Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Corsa all'oro - [ R a i d ]

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Lunatic ( )
view post Posted on 18/9/2015, 19:37




[ R a i d ]


- La sera stessa dopo il concilio

Le fiamme danzavano incuranti del vento ghiacciato. Gli osti avevano preparato grossi circoli di pietre e ci avevano acceso enormi falò fuori dalla porta della locanda interrata: con tutti i viaggiatori venuti ad assistere, non c'era più spazio dentro la taverna. Né negli insediamenti circostanti. L'affluenza che ci si aspetta un evento storico. Gruppetti di uomini di pietra parlavano a voce bassa sulle panche allestite all'aperto, le schiene scaldate dalle lingue di fuoco e la pancia scaldata dall'alcol. Non si poteva essere indifferenti. Quelle persone, quella gente; dopo tutto quel tempo passato a barricarsi nelle fortezze in preda all'ansia e al terrore, alla gelosia della sopravvivenza. Erano lì, erano vivi. Erano la differenza. Insediamenti con rivalità palesi o nascoste per il controllo dei tunnel, delle risorse sotterranee ed esterne, dispute vecchie di anni per i pochi pascoli in grado di produrre due o tre fili d'erba: tutto era cancellato. Tutto era da dimenticarsi di fronte alla minaccia degli avventurieri esterni venuti a privarli delle ricchezze della loro terra.

In quel momento, era al tavolo con un uomo con una luce selvaggia negli occhi. Come l'eroe di molte leggende, quell'uomo parlava di tesori e meraviglie, tentazioni a portata di mano. Fijeld.

« ... e dobbiamo andare a prenderle, ti dico. » L'uomo sottolineò la frase, sbattendo il boccale sul legno. « Questa è la scelta di una vita. Quando torneremo qui ... non ti riempirò con false speranze. Ma non mi stupirei, se ci dessero il comando di una fortezza. »

« Ammesso che le ricchezze di cui parli esistano. »

L'altro si lasciò sfuggire un verso di insofferenza, poi distolse lo sguardo verso il sentiero che conduceva al santuario di Voljund. Aveva un profilo aspro, indurito dal tempo, un volto di roccia. I suoi capelli erano grigi alla base e poi sempre più bianchi, ma era uno scolorimento precoce: Fijeld non aveva più di quarant'anni. Eppure quella corta treccia candida gli conferiva quasi l'autorità di un anziano.

« Per lungo tempo, ho ignorato gli affari della mia famiglia. » Iniziò. Parlava piano, come se dovesse estrarre ogni parola da una miniera in se stesso. « Ero giovane, e stupido. Chi vuole mercanteggiare, quando bisogna difendere la propria casa? Solo dopo ho capito che il cibo del mercante ci tiene tanto in vita quanto la spada dell'Anahmid più valoroso. Comunque ... io ho avuto il mio tempo per fare la vita del soldato. Ora voglio lasciare qualcosa di più al mio nome, alla mia memoria. Alla mia gente. »

« Tutti ti rispettano a casa, Fijeld. Le tue gesta ... »

« Gesta di un soldato più fortunato di tanti suoi compagni. » tagliò corto. « Alcuni di quegli anziani vorrebbero che ci rinchiudessimo di nuovo nelle fortezze, a guardia dei tesori. Li capisco. Ma c'è bisogno di fare qualcosa di più. Se non andiamo noi, là sotto, ne verranno altri. Razziatori, forestieri ... e solo Kjeld sa cosa potrebbero fare con quello che avremmo potuto portare alla nostra gente. »

« Tu sei sicuro che questi ... lagomorfi ... se ne siano andati? Parli di una città intera, Fijeld.
Come può sparire una città?
»

« Come possono apparire i draghi? Come possono scomparire i demoni? »

La somiglianza con gli eventi recenti era così ovvia che si sentì uno stupido per non averci pensato prima.

