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| Hatred's End ~ La Volpe e il Leone
(...) Sedeva da solo nel punto più alto delle rovine. Il tiepido e stanco sole del mattino faticava a riscaldarlo, mentre si celava al di sotto del mantello impolverato. Era quieto; le gambe penzolavano dalla muraglia ma la schiena era curva, come gravata da un peso invisibile. Lo sguardo assente si smarriva nell'orizzonte frastagliato del Talamlith. L'espressione era neutra, le labbra strette appena in una smorfia stanca, ma il movimento degli occhi da un punto all'altro della stretta valle tradiva una tensione profonda e malcelata. Tra le mani, al di sotto di Itinerante, stringeva ancora il dispaccio che non gli aveva fatto chiudere occhio per una notte intera. Le parole che la pergamena recava erano state vergate da una mano tremante. Somigliavano più a scarabocchi tracciati in fretta e furia e non recavano sigilli né firme. Frasi confuse e termini gravi dipingevano un cupo presagio che Taliesin, se solo non avesse riposto massima fiducia nei suoi collaboratori, avrebbe liquidato come uno scherzo goliardico. Se lui stesso non avesse udito quella voce, il giorno prima, avrebbe pensato che il messaggio fosse una trovata qualunque per seminare il panico tra le fila dei suoi. Hamek, il vecchio telepate della Ruadh, glie lo aveva consegnato con riluttanza. Nel farlo, i suoi occhi già guardavano altrove: alle spalle del bardo, nel vuoto, verso un futuro che, in una quieta sera di un giorno qualunque, si era tinto di nero. La sua mente era oscurata da centinaia di parole, urla e immagini confuse. Quando gli vennero chieste più informazioni, l'anziano rimase rigido. Allora Taliesin si abbandonò all'ira: lo prese per il colletto e lo scaraventò da una parte, contro un tendaggio che gli crollò addosso con gran fragore. Quello rimase a terra, inerme e tremante sotto il tessuto rosso, ancora troppo impegnato a scorgere figure distanti divincolarsi nel buio. Ci impiegò alcune ore per tornare in sé e mettere in ordine le parole in una frase compiuta. Solo allora, confermati i suoi timori, il bardo stesso gli somministrò una generosa dose di sonnifero e si ritirò riflettere. Con lui, a nord, c'erano tre dozzine di uomini più Juan; metà della Ruadh, un manipolo di più di un centinaio tra mercenari, commercianti e avventurieri, stava invece cavalcando a rotta di collo verso nord, attraversando l'Ystfalda e spronando i cavalli al limite delle loro energie. L'ordine di riunirsi in fretta sulle pendici dell'Erydlyss era ormai giunto anche ai membri sparpagliati negli angoli più remoti del continente; in un'altra situazione il bardo si sarebbe persino compiaciuto di tanta efficienza e prontezza dei canali di comunicazione da lui ideati. Il reale significato di tale messaggio era chiaro a tutti: gli uomini troppo lontani per riunirsi alla Ruadh entro qualche giorno di viaggio erano da considerare uomini persi. Avrebbero dovuto provvedere loro stessi alla loro salvezza--e Taliesin non avrebbe potuto contare su di loro per la sua. Si perse nel riflettere come lunghi anni erano passati dalle prime scorribande della Ruadh nel Talamlith. Da allora, l'organizzazione si era arricchita e ampliata a dismisura; aveva goduto del caos dilagante nel Dortan e governato, di fatto, numerose strisce di territorio. Si era trasformata da un manipolo di criminali e reietti, perlopiù tagliagole e mercenari occupati principalmente ad arricchirsi e sfuggire alla legge, a una corporazione di avventurieri conosciuta e rispettata quasi ovunque, con propaggini operative verso ogni punto cardinale. Profili diversi ora ne riempivano le fila: commercianti, arcanisti, telepati, esploratori e persino alcuni druidi. Tutti coloro che, come amava ripetere Taliesin, credevano nell'uguaglianza degli uomini ed erano disposti a combattere per la loro libertà. Circa tre centinaia di persone potevano pregiarsi di farne parte ed erano autorizzate a portare sull'avambraccio lo straccio distintivo. Migliaia di persone erano in qualche maniera coinvolte in affari con la Ruadh, ed entrare in affari con essa significava ben più di portare a termine qualche scambio commerciale. L'organizzazione era tutto fuorché ferrea e rigida: uomini e donne, litigiosi e ambiziosi, non perdevano occasione di scalare i ranghi facendo valere i loro meriti ai danni altrui. Ma tutti, dal più umile al più pernicioso, ammiravano l'esempio del bardo e tutti, nessuno escluso, temevano gli ordini del beduino. Sotto le loro autorità combinate potevano godere di libertà e uguaglianza e non riconoscere altro signore che se stessi. O così sosteneva il musico. Mantenere le redini di questo enorme carro era spesso un grattacapo per Juan e un fastidio per Taliesin, ma ad anni di sforzi erano seguiti raccolti generosi. Fino a quel giorno.
