Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

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view post Posted: 19/1/2020, 14:56 Il lascito degli Dèi ~ inno all'oscurità - GdR


See the sun set
The day is ending
Let that yawn out
There's no pretending

I will hold you
And protect you
So let love warm you
Till the morning


Per quanto avevano marciato? Non avrebbe saputo dirlo.
Quando erano partiti i soldati cantavano, qualcuno utilizzava strumenti improvvisati, inneggiavano alla propria terra e alla propria donna che aspettava. Erano spavaldi e sicuri di sé, con le armi scintillanti e gli scudi con il nuovo stemma dipinto di fresco. Giravano la testa per guardare i loro condottieri, la Rosa e l’Angelo.
Quando erano partiti loro due erano gloriosi, una promessa. Lei indossava un mantello intessuto di fili d’oro e lui una corona d’argento, di tanto in tanto si guardavano negli occhi e sorridevano. Lei non poteva fare a meno di snocciolare battute sagaci e al tramonto si lanciava al galoppo al fianco delle truppe, lasciando che le dita del sole le sciogliessero in lacrime insanguinate i lunghi capelli neri. Feroci, giuravano a quegli uomini che non si sarebbero arresi e non avrebbero perso, che avrebbero salvato il mondo da qualsiasi minaccia.
Quando erano partiti il sole era alto quanto il morale. C’erano luce, terre rigogliose, applausi dei villici che incontravano per caso.
Che ora del giorno era? Non avrebbe saputo dirlo.
Nel luogo in cui si trovavano non c’erano giorno e notte ma solo una coltre cinerea, una coperta di metallo che nascondeva il sole e il cielo. Per ore, forse giorni, avevano camminato su un terreno estraneo più di ogni altro, indurito da un gelo che pareva provenire dal cuore stesso della terra. Un vento tagliente spazzava le caviglie innervosiva i cavalli, perfino la lucentezza delle armature pareva diventare opaca. Avevano iniziato a consumare le razioni in silenzio e lei aveva smesso di spogliarsi per fare il bagno a fine giornata. La notte si abbracciava a Zephyr, cercando di scacciare con il calore del suo corpo quel peso opprimente che la schiacciava a terra, la sensazione di essere sull’orlo di un precipizio e non poter fare a meno di sporgersi.
Sapeva che avrebbero dovuto scendere nel Baathos, nella terra sotto ogni terra, che l’ingresso non sarebbe stato facile, ma cercava di non pensarci. Carezzava i volti dei guerrieri più giovani, ascoltava la narrazione delle loro poche, acerbe gesta, tentava di sorridere.
Poi era comparsa la neve. Prima sottile, una spruzzata di zucchero sul terreno ostile, in breve sempre più fonda, una coltre liscia come cristalli di vetro, friabile, che faceva affondare i passi già stanchi e mozzava il respiro. Si insinuava negli stivali, rendeva i piedi fradici e intirizziti. Lei, che era il fuoco, aveva cercato di sciogliere quel cuore di ghiaccio, di aprire un passaggio, ma neppure le sue mani bollenti riuscivano a sciogliere totalmente quell’inverno.
Gli uomini gemevano di dolore quando si spogliavano per dormire, avevano iniziato a litigare per prendere il fondo della scodella di zuppa, non portavano più i pesanti elmi che per il freddo strappavano la pelle dalle guance. Lei si stringeva il viso tra le mani e cercava di evitare tutti gli sguardi, chiedendosi se quel viaggio avrebbe mai avuto fine o se, come nelle leggende, si sarebbero limitati a vagare in eterno ai confini del mondo fino a che non fossero tutti morti.
Da quando era sveglia? Come aveva dormito? Non era certa di ricordarlo.
Si volse verso l’angelo. Il suo volto era pallido, segnato dalla stanchezza. Allungo una mano verso di lui, le dita tremanti. Aprì la bocca per rivolgergli una domanda, una qualsiasi pur di spezzare quel silenzio. Una tremenda emicrania le mozzò le parole, colpendola in mezzo alla fronte come un pugno. Massaggiandosi la sella del naso prese fiato, chiuse gli occhi.
Solo pochi secondi.
Solo pochi secondi?

Sbattè le palpebre, incredula. Attorno a lei non c’era più nessuno, nulla. Solo la neve, intonsa, fino a che il suo sguardo riusciva a spingersi. Una nebbiolina brumosa si frapponeva davanti all’orizzonte. Tutto il suo esercito, i suoi uomini, i suoi cavalli, il suo promesso sposo, erano svaniti nel tempo di un respiro.
Così poco? Davvero?
Non può essere vero.
Chiuse gli occhi, strofinò le palpebre. Il cavallo scalpitava nervoso sotto di lei. Ancora niente. Il vento le fischiò nelle orecchie, minaccioso, simile al grido di voci disperate. Non ricordava della notte precedente, dei giorni che erano passati, di tutte le soste e delle partenze. Tutto pareva più confuso.
Possibile che se ne fossero andati lasciandola in quel luogo, a massaggiarsi la testa? Possibile non se ne fossero accorti?
O peggio.
Possibile che qualcosa li avesse
Non osò formulare quell’ipotesi. Le braccia le caddero lungo i fianchi, mentre tutto il suo corpo iniziava a tremare violentemente.


Sono andati”.


La voce proveniva da un punto indistinto alla sua destra. Girò il capo lentamente, il più lentamente possibile, così lentamente da provare dolore. Sapeva a chi apparteneva, ma non era possibile. Era sbagliato come solo poche cose nell’intera esistenza possono esserlo. Le sue iridi si offuscarono mentre cercava di rifiutarsi di guardarlo negli occhi, neri, quasi a mandorla.

Ray”.


<p align="justify">Pronunciò il suo nome sottovoce, flebile, quasi che farlo lo portasse più vicino a lei. Le parve una beffa del destino che in quel luogo deserto, dove non riusciva a trovare nessuno, lui avesse trovato lei, proprio lui. Non lo chiamò sovrano, non in quel momento in cui nessuno poteva sentirli.


Sono scomparsi. Tutti quanti. Il nemico ha vinto, ma tu eri troppo impegnata per accorgertene.
Il mondo è stato spazzato via. Ed è tornato – ti ricorda niente mh? – e sei rimasta solamente tu
”.


Lei scese da cavallo. Il suo corpo tremava visibilmente, non riusciva nemmeno a stringere le mani a pugno, le labbra non articolarono altro se non un gemito di sconforto. Lui le stava mentendo, doveva essere così, dopo tutto era il re degli inganni. Era riuscito a sopravvivere ed era venuto a farle un brutto scherzo, la giusta paga per avergli voltato le spalle e aver desiderato il potere che sarebbe dovuto spettare a lui.
Le camminava incontro, con quell’andatura inesorabile che lo contraddistingueva, con una maschera inespressiva in una mano.


Non ti rallegri? Hai perso, ma hai anche vinto. Sei viva, come sempre”.


Cadde in ginocchio. Se fosse stato vero, se quel nemico fosse stato capace di vincere la guerra nel tempo in cui lei aveva chiuso il gli occhi, perché non l’aveva portata via insieme a tutti gli altri? Aveva veramente senso sopravvivere ancora, sopravvivere alla figlia che non aveva mai avuto, ai suoi amori, ai suoi amanti, agli uomini che aveva voluto guidare e aveva giurato di proteggere? Aveva senso restare l’ultima, senza più nulla del mondo che le era appartenuto, senza nessuno con cui fingersi capace di cavarsela da sola? Affondò le mani bollenti nella neve, mentre le sue lacrime fumanti si spegnevano a terra.


Hai passato tutta la tua vita a fuggire. Non sei felice di aver finalmente raggiunto la meta?


Negli anni aveva temuto e vinto molti nemici: la morte, la guerra, i traditori, l’amore. Una sola cosa non sarebbe mai stata capace di battere: la solitudine. Sola, come nella casa di suo padre quando tutti erano morti. Sola, nella sala del trono rimbombante dopo aver scoperto tutta la verità. Sola, dopo aver chiuso le porte di una città all’unico alleato che avesse mai avuto. Sola, in una tomba di legno senza essere riuscita a salvare chi aveva voluto proteggerla. Sola, in quel mondo vuoto, senza nemmeno un sarcofago su cui poggiare il proprio dolore.
O forse non aveva davvero vinto, forse era solo rimasta distante da tutto, se lo era lasciato alle spalle, come una porta che si chiude, per non affezionarsi davvero a nulla e a nessuno, per non doverli più perdere. Perché tutto quello che toccava pareva esserle tolto da un destino egoista. E quando finalmente aveva scelto di fermarsi, di lasciarsi sfiorare da qualcosa


Non può essere vero. Tu sei morto, loro devono essere qui”.


Era stata una delle sue ombre, conosceva l’odore della sua presenza, come il sapore salmastro del mare sulla lingua, sapore di gloria e timore, di acciaio tra i denti, di segreti celati a stento. Si era lasciata dominare, per poi sfuggirgli. Anche da lui, inseguendo il desiderio di vincere su se stessa, il desiderio di non essere sola.
Ora era in piedi davanti a lei, poteva vedere i suoi piedi sprofondare appena nella neve, come se fosse più leggero dell’aria. Sentì il peso della sua mano sulla testa, una mano fredda e inesorabile, sentì le sue dita che le stringevano i capelli.


