano aveva colto tra i due nel corso del viaggio, lascito forse di un loro passato incontro. La nebbia venefica si estese su gran parte dei Caduti grazie al vento generato dall'esotico avventuriero, mentre quelli scampati al primo ostacolo furono immobilizzati dalle fiamme saettanti del prete rosso. Ciò diede tempo alla compagnia di guadagnare il fronte della foresta in sicurezza, eppure Jahrir avvertì una nota di inquietudine nell'animo, un presagio funesto. Non gli era sfuggito come i loro inseguitori si fossero ritratti spaventati alla vista del bosco che ormai incombeva su di loro.
Una volta dentro furono immersi in un intricato viluppo di vegetazione; le piante crescevano fitte e opprimenti, si protendevano sui sei come ricurve grinfie artigliate; l'unico spazio concesso ai viandanti era lungo il corso del fiumiciattolo che ben presto, scorrendo a fatica nel groviglio del sottobosco, si trasformò in acquitrino.

« ..dove sono finiti Ashlaìn e la donna? »

Fu la domanda improvvisa di Ged a fargli realizzare la mancanza del Sonaglio e di Lena, ma a quel punto non c'era più tempo per gli interrogativi: le Serpi saltarono fuori dal pantano avventandosi su di loro con le triplici mascelle schioccanti e le code affusolate e appuntite. Somigliavano a grosse, enfie larve; erano cieche e viscide, ricoperte di putridume. Quando Jahrir schiantò il martello sulla prima di esse, spappolandole quella che supponeva essere la testa, dal verme colò un fluido verdastro misto a pus purulento. Impegnato com'era nella lotta ebbe a malapena il tempo di registrare con la coda dell'occhio ciò che avveniva intorno a lui. Scorse Shaelan battersi furiosamente falcidiando le bestie fameliche con la sua ascia bipenne; l'esplosione improvvisa attirò la sua attenzione verso Drenthe, simile a un danzatore letale nella rapidità con cui schivava gli attacchi e mulinava la sua lama tranciando un verme dopo l'altro; un draghetto di fuoco si erse a protezione di Ged avventandosi sulle creature con le sue fauci ardenti; il tanfo della carne bruciata era immondo.
Calò il martello da guerra ancora una volta, ma non incontrò che aria: aveva sterminato tutte le bestie lanciatesi al suo assalto, che ora giacevano sventrate e maciullate intorno a lui. Insieme a Shalean aiutò gli altri due a terminare l'opera, mentre il drago di fiamme incendiava le poche larve in fuga prima di dissolversi in un filo di fumo.

Si guardò intorno, respirando affannato: il combattimento era stato breve ma intenso. Dalla vegetazione che li circondava giunsero dei tramestii indistinti e subito scattò in allerta, aspettandosi qualche nuova mostruosità da affrontare. Furono invece Ashlaìn e Lena a emergere dalla boscaglia; sembravano integri nel corpo, ma dall'espressione dipinta sui volti era chiaro che anche loro avevano dovuto affrontare un combattimento. L'investigatrice in particolare appariva profondamente scossa, come se si fosse trovata di fronte un incubo dalla portata che sfuggiva alla mente umana e ne fosse scampata a stento dopo aver rischiato di esserne sopraffatta. Nei suoi occhi Jahrir colse una tenebra che lo fece rabbrividire per un istante.

« Procediamo, e tenete gli occhi ben aperti. »

A ogni passo che lo portava sempre più in profondità nel bosco la sua inquietudine cresceva. Non gli piaceva quel posto, e non soltanto per l'attacco appena sventato - in fondo si trattava solo di mostriciattoli buoni come carne da macello. No, era qualcosa di più celato e sotterraneo, un'aura malvagia raggrumata tra le radici secolari degli alberi e le anse acquitrinose del fiume. Di tornare indietro però non se ne parlava: ormai erano penetranti troppo a fondo, oltre al fatto che i loro inseguitori potevano essere rimasti appostati all'esterno della foresta. Proseguire, dunque, era l'unica scelta.

craw! craw!

L'acuto gracchiare, appena sopra il suo orecchio, lo fece sobbalzare. Fissò in tralice il corvo che gli era quasi planato addosso, e questo ricambiò lo sguardo - così gli parve - con espressione sprezzante e beffarda. Si trattava dello stesso volatile che poco prima gli aveva fatto avvistare la foresta; in qualche modo ne aveva l'assoluta certezza, nonostante non ci fosse alcun motivo logico a supportarne la sicurezza. Jahrir lo osservò lanciarsi da un ramo all'altro, fermandosi a intervalli regolari per guardarsi indietro, quasi a volersi assicurare che lo stessero ancora seguendo. Non che avessero molte altre scelte, del resto, perchè il percorso disegnato dall'uccello era anche l'unico minimamente agevole tra la vegetazione aggrovigliata.
Continuarono nel cammino e dopo non molto tempo gli alberi cominciarono a diradarsi. Sopra di loro il cielo aveva assunto una tinta sanguigna; la luce, filtrando attraverso il velo smeraldo del fogliame, gettava riflessi inquietanti sui loro volti.

« Benvenuti. Vi stavo aspettando. »


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« Non c'è bisogno delle armi. Non sono vostro nemico. »

Jahrir rilassò la presa sul manico del martello che aveva afferrato non appena udita la voce, ma non l'abbandonò del tutto.
Erano arrivati ad una piccola radura circolare sgombra dall'intreccio di vegetazione; al suo centro, assiso su un mezzo tronco incavato e modellato a forma di trono, stava il misterioso individuo che aveva parlato. Era un vecchio consunto e macilento, dalla pelle pallida e gli occhi glauchi cerchiati di rosso a malapena visibili sotto il sinistro copricapo a forma di testa d'uccello, col lungo becco adunco e le orbite vuote. Era avvolto in un mantello intessuto di piume e penne nere come la pece, da cui spuntavano i suoi arti scheletrici; dal collo gli pendeva un medaglione nascosto nella penombra. Non sembrava neanche una persona in carne e d'ossa: era abbarbicato così strettamente alla pianta da parere fuso e inglobato ad essa, nient'altro che un'emanazione vegetale anch'egli. La voce con cui li aveva accolti era arida, secca, niente più che un turbinio di polvere antica. Sui bracciali nodosi dello scranno, sulle sue spalle, tutto intorno a lui erano appollaiati i corvi, simili a neri spettri. Stavano sulle cime degli alberi circostanti, sui rami ritorti, silenti. Fissavano tutti quanti Jahrir e il suo gruppo, giudicandoli.

Il nano ricacciò indietro il tremito che minacciava di impossessarsi della sua voce, e pose la domanda che assillava tutti loro.

« Chi... chi sei? »

« Oh, ho molti nomi e nessuno. »

Sorrise, e fu come vedere un ghigno fratturare un teschio.