« Uno dei contatti della mia famiglia commercia con le comunità sotterranee. Porta giù carne fresca e pellicce in cambio di spezie e strani funghi, qualche volta ferro e acciaio, utensili, armi. Nell'ultimo viaggio li ha trovati spaesati. I cittadini di quattro diverse comunità dicono che la loro fortezza capitale, Cernaborg, è deserta. Case con dentro il fuoco acceso e la zuppa a scaldare.
Non hai idea di quanti fossero a vivere lì. E lo facevano da tempo immemore.
»

« Quindi l'idea è di calarci in questo posto e razziare nelle case? »

« No. Puntiamo alla tesoreria del loro Re. »



- Sotto le montagne


Le gallerie non gli piacevano particolarmente. A forza di vivere asserragliati in una fortezza nella pelle della montagna ci si faceva l'abitudine, ovvio. Quando il cielo era perlopiù una lastra di nuvole bianche portatrici di vento e ghiaccio e morte, non ti mancava vederlo per lunghi periodi e una volta di roccia diventava una protettiva presenza. Era meglio dire che non gli piacevano quelle gallerie. Troppo strette, con i bordi inferiori levigati dall'uso e i soffitti pieni di sporgenze frastagliate. Erano scavate per creature che non procedevano su due zampe: il pensiero lo preoccupava. Fortunatamente quella scorciatoia era solo un tratto temporaneo, usato per raggiungere in fretta i canali dei Lagomorfi.

Fijeld non accettava compromessi. Ovviamente, apriva lui la colonna e aveva scelto, lui compreso, ogni membro di quella piccola comitiva. I gemelli, per esempio, che lo seguivano a passo svelto. Qualche volta la luce delle torcia colpiva la loro pelle nuda e veniva intrappolata nell'intrico di tatuaggi. Destra e sinistra. Erano conciati per essere l'immagine speculare l'uno dell'altro: i tatuaggi, così come la metà della testa rasata, coincidevano. Sinistra e destra. Un modo facile di riconoscerli, grazie alla loro cura maniacale dei dettagli.
Dietro di lui invece arrancava Jormaund, che con la sua stazza da riempire un'armadio faticava ancor di più nei passaggi stretti. Si erano dovuti tutti togliere le armi per evitare il clangore del metallo, rimanendo solo con pugnali e trasportando tutto a spalla, avvolto in tessuto che soffocava i suoni. Lo stesso il tunnel sembrava riempito del rumore del loro ansimare e delle imprecazioni sotto bocca che il toro, dietro di lui, si concedeva.

Ognuno di loro era stato scelto personalmente. Vorg non poteva fare a meno di chiedersi se anche gli altri avevano ricevuto lo stesso discorso, se erano stati reticenti come lui ad accettare la proposta. Non ne parlava, però. Era meglio tenere per sé i suoi pensieri; i gemelli, in particolare, venivano da un'altra fortezza, e per quanto la mobilitazione generale avesse unito gli animi, non poteva sapere per quanto sarebbe durata.

Improvvisamente la torcia di Fijeld fu inghiottita da un'oscurità più grande e lui stesso saltò nel buio, un tonfo sordo che annunciava il suo arrivo a terra. Uno a uno, il gruppo lo seguì. Erano fuori dal cunicolo in una galleria più grande, col soffitto modellato in un'approssimativa volta nella quale almeno le stalattiti più prominenti erano state abbattute. Il guerriero si portò un dito alla bocca e soffiò sulla torcia, agitandola in aria per spegnerla. Dopo i primi attimi di buio, videro una luce oltre la svolta del tunnel.



Ciale si svegliò con un dolore sordo alla testa e le braccia rigide. Aveva sognato di voci nell'accento duro della superficie che la circondavano nell'oscurità. Solo che continuava a sentirle. E non riusciva a staccare un polso dall'altro. Con uno scatto, costrinse i suoi occhi ad aprirsi.



« è sveglia » disse uno dei gemelli, atonale.

Li avevano sorpresi nel sonno, dando a entrambi una botta in testa per evitare che saltassero in piedi, mentre li legavano. I Lagomorfi non l'avevano stupito: avevano aspetto molto umano, a parte le lunghe orecchie candide ai lati della testa. La donna era armata fino ai denti e le avevano dovuto togliere di dosso un numero impressionante di pugnali da lancio, ma l'altro era un bambino. Un gruppo ben sparuto.
La compagnia si riunì verso la creatura legata appoggiata alla parete del tunnel, che li fissava con gli occhi di un azzurro terribilmente chiaro, con odio per niente celato. Le avevano passato due giri di corda intorno alle mani e due sulle cosce, perchè - Fijeld diceva - i calci di uno di loro erano pericolosi come quelli di un ronzino. Lo sguardo della "donna" cercava qualcosa insistentemente.

Sembrò trovarlo quando Jormaund si spostò dalla visuale. Il corpo del piccolo, che ancora dormiva.

« Stiamo andando a Cernaborg » disse lui, attirando su di sé l'attenzione. « Dobbiamo sapere cosa ci troveremo. Se collabori ... »
La donna sputò per terra.