Non siamo morti, io e te. Siamo rimasti. Per sempre. Non hai mai voluto amare, non hai mai stretto legami. Questo è il tuo premio”.


Ora piangeva così violentemente che gli occhi le si appannavano. Aveva rovinato tutto, anche quell’esercito che si era presa la responsabilità di guidare, anche l’angelo che aveva scelto di starle accanto. Con la sua superbia ostentata, con quella vita sopra le righe, aveva gettato uomini e donne del mondo, il solo mondo che avesse, nel baratro. Le era stato donato dell’oro e l’aveva trasformato in cenere per fingere che non le importasse. E ora, in quel momento, quando era troppo tardi, scopriva di aver sbagliato.
Come era successo con suo padre, quando il suo corpo era ormai freddo. Come era successo con gli uomini che aveva amato, dopo che li aveva stretti esanimi tra le braccia, dopo che aveva sacrificato se stessa per loro. Come era accaduto per la figlia che aveva rimpianto solo dopo averla perduta. Si strinse la vita con le braccia, cercando di sorreggersi.
no…
No
NO!
Si alzò in piedi di scatto, afferrandogli il polso. Gli occhi umidi le bruciavano, riusciva a vederlo a stento. Era solo una macchia scura che non reagiva alla sua presa.


Se questa è l’eternità, io non la voglio. Se il nemico ha vinto, se lo ha fatto perché io - PERCHE’ NOI – non abbiamo difeso chi aveva riposto fiducia in noi, allora l’immortalità non mi interessa. Siamo fuggiti per troppo tempo, io e te. Abbiamo rinunciato per troppo tempo al nostro posto. E non perché siamo più grandi”.
Un sorriso sprezzante le si dipinse sulle labbra livide, mentre lo tirava verso di sé.
Non perché eravamo migliori, più forti, più a m a b i l i, ma perché ne avevamo paura. Eravamo sciocchi, superbi. Quindi se tutti sono morti per noi, è ora che onoriamo il loro sacrificio”.


Il suo corpo avvampò a partire dai piedi, una scarica di fiamme che vaporizzò la neve in una nuvola di fumo. Dentro e fuori di lei, ogni centimetro di pelle e di capelli.


Mi pare giusto che lo facciamo insieme, non mi sentirò sola almeno mentre me ne andrò. Addio, Ray, mio Sovrano”.


Sentì il fuoco bruciarle la pelle, quel fuoco che finalmente aveva liberato, polverizzare le sue lacrime, ardere le sue paure. Si sentì finalmente libera di librarsi verso l’alto, senza più avere nulla a trattenerla, finalmente. Chiuse gli occhi.

Aprì gli occhi, il pugno era ancora davanti alle palpebre, dove lo aveva lasciato per strofinarli.
Accanto a lei, Zephyr stava allungando una mano per sorreggerla. Si accorse di essersi sbilanciata. Il vento gelido le urlava in faccia il canto dell’inverno.
I soldati non cantavano, ma molti avevano la bocca spalancata. Davanti a loro la terra si era sollevata, come le fauci spalancate di una creatura, e una scalinata sgrezzata nella roccia gelata conduceva verso il basso.
Si accorse di piangere, senza riuscire a controllarsi, e non perché finalmente il loro viaggio nella neve era terminato, ma perché loro, tutti quanti, erano ancora lì. Si guardò la mano destra, arrossata dal fuoco che non era mai esistito, e tra sé si concesse un sorriso inspiegabile per chiunque altro.


I'll stay with you
By your side
Close your tired eyes
I'll wait and soon
I'll see your smile
In our dream

Feel the wind rise
A dawn we're bound to
Watch that star die
Eons without you




CITAZIONE
Brevissima spiegazione del post: nel mezzo del viaggio alla ricerca dell'ingresso del Baathos, Dalys affronta d'improvviso la su apaura più grande: quella di restare completamente sola, e perdere tutto ciò a cui tenga. La paura è incarnata dalla figura di Ray, che le dice che il nemico ha vinto e sono rimasti soltanto loro nell'intero mondo. Solo una volta che Dalys accetta la propria paura e, anzichè fuggire e fingere che non le interessino i legami con altri, decide di sacrificarsi per coloro che sono già morti, l'illusione scompare e al suo posto restano le porte aperte di Baathos.

view post Posted: 18/1/2020, 15:19 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Uhm... noi abbiamo un esercito molto classico, di fanti, cavalieri, arcieri, classico esercito medievale. Nei nostri post abbiamo radunato le famiglie nobili e borghesi del Dortan per formare un'unica armata, nulla di particolare xD.
view post Posted: 13/1/2020, 22:29 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (~Coldest.Heaven @ 11/1/2020, 23:50) 
In pieno stile e puntualità, il portatile ha deciso di mollarmi un'ora fa. Oltre a crearmi problemi con gli esami e farmi uscire dalla grazia di dio, è palese che non potrò rispettare alcuna scadenza. Sono desolato tanto quanto irritato.

Edit: conto di partecipare se concesso il tempo bonus, comunque.

Ho letto solo ora la tua domanda del 4 gennaio xD per me va benissimo organizzare qualcosa insieme. Messagg me pls uen iu uant (che inglese perfetto mado) <3
view post Posted: 20/12/2019, 22:26 Il Lascito degli Dèi ~ Whispers Arise (again?) - GdR

La figura ammantata di nero aveva il cappuccio calato sul volto. Avanzava a passi lunghi, le spalle lievemente curve, il portamento allampanato che sembrava stonare con l’austera eleganza della grande cattedrale. Sfilava tra le panche di legno, e i suoi passi facevano appena rumore sul pavimento di marmo. Per quanto il suo capo guizzasse circospetto a destra e a sinistra, i suoi piedi non rallentarono e si diressero decisi verso l’ambone al termine della grande navata, verso una figura che pare minuscola sotto le alte colonne e le ampie vetrate. La pelle di lei non era più ambrata, ma risplendeva dei colori del vetro. Rosso, blu, giallo, nero, si confondevano sui suoi vestiti e sui suoi capelli legati in una treccia. Stava a braccia conserte davanti a una forma indistinta sotto un telo chiaro di iuta, un mezzo sorriso sulle labbra, quel sorriso che era il suo marchio distintivo.
Le poggiò una mano sulla spalle e lei sobbalzò appena, afferrandogli rapida il polso. Non aveva bisogno di armi, non lei. Gli uomini che la circondavano, servi e artigiani, si irrigidirono. Lei levò la mano libera, agitandola distrattamente. Dovevano tornare al lavoro, questo suggeriva il suo portamento rilassato racchiuso in un elegante vestito di velluto rosso.


Ti ricordavo un più sfacciata, Rosa. È il potere che ti intima questa foggia di vestiti o forse sei… invecchiata?


Lei gli afferrò il cappuccio, costringendolo a piegarsi all’indietro. Sentì le ossa scricchiolare sotto la presa di lei, decisa come il primo giorno che si erano incontrati. La vide digrignare i denti, ma senza rabbia, nello sguardo un guizzo di divertimento. Si chinò sopra di lui, facendo scivolare le dita sui suoi capelli ormai sale e pepe. Tiepida, sensuale. Nessun vestito avrebbe potuto cancellare il sapore accogliente della sua pelle o la fossetta invitante prigioniera all’angolo delle sue labbra.


Devono credere in me, non nelle mi cosce”.


Mollò la presa, lasciandolo scivolare a terra e tornando a guardare i suoi uomini al lavoro. Lo sconosciuto si rialzò, notando che gli altri non lo riconoscevano. Era passato davvero troppo tempo da quando loro due, uno accanto all’altra, avevano influenzato le sorti del mondo. Lui burattinaio, lei soltanto un’orgogliosa pedina.


Mi hai mandato a chiamare per invitarmi al grande evento?
Lei girò il capo di tre quarti, strizzandogli un occhio.
Un’incoronazione e un matrimonio, cose che non mi sarei aspettato da una come te. È per rimembrare insieme i vecchi tempi prima che inizi il tuo nuovo gioco…?


Dalle labbra di lei scivolò un sibilo di divertimento. Allargò le braccia a comprendere quella chiesa, i campi coltivati, i campi di battaglia, le città che non potevano vedere. Le sue dita spalancate riuscivano a malapena ad afferrare un pugno d’aria odorosa di legno tarlato e incenso, eppure l’uomo ebbe la sensazione che lei vedesse ben altro sul proprio palmo.


Non ho interesse a celebrare con te il mio potere. Non avevo nemmeno alcun interesse a vederti vivo”.


Si girò verso di lui, fronteggiandolo. Era più bassa, senza i suoi tacchi rossi, i capelli sciolti nel vento e il trucco pesane. Era più bassa ora che non stava a gambe aperte su un trono d’oro massiccio invitando i suoi dignitari a rendere omaggio all’unico verso strumento di governo dell’Oriente.