« Voi potete chiamarmi Ràven. »

CITAZIONE
QM POINT ~

Le vostre strategie hanno tutte successo e riuscite ad eliminare i nemici; Jahrir e Shaelan danno una mano con le ultime Serpi, visto che non volevo tenervi bloccati un altro turno contro avversari utili solo per il riscaldamento. Quello che succede dopo è molto semplice: Ashlaìn e Lena (ulteriori dettagli sulla sua sorte in seguito), dopo essersi liberati dei Fuochi Fatui, si ricongiungono al gruppo e insieme proseguite nel cammino, fino ad arrivare alla radura al cospetto dell'enigmatico Ràven. A questo punto potete interagire con lui come preferite; sembra sapere molte cose e con le giuste domande chissà che non otteniate informazioni utili, e altro ancora :8):

Verel: ho preferito pngizzare Lena per questo turno e fino all'arrivo a Taanach, dove la sua strada si separerà definitivamente da quella degli altri. Mi sembra più appropriato così, a livello di gioco, sia per lei che per i nostri pg, piuttosto che lasciarla nel mezzo di una foresta sperduta. Naturalmente il tuo abbandono della quest comporta un Malus permanente: l'incontro col Fuoco Fatuo ha segnato profondamente Lena, che pur uscitane vincitrice è stata sul punto di soccombere. Nello scontro infatti lo spirito l'ha sconvolta con una visione talmente realistica da apparire vera a tutti gli effetti, minacciando di farle perdere il senno. L'illusione può essere collegata al passato del pg, alla Corruzione e gli eventi in atto, o a qualunque altra cosa tu preferisca; il suo ricordo, all'inizio incalzante e oppressivo, si affievolirà col tempo ma senza mai scomparire, minacciando anzi di tornare a perseguitarla quando meno se lo aspetta. Come vedi si tratta più che altro di uno spunto interpretativo, che spero saprai apprezzare.

Per ora è tutto, ci sentiamo in confronto per le vostre interazioni con Ràven. Scadenza: 23.59 di Venerdì 3.

 
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Wolfo
view post Posted on 3/4/2015, 14:59





« Fetiales; shabāha »
dall'abisso

─ ─ ─


Le piccole bestie vennero distrutte una dopo l'altra; Ged e i suoi compagni combatterono con foga, riuscendo a liberare la zona dalla corruzione dilagante. La battaglia si concluse rapidamente.

All'improvviso, dai meandri oscuri della foresta si udì un rumore insolito, che mise in allerta il sacerdote; nell'istante successivo, il pastore poté tirare un sospiro di sollievo nel vedere che le cause di quel fastidioso fruscio si chiamavano Ashlaìn e Lena.
Poco dopo essere entrati nel bosco, il gruppo si era inaspettatamente separato, per poi finalmente ricongiungersi.

« Procediamo, e tenete gli occhi ben aperti. », intimò il nano.


Il respiro di Ged divenne più profondo, lento. Ad ogni passo cresceva in lui una pressante sensazione di inquietudine; aveva il terrore che le bestie immonde di Baathos lo stessero seguendo. Sentiva i loro minuscoli occhi su di sé, riuscendo persino a percepire i viscidi tentacoli sulla sua pelle. Un brivido gli percorse la schiena, turbandolo ancor di più.

craw! craw!

Il sacerdote sussultò, voltandosi rapidamente verso la fonte del verso.
Un corvo. Era soltanto un corvo...
...o forse no?

Perseguirono silenziosamente, passo dopo passo, verso quella che sembrava l'unica via d'uscita.
Una voce estranea lo colse alla sprovvista.

« Benvenuti. Vi stavo aspettando.
Non c'è bisogno delle armi. Non sono vostro nemico.
»

Una insolita figura comparve dinanzi al gruppo, contornata da un'aura antica e misteriosa. Il vecchio era pallido, quasi consumato, e la sua voce era arida e secca, avvolta da un invisibile velo di inquietudine. Portava un insolito capo a forma di testa d'uccello, da cui emergeva un lungo becco che si prolungava dalle profondità delle sue orbite vuote. Avvolto in un mantello di piume corvine, l'estraneo era in completa simbiosi con la natura che lo circondava.
L'assordante silenzio era interrotto soltanto dal tintinnio del medaglione che il corvo portava al collo; Ged lo osservò a lungo, senza riuscire a capire chi fosse. Il sacerdote riusciva a percepire l'umanità di quella figura, ma non riusciva a comprendere se quella sensazione proveniva dal presente o dal passato. Forse era stato un umano un tempo, forse ora era corrotto.
No, non poteva essere una vittima dell'Ahriman. Sembrava una figura completamente estranea al mondo; un'entità astratta che vagava nel sogno onirico delle persone. Il sacerdote era incuriosito e terrorizzato al tempo stesso.

Un breve scambio di parole ne rivelò l'identità...
...o almeno, una delle tante.

« Voi potete chiamarmi Ràven. »

Ràven. Quel nome gli riportò alla mente molti ricordi, anche se il corvo, così lo avrebbe chiamato in futuro, ricopriva il ruolo di un altro personaggio, in un'altra storia. Rimase rapito dalla sua immagine e, per un attimo, il sacerdote non riuscì nemmeno a seguire le domande che i suoi compagni porgevano alla creatura. Ràven li avrebbe aiutati ad uscire da quel bosco infernale, mostrandogli la via più sicura. Fu in quel momento che il dubbio pervase la mente di Ged.

« Ràven, curioso. Ho conosciuto qualcuno con il tuo stesso nome, non molto tempo fa... » il suo sguardo divenne severo; il sacerdote si fermò per qualche istante, per poi proseguire « ..in circostanze di gran lunga più spiacevoli. Hai mai sentito la parola "Ahriman", Ràven? »

« L'ho sentita, mio malgrado. Sussurrata dal vento, mormorata dall'acqua, gracchiata dai corvi. Un'oscura minaccia, avvolta nelle tenebre. »

Una netta sensazione di timore pervase la mente di Ràven. Un brivido lampante, quasi palpabile; Ged riusciva a percepirlo senza alcuna difficoltà, intuendo che il corvo non era al servizio del terribile Ahriman. Avversione e distacco, come da voler chiudere il discorso nel breve. Il sacerdote, forse per stupidità, decise di credere alle parole di Ràven; gli volle dare fiducia, pur mantenendo una discreta prudenza.
Senza accorgersene, aveva rivelato ai suoi compagni di essere qualcosa di più di un semplice prete rosso. Conosceva l'Ahriman, lo aveva nominato, quasi senza pensarci. Giunti a quel punto, non gli importava più di preservare la segretezza delle sua azioni.

Proseguì.

« Ho solo una domanda da farti, Ràven. » disse in tono autoritario, cercando di non risultare offensivo.
« Perchè vuoi aiutarci? »

In silenzio, ascoltò con attenzione.