«Khiter-no-bratak. Cal on dai-lak, Kjeld na kané. »


Vorg non si era immaginato che potesse parlare una lingua diversa da quella comune: le parole aguzze uscite dalla gola della creatura sembravano qualcosa uscite dal passato, che gli ricordava il dialetto runico parlato dal defunto bisnonno. L'intento di quelle frasi era chiaro. La donna li fissò uno per uno, i suoi occhi gelidi che sottolineavano l'espressione furiosa. Sentì l'impulso di indietreggiare. Incredibilmente, un toro come Jormaund addirittura lo fece. Forse perché la frase suonava come una maledizione antica, forse perché erano uomini di pietra ... ma non rapitori di donne e bambini.
Da dietro arrivò il tossire di Fijeld.

« Ci penso io, Vorg. » il guerriero lo fece scostare delicatamente con una mano sulla spalla, poi sollevò la gamba e piantò un calcio nello stomaco dell'essere. La Lagomorfa sgranò gli occhi e si piegò in avanti, ma non li chiuse e non gemette. « Se devi insultare, insultaci nella lingua comune. »

La creatura non gli risparmiò uno dei suoi sguardi, ma non disse niente. Qualcosa andava formandosi nello stomaco di Vorg, qualcosa che non gli ricordava la sera dopo il concilio e i grandi fuochi fuori dalla taverna.
« Forse non la conosce. » azzardò. La prigioniera scosse la testa, rialzò lo sguardo iroso, poi parlò.

« ..bestie di-merda. » A quel punto si fermò, come se aspettasse un altro calcio. Ma dai piedi di Fijeld non venne niente. « Se ... toccate il bambino, vi squarcio. »

Parlava a fatica, ma non poteva essere per via del dolore. Sembrava piuttosto impiegare molto tempo a formulare le frasi. Aveva un accento esotico, e ogni tanto univa le parole in una strana cadenza. I rimasugli della lingua di poco prima.

« Le tue minacce sono vuote, » fu la risposta. « non puoi farci niente. »

« Chi-siete? »

Stavolta il calcio arrivò, a piegarla di nuovo. La sensazione nel suo stomaco vibrò.

« Vieni da Cernaborg? »

Fijeld era indifferente. Poteva vederne i lineamenti, le cicatrici del viso alla luce della torcia, nell'insenatura in cui si erano riparati. Uno dei gemelli aveva tappato l'ingresso con una coperta, evitando l'errore della Lagomorfa: la luce, se non in minima parte, non sarebbe trapelata nel tunnel esterno.

« Cernaborg ... ? » la creatura sembrò soppesare la parola, poi si lasciò sfuggire un verso nasale e una risata soffocata. « No esiste, Cernaborg. »

Fijeld si abbassò sulle ginocchia, in modo da poter fissare la prigioniera negli occhi. Con una mano le afferrò il viso, stringendolo guancia a guancia e impedendole di parlare.
« Ascoltami bene, coniglia. Non abbiamo tempo per questo. So tutto della vostra città sotterranea. Ora vedi di non farmi incazzare o ti concio per bene. » La creatura aveva fatto uno scatto in avanti col collo, nel tentativo di mordere l'incavo tra il pollice e l'indice, ma l'uomo la spinse indietro facendole battere la nuca sulla parete di pietra. « Vieni da Cernaborg? » ripeté.

La Lagomorfa si scosse nelle corde. Sembrava incassare i colpi, ma si potevano vedere le orecchie piegarsi e le palpebre stringersi impercettibilmente, in qualche spasmo muscolare.

« No è ... » sputò cercando di beccare Fijeld, ma il fiotto di saliva rossa andò a vuoto e colpì in mezzo ai suoi stivali. « Non è, » si corresse « una-bugia. Non c'è più niente là. E nessuno. »

« Vedremo a proposito. Disfate il campo. La portiamo con noi. »




Stupida. Era una stupida. Non aveva immaginato che ci potessero essere dei selvaggi, a quel livello. Ovviamente. Senza le pattuglie della Profonda a tenere pulite le strade, poteva scendere di tutto. Stupida, stupida. Un'agente dell'Inquisizione Lunatica, legata come una ladra ... La facevano camminare davanti, i nodi sulle sue cosce sciolti solo quanto bastava a farle fare stupidi passi piccoli e goffi. Stupida, perché si era sbagliata a minacciarli. Aveva detto dai-lak, bambino, e non khal-co-Ciale o kin, che avrebbe significato " mio figlio " nella loro lingua. Certo, era pur sempre il dialetto di Cernaborg, ma aveva avuto l'impressione che quello coi capelli bianchi lo capisse. In ogni caso la foga l'aveva tradita lo stesso. Sapevano che Efyil era importante per lei, per questo lo tenevano dietro, lontano dal suo sguardo, per impedirle di fuggire.