Il Beduino risalì il pendio e giunse dal Bardo. Solo allora si tolse il turbante scarlatto che gli copriva gran parte del volto. La pelle arsa dal sole e la barba ispida e incolta esasperavano un'espressione già turbata e sinistra. «Eccomi» gli fece, grave. Taliesin lo squadrò con aria smarrita. «Mi hai detto di tornare all'alba» aggiunse. Il bardo annuì e raddrizzò la schiena. «Certo. Juan, amico mio. Siediti accanto a me» mormorò. Gli fece posto sulla muraglia. Il beduino vi si inerpicò con uno scatto vigoroso e gli si sedette accanto. Rimasero così, in silenzio, per qualche istante. «Abbiamo fatto così tanta strada, vecchio mio. Non è vero?» «Non ricordo quanti stivali ho dovuto cambiare, ma ricordo che ogni volta era un paio più comodo del precedente. Cosa c'è di diverso, adesso?» gli chiese, mentre la sua espressione si rilassava appena. Udì un sospiro uscire dalla bocca serrata del bardo: non succedeva mai. «Il Kishin.» «Abbiamo provviste e risorse a sufficienza, il sostentamento non ci manca. Con la magia di Herbert possiamo attraversare il passo di Calon Iâ in qualche giorno appena e con centocinquanta uomini possiamo occupare una fortezza dell'Ystfalda. Non è la prima volta che provano a spazzarci via. Siamo pronti a questa eventualità e non c'è esercito che possa prenderci per fame o per--» «Forse» lo interruppe, «forse dovremmo prendere due dozzine di uomini, i migliori, e scappare verso la costa. Arrivare a Noatun e lasciarci il continente alle spalle. Io e te. Forse dovremmo.» «So che non diresti mai una cosa del genere, se non fossi disperato» gli rispose Juan. «Prima che ci conoscessimo, fratello mio, ero solito immischiarmi negli affari del Nord. Prima che questo posso si chiamasse Edhel, quando ancora vi era una Regina a cui prestare fedeltà. Conosco ciò che cosa sta arrivando. Questa, Juan, potrebbe essere la fine.» Il bardo non era solito farsi prendere dallo sconforto. Il beduino non sapeva bene come comportarsi. Dopo essere rimasto zitto per qualche istante ancora strinse i pugni e incrociò lo sguardo del compagno. «E allora non perdiamo tempo, Taliesin» ruggì. Rimasero a discutere sul da farsi per quindici minuti. Il beduino fece il punto su uomini e risorse a disposizione, mentre l'altro ponderava le opzioni e gli indicava come procedere. Il bardo prese poi a raccontargli del Sorya, di Alexandra e dei Leoni: non era la prima volta che lo faceva ma in questa situazione il suo tono era privo del solito orgoglio. Non indugiava sui dettagli e sorvolava su ciò che era accaduto tanto che, se il beduino non avesse già udito quella storia una dozzina di volte, avrebbe fatto fatica a seguire il discorso. Quando infine si zittì, a Taliesin parve di trovarsi in un luogo sconosciuto ed essere giunto lì per caso. «La Ruadh ti segue, Taliesin. Lo sai» gli fece infine Juan, e tali parole parvero ridestarlo. «La Ruadh segue il denaro. Solo io e te siamo mossi da ideali, amico mio. Forse è questo a spaventarmi.» Prese a spirare un vento freddo, e Taliesin si rinfrancò nel calore del mantello. «Dì alla Ruadh che ci incamminiamo nel giro di un'ora.» «Ho svegliato tutti all'alba. Siamo pronti a partire in dieci minuti.» Il beduino saltò giù dalle rovine e riprese la sua espressione truce e minacciosa. Taliesin sorrise appena. «Juan!» gli fece, da lontano. Quello si voltò. «Sapevo cosa sarebbe diventata la Ruadh dal momento in cui ti ho conosciuto. Ho visto un bagliore in fondo ai tuoi occhi: l'ho visto con grande chiarezza e ho immaginato fino a dove quel bagliore potesse spingersi. Questa è la Ruadh, in fondo. E un bagliore simile lo ho intravisto in tutti coloro che abbiamo deciso di portare con noi.» «Conosci ciò che penso. Solo tu sai come mi sono sempre fidato del tuo giudizio. Andremo avanti!» rispose, indugiando appena prima di continuare. «Fratello mio, è giunto anche per Taliesin il momento della fiducia. E senza fiducia nella Ruadh, verremo spazzati via come foglie secche. Ricordo bene il momento in cui lo dicesti tu a me.»
Quando Juan sparì dietro a un rudere, la luce prese a cambiare. Il sole si fece ancora più tiepido e stanco mentre una foschia gelida risaliva il pendio. Dapprima Taliesin non se ne curò: continuò ad accarezzare la lama di Fabula, perso nei suoi pensieri. Rivedeva le ali di Ashardalon e scorgeva le profondità della terra con straordinaria vividezza, nonostante fossero passati lunghi anni. Udiva voci lontane, prive di un volto, che urlavano la carica in nome di ideali ormai dimenticati. Emise un lungo sospiro. Fu solo quando un brivido di freddo gli percorse la schiena che tornò a guardarsi attorno, improvvisamente all'erta. La nebbia aveva ormai avvolto ogni cosa.
Giocata riservata, parte integrante del ciclo Hatred's End e prefazione a ciò che seguirà in Dark Matters. Saluto con affetto i miei due compagni di viaggio. Mi sembra di essere stato anche troppo reader-friendly nello spiegare trama e trascorsi, ma per chi volesse approfondire ulteriormente la trama della Ruadh, qui i link a Ruadh - Prologo; Ruadh - I e, dall'altra piattaforma, Il Lord di Forte Rosso. Qualche informazione è reperibile anche nella scheda di Taliesin. Più informazioni su certi riferimenti arriveranno nel post vero e proprio. Tornare a scrivere è un piacere. Edit 7/11, 19:19: inserito link (...) al primo capitolo di Hatred's End Edited by Hole. - 7/11/2019, 19:19
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