« Ho abbandonato i regni degli uomini molto tempo fa, ma non ho dimenticato la mia razza e gli altri popoli liberi. Qualcosa mi dice che avrete la vostra parte nella lotta all'annientamento: voglio solo darvi la possibilità di recitarla. »

Prima che potesse rispondere, Ravèn concluse pronunciando un'ultima frase: « Ogni storia ha i suoi mostri ed eroi. Ma alcuni possono finire per ricoprire entrambi i ruoli. »

Qualche istante dopo, svanì in una nuvola color pece.
─ ─ ─

« Amici, è giunto il momento di rivelarvi la nostra identità e il motivo della missione: Shaelan è mia moglie, su questo non vi ho mentito, ma il mio vero nome non è Dhweg... » disse "Dhweg" posando un rapido sguardo di intesa con la propria compagna, per poi proseguire: « Io sono Jahrir, Primo Sultano di Qashra, Kahraman del popolo nanico. Forse avrete già sentito di me, o forse no - non è ciò che importa. »

Nell'istante successivo, intervenne Shaelan: « Ci stiamo recando a Taanach per ottenere l'aiuto della città nello scontro che incombe. » interrotta poi da quello che, un tempo, fu il primo Sultano di Qashra: « Avete sentito le parole di Ravèn: non ci attende un compito facile. Saremmo lieti di avervi dalla nostra parte in questa missione. »

« . . . »

Il crepitio delle fiamme fu l'unico suono che udì il sacerdote dopo le parole del nano.
Jahrir, il primo sultano, si palesava di fronte a lui; mai avrebbe immaginato uno sviluppo del genere. Non disse nulla, paralizzato dall'incertezza e dallo stupore, ma il suo silenzio fu più esaustivo di mille parole.

Era chiaro; mai il volere di R’hllor era stato così ovvio.
Ged avrebbe chinato il capo dinanzi a Jahrir, e lo avrebbe servito con fede e dedizione.
Non per sé stesso, né per nessun'altro.

Per tutta Theras.


CITAZIONE
Energia: 105% - 5% = 100%
Mente: 100%
Corpo: 70%

Ferite
─ Basso al corpo (5%), morso al tallone destro.


Abilità utilizzate
─ Ged può apprendere la classe e il talento di appartenenza di chi gli sta intorno, passiva, 5/6.
─ [...] con un consumo basso di energia, Ged acquisirà una particolare empatia che lo porterà a comprendere lo stato d’animo di chi gli sta di fronte (Tecnica psionica di livello basso).

Note
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view post Posted on 3/4/2015, 23:08




« Io sono Jahrir, Primo Sultano di Qashra, Kahraman del popolo nanico. »

Dwheg era l'eroe della Riunificazione, il redivivo condottiero che aveva condotto la reietta razza nanica alla vittoria contro le Città Libere e le orde demoniache del Baathos.
Jahrir Gakhoor sedeva accanto a lui, in un bosco dimenticato sul confine con il Sürgün-zemat - circondato da nemici, mostri e tentazioni. Quel pensiero lo sconvolse: lui era già morto. Il Kahraman non era nient'altro che lo spettro di un individuo già caduto molti anni prima, un simbolo che veniva celebrato nelle piazze con alti monumenti e lunghi viali nominati in suo onore.
Nessuno si sarebbe accorto della sua seconda dipartita; quell'informazione era così travolgente da mozzare il respiro e provocare un intenso capogiro. Il collo del nano non era molto distante da lui: sfoderando Litigio, il pirata avrebbe potuto recidergli il pomo d'adamo in un battito di ciglia - un istante tremendo e crudele.
Questo era l'amico sul quale Alexei aveva chiesto di vegliare - l'identità dietro la maschera di un comune, preoccupato affarista itinerante. Il Sultano era l'arma segreta che il semidio dai capelli rossi aveva tenuto celata tanto a lungo, nella speranza di ribaltare le sorti dell'insana battaglia con l'Ahriman.
Un eroe che tornava dal riposo eterno per raccogliere il popolo nanico sotto la propria bandiera, e aiutarlo a sollevare quel poderoso maglio da guerra.
Nessuno avrebbe saputo della sua morte - perchè per il mondo intero Jahrir era già sepolto da tempo.
Xari tremò; Alexei si era sbagliato. Aveva commesso un errore gigantesco, imperdonabile: lui aveva assistito alla sua catàbasi. Lui sapeva delle sue debolezze - della sua corruzione.
La mano del pirata scese lentamente verso la raffinata impugnatura della wakizashi, accarezzandone la guardia. Sarebbe bastato un respiro.

VOI NON SAPETE NULLA DELLA TENTATIO.



« ... »
La mano della spada si sollevò verso il viso, sfregandosi gli occhi, la fronte, i capelli tinti legati dietro la nuca. Per qualche secondo, benchè parzialmente celato dall'oscurità della notte (e del bosco avvizzito), sul volto del pirata aleggiò un'espressione estremamente perversa, e malvagia.
Ridacchiò mestamente, scuotendo la testa. Togliere la vita al nano non gli avrebbe portato alcun vantaggio; sarebbe stato l'assassino di un eroe già morto - e Xari non cercava la fama, o la gloria. Quei pensieri cupi erano stati suggeriti dalla sua anima nera e infetta, ma il suo geniale pragmatismo aveva vinto, almeno per il momento.
Raccontare di aver camminato con il Kahraman era una questione completamente diversa; si trattava di un'informazione preziosissima, epocale: molte persone non hanno idea della potenza che la verità possa avere. Avrebbe gettato il Sultanato nel caos; poteva immaginare la sorpresa nella sua popolazione, l'abbandono immediato dell'ordine di isolamento di Qashra. Folle di pellegrini sarebbero accorsi verso la capitale del regno nanico nel tentativo di vedere e toccare l'eroe della Riunificazione, idolatrandolo come il messia di cui l'Akeran aveva ora bisogno. Drenthe avrebbe potuto persino manovrare alcuni fili, e gettare nuovi luci sulla "resurrezione" di Jahrir. La Tentatio avrebbe corroso l'anima pura di molti uomini, potenzialmente scatenando una guerra civile.
No, Jahrir era più utile da vivo. Alexei non aveva idea di quanta polvere da sparo avesse nascosto nel suo magazzino (per utilizzare una metafora molto cara ai bucanieri del sud).

Il pirata allargò le braccia rassegnato; egli era colui che, tra loro, era più vicino al baratro. Ne era tristemente consapevole.
Senza dare seguito alle rivelazioni del nano e della devota moglie, Xari si sdraiò silenziosamente sul proprio pagliericcio.
Non chiuse gli occhi, nonostante avrebbe voluto riposarsi. Con il cuore in subbuglio, ritornò con la mente ai travagliati eventi di qualche ora prima...

____

Il persistente gracchiare dei corvi lo metteva a disagio; non amava quelle creature. I volatili di quel genere erano rapaci e affamati come avvoltoi, e spesso si cibavano dei pirati che il Sultanato condannava alla pubblica gogna. Per un uomo di mare come lui, era impossibile fidarsi di quegli uccelli.
La paranoia gli stava lentamente torturando l'anima: come poteva sapere che anch'essi non erano spie del Baathos - demoni cammuffati, pronti a balzare sulle loro schiene non appena essi avessero abbassato lo sguardo per vedere il terreno malato che stavano calpestando?
Si guardò attorno, guardingo: gli stivali premevano nel terreno paludoso come un sasso viene risucchiato nelle profondità limacciose di uno stagno putrido. Ovunque posava gli occhi, Xari vedeva soltanto ombre e fantasmi. Qualunque fosse la via che Dwheg avesse scelto di seguire, Drenthe percepiva lo sguardo di qualcuno su di sè. Non era abituato a camminare alla cieca, indirizzato magicamente dalla volontà di qualcun altro. Il pirata sospirò: ultimamente, stava accadendo spesso... e lui odiava perdere il controllo del proprio destino.