Kjeld, se voleva ammazzarli. Voleva sventare i due con la pelle dipinta e appenderli con le loro interiora. Voleva infilzare gli occhi di quello coi capelli bianchi, lasciarlo cieco a brancolare nei tunnel seguendolo per un giorno prima di ucciderlo. Con le sue armi si sarebbe potuta occupare di loro. Se le avesse avute. E se loro non avessero puntato una lama alla gola di suo figlio.

Suo figlio ... aveva bisogno di lei. Doveva stare calma. Si sarebbero fermati; se durante la notte avesse potuto disfare i lacci, sarebbe stata in grado di lottare anche a mani nude ... non doveva minacciarli. Insultarti, imbrogliarli ... non doveva far capire loro nulla. Stupida. Stava sanguinando, ma non era niente a confronto della poltiglia che aveva dentro. Usare gli addominali le faceva male e aveva una sensazione calda dietro la nuca. Il colpo contro la parete l'aveva intontita. Le corde le stavano mordendo la pelle. Come Inquisitrice, sapeva che quello non era niente. I pugni e il sangue in bocca ogni volta che le rivolgevano la parola. Non erano niente.

Aveva davanti un periodo molto brutto.





La sensazione nel suo stomaco aveva inacidito il suo ultimo pasto. Durante la marcia continuava a tornargli in bocca, bruciando la lingua con la sensazione di disgusto e di acido. Poteva ricacciarlo in gola, ma non poteva fermarlo. E intanto pensava a quella notte, e a tante altre ancora: notti passate a sentire di uomini come Fijeld, uomini che avevano combattuto demoni e invasori. Vorg non era un codardo, non lo era mai stato. Le sue azioni forse non eguagliavano la fama del loro comandante, anzi, di sicuro non lo facevano. Ma cosa c'entrava riempire di botte una donna, anche quando si fermava per strada o si rifiutava di far loro vedere da che parte svoltare? Era glorioso avere la meglio di un nemico, ma infierire su un passante casuale?

Qualcuno, almeno, la pensava come lui. Non ne parlavano, ma aveva visto imbarazzo in Jormaund. Sapeva che l'omone era di semplici valori e desideri ancora più semplici: un uomo di pietra da manuale, da stereotipo. Aveva pensato che anzi fosse un po' stupido: forte e imponente, ma di ventre e braccio e non di cervello. Valori semplici e desideri semplici, un uomo di pietra, un uomo per una vita dura nei ghiacci. Onorevole. Cosa aveva a che fare, essere un Anahmid, con quello che stavano facendo? L'insistenza di Fijeld non serviva a niente. Più scendevano e più i canali sotterranei si facevano larghi e ben mantenuti, per quanto mancassero di presenza senziente. Sarebbero arrivati in città anche senza quella creatura.

Ma dopo il secondo giorno, basandosi sui loro ritmi sonno veglia, capì che anche Fijeld l'aveva capito. Toccava sempre più spesso l'elsa del pugnale e la sacca dove portava le altre armi.


Era difficile dormire. In qualsiasi momento avrebbero potuto colpirla. Ucciderla. Approfittare di lei, ma sopratutto, ucciderla. Doveva essere cosciente, agire quando il momento arrivava. Ma non poteva marciare se non dormiva.... suo figlio, Efyil, Efyil, aveva capito che era meglio non fare rumore. Lo tenevano lontano da lei, non poteva parargli, ma poteva vederlo e annuire. Aveva ancora tutti i denti, poteva sorridere, poteva rassicurarlo. Una magra consolazione. Suo figlio, senza di lei, sarebbe stato carne morta nei tunnel.

Le gelò il sangue.

I selvaggi dovevano morire. Dovevano ...

Quello con il cranio rasato le si avvicinò. Era l'unico in piedi, gli altri stavano dormendo. Doveva essere il suo turno di fare la guardia. Ciale sollevò gli occhi, in attesa. Così, sarebbe stato quello il primo. Non le importava. Se stava ferma, se aspettava, avrebbe avuto quello che voleva. Molto probabilmente, per stuprarla, avrebbe fatto un errore cruciale. Le avrebbe sciolto le gambe per accedere al piacere più comodamente.