Ma questo mio nuovo potere è del tutto inutile senza qualcuno che mi aiuti ad utilizzarlo. Per il momento sto guidando un popolo unito solo per caso, per pararsi il culo o perché spera di spazzarmi via come polvere marcia e mettere un altro al mio posto. Pregano ancora gli dei, il Sovrano, Caino o Zeno. Alcuni hanno nuovi dei tutti loro. Nessuno prega me. Nessuno mi invoca o crede che li salverò, a parte pochi guerrieri che mi hanno visto al loro fianco”.
Strinse i pugni.
Per questo ti ho chiamato, Kuro il Sussurro. Perché non mi accontenterò di essere la loro amante in attesa di trovare una buona moglie”.


Si leccò le labbra, camminando all’indietro fino a raggiungere i suoi uomini al lavoro. Loro si scostarono, facendole spazio con un inchino, rivolgendole occhiate di segreto desiderio.
Kuro il Sanguinario, signore delle spie e dei complotti, sapeva che lei aveva ragione. Sapeva che non sarebbe bastato un matrimonio tra vecchi gerarchi del regno ad unire quella nazione.


Mi stai chiedendo di lavorare con te”. Prese fiato, si grattò il mento. “Ma in cambio di cosa? Il Dortan è già stato nelle mie mani una volta, non mi interessa”.


Lei rise, una risata forte e sonora, che si diffuse in tutta la grande chiesa. Gli corse incontro, gettandosi al suo collo. Si chiese se volesse supplicarlo, ma le labbra di lei gli sussurrarono poche parole all’orecchio, percepibili solo da loro due, parole che pietrificarono l’espressione di Kuro, l’uomo che aveva udito di tutto.



Tacque, mentre lei ritornava indietro. Tacque e lentamente sulle sue labbra si disegnò un sogghigno.
Stai attenta a quello che dici nella chiesa di Zoikar, Dalys Speranza del Dortan. Certe bestemmie…
Lei rise più sommessamente, portandosi una mano alle labbra. Sfacciata, provocatoria.
Zoikar non se la prenderà, non dopo il dono che farò alla sua chiesa in onore del matrimonio e dell’incoronazione”.


Tirò lievemente il telo con una mano, scoprendo una grande statua. Alta quasi quattro metri, in oro massiccio, rappresentava un uomo imponente, completamente armato, con una grande spada in mano. La punta della spada si piantava nel cuore del mondo, nel cuore di Theras. Distesa sul mondo ai piedi del cavaliere, le mani morbidamente avvolte attorno alla lama, più piccola, la figura di una donna vestita soltanto di delicati drappeggi di seta, gli occhi fissi verso l’alto, un’espressione di venerazione.


Non è bellissima?


Lei sorrideva, sottintendeva. La sua voce era gravida di significati. Non avrebbe dovuto ascoltarla, avrebbe dovuto andarsene. Se fosse stato saggio avrebbe girato i tacchi e l’avrebbe lasciata ai suoi ridicoli piani. Ma ricordava ancora quando aveva deciso il destino di Dortan. Era stato inebriante. E Dortan era così p i c c o l o rispetto a quello che lei gli stava offrendo.
La Rosa si appoggiò al braccio enorme dello Zoikar d’oro, gli avvolse il gomito con le proprie braccia sottili, quasi stesse cercando protezione.


Sai, lui è stato il nostro dio. Lui ci ha guidato in tante battaglie. Ha guidato questo regno”.


Leccò il braccio di metallo con la sua piccola lingua, quella lingua perfida che aveva osato pronunciare un sogno tanto ambizioso. Kuro, che aveva già saputo resisterle altre volte, provò un brivido lungo la schiena. Si chiese come potesse sposarsi, come l’angelo di cenere potesse accettare quel rischio.


O forse no”.


La voce di lei si fece sottile, per sentirla fu costretto ad avanzare. Erano loro due, vicini, loro due contro tutti gli ignari esseri viventi. Non solo di Basiledra. non solo del Dortan.


Forse sono tutte cazzate. Le guerre le abbiamo vinte e perse noi. Ed è ora che gli dei si levino dalle palle”.
Di tutto Theras. Di quel mondo su cui una figura d’oro si distendeva come se già le appartenesse.
Forse è ora che queste terre spettino a chi se le è meritate. Dopo tutto Basiledra è sempre stata un po’ stretta”.


Kuro pensò che erano troppo vecchi. Che non sarebbero mai sopravvissuti ad un complotto del genere. Che unire i popoli divisi del mondo intero era pura follia. La guardò negli occhi, trovò un grumo palpabile di eccitazione e desiderio. Si chiese se ci avesse ragionato anche solo per un istante, o se quelle idee le nascessero dentro improvvisamente, come fuochi d’artificio.
Sospirò.


Dovremo lavorarci”.


Lei diede un buffetto affettuoso al sedere della statua, lasciando l’impronta rovente del suo palmo su una delle natiche dell’armatura. Lo fece ridendo, guardando l’oro fuso che si distendeva in filamenti sottili tra le sue dita. Lo condenso in una piccola sfera, grande abbastanza per il suo palmo. La depose nella mano del suo nuovo alleato. Scottava nonostante i guanti di pelle. Circondò la mano di lui con le proprie, come a proteggere quel loro piccolo tesoro.
Quel loro immenso segreto.


Lascia fare a chi lo sa fare”.


Gli fece il verso con un mezzo sorriso.
La porta della chiesa si spalancò. Qualcuno stava litigando. Riconobbero la voce di Zephyr. Lei si portò il dito indice della mano destra alle labbra, mentre con la sinistra gli nascondeva di nuovo il volto con il cappuccio. Lo lasciò lì, davanti alla grande statua, mentre si allontanava a passo svelto.




CITAZIONE
Visto che Theras e Zoikar (il daimon da me scelto) non sono temi vicinissimi alla Dalys di un tempo, ho deciso di cavalcare l'onda della crescita che il pg ha avuto in queste ultime giocate.
Presento quindi una Dalys maturata, seppur esteticamente immutata, che si confronta con la necessità di un'investitura ufficiale (un'incoronazione). Da persona insicura, che tende a stare nei propri spazi, ad essere gregario, improvvisamente pare esserle sorta un'idea, un'ambizione nuova. Per coltivarla ha bisogno dell'aiuto di un vecchio compagno: Kuro. Ormai di mezza età, dimenticato dalla massa, che non ha alcun desiderio di rischiare tutto di nuovo, ma che forse non può rinunciare a quel richiamo, a quel rischio che è stato parte della più grande impresa della sua esistenza.

I temi Theras e Zoikar, incarnati dalla statua, sono oggetto dell'ambizione di questi due personaggi diventati adulti, che si confrontano con i loro sogni di un tempo, che dovrebbero aver ormai raggiunto un punto fermo ma che non riescono a rinunciare alla spinta di fare di più, di andare oltre, di non fermarsi. La guerra imperversa fuori Dortan, ma per un attimo, nella grande chiesa, si stringono le mani e pensano che potrebbe esserci un futuro.

view post Posted: 18/12/2019, 11:25 Il Lascito degli Dèi ~ Intermezzo - GdR

Campo di battaglia del Nord – pochi giorni fa

La neve era scura di terra e sangue. Qua e là si sentivano gemiti, pianti, clangore esausto di metallo. Alcuni levavano le mani verso il cielo, a pregare per il ritorno di un vero dio. La maggior parte sapeva che la speranza non sarebbe venuta da sopra le nuvole dense.
Riprese ripreso a nevicare con fiocchi grandi e radi come batuffoli di cotone. Si posavano sulle ferite e sui cadaveri, coprendo in un unico velo le sorti di quella battaglia. Non sarebbe passato molto tempo prima che quel luogo divenisse leggenda, che la fossa comune scavata con le mani bluastre e gelate dai soldati del Dortan fosse dimenticata in favore dei racconti sullo scintillare delle loro armature. Nessuno avrebbe più parlato delle lacrime, dell’odore di piscio ed escrementi, della paura folle che aveva fatto tremare le gambe di alcuni, del tentativo inutile di fuga dei più giovani. Nessuno avrebbe parlato di come lei si era chinata a reggere la testa di chi non ce l’aveva fatta ed aveva ceduto sotto la furia cieca di nemici poco più che bestiali, decisi ad affermarsi in un mondo di carne ed ossa, un mondo di uomini e donne.
Dalys del Toryu, Dalys di Dortan, sedeva accanto a un fuoco di fortuna, cercando di medicare le ferite di quello che era diventato il suo generale. Il loro volto era pallido e sporco del sangue di altri. Lei era stata ferita più e più volte, ma era comunque sopravvissuta, perché non aveva alternativa. Anche questo non sarebbe stato detto. Piuttosto si sarebbe parlato di come era torreggiata sopra i suoi nemici, di come li aveva incendiati, smembrati, di come le sue urla di incoraggiamento avevano messo in fuga gli ultimi drappelli rimasti. Li aveva inseguiti finchè aveva avuto fiato, quando il cavallo era stramazzato li aveva rincorsi a piedi. Aveva strappato le teste dal collo a mani nude, li aveva graffiati e morsi con la furia di una bestia feroce. Folle, come era stata abituata ad essere. Sulla bocca dei bardi sarebbe diventata eroica.
Ora sedeva, senza più energia, gli occhi che faticavano a concentrarsi su quello che le stava davanti. Avevano iniziato a riportare a casa i feriti, avevano seppellito i morti, aveva incendiato gli stendardi della moltitudine infernale. Non sarebbero tornati, non tanto presto.