« Benvenuti. Vi stavo aspettando.
Non c'è bisogno delle armi. Non sono vostro nemico.
»

Xari l'aveva percepito a stento, e anche i suoi occhi fini faticavano a distinguere quella creatura dalla sagoma di un tronco intagliato affinchè ricordasse un pallido trono. Il cielo, colorato di sangue, scagliava curiosi giochi di luce sui lineamenti sfilacciati del vecchio che vi sedeva assiso, e che ora li aveva invitati al suo cospetto. La radura pareva la sala regale del palazzo sul quale dominava, e Xari ebbe la netta sensazione di aver innavertitamente disturbato il suo regno boschivo.
« Bosque viejo, », sussurrò, chiamando Ràven con il nome che viene dato agli spiriti druidici della giungla del sud. « ti chiediamo scusa, Antico, per essere entrati nella tua dimora senza invito. », continuò, rinfoderando la lama con deliberata lentezza. Era convinto che il suo carisma e la sua parlantina potessero ragionare con quella creatura: sentiva che, in qualche modo, egli non era stato ancora contaminato dal tocco letale della Tentatio. Un tempo forse era stato un uomo, ma ora era mutato in qualcosa di indefinibile e confuso. Consapevole che la sua ragione non avrebbe mai potuto comprendere la fusione magica che aveva trasformato Ràven, Drenthe decise di parlare onestamente (almeno per una volta). « Sfuggivamo dalla progenie del Baathos: ci ha colti lungo il cammino per la città di Taanach. Siamo soltanto in cerca di una via sicura che ci conduca oltre il tuo dominio - se, come intendo, sovrintendi su queste terre. »
« Intendi male, mio giovane amico: io appartengo a queste terre, ma non vi comando. Non nel senso che intendete voi. » rispose il vecchio con un cenno amichevole. « Le vie sicure scarseggiano in questi tempi bui, qui come altrove. La Corruzione dilaga; questo bosco ne è pregno, in ogni sua pianta e animale, ma non aspettatevi una situazione migliore a Taanach. » Prese ad accarezzare il capo del corvo appolaiato accanto a lui, lo stesso che li aveva guidati fino alla radura. « Vi garantirò un passaggio sicuro oltre alla foresta, poi starà a voi lottare per non soccombere. »
Il pirata sorrise, grato per la generosa offerta. Ràven era un insperato aiuto lungo un percorso tortuoso, ma non il punto fondamentale della loro missione. Rese omaggio al druido inchinandosi con deferenza, poi riprese: « La Corruzione è proprio il motivo del nostro viaggio - o quantomeno, del mio. » ", rivelò. Non era certo di voler subito chiarire ai suoi nuovi compagni la ragione che si celava dietro alla sua unione alla banda di Dwheg, ma ottenere informazioni su Taanach era di gran lunga preferibile al mistero dietro i suoi intenti. « Sembri conoscere molto, Antico: qual è la situazione nella città dei Beik? »
« Più infausta di quanto si possa pensare: la Corruzione è penetrata a fondo nella città, fino al suo cuore pulsante. »
Quello era preoccupante.
Fu sul punto di voltarsi e interpellare direttamente Dwheg, il coraggioso nano che li aveva assunti: nella mente del pirata, infatti, quella rivelazione complicava moltissimo la loro missione. Alexei aveva indicato quel nano come un alleato inestimabile per la loro causa, e Drenthe immaginava fosse diretto a Taanach per allertare i Beik della minaccia incombente, ma non aveva idea di quali dardi avesse nella sua faretra. Sentire notizie così infauste comprometteva moltissimo la loro crociata: come avrebbe potuto convincere a resistere una città che era già caduta?
Le ciance del Naja e di Ged lo distrassero: Ràven stava spiegando come i corvi fossero in grado di tenere distante la Corruzione, offrendo persino uno strano amuleto al mezzodemone in grado di proteggerlo. Il sacerdote, subito dopo, nominò con cupa sicurezza l'Ahriman.
Il cuore di Xari mancò un battito.
Come conosceva l'identità dell'arcidemone? Quale storia taciuta riposava nel passato di Ged? Il pirata scosse il capo, scoprendosi persino a digrignare silenziosamente i denti. Concentrò il suo sguardo sul vecchio druido seduto sul trono di muschio e legno, cercando di ignorare le ombre che continuavano a sorridergli laddove la luce scarlatta del cielo non era in grado di arrivare. La mano artigliata della Tentatio gli afferrò lo spirito, facendogli incredibilmente perdere il suo leggendario autocontrollo. La collera montò dentro di lui: Ràven credeva di comprendere la Corruzione - pensava di esserne al sicuro, protetto da volatili scaltri, ma infedeli. Suggeriva persino dei ridicoli espedienti in grado di tenere quella forza distruttiva alla larga dal loro raziocinio.
Si sbagliava. Si sbagliavano tutti.

Nessuno di loro aveva osservato quel pozzo di depravazione quanto lui. Nessuno.

Era ben più di scetticismo: era ostilità. Si sentì irritato, disgustato dall'ignoranza dei propri compagni. Se razionalmente comprendeva che quei pensieri puerili fossero scatenati da un disturbo mentale patito dalle recenti esperienze, egli non avrebbe mai potuto ammetterlo. Avrebbe implicato una debolezza evidente cui non sapeva, in alcun modo, farvi fronte. Forse l'irritazione che provava era l'inconscia realizzazione di una vulnerabilità palesemente feroce... una sconfitta che prima o poi avrebbe dovuto metabolizzare.

« ...Voi non sapete nulla della Tentatio. »


Passive utilizzate:
NATURAL BORN LEADER (5/6) La personalità di Xari è, a dir poco, dirompente. Nonostante la sua fama controversa e il suo comportamento non proprio onorevole, non esiste uomo che, dopo averlo incontrato, non riconosca il suo carisma. Il talento puro di Drenthe nel comandare ed ispirare coloro che gli stanno attorno è così cristallino da ispirare fiducia e coraggio senza il minimo sforzo, anche con la sua sola presenza. Che ciò sia dovuto alla sua natura versatile o alla notorietà delle sue temerarie imprese, gli alleati saranno rinfrancati di combattere al suo fianco e non si perderanno d'animo nemmeno nelle situazioni più disperate, sapendo che lui è con loro; ogni individuo che dovesse subire il suo carisma sarà istintivamente come portato a fidarsi di lui, naturalmente. [6 utilizzi - passiva di natura psionica di carisma che influenza chiunque gli stia attorno, opportunamente contrastabile come tale]
MAESTRO DELL'INTRIGO (5/6) - Il suo acuto spirito d'osservazione (nonchè l'abitudine al sotterfugio ed al raggiro) lo ha portato ad avere un occhio straordinario per riconoscere cammuffamenti e travestimenti, soprattutto quando questi siano adoperati per nascondere i tratti caratteristici di una razza particolare: Xari è capace di riconoscere sempre la razza di qualunque altra persona incroci, guardando oltre l'apparenza. [6 utilizzi - passiva di natura fisica di individuazione della razza anche al di là di travestimenti]