Allora lei l'avrebbe ucciso. Doveva solo riuscire a bloccarlo coi muscoli delle cosce e ... le sue mani cercarono un sasso. Aprire il suo teschio come un'anguria matura, disperderne il contenuto per i vermi. O se fosse riuscita a catturargli la testa, aveva abbastanza forza per strangolarlo. O spezzargli il collo. Schifoso selvaggio ... doveva farlo, però, senza che gli altri si svegliassero. Oppure le si sarebbe avvicinato in quel ributtante amplesso; in quel caso gli avrebbe strappato a morsi la gola. Il suo sangue sarebbe stato dolcissimo. Doveva ... L'uomo sussurrò.

« Ti sto liberando. » La aggirò alle spalle e cominciò a segare i nodi attorno ai suoi polsi. « Questa non è la strada dei miei antenati. »

Le parole non avevano senso per lei e aspettava in ogni secondo di sentire la lama conficcarsi nella sua schiena. Eppure ...

« Ti prego, non fare rumore e prendi il bambino. Ho lasciato la borsa con la tua roba duecento metri più avanti, nel tunnel. Dovrai trovarla al buio, è in mezzo al canale. »

Finalmente libera, portò le mani davanti a se, i frammenti di corda che le erano rimasti attaccati alla pelle rossa e irritata. Immediatamente, cominciò a liberarsi le gambe.

« So che ci odi, ma non tornare indietro. Non vendicarti. Cercherò di non farti seguire. »



Ciale si alzò di scatto, girandosi verso il selvaggio calvo. Teneva il coltello basso e una mano rivolta verso di lei, come a tenerla lontana. Calcolò un paio di volte le distanze, cercò di vedere se l'uomo stava facendo una finta. Non riusciva a vedere la borsa col suo equipaggiamento da nessuna parte. Forse la bestia voleva solo creare il pretesto della sua fuga per poter poi inseguirla e ucciderla. Chissà come si divertivano, quei selvaggi.
Comunque era la sua migliore possibilità.
Senza perdere d'occhio il nemico, si avvicinò a Efyil e lo svegliò.

« Dhaan, » lo ammonì. Lui capì e non disse niente. Le sue dita agili lavorarono in fretta i suoi nodi, che erano meno complicati. Forse perché non avevano paura di un bambino. Una volta finito lo prese in braccio e mise dieci metri di distanza tra sé e l'uomo. Non sembrava intenzionato a seguirla, la guardava soltanto, con una posa attenta ma uno sguardo triste negli occhi.

Ciale lo guardò l'ultima volta. « A Cernaborg, » disse « c'è solo-morte. »

Poi si girò, correndo via nell'oscurità.




Allora, il racconto autoconclusivo coinvolge ovviamente gli uomini di pietra. Per loro mi sono basato sui post indicati qui e qui.
Nella fattispecie ho preso spunto da quanto viene detto nella giocata, a proposito delle varie comunità di uomini di pietra che hanno modi diversi di reagire agli eventi. I personaggi proposti - soprattutto Fijeld, che è un soldato incallito - decidono, invece di proteggere i tesori già in possesso, di cercarne di nuovi.
I tunnel dei Lagomorfi si trovano nella regione, e poco tempo prima accade la sparizione (o la "discesa") di tutti gli abitanti di Cernaborg, la città di Ciale, di cui ho parlato in altri post. L'occasione sembra adatta ad organizzare una spedizione di razzia.

Il resto è abbastanza chiaro. Si imbattono in Ciale e il figlio che stanno abbandonando le gallerie, prima che questa decida di affidarlo a una famiglia per non metterlo in pericolo nei suoi viaggi.

Le parti incomprensibili sono il mio modo di rendere la lingua madre di Ciale, che è un dialetto derivato dal theraniano antico. La frase Khiter-no-bratak. Cal on dai-lak, Kjeld na kané significa letteralmente "bestie fatte di sterco. Se toccate il bambino, vi infliggo la pena Kjield". Quest'ultima parte è un modo di dire Lagomorfo, usato per indicare una qualsiasi morte cruenta - generalmente assideramento, ma può essere interpretata a piacere. "Dhaan" è invece un suono sussurato simile a un sospiro, sta per silenzio o il silenzio.

EDIT: Ho modificato una frase nel punto di vista di Vorg, in cui dicevo "il corpo del figlio, che ancora dormiva". Ovviamente lui non sa che si tratta del figlio. Touché. Potevo anche lasciarla, ma sarebbe stata un po' confusionaria col resto.



Edited by Lunatic ( ) - 19/9/2015, 00:51
 
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