Abbiamo vinto”.


La voce del giovane pareva provenire da un altro universo. Si concentrò, corrugò la fronte, lo mise a fuoco. Lei, perfetta nonostante quella giornata, lui con un lungo taglio sanguinante sul petto. Eppure sorrideva. Le prese una mano nelle proprie, la mano indolenzita con cui aveva stretto la spada. Il guanto era sbrindellato.


Abbiamo vinto”.


Ripetè di nuovo. Dalys si accorse di non riuscire a crederci.
Sulle guance le scesero due lacrime pesanti e solitarie. C’erano riusciti. Ce l’aveva fatta. Gli uomini le si raccoglievano intorno in silenzio, in attesa. Forse anche loro non credevano possibile di essere lì, sotto quella neve gelida, a guardare quella donna che era riuscita, per la prima volta, a non fallire.
Si alzò in piedi: erano tutti guerrieri eppure tra loro pareva troneggiare, risplendere di luce propria. I capelli arruffati le scivolarono sulle spalle. Guerriera, così l’avrebbero chiamata d’ora in poi. Non più concubina, non più puttana.
Pensò che avrebbe voluto il suo Sovrano fosse lì in quel momento, fosse orgoglioso di lei.
Sorrise appena, nonostante ogni minimo movimento le facesse gridare i muscoli di dolore, per rassicurare quei giovani che per la prima volta avevano visto in faccia la morte. Che avevano davvero rischiato tutto.


Torniamo a casa”.



Accampamento nelle pianure dei Regni del Leviatano – ora

È l’alba eppure tutte le fiaccole sono già accese e i soldati sono sull’attenti, le picche levate verso il cielo, i volti fissi in avanti. L’esercito è schierato fuori da una sola tenda, al proprio meglio. Negli occhi si leggono gioia e orgoglio, ma soprattutto speranza, la consapevolezza che non tutto è finito, che c’è ancora una possibilità.
Oltre i ranghi, uomini e donne di ogni ceto sociale, contadini curiosi e menestrelli, signori della guerra e mercanti, si sono radunati per vedere qualcosa. Alcuni non sono nemmeno umani, e dalla serietà dei loro volti si comprende l’importanza di quel momento. Attendono sotto il sole che sorge, quasi trattenendo il fiato.
Dentro la tenda, così sottile da lasciar trapelare i raggi luminosi, Zephyr Luxen Van Rubren, l’Angelo della Cenere, la creatura che più di tutte ha voluto questo momento, attende in silenzio con un mezzo sorriso sul volto. La guerra è passata su di lui senza scalfire la sua bellezza senza tempo.


Ci sono perfino degli orchi”.


Kioshi d'Oriente, il suo generale, pare stupito. La cicatrice che gli scende dal mento al collo gli dona, lo rende più maturo anche se ha deciso di non coprirla con la barba.


Probabilmente sanno che ai vecchi tempi Hoggar aveva gradito la mia presenza”.


Una risatina. L’angelo sorride a propria volta. Incorreggibile – è quello che pensa. Eppure i suoi pensieri non sono più adirati, ma stranamente pacati, quasi con un fondo di dolcezza. Guarda la Rosa socchiudendo gli occhi, riempiendoli della lunga treccia scura che le cade sulla schiena tatuata, del suo profumo che sembra sempre un po’ acerbo, del vestito elegante intessuto per l’occasione. Non è più la lasciva regina d’oriente. Non porta più scarpe rosse.
Gli si affianca. A piedi nudi la sovrasta di tutta la testa. La mano di lei è piccola, morbida, si infila sottile in quella di lui, coperta dai guanti candidi. Lo guarda. Negli occhi le legge una maliziosa risolutezza. Gli sorride. Zephyr si rende conto di aver aspettato a lungo quel momento e ora, mentre Kioshi li precede, si sente quasi impaziente. Da fuori la voce del giovane proviene lievemente attutita.


Soldati, generali, uomini e donne di queste terre. Ecco Dalys, Generale dell’esercito del Dortan, Reggente dei regni degli uomini, Speranza di Basiledra”.


Un boato.
La mano di lei trema lievemente, le punte delle dita sono livide. Gli pare incredibile che possa ancora provare paura, dopo tutto quello che ha visto, dopo tutti quegli anni di immortalità. La avvicina a sé lievemente, senza parlare. Sa che non ne hanno bisogno. Lei ha lo sguardo fisso, le labbra ridotte ad una linea sottile, tesa.
Nonostante questo iniziano a camminare all’unisono, come se avessero provato quel gesto molte volte. Quando escono dalla tenda le grida si fanno più forti, le lance sbattono a terra, i soldati alzano la propria arma e poi si inchinano in segno di rispetto.
Lei cammina senza incertezze, nonostante il tremore della mano e delle spalle. Si ferma soltanto quando è salita in piedi sul palco allestito la sera prima. Su un palo è stata issata una bandiera blu cielo senza alcuna insegna, la bandiera che rappresenta la loro speranza, che cancella le loro differenze.
Lui la aspetta ai piedi dei pochi scalini, le guarda la schiena dritta, i piedi che strisciano incerti sulle assi di legno.
Lei guarda il cielo, le nuvole rade, poi le persone che la fissano attendendo le sue prime parole. Pensa a quando si è svegliata sotto terra, con la consapevolezza che tutto sarebbe potuto finire. Pensa che vuole difendere quel che resta di quel suo mondo disastrato e sconvolto, che vuole farlo con tutte le proprie forze. Che lo farà.
Perché lor credono in lei. Gli occhi le diventano lucidi. Aveva pensato a un discorso, ma al momento di parlare le si spezza la voce, le parole le scappano dalla mente. In una cosa i suoi predecessori avevano ragione: non è brava a pianificare.
Sorride. Basta quel gesto perché alcuni, nella platea, si innamorino istantaneamente di lei.


Grazie”.


È tutto quello che riesce a dire, prima di riprendere fiato, mentre le grida di esultanza la assordano nuovamente.
Zephyr applaude alle sue spalle. È felice che sia lì, per la prima volta dopo tanto tempo. Respira lentamente.
Quando tacciono, le parole sono tornate tutte al loro posto. Nel suo sguardo brilla quella luce di sfida che le è sempre appartenuta. Spera che il Kishin la veda e che tremi. Perché loro hanno appena iniziato.

view post Posted: 27/11/2019, 00:17 Il lascito degli Dèi ~ l'ultimo Leviathan - GdR


Territori del Nord – trenta giorni fa

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Gli uomini sedevano attorno a un grande tavolo di legno. Una serie di candele proiettava lunghe ombre sui loro visi e sul pavimento nudo. Le pareti umide erano l’unico scudo contro il vento ululante e la neve oltre le finestre. Fuori freddo, dentro gelo, silenzio. L’uomo a capotavola, il volto mangiato dagli anni e dalle preoccupazioni, stava a capo chino con il viso dentro i palmi callosi. Gli altri, giovani o maturi che fossero, fissavano i propri piedi senza osare ribattere. Alla fine uno di loro, un uomo con il volto dipinto di disegni tribali e i capelli fieramente raccolti in piccole trecce, osò prendere la parola.


Quindi quello che state dicendo è che sono alle nostre porte…
“… e che non potremo fermarli. Solo ritardarne l’avanzata”.


Di nuovo silenzio. Non tutti erano al comando quando il nord era caduto la prima volta, sotto la scure della ribellione, o quando era stato costretto ad inchinarsi al concilio dei Pari. Altri avevano già provato il sapore amaro dell’umiliazione e della sconfitta.
Due cani sornioni sollevavano ogni tanto la testa, immobili davanti all’unico grande camino, un’illusione di calore che i presenti non percepivano.


Deve esserci una possibilità. Deve”.


L’uomo che aveva parlato pensava alle proprie figlie e ai propri nipoti, alle genti dentro le case annegate dalla tormenta, alle tradizioni e alle favole che sarebbero state travolte dall’ultima, imponente, distruzione del mondo. Dal giorno del Crepuscolo quegli uomini gelidi non avevano osato tremare, ma ora alcuni di loro riuscivano a stento a contenersi.
Il più anziano si alzò in piedi, schiarendosi la voce. Aveva atteso quel momento per dire ciò che doveva. La sua unica occasione.


In realtà…una possibilità ci sarebbe”.
Tutte le teste si volsero verso di lui all’unisono, come in una danza. Alcuni non stavano capendo, altri già speravano.
Ma lascerò che ve lo spieghi lei stessa”.


Una porta si aprì alle sue spalle. Dalys era rimasta in ascolto per tutto il tempo di quella pietosa riunione, aveva ascoltato i loro lamenti, annusato la loro disperazione. Un mantello di pelo candido la copriva, lasciando intravedere la camicia lattea e i pantaloni stretti. I capelli raccolti attorno alla testa le davano un’aria severa, quasi virginale.
Quasi.
Affiancò il capo del tavolo nobiliare del nord con un mezzo sorriso, consapevole di avere addosso tutti i loro sguardi.
La guardavano, la riconoscevano
si chiedevano
come
LeI QuELla SguALDRina
ma non era morta?
potesse avere qualcosa da dire.