Edited by Drag. - 7/4/2015, 19:28
 
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Lul~
view post Posted on 4/4/2015, 16:58




« ...Voi non sapete nulla della Tentatio. »

Pazzesco. Il Pirata ebbe un moto di stizza, come un sussulto. Lui, che aveva passato il viaggio lanciando frecciatine e dispensando battute. Lui, che fin dal primo momento si era posto come su un piedistallo rialzato rispetto al resto del gruppo. Come se le parole dei suoi compagni e del vecchio lo avessero punto nel profondo, pizzicato nel suo essere. Come se avessero rievocato ricordi e situazioni nascosti e dimenticati in fondo all'animo. In fondo allo spirito.

Eppure, uscendo da quella radura, tutto sembrava andare per il meglio. Un rifugio dopo lo scontro, un po' di riposo dopo il forsennato assalto della Corruzione, che aveva provato a strappare coi propri adepti carne e anima della compagnia. Vide lo spirito bruciare avvolto dal caldo soffio del suo fiato. Lo era stato anche nel deserto, lui, lo yangin. Un incendio in grado di bruciare via quei demoni dalla faccia dell'Akeran. Da quanto però stava apprendendo dal dipanarsi degli eventi, la situazione doveva essere ben più grave di un semplice rigurcito di demoni dal Baathos. Quegli immondi stavano muovendo guerra contro il continente. Il Baathos avrebbe sputato ogni sua nefandezza sulla superficie di Theras per corromperla e distruggerla. O forse sottometterla.

craw! craw!

Quel gracchiare riportò tutti alla normalità. Scoprì che anche i nani e gli altri furono attaccati: vide Lena decisamente scossa per l'accaduto, ma preferì non indagare, né disperdere preziose energie - decisamente più utili al cammino che a stupide e sterili polemiche.

« La Corruzione è penetrata a fondo nella città, fino al suo cuore pulsante. »

Parlava di Taanach, la cosa o la persona che disse di chiamarsi Ràven. Sapeva che - in una qualche lingua - quel nome significava corvo, e decise in quel momento - ricordando a come avevano scelto la foresta e quel gracchiare provvidenziale - di fidarsi di quel vecchio. Non sembrava nemmeno pericoloso: era ormai un tutt'uno con la natura che lo ospitava, si protendeva da un trono di radici, e il suo copricapo ricordava in modo spaventoso il becco ricurvo dei corvi, che sembravano al contempo capirlo e in grado di comunicare, in qualche modo, con lui. Una situazione che giudicò quantomeno bizzarra: una foresta di speranza nel bel mezzo del caos, come un'oasi nel deserto, o il baluardo della retroguardia nel bel mezzo del campo di battaglia.

Ashlaìn tacque per un bel pezzo. Il Pirata stava porgendo al vecchio le stesse, identiche domande che avrebbe voluto porgergli lui stesso. Si inserì dopo che Xari ebbe finito, aggiungendo: « Come mai qui non arrivano, quei mostri? Puoi dirti al sicuro... sai come debellare questa piaga maledetta? »

« La foresta ne è ammorbata, come avete constatato voi stessi, ma questa radura è un rifugio sicuro. » Scuote la testa di fronte all'ultima domanda: « Debellarla è impossibile, ma riesco quantomeno a evitare di esserne infettato. » Poi aggiunse enigmatico: « Il segreto sono i corvi. »

Già. Gli stessi corvi che avevano salvato la vita per due volte a lui e alla compagnia del Nano, e che li avevano condotti fin lì. Quelle parole colpirono Ashlaìn.
« I corvi? »

« I corvi si nutrono di carogne in decomposizione e carcasse putrefatte. La contaminazione, in misura minore, è parte del loro essere, e pertanto non possono essere infettati dalla Tentatio; io, ormai, sono in parte uno di loro. E' come un veleno che a piccole dosi funge da antidoto, » spiegò Ràven. « A proposito, prendi questo. » Così dicendo si sfilò un pendaglio che gli ciondolva dal collo e lo porse al sonaglio: non era che un medaglione circolare in pietra, con incastonato al centro l'occhio vitreo di un corvo. Ashlaìn cominciò a sistemarlo fra i sonagli che teneva legati in vita, mentre il vecchio aggiunse qualcosa. « Ti proteggerà, se saprai combinare la tua forza spirituale con la sua. »

Il suo ringraziamento finì strozzato nello sguardo, mentre le sue parole si persero in quelle che il vecchio aggiunse, e che furono di monito e di consiglio per tutti quanti: « Ogni storia ha i suoi mostri ed eroi. Ma alcuni possono finire per ricoprire entrambi i ruoli. »

Quelle parole colpirono Ashlaìn, anche se il loro senso era lontano dalla sua comprensione. Non sapeva decifrarle, né avvertire, a pelle, se e come potessero essere un monito al proseguir della loro avventura.

__ _ __

« Amici, è giunto il momento di rivelarvi la nostra identità e il motivo della missione: Shaelan è mia moglie, su questo non vi ho mentito, ma il mio vero nome non è Dhweg... » disse il Nano scambiando un rapido sguardo di intesa con la propria compagna, per poi proseguire: « Io sono Jahrir, Primo Sultano di Qashra, Kahraman del popolo nanico. Forse avrete già sentito di me, o forse no - non è ciò che importa. »

Nell'istante successivo, intervenne Shaelan: « Ci stiamo recando a Taanach per ottenere l'aiuto della città nello scontro che incombe. » interrotta poi da suo marito, che che allora non era altro che l'ennesimo individuo sotto mentite spoglie: « [color=#005580]Avete sentito le parole di Ravèn: non ci attende un compito facile. Saremmo lieti di avervi dalla nostra parte in questa missione. »

 
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view post Posted on 8/4/2015, 11:43

Esperto
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{ akeran, in viaggio ~ pov: jahrir }

« Ogni storia ha i suoi mostri ed eroi. Ma alcuni possono finire per ricoprire entrambi i ruoli. »

Di tutto il colloquio con Ravèn, fu la chiosa finale del vecchio a pesare più gravemente sull'animo di Jahrir. La frase, profetica ed enigmatica, era stata indirizzata proprio a lui, su questo non c'erano dubbi: lo sguardo penetrante che l'aveva accompagnata gli aveva trapassato carne, muscoli ed ossa, fino a scuoterlo nel profondo. Si interrogò ansiosamente sul significato della sentenza, ma le risposte non arrivarono, nè gli fu possibile chiedere ulteriori delucidazioni: un manto di corvi calò sull'eremita ricoprendolo da capo a piedi. Per il momento, dunque, dovette mettere da parte i quesiti irrisolti.
Le altre notizie gli davano già abbastanza da pensare, in particolare quelle assai preoccupanti riguardo Taanach: la situazione sembrava essere peggio del previsto, la Corruzione già ad uno stato avanzato della sua espansione. Addirittura il cuore della città, a detta di Ravèn, era stato infettato. Cercando di trovare uno spiraglio luminoso nel cupo panorama che gli si prospettava davanti, riflettè che forse sarebbe stato più facile convincere i reggenti della metropoli a concedergli aiuto, se davvero la Tentatio aveva già mostrato i suoi effetti perfino lì - ma era solo una misera consolazione nelle infauste prospettive della loro missione.
Osservò distratto Ashlaìn sistemare il nuovo pendaglio fra gli altri gioielli di cui era adorno, condividendo lo stesso scetticismo di Drenthe sulla sua reale efficacia: di certo un ciondolo del genere non poteva arrestare la piaga - questo doveva saperlo anche il vecchio - ma forse sarebbe risultato utile contro una manifestazione minore della Corruzione. Le parole e il tono risentito del pirata però celavano a fatica qualcosa di ben più profondo e radicato di un semplice dubbio al riguardo: erano scaturite direttamente dal suo cuore, con una sfumatura oscura e pericolosa come le ombre che si annidavano sul suo volto immerso nelle tenebre crescenti. Per un attimo credette di vedergli i lineamenti distorti in un'espressione tutt'altro che rassicurante, ma dovette trattarsi di un semplice gioco di luci. Di certo c'era che doveva essere ben informato sulla minaccia, almeno quanto Ged, che aveva colto un po' tutti di sorpresa nominando l'Ahriman.

La compagnia si stava rivelando sempre più interessante. Da estranei quali erano, mossi da personali interessi a recarsi a Taanach, ora dopo ora si mostravano in realtà spinti da scopi se non comuni, quanto meno similari. La Tentatio era come un filo invisibile che li legava tutti, stabilendo relazioni troppo peculiari per poter essere etichettate come semplici coincidenze. L'immagine del filo gliene suggerì un'altra, più spiacevole: sei piccole e trasandate marionette in balia di un burattinaio misterioso, celato nell'ombra sopra le loro teste. Si affrettò a scacciarla dalla mente, prima che il pessimismo lo travolgesse. Era chiaro ormai che per portare a termine quella missione avrebbero avuto bisogno dell'aiuto dei loro nuovi compagni. Avevano dato prova del loro valore e lealtà, e del resto con l'allontanarsi da Qashra era venuto meno il motivo principale che imponeva a Jahrir di celare la propria identità: non incrinare il delicato equilibrio della capitale con i probabili disordini che sarebbero seguiti al suo ritorno ed evitare che il peso di quella minaccia gravasse ancora una volta sulle sole spalle del suo popolo. Per questa serie di motivi, dunque, quella sera decise di scoprire le proprie carte agli altri.

Erano radunati attorno al fuoco crepitante, circondati dallo stuolo di corvi silenti. Ravèn non aveva dato altri segni della propria presenza: era rimasto seduto sul suo trono, coperto dai suoi servitori alati, un tutt'uno con la marea di piume nere e il legno nodoso. Dopo che ebbe parlato, Jahrir studiò attentamente le reazioni della comitiva. Il prete rosso rimase in silenzio, assorto, ma dal suo sguardo gli parve di capire che aveva il suo appoggio; Xari allargò le braccia in un gesto di difficile interpretazione, mentre Lena era immersa troppo a fondo nei suoi incubi per prestargli attenzione. Ashlaìn gli rispose con decisione: « Viaggio per unirmi alla Resistenza. » affermò portando una mano sull'elsa della scimitarra. « Avete la mia spada. » Tanto bastava, per Jahrir.

Sì coricò sul proprio giaciglio, coprendosi col mantello.
Giorni ostici si profilavano all'orizzonte, e notti ancora più infauste.

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{ taanach, akeran ~ pov: jahrir }

L'indomani proseguirono il viaggio, scortati attraverso la foresta dal solito corvo. Non incontrarono altri ostacoli fino al limitare del bosco, nè durante le ore successive.
Poche ore dopo mezzodì giunsero finalmente in vista di Taanach.
La città si ergeva nel mezzo dell'Akeran, caotica e monumentale, asserragliata dietro le sue mura esterne come una bestia nella propria tana. Ai piedi della cinta si potevano distinguere file di tende impolverate e alcuni padiglioni più ampi e decorati, rivestiti di drappi dai colori sgargianti. L'accampamento era ancora di dimensioni modeste, ma prometteva di crescere in fretta; un assembramento di uomini erano impegnati in ogni genere di occupazione: alcuni affilavano le proprie armi con una cote di pietra, altri si esercitavano nel combattimento o discutevano intorno a paioli colmi di brodaglia o mappe spiegate e stropicciate; paggi e messaggeri percorrevano il campo in lungo e in largo recando ordini e missive. Nell'aria risuonavano il clangore delle armi e le urla dei soldati.
Entrarono a Taanach ritrovandosi immersi nella folla della Città Vecchia. Lena prese commiato dal gruppo, accennando a degli affari personali da sbrigare. Gli altri girovagarono per un po' nell'intrico di vie e stradine, fino a quando giunsero davanti a una locanda dall'aria modesta ma meno malmessa di altre. L'insegna di legno che dondolava sopra la porta recitava l'Oste Zoppo, con a fianco il disegno abbozzato e ormai scolorito dal tempo e dalle intemperie dello storpio in questione.

« Aspettatemi qui, voi altri, » esordì Shaelan. « Io vado a prendere contatti con chi di dovere. » « Sicura di volerlo fare tu? Il viaggio è stato faticoso... »

La nana annuì con decisione: « Non sono stanca, ed è meglio che per il momento tu non attiri troppe attenzioni. Almeno finchè non definiamo meglio la situazione della città. »

Jahrir annuì e lei li salutò allontanandosi, mentre il resto della compagnia entrava nella taverna.
L'interno era rischiarato dalla luce soffusa delle candele affisse alle pareti; tavolini rotondi occupavano la maggior parte dello spazio nella locanda, mentre in fondo al locale era situato un lungo bancone di legno scuro dietro cui si affaccendava un oste grasso e claudicante, la fronte imperlata di sudore mentre strofinava con un panno dei boccali sbeccati. Un gruppo chiassoso giocava a dadi poco distante da dove il nano e gli altri avevano preso posto; altri erano impegnati a bere, discutere o semplicemente a smaltire una pesante sbornia. Più in disparte stava seduto un uomo col capo chino tra le braccia e l'aria abbattuta, il corpo possente scosso da singhiozzi a stento soffocati. C'erano anche due guardie armate con lo stemma di una chimera sputafuoco ricamato sui mantelli blu lucenti bordati d'oro. Dal comportamento rilassato e dall'idromele sciabordante nelle loro coppe si poteva dire che erano fuori servizio, ma l'elsa delle spade che spuntava dal fodero incuteva ugualmente un certo timore.
Jahrir ordinò birra per tutti al bancone e tornò a sedersi portando quattro pesanti boccali.