Poggiò una mano guantata di nero sul legno, lasciando che si brunisse sotto il suo tocco rovente. Tutti percepirono l’odore di bruciato, tutti videro la fiamma scintillare nel suo sguardo.


Uomini del nord”.
La sua voce era pacata, ma riempì la stanza. Il fuoco venne dimenticato, in favore del suo corpo. I suoi occhi, due occhi immensi, divorarono la loro attenzione.
Il nemico è alle porte. Un nemico come non lo affrontavamo dal Crepuscolo. E questa volta siamo s o l i. Niente re, niente oracoli, niente giustizieri.
Solo.
Noi
”.


Li lasciò sprofondare, pronta ad afferrarli per i capelli. Li guardò in viso uno ad uno, considerando il loro potenziale, quanto avrebbero potuto darle. Non erano niente rispetto all’uomo che una volta era stato il suo dio. Formiche rispetto alla spia che l’aveva ingannata o al tiranno che aveva minacciato i suoi confini. Si morse il labbro inferiore.
Le sarebbero dovuti bastare.
Ma lei sarebbe bastata per loro?
Tu. B
a s t
e r a i?
Schiaccate lei e Rekla. Hanno rinnegato il Dortan.
Ri u sci rai a non d i s t r u g g e r l i ?

Scacciò quel pensiero.


Ma non temete. Non sono venuta sola. Io, Dalys del Dortan, ho portato un esercito – il mio esercito – nelle vostre terre. Insieme fermeremo quei bastardi, non li lasceremo entrare nei nostri confini. Insieme riporteremo la pace per coloro che amiamo.
Insieme rifonderemo un regno migliore di come sia mai stato
”.


Non se ne sarebbe più andata. Ripensò al momento in cui aveva deciso di consegnare quel regno in mano a un re senza nerbo e poi a quando lo aveva ceduto agli artigli del Priore. Ripensò a quando si erano guardati negli occhi e lei aveva deciso di ignorare la minaccia, abbandonando l’unica cosa per cui avesse mai combattuto, la sua unica casa. Ora poteva solo stringerne le ceneri tra le dita.
Caino l'aveva guardata
sapeva che se ne sarebbe andata
Ray l'aveva guardata
e nei suoi occhi c'era disprezzo
Lei si era guardata
.


Insieme.
Perché voi non siete soltanto il nord. E io non sono una puttana d’Oriente.
Perché insieme siamo il Dortan
”.


Strinse il pugno, lo piantò nel legno, lasciando un’orma cinerea. Li vide alzarsi, ancora in silenzio. Seppe che pendevano dalle sue labbra, seppe che sarebbe bastato poco.


Non tremate più. La fine si avvicina. La loro fine.
E il nostro inizio.
Li laveremo con il fuoco
”.


Un boato, le braccia levate con il pugno verso l’alto. Due nomi ripetuti.
Dortan.
Dalys.
Sorrise, un largo sorriso trionfante e sincero.

Il Vecchio Regno d’Oriente – anni fa



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La spia, l’uomo chiamato Kuro il Sanguinario, il cospiratore, il lungimirante, stava appoggiato al tronco di un ciliegio, inclinato come se stesse reggendo da solo il peso dell’intero mondo. Il suo volto era più scavato dell’età che portava e sotto gli occhi gli si erano disegnate pesanti occhiate. Guardava verso la donna ammantata di rosso che stava in piedi poco distante da lui, e sulle sue labbra le rughe di un sorriso sarcastico ripercorrevano antichi solchi.
La donna era senza tempo, su di lei preoccupazioni e dolori non avevano lasciato alcun segno, come se infondo non li avesse davvero vissuti. I capelli le scendevano lisci lungo la schiena, l’abito di seta tracciava il profilo delle ali di una grande farfalla. Nero. Oro. Rosso.
La donna non sorrideva con la bocca, ma negli occhi le brillava una scintilla ironica. Poggiava le mani sull’elsa della spada che anni prima aveva strappato dalle mani di un antico amore divenutole nemico. La sua figura sottile pareva una continuazione dell’elsa, svettante verso il cielo.


Perché lo hai fatto, amico mio? Perché mi hai tradito? Dopo tutto quello…


Lui sorrise. Forse trovava tenero quel suo aspettarsi qualcosa in cambio. Forse leggeva dentro di lei un’amarezza che gli era familiare. O forse credeva lei non volesse davvero risposte.


La colpa è soltanto tua, Rosa”.


Un battito di ciglia. Lei era appoggiata alla spada, la schiena incurvata a risaltare la curva dei fianchi.
E poi lei era alle sue spalle, gli afferrava i capelli sulla nuca con le mani, duramente, trascinandogli la testa all’indietro. Lui tratteneva il respiro e lei gli poggiava un bacio delicato su una guancia.


Cosa ho fatto? C O S A?


Credeva di non meritare tutti quegli inganni. Lei lo aveva aiutato. Lei aveva finto di morire per lasciar fuggire Re Sennar, il re che-non-ha-palle, il trono-che-trema. Lei aveva rinunciato al potere in nome del bene comune, aveva aiutato Shakan lo spettro. Lei si era opposta a Caino.
Più o meno.
Forse meno. Sapeva bene di non averlo fatto, di essersi limitata a rintanarsi dentro le mura.
Caino aveva detto
Io sono Caino.
Dalys la puttana aveva detto
Fai. Pure. Non. Mi. Riguarda.


Non hai fatto assolutamente nulla”.


La voce di lui era calma. Sapeva che non lo avrebbe ucciso, non lei. Lasciò la presa. Nel cuore sentiva il peso che ben conosceva, tra le labbra un sapore amaro.
Lui aveva ragione. Anche se avrebbe voluto strapparlo in mille pezzi, negare tutto, cancellare quello che era accaduto dalla storia.
Lui aveva ragione. Lei non aveva mai fatto nulla. Si era limitata ad allontanarsi sempre di più. Perché era questo quello che era: un’ombra che aveva creduto di avere un nome, una madre degenere, una donna che non sapeva amare, che aveva rinunciato a tutto credendo che sarebbe stata al sicuro solo nel proprio piccolo bozzolo, nella propria prigione dorata.
Aveva stretto i pugni. Lui le aveva cinto i fianchi con le braccia. Non era una stretta di desiderio, non più, non tra di loro. Era una sorta di conforto.


Non mi avresti mai voluto come regina. Non è questo che ero. Meglio Sennar.
Meglio Caino
”.


Lui aveva tratto un profondo respiro. Lei aveva chiuso gli occhi. La guerra aveva spazzato via le sue terre e il suo nome. La guerra aveva distrutto il suo piccolo sogno.
Non aveva più nulla. Nemmeno lui.


Questo è quello che pensi”.


Non era una domanda. Se ne era andato e lei non aveva cercato di fermarlo. Non voleva chiedergli se lui fosse dello stesso parere. Non voleva saperlo. Non voleva sentire qualcuno dirle che aveva fallito così tanto, che aveva perso tutti, che era stata colpa sua.
Si era inginocchiata, in quel giardino che era stato suo, aveva poggiato i palmi sul viso. L’erba attorno a lei era avvampata come paglia sotto la sua rabbia. Le lacrime erano evaporate tra le sue dita. Nessuno l’aveva vista piangere.
Meglio Caino.
Questo era quello che pensava quando aveva deciso di morire.

Territori del Nord – ieri

Era notte fonda. Nella grande sala dei ricevimenti adibita a dormitorio non si udiva alcun rumore. Il camino illuminava i volti tesi dei soldati preda di sonni agitati. Alcuni stringevano vecchie lettere tra le mani, altri speravano di poter raccontare quello che sarebbe venuto.
Davanti al grande camino, il giovane con i capelli scuri allungava i piedi verso le fiamme, seduto sulla pietra fredda, avvolto nel pesante mantello. Distendeva le dita intorpidite con le punte arrossate, guardandole come se fosse la prima volta.
Gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla, eppure lui sobbalzò ugualmente, alzandosi in piedi.


Signora!


Lei gli sorrise. Il fuoco disegnava riflessi ambrati sulla sua pelle arrossata da un bagno recente e sui suoi capelli ancora umidi. Portava ancora casacca e pantaloni, come il giorno in cui era arrivata, ma i capelli sciolti e le mani nude le davano un’aria più rilassata, quasi confidenziale.
Lui arrossì, notando solo in quel momento le leggere fossette asimmetriche che le si disegnavano agli angoli delle labbra quando era divertita.
Gli prese le mani nelle proprie, così morbide, così tiepide.


Domani è il giorno”.
Gli occhi di lei erano indecifrabili, tradivano appena il suo turbamento. Lo guardò annuire, convinto.
Domani scriveremo la storia”.


Lei sorrise ancora. Quel giovane era veemente. Ingenuo.
Solo.
Eppure il fuoco del suo ardore non pareva spegnersi. In quella penombra, dove anche l’anima si concedeva di sbirciare tra le pieghe della pelle, lui non tradiva alcun ripensamento.


Puoi andartene, se vuoi, nessuno potrebbe biasimarti”.
Lei lo aveva fatto, dopo tutto. E aveva dovuto morire per rendersi conto di aver sbagliato.
Con una meretrice al comando al comando non è detto…


Doveva dirlo a qualcuno, anche se si era ripromessa di non farlo, di mostrarsi sicura davanti a quegli uomini che rischiavano tutto. Lei non avrebbe comunque perso nulla, eppure vacillava al pensiero di ciò che li aspettava.
Il giovane scosse il capo, deciso.


Siamo venuti fin qui per combattere al vostro fianco. Che sia una vittoria o una sconfitta, sarà una vita ben spesa.
Voi siete la nostra signora
”.


Si era portato una mano di lei al petto, quasi a volerle donare il proprio cuore in quell’esatto momento, senza aspettare il mattino.
E la mano di lei, quella mano che aveva toccato così tanti corpi, aveva tremato, temendo di sporcare quella creatura tanto innocente, tanto entusiasta. Lei che per tanto tempo aveva dimenticato l’ardore di combattere per un ideale, sentì tremarle le braccia e le gambe, come se stessero per separarsi dal corpo.


Io…


Si chiese se Kuro avesse provato quello stesso freddo quando progettava la propria ribellione. Se il suo cuore si fosse messo a battere forte dentro lo stomaco, se l’idea di corrompere i cuori altrui lo avesse fatto sentire piccolo, meschino, insignificante.
Si chiese se Caino avesse mai pianto nella propria stanza a cui nessuno aveva accesso, se si fosse mai strappato i capelli o avesse mai nascosto il viso dentro il petto di qualcuno in cerca di conforto, in cerca di quella sicurezza che credeva di non avere.
Se loro avessero mai vacillato.
Come lei sempre.


Io…


Lui la guardava negli occhi, lui che non aveva visto niente. Lui che credeva giusto morire per lei e non aveva idea di cosa volesse dire sentire l’esistenza battere i propri ultimi rintocchi. Che non aveva mai guardato il corpo morto di qualcuno che aveva amato, che forse non aveva mai nemmeno spezzato l’esistenza di un nemico. Lui che non aveva baciato il proprio avversario prima di affondare la lama. Avrebbe meritato di imparare la guerra da un uomo degno. Avrebbe meritato di poter tornare da sua madre con una cicatrice e una leggenda. Di sposare la donna giusta e amare quella sbagliata e vivere fino a perdere quei lunghi capelli e conoscere i propri nipoti.


Io…


Lei, che aveva combattuto per il Re Invincibile e contro il Priore, non era poi tanto diversa da quel nemico che non era riuscita a sconfiggere. Era solo più paurosa, più sola, più incapace di essere un leader. Kuro aveva ragione: lei aveva già perso in partenza, lei non aveva fatto nulla. Non lo avrebbe mai fatto. Non poteva.


…ho paura”.


Sola.
Sei s o l a.
Senza un re.
Senza un nemico.
Peggiore di tutti.
Adesso cosa.
Farai?
Cadde in ginocchio davanti a lui, le mani ancora nelle sue. Abbassò il capo, lei, così orgogliosa. Si era sempre detta di essere migliore.


È tutto una menzogna, quel discorso, questa battaglia, questa promessa. Io non sarò mai regina.
Non sarò mai un priore come lo era Caino. Non ho potere e non ho carisma.
Moriremo tutti.
Vattene finchè puoi
”.


L’aveva guardato, questa volta per davvero. Questa volta con gli occhi della donna che da anni non era, della madre tradita, della figlia sola che non era mai riuscita a liberarsi dal proprio incubo.
Lui aveva taciuto, poi con un dito le aveva asciugato quelle lacrime bollenti che stavano già evaporando. Le aveva sorriso. Non capiva come lui riuscisse a non tremare a non allontanarsi da lei, dal mostro che era stata, dalla bugia che era.


Dalys. Questi uomini non cercano una regina.
Non cercano un priore.
Non cercano un Re Invincibile.
Cercano una speranza. Sono figli di un’epoca che corre verso la propria fine. Come moriranno è una loro scelta.
Con che speranza combatteranno, invece, è merito tuo
”.


Si guardarono. Ora era lui a scaldarle le dita tremanti. Lei piangeva ancora. Piangeva per quegli uomini addormentati che avrebbero creduto in lei. Per se stessa, perché era la loro unica possibilità di farcela. Per quella sua anima tenuta insieme con una fragile impalcatura. Per quello che avrebbe dovuto fare, anche se non era certa di riuscirci.
Si alzò in piedi, i capelli le scivolarono sulle spalle. Austera, bianca, nera, rossa. Ripensò a Kuro, che in fondo doveva averlo sempre saputo. Sorrise di un sorriso incerto, infantile.


Se questa deve essere la fine, ebbene sono onorata di dividerla con te”.


Gli rivolse un inchino. Non desiderò farlo proprio, non desiderò passare la notte in inutili divertimenti. Si sedette davanti al fuoco, in attesa dell’alba, mentre lui lentamente si assopiva.
Se questa è
la f i n e.
Sono onorata di morire non per un
re
non contro un
Caino.
Ma al fianco di q u a l c u n o.
Come Dalys.


Terre del Nord – ora



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Le truppe erano schierate alla sommità del grande vallone. Davanti i fanti del nuovo regno d’Oriente, con le lunghe picche e gli scudi rettangolari, in formazione. Dietro i cavalieri e i guerrieri in armatura del nord. Sulle alture arcieri e balestrieri.
Oltre tutti, accanto ai nobili, a cavallo di uno stallone bruno, Dalys, la Rosa, osservava le orde scomposte dei nemici avanzare verso di loro, denti irregolari nella bocca spalancata dell'inferno. Centinaia, forse migliaia, non abbastanza per farle paura, non più. Il suo viso senza trucco era stanco ma imperturbabile. Gli uomini guardavano verso di lei e lei sfidava il vento ululante.
La sua voce risuonò forte e chiara sopra il nevischio e lungo il pendio, coprendo le urla dell’orda che da lassù sembravano vagiti perversi.


Uomini! Abbiamo udito il grido di avvertimento e i passi dei nemici che avanzavano. Presto ci incontreranno, faccia a faccia. Io sarò in mezzo a voi, perchè finchè saremo uniti nessun invasore potrà varcare la nostra linea e minacciare questa terra o coloro che amiamo”.
Prese fiato. Vide le spalle di alcuni irrigidirsi. Poteva percepire la loro paura.
Loro credono di essere l’orda mandata a distruggerci, credono di essere l’inferno. Contano di trovare smidollati in preda al terrore.
E invece sono stati sfortunati
”.


Qualche risata. Sorrise anche lei, anche se le sue labbra erano livide per la tensione.
Ho paura.
Pensò a quelle mani sudate che avevano stretto le sue, infondendole coraggio coraggio. A quel ragazzo che era stato più saggio di lei.
Non era il momento di fallire, non più.


Perché oggi non importa quanti siano, o chi sia ad averli mandati. Oggi assaggeranno la spada del Dortan. Oggi ingoieranno un po’ di crepuscolo”.


Un grido, il loro grido, che divenne il suo grido prima di potersene rendere conto. Forse qualcuna di quelle bestie si zittì nel sentire il furore degli uomini rimasti silenti per troppo tempo.
Si alzò sulle staffe, la tormenta le sciolse i capelli, uno stendardo corvino per quella battaglia mortale.


Quando questa battaglia sarà finita, che sia nel regno degli spiriti o in questo stesso luogo, banchetteremo sui loro cadaveri.
Morte ai nemici del Dortan!
Morte ai nemici del Toryu
”.


Morte ai M I E I nemici.
L’urlo fu così fragoroso che per un attimo tacque anche il vento. Lei frustò il cavallo, spingendosi in avanti verso i suoi uomini.
Era così che iniziava la loro rivincita. Era così che finiva la sua fuga, con la spada levata per tutti coloro che avevano creduto in lei, per Zephyr, per Ryellia, per Sennar.
Per Kuro.
E per Caino, a cui avrebbe proprio voluto mettere in culo quella vittoria.



view post Posted: 18/11/2019, 10:19 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (janz @ 17/11/2019, 23:19) 
CITAZIONE (Ray~ @ 17/11/2019, 14:10) 
Obliterato, ritengo :v:

Anyway, mi prendo un momento per fare un piccolo post di contestualizzazione. Purtroppo (o per fortuna) stiamo lavorando molto in corsa, come avrete intuito, e non abbiamo più i tempi liberi di un tempo meno libero - quindi eccoci qui.
Come penso sia chiaro ormai a tutti, abbiamo aperto questo evento con il preciso intento di celebrare quello che per noi è stato il raggiungimento di un importante traguardo: la pubblicazione di un primo libro. Un libro ambientato su Theras, con forti richiami a quello che è sempre stato scritto qui, maturato dopo attente riflessioni e lunghi mesi di lavoro, ma che credevamo e crediamo sia il modo più bello per coronare tutto ciò che è stato Asgradel e che per certi versi è ancora. Non a caso, la prima dedica del libro va proprio al forum.
Chi ci conosce sa bene che pubblicare un romanzo è sempre stato uno dei nostri più profondi desideri. La nostra speranza è che vi piaccia e che possiate viverlo anche come un regalo per voi stessi e, nella peggiore delle ipotesi, come una prova concreta e fisica di tutto ciò che avete vissuto su Asgradel. Un souvenir da tenere nella libreria e di cui raccontare agli amici, se volete.
Con questo evento, però, volevamo fare qualcosa di più. Qualcosa che ha pochissimi precedenti anche nel mondo della letteratura. Volevamo rendervi parte integrante della trilogia, esattamente come Theras e tutto ciò che è stato scritto in passato è parte integrante del libro.