« La compagnia è variegata, » osservò accennando agli avventori.

« Mentre aspettiamo Shaelan, potremmo cercare di scoprire qualcosa di utile. »



CITAZIONE
QM POINT ~

Siamo arrivati a Taanach! Come annunciato, qui Lena e Verel ci lasciano definitivamente, mentre noi proseguiamo per la nostra strada. In attesa del ritorno di Shaelan, voi e Jahrir vi riposate in una classica locanda della città vecchia. Ci sono alcuni avventori, e la situazione è l'ideale per informarvi sulla situazione generale di Taanach. Potete interagire con quelli che ho descritto, o anche con altri, nei modi che preferite. Attenzione alle domande che ponete e a chi; alcune potrebbero essere più o meno appropriate di altre :v: Scadenza 23.59 di Lunedì 13. Ci sentiamo in Confronto!

 
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Drag.
view post Posted on 15/4/2015, 23:19




Il pirata inspirò profondamente, mettendo un piede dinanzi all'altro mentre attraversava le vie vetuste e polverose di Taanach; l'aria calda gli riempì i polmoni: era densa, viscosa, nervosa. Aveva la malignità infida del veleno appena percepibile nel calice - come levare al cielo il dolce bicchiere della staffa, e sentirne il sapore della morte sul palato. Stava respirando Corruzione: la città ne era completamente contaminata. Riusciva a vederlo negli occhi scavati della gente, negli sguardi irritati e spaventati, nei movimenti affrettati e insicuri.
Si ripararono in una modesta locanda; l'interno era comune a moltissime altre taverne di Theras - colma di fumo e odori, ma fin troppo calda per i suoi gusti. Era un tipo di calura diverso rispetto a quello cui era abituato; il tepore del sole tropicale che baciava Dorhamat era mitigato dalla brezza frizzante del mare. Taanach era una culla di arsura secca e soffocante, lontana nel paragone persino all'umida afa del Plaakar. Shaelan li lasciò rapidamente, procedendo da sola a riallacciare i contatti che gli sarebbero serviti per completare la missione.
Lena stessa li aveva lasciati alle porte della città. L'incontro con la progenie del Baathos l'aveva sconvolta nel profondo, tanto da non suscitare alcuna sorpresa la rivelazione della vera identità che si celava dietro Dwheg. Inizialmente Xari si sentiva particolarmente minacciato dall'idea di un individuo che lasciasse il gruppo pur conoscendo informazioni così sconvolgenti, ma dopo una rapida occhiata alla catatonica investigratrice decise - per pietà? - di lasciar perdere. La donna non sarebbe stata un problema.

« Salute, amici.
Posso unirmi a voi? Il viaggio è stato massacrante, ma perlomeno non ho trovato le porte di Taanach chiuse a uno stanco mercante...
»

Quello era il suo regno.
Il largo sorriso che illuminava il viso esotico del pirata non era del tutto fasullo; Drenthe viveva per quei momenti bugiardi, dove il suo carisma esplodeva in un milione di menzogne intessute attorno a sè per manipolare gli individui che lo circondavano. Dopo aver accennato al tavolo da gioco al quale stavano divertendosi alcuni avventori della taverna, l'avventuriero si era alzato e si era diretto verso di essi con piglio entusiasta e amichevole. Per qualche istante, ogni ombra venne sollevata dal suo cuore tormentato: raccogliere informazioni giocando con la propria identità era una specialità in cui Xari eccelleva terribilmente. Incredibilmente, quell'atteggiamento riprovevole era ciò che di più sano egli potesse sfruttare per aggrapparsi alla parte genuina di se stesso; se si fosse soffermato a pensarci, era paradossalmente poetico: per tornare ad essere Xari Drenthe, avrebbe dovuto vestire i panni di qualcun altro... e raggirare, circuire, affascinare, mentire.
Con un borsello di monete in mano e un'espressione sbarazzina sulle labbra.

« Chiuse? Non ancora, ma forse tra poco, chissà... » Mormorò uno dei giocatori, un tizio biondo e longilineo. Gli altri squadrarono il pirata con una certa circospezione, sospettosi del suo aspetto eccentrico; alla fine un uomo nerboruto dalla folta barba nera prorruppe in una risata e gli tirò una pacca sulla schiena, spezzando la tensione: « Chi porta denaro è sempre il benvenuto! »
Prese posto, e i dadi rotolarono diverse volte; era un passatempo divertente, alla quale aveva spesso indulto in passato. Ridere e bere con quei compagni improvvisati gli ricordò le lunghe notti trascorse nelle bettole sulla spiaggia di Dorhamat, circondato dai fratelli marinai e dalle ciurme rivali nell'eterna, avida corsa alla razzìa. Gli mancava quel genere di cameratismo: era vero e rapido come il bacio di un'amante frettolosa che deve dileguarsi nella notte per paura di essere scoperta dal marito geloso.
Xari non poteva più permettersi quel genere di genuinità; era un giocatore esperto, ma perdette diverse mani di proposito. Con discrezione e alcuni accurati commenti, il pirata fece breccia nel muro di naturale diffidenza che gli amici avevano eretto al suo arrivo, sciogliendo ben presto ogni ritrosia. La messinscena durò a lungo: esclamazioni di vittoria si mischiavano a ben più frequenti lamenti per un tiro sbagliato o un lancio sfortunato, finendo ben presto per vedere le monete sparire dal leggero borsello. L'oro non era mai stato un problema per Xari (nè lo era tuttora, giacchè ciò che aveva deciso di puntare era soltanto una piccola frazione di quel che portava con sè), ma non sarebbe durato per sempre. Decise così di deviare sensibilmente la conversazione.
« Questo viaggio è stato un disastro. Sono partito da Dorhamat convinto di poter guadagnare vendendo le mie merci a Qashra, ma i nani mi hanno sbattuto le porte in faccia in preda alla paura. E qui dicevi che potrebbe accadere lo stesso...? Perchè? Perchè questa sventura? », domandò, scuotendo la testa desolato. Il pirata era abilmente scivolato lungo la sedia, dando l'impressione di essere un uomo quasi spezzato dall'incredibile sciagura che stava flagellando i suoi lanci.
« Circolano brutte voci, demoni bastardi e compagnia. Lo Tsar ha iniziato a radunare gli uomini per fronteggiarli; quando arriveranno qui Taanach sarà chiusa, per non farli entrare dentro. » Spiegò l'uomo nerboruto, prima che intervenisse il biondo con tono funereo: « Sempre che non l'abbiano già fatto. » Il moro gli scoccò un'occhiata in tralice: « Non stare a sentire Jem, vive con un palo in culo da quando è nato. » Mentre l'altro rispondeva con un'onesta espressione di sdegno, l'altro uomo decise di presentarsi. « A proposito, io sono Tomhir. »
« Drenthe. », rispose prontamente il pirata, indicando se stesso. Ciò che aveva udito era sconvolgente: i beik avevano ceduto (momentaneamente) la propria sovranità per lasciarla a un comandante straordinario, una guida che aiutasse la città a superare quella crisi senza precedenti. A memoria d'uomo, ciò non era quasi mai accaduto in passato; Xari non era mai stato a Taanach, ma ne conosceva le usanze e le tradizione: era dovere di un manipolatore conoscere il terreno dentro il quale avrebbe cacciato.
Curioso, pensò. Le guardie che stanno bevendo al bancone portano lo stemma della Chimera.
Era un dettaglio importante: significava che in città c'erano ancora soldati fedeli ai beik, i quali ancora non avevano formalmente dichiarato la propria incompetenza esecutiva. Il periodo di transizione stava lasciando dei vuoti governativi importanti, e al fine della loro missione Xari non poteva permettersi il lusso di lasciarsene sfuggire neppure uno. Ogni strada andava tentata, ogni sentiero calpestato.
« La situazione è davvero grave se Taanach ha deciso di affidarsi all'eccezionale dictator. Chi è stato scelto? E perchè vedo così pochi soldati accampati fuori dalla città? Pensavo che le città libere avrebbero risposto, se Taanach avesse chiamato l'adunata... Non potete essere stati lasciati soli. »
« Si è sempre soli di fronte alla morte. » « Le altre città hanno le loro rogne. Lo Tsar si chiama Duilio, un ex-schiavo e gladiatore. A giorni avverrà il passaggio di poteri ufficiale, anche se già ora è lui, di fatto, a comandare. Vedrai che allora le fila si ingrosseranno. »
Quindi nessuno si era presentato ad aiutare Taanach, e ora Duilio doveva fronteggiare il Baathos da solo. Poteva solo immaginare che razza di personaggio Duilio fosse - un gladiatore catapultato al comando di un esercito di mercenari, mentre la Tentatio ne corrode il morale e lo spirito.
Xari sollevò il bicchiere. « Al coraggioso Duilio, allora! Che possa proteggere tutti e salvare i miei affari! » Brinda, prima di scoppiare a ridere.