L'evento che state vivendo, infatti, è un ponte di collegamento tra la Theras dei tempi andati e la Theras del romanzo.
State, se vogliamo usare un linguaggio più immediato, giocando un prequel dei romanzi :asd: in questo modo, questo evento non costituirà solo una festa per ricongiungerci, ma anche un modo per dare a voi affezionati la possibilità di fare parte concreta della storia che abbiamo scritto. E chissà, magari dare un po' di visibilità ai vincitori :D:
Insomma, volevamo condividere con voi il nostro successo e questo ci è sembrato il modo migliore. Speriamo che anche voi lo apprezziate~

E ora via, verso nuove avventure. Questo pomeriggio devo tenere la prima presentazione. Sono agitato. Ciao. :v:

Detto questo, occhio a come trattate i miei personaggi *fissa anna* :glare:

OK :wow: .
*fissa claudia*
original
view post Posted: 16/11/2019, 00:16 Il Lascito degli Dèi ~ Oriente - GdR

Regni del Leviatano – Una locanda al crocevia

L’oste sorrise al nuovo arrivato, una smorfia di cortesia che metteva in mostra i denti avariati dal troppo masticare tabacco. Lo invitò a sedersi con la mano callosa, che si asciugò sul grembiule prima di dare un’energica rimestata alla minestra nel pentolone sopra il camino. Era la sua serata fortunata: un certo numero di viaggiatori si era fermato proprio lì, lungo quella strada che dal giorno in cui la voce era risuonata nelle loro orecchie era rimasta quasi del tutto deserta. La gente temeva il ritorno del mostro, l’apocalisse, la fine del mondo. A parte qualche intraprendente mercante, nessuno si spostava più da una parte all’altra della regione.
Il ragazzo aveva un aspetto strano, inusuale per quelle terre. La sua pelle era color dell’avena e gli occhi, allungati e scuri, parevano sempre sul punto di sfuggire per evitare il contatto diretto. Anche i suoi capelli, dritti, neri come le ali di un corvo, suggerivano che fosse uno straniero. Indossava un curioso abito tradizionale, una casacca con le maniche ampie, legata in vita e che terminava in modo simile a una buffa gonna poco sopra le ginocchia. Avrebbe fatto quasi ridere se non fosse stato per la coppia di spade che gli pendeva al fianco.


Prenderò della zuppa, buon uomo, ma solo tra poco”.


Gli rivolse un inchino, altra cosa molto strana, prima di dirigersi a passo sicuro verso uno dei pochi tavoli occupati. L’oste si grattò la fronte stempiata e annuì leggermente: i casini e di freak finivano sempre per attirarsi l’uno con l’altro. Niente da stupirsi, perciò, che al tavolo bersaglio dello straniero fossero seduti due individui altrettanto fuori dall’ordinario. Un uomo con i capelli candidi come neve si sporgeva a sussurrare qualcosa all’orecchio di una donna coperta a malapena da un’ampia gonna, un mantello leggero e una fascia sul petto. I capelli di lei ricordavano quelli del giovane, ma gli occhi, quelli erano delle terre del Leviatano, verdì come smeraldi e freddi come argento. L’aveva subito identificata come una puttana, una di quelle per ricchi, con tutti i denti sani e la striscia nera sopra gli occhi, con il denaro per tatuarsi. Non aveva saputo resistere al sorriso di lei, si era subito ammorbidito consentendo loro di fermarsi per la notte. Era proprio curioso di sapere se i due uomini avrebbero impugnato le armi per lei.


Vi ho cercato a lungo, Rosa, Signora d’Oriente”.


Il giovane proferì un nuovo inchino, la testa così in basso da sparire dietro il profilo dei tavoli. L’oste si sporse in avanti, per sentire cosa stessero dicendo sopra il crepitare delle fiamme. Le labbra di lei si dischiusero in un sorriso che pareva divertito, gli occhi si illuminarono di una luce inaspettata. Si protese verso il proprio compagno, nascosta dietro il suo orecchio disse qualcosa di inudibile, di certo qualche strategica considerazione sul da farsi.


. . .

Come fa questo cazzone a conoscermi?


Le labbra di Dalys si stirarono in un nuovo sorriso, metà ostile e metà incuriosito. Lui non l’aveva sentita, perché era ancora chinato verso il basso. Se solo avesse voluto avrebbe potuto spezzargli il collo con un solo gesto. Zephir aveva lasciato cadere la mano sul pomolo dell’arma, noncurante. Sapeva che al primo accenno di pericolo avrebbe distrutto quel luogo.


Mi stupisce che mi abbiate cercato. Fino a poco fa nemmeno io sapevo di esistere ancora”.


Il giovane si rialzò, intrecciando le mani davanti al petto. Si sporse un poco, quasi a rivelare un temibile segreto. Aveva occhi innocenti, da adolescente che non ha conosciuto il mondo. Occhi che lei aveva perduto da troppo tempo. La sua voce sapeva vibrare per le piccole emozioni e le punte delle dita dovevano essere fredde, ancora incapaci di scaldare un’amante in autunno. Provò una stretta al cuore gelido, il desiderio di poterlo compatire, stringere a sé, consolare come una madre. Ma il suo ventre vuoto e buio glielo impediva, avrebbe potuto solo divorarlo.


Naturalmente, Signora. Ma la vostra…rinascita…se posso permettermi di chiamarla così, è merito nostro. Noi l’abbiamo voluta e quindi abbiamo confidato che fosse andata…a buon fine. Che vi avremmo trovata”.


Lei sollevò un sopracciglio. Con la mano sinistra strinse la coscia di Zephir, sentendolo rabbrividire. Non sapeva nemmeno lei se il suo fosse un modo sottile di stuzzicarlo oppure il segnale per impedirgli di tagliare la lingua all’impudente. Cercò di cancellare la propria perplessità.


Vostro?


Non poteva essere. La sua città, la sua capitale circondata dalle mura, era stata conquistata e distrutta. La sua gente, le sue guardie, i suoi fedeli, erano stati dispersi, acquisiti, avevano cambiato nome. Erano diventati i servi di qualcun altro. Non lo aveva visto accadere, ma sapeva che doveva essere successo: accadeva per tutti i regni, per tutti i sovrani. Le sue paure erano morte con lei, i suoi confini dovevano essere stati aperti e profanati come un corpo desiderato troppo a lungo.


Noi, signora, ci siamo chiamati il Secondo Regno d’Oriente. In vostro onore”.


Questa volta non riuscì a trattenersi. Rise forte, troppo forse, senza nemmeno coprirsi la bocca con la mano. Gettò indietro la testa, scoprendo il bel collo sottile. Durò poco, poi tornò a sporgersi avanti, questa volta poggiando al piano del tavolo entrambe le mani, il petto leggermente proteso, come un felino sul punto di azzannare la preda alla gola.


Voi – quanti? – avreste RIFONDATO il regno d’Oriente?


Gli piantò gli occhi dentro, sentì il suo tentennare. Seppe che la desiderava dal modo in cui le guance gli avvamparono. Debole, aveva ceduto istantaneamente, non le avrebbe mentito. Si alzò in piedi, scivolò al suo fianco, gli avvolse il mento tra le dita, obbligandolo ad abbassare la testa per respirare il suo profumo, il suo fiato intriso di alcool, la sua minaccia bollente.


Siamo una trentina, ma ci consideriamo il seme di qualcosa di più grande”.
Dove?
Abbiamo una base, non l’antica città, quella non potevamo. Abbiamo fatto il possibile. Noi credevamo nel vostro messaggio, dovevamo riportarvi indietro”.


La stretta di lei si fece più forte. Alle sue spalle Zephir aveva spinto indietro la sedia con uno scivolio prudente. Non si sarebbe fatto attendere. Se l’altro avesse reagito, l’angelo lo avrebbe separato dalla Rosa con un netto, preciso, taglio di lama. Avrebbe separato anche lui da se stesso, probabilmente.


Il mio messaggio…” Gli sospirò addosso. Gli sfiorò il naso con la mano libera, quasi una carezza. “Ho un messaggio?
Il ragazzo era turbato, quasi tremava, eppure cercò di riacquistare compostezza.
Proteggere i deboli e gli innocenti. Difendere il regno del Leviatano. Fedeltà al Re Invincibile. Onore”.


Evitò di ridergli in faccia, ma fu faticoso. Erano così vicini che avrebbe potuto slacciargli quello stupido kimono cerimoniale che indossava e lasciarlo mezzo nudo, imberbe e ridicolo in mezzo a una taverna. Erano così vicini che avrebbe potuto atterrarlo e renderlo inerme prima che riuscisse a raccontarle di nuovo quella scemenza sulla fedeltà e sull’onore.


Tu. non. Sai. Un. Bel. Cazzo”.


Pronunciò quelle parole quasi senza voce, articolandole solamente con le labbra. Gli afferrò le mani nelle proprie poggiandogliele contro il petto. Sentì il suo cuore accelerato, incredulo, spaventato. Sentì il suo coraggio palpitarle contro i pugni. Le ricordò una creatura che aveva conosciuto, anni prima, prigioniera di un corpo senza volto, una creatura che credeva negli ideali. Forse avrebbero avuto gli stessi occhi.
Si staccò con una piroetta, ritornando vicino a Zephir, appoggiandosi alla spalla dell’angelo che la cinse con un braccio.


Difendere il regno. Certo. È proprio quello che faremo. Io, il mio amico angelo, voi. Mostratemi questa vostra base, EROE, e io vi insegnerò a pulirvi la bocca di tutti quei paroloni e a parlare come si conviene a un guerriero”. Carezzò la guancia di Zephir. “Non è proprio un bel bocconcino con tanto da imparare?


Rise, felice di aver provocato l’angelo. Felice di aver trovato una soluzione.
Una da due soldi, inesperta e troppo ottimista, ma pur sempre una soluzione.


view post Posted: 12/11/2019, 22:39 Il Lascito degli Dèi ~ Quasi nessuno - GdR

Era piena notte, la casa era silenziosa e la strada deserta. Le tende tirate lasciavano filtrare solo la luce sfuocata delle stelle. L’uomo russava profondamente, nemmeno si accorgeva del peso lieve della donna, dei suoi lunghi capelli neri che gli ricadevano sul petto e sulla spalla, degli occhi spalancati nel buio, insonni, occhi da gatta che attende qualcosa.
Gli passava il polpastrello dell’indice dietro le orecchie e lungo il collo, tracciandone i contorni che non riusciva a vedere bene, immaginandosi come sarebbe stato lasciarsi inghiottire dal fuoco e bruciare quelle lenzuola, quell’essere inutile, quella casa, tutto il villaggio. Le capitava quasi ogni notte di ragionare sulla possibilità capricciosa di cancellarlo dall’esistenza nel tempo di un pensiero o di lasciargli addosso il proprio marchio rovente finchè avesse avuto vita, magari sopra quella brutta cicatrice o al centro del petto. Era da parecchio che non sentiva l’odore dolce della carne bruciata, simile alla pelle di un pollo lasciato sulla brace troppo a lungo.
Sospirò, chiudendo le palpebre, tentando di ricordare il passato, il tempo in cui si sedeva nuda su un trono d’oro con un bicchiere di vino in mano e chiamava i propri servi a farle aria. Allora si appoggiava ad un corpo diverso, altre mani la stringevano come se ogni volta profanassero un tempio. E lei odiava e amava al tempo stesso, ed era vittima e carnefice. Si morse il labbro inferiore, cercando di riportare ai sensi il frusciare dei fiori di ciliegio e il profumo tiepido della brezza, la seta che si insinuava tra i loro corpi appena sudati.
Tre battiti.
Potevano essere i battiti del suo cuore, che era risalito lungo la gola fin dentro le orecchie. I battiti di un sogno, del legno di un letto dimenticato.
Tre colpi.
Aprì gli occhi di scatto, l’iride scintillante nel buio. Jack non si era svegliato, sua madre che dormiva nell’altra stanza era quasi sorda e di certo non aveva udito nulla. Ma lei sapeva che qualcuno voleva entrare, qualcuno che non avrebbe aspettato. Per un attimo pensò che avrebbe potuto essere un nemico venuto a cercarla, magari un assassino. Allontanò l’idea con un sorriso divertito: nessuno a conoscenza della sua identità si sarebbe mai voluto suicidare a quel modo.
Si alzò, coperta solo dei propri capelli, i piedi nudi sul pavimento freddo, e si diresse fino alla porta. Ad ogni passo quei colpi nervosi le rimbombavano dentro, la chiamavano a sé, trascinavano la sua curiosità.
Chi. Chi sei?
Ora arrivo.
Aspettami.

Le era mancato quel brivido, quell’insicurezza. Non sapere. La sorpresa, come quando ai tempi scartava i regali di qualche amante geloso. Si strofinò le mani, pregustando il momento.
Le dita avvolsero il pomolo della maniglia.
C h i s e i?
No, non dirmelo, voglio scoprirlo da sola.
Ah no dimmelo, dimmelo prima che apra.
La porta si socchiuse, poi si spalancò di scatto. Incorniciato dal legno butterato, sullo sfondo della strada e dell’erba nera, degli aloni delle stelle, c’era lui. Non lo vedeva da tanto
troppo
tempo, eppure era quasi come se lo ricordava. Lì, in quel luogo fuori contesto, in quella notte senza che la sua presenza avesse alcun significato. Così sorprendente che avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli. Non avrebbe mai, mai indovinato.
E per di più era arrabbiato, davvero adirato, come non lo vedeva da tempo. Come quando lei gli giocava qualche brutto scherzo e lui voleva fargliela pagare.
Squisito.


Ti ho aspettato”.
Ridacchiò.
No. Non è vero. Ma sei sempre il benvenuto”.


Alzò le braccia per aggrapparsi al suo collo. I capelli si sollevarono, rivelando la sua nudità vulnerabile. Forse l’avrebbe ridotta in cenere una volta per tutte, o forse si sarebbe lasciato convincere dalle sue dita lungo le guance, dalle sue labbra sul petto e sulla bocca. Dal suo respiro accelerato.
Finalmente.


Portami via. Io e te”.


Gli si appoggiò contro, il suo tono si fece acuto, capriccioso. Lui era sempre stato al suo fianco. Un amico, un amante, uno strumento. Lui era l’unico che fosse rimasto da allora. Lo guardò in volto con attenzione, cercò nei suoi occhi la memoria di quello che erano stati, la promessa che non sarebbe cambiato, che non sarebbe rimasta sola, che non era diventata nessuno. Trovò le loro ombre mai assopite.


Insieme per sempre”.


Cercò di attirarlo verso di sé. Non ti arrabbiare, Zephir Luxen Van Rubren. Non arrabbiarti perché sei mio e di nessun altro. Anche io sarò tua.
Solo per questa notte.
Poi possiamo parlarne.
Mi sei mancato.
Quasi.


view post Posted: 10/11/2019, 14:49 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (RamsesIII @ 10/11/2019, 11:07) 
Vi ho raggiunti anche io :zxc:

E ho notato ora che non sono stato inserito nella Classifica :sigh: Rose ha fatto pressioni perché ho pensato per un attimo di passare all’Akeran?!

Ehm.. :lui: no io sono innocente *cough cough* però per fortuna che ti sei ravveduto :su:
view post Posted: 8/11/2019, 21:51 Il lascito degli Dèi ~ l'ultimo Leviathan - GdR

Regni del Leviatano – una taverna come tutte le altre
L’uomo siede davanti a una cartina smangiata dal tempo, una mappa del vecchio clan del Toryu, poi regno del Dortan, poi regni del Leviatano. Con una piuma d’oca ha tracciato delle linee per dividere le vecchie regioni nei nuovi casati, quello che un tempo era un solo frutto in tante fette sul punto di marcire. Di alcuni conosce i nomi, altri sono meri punti, ruderi di famiglie ormai divorate dagli incroci tra consanguinei e dalle guerre. Sa che sono in conflitto tra loro, che si derubano a vicenda, che sposano gli uni le figlie degli altri. Sa che difficilmente la sua sola parola potrà far ritrovare loro l’orgoglio che hanno perduto.
Si passa una mano tra i capelli tra cui spiccano i primi fili grigi, lavati di recente, che gli sfiorano le guance. Sotto gli occhi stanchi pesanti borse scure, le labbra screpolate per il troppo stringerle tra i denti. Si sente investito di una nuova missione, gli arde dentro come un tempo l’amore per le mura invalicabili che ha difeso.
La porta della taverna si apre e si chiude, entrano avventori chiassosi, altri alzano i boccali. Nessuno fa caso a lui: con il passare dei giorni si sono abituati alla sua presenza silenziosa e riflessiva, hanno perfino smesso di cercare di coinvolgerlo nei loro bagordi. Non alza la testa.
La porta della locanda si chiude e si apre.
Nessuna voce, un passo ticchettante. Nella testa dell’uomo qualcosa si attiva, il ricordo di un ricordo di un sogno. Gli solletica l’orecchio come il profumo di cannella gli carezza il naso. Familiare, riesce a pensare prima di alzare gli occhi.


. . .


Scende da cavallo con un gesto agile, un gesto che le è familiare. Scende e si concede un sorriso.
Ti sei rammollita – questo si dice mentre scuote la polvere dal mantello.
Un tempo lontano avrebbe cavalcato nuda, i capelli liberi nel vento, gridando improperi a chi le avesse intralciato la strada. Ora indossa un pesante mantello scuro, dei pantaloni da uomo, degli s t i v a l i. Tutto il necessario per passare inosservata in quelle terre che non sono più il suo mondo e