« Ehy, voi! », latrò seccamente una voce alle sue spalle.
Ecco la mia opportunità.
« Siete appena arrivati in città, vero? Io e il mio compagno vorremmo fare due chiacchiere. Che ne dite se ci seguite fuori? »

Il silenzio calò rapidamente nella taverna; la tensione si alzò immediatamente, ma Xari fece di tutto per non mostrarsi eccessivamente entusiasta di quel capovolgimento degli eventi. Era tutto semplicemente perfetto.
« o zelo che dimostrano le sentinelle di questa città è rassicurante. Vi prego, signori: accompagnatemi fuori. »
Fu il primo a rompere gli indugi, levandosi velocemente e assumendo un tono instrionicamente bendisposto e solare. Le parole gli uscirono come fulmini dalle labbra, piegate in un caldo sorriso - a onesta dismostrazione di voler chiarire ogni eventuale equivoco.
« Saprò darvi tutte le informazioni che desiderate senza disturbate la quiete di questa accogliente taverna. »

« Vedi, straniero, » esordì la sentinella più alta, una volta usciti dal locale, « Taanach è sempre stata ben disposta verso i forestieri, ma questo è un periodo delicato. Al nostro Signore non fa piacere che degli estranei vengano a turbare precario equilibrio della città, fomentando le voci che si aggirano tra la feccia. Il popolo deve sentirsi al sicuro, altrimenti scoppia il caos. » La seconda si fece avanti, aggiugendo: « Siamo certi che hai capito il messaggio, ma è meglio non rischiare, ti pare? » Tra le mani stringeva una spessa fune di canapa. « Ti facciamo fare un giro nel... palazzo di sua Eminenza Graub. »

Con somma sorpresa, il pirata porse volenterosamente i propri polsi alla corda delle guardie; gli occhi azzurri di Xari tradivano la furbizia che si celava al loro interno: "prego", dicevano, "sono il vostro prigioniero preferito".
Ogni traccia di Corruzione parve recedere, lasciando la sua mente più libera di quanto non lo fosse mai stata da molto tempo.
Drenthe si voltò appena, in direzione dei compagni che - ne era certo - lo stavano osservando di nascosto.
"Vado nella tana del coniglio", disse tacitamente con un occhiolino, prima di esser condotto via.


Passive utilizzate:
NATURAL BORN LEADER (3/6) La personalità di Xari è, a dir poco, dirompente. Nonostante la sua fama controversa e il suo comportamento non proprio onorevole, non esiste uomo che, dopo averlo incontrato, non riconosca il suo carisma. Il talento puro di Drenthe nel comandare ed ispirare coloro che gli stanno attorno è così cristallino da ispirare fiducia e coraggio senza il minimo sforzo, anche con la sua sola presenza. Che ciò sia dovuto alla sua natura versatile o alla notorietà delle sue temerarie imprese, gli alleati saranno rinfrancati di combattere al suo fianco e non si perderanno d'animo nemmeno nelle situazioni più disperate, sapendo che lui è con loro; ogni individuo che dovesse subire il suo carisma sarà istintivamente come portato a fidarsi di lui, naturalmente. [6 utilizzi - passiva di natura psionica di carisma che influenza chiunque gli stia attorno, opportunamente contrastabile come tale]
MAESTRO DELL'INTRIGO (5/6) Xari non è solo un eccellente combattente, ma anche un manipolatore nato: il pirata adora l'intrigo e la macchinazione, calcolando con cautela ogni eventualità per poterne trarre profitto - e divertimento. Questa oscura attitudine lo ha trasformato in uno degli invidivui più imprevedibili e imperscrutabili di tutto il Theras, tanto che chi si troverà davanti il pirata non riuscirà mai ad intuire quali siano le sue intenzioni, se stia dicendo verità o bugie, quali siano i suoi obiettivi e perché si comporti in un certo modo. Qualsiasi supposizione sul pensiero del personaggio sarà vana, e non sarà possibile per gli altri personaggi intuire che cosa il pirata stia macchinando; inoltre si confonderanno le sue bugie con la verità e viceversa. Egli saprà così mantenere il proprio allineamento sempre nascosto, come se non ne avesse uno. [6 utilizzi - passiva di natura psionica di allineamento imperscrutabile]
THE FOX OF THE SEAS (1/62) - Come le volpi, poi, Xari è un abile cacciatore (di notizie): costretto dalle necessità a trovarsi spesso in luoghi lontani dal luogo in cui è nato, egli ha imparato ad aguzzare i suoi sensi per cercare di acquisire le informazioni più importanti del luogo in cui si trova, mettendole anche in relazione alla storia del passato recente. Così, con il consumo di un utilizzo di questa passiva, egli sarà in grado di conoscere le personalità più famose della città in cui si trovano, o di discutere consapevolmente sulle diatribe recenti di una regione, passando quasi come un abitante del luogo. Egli verrà anche a conoscenza delle quest e delle giocate passate svolte in quel luogo.[2 utilizzi - passiva di conoscenza del background del luogo]
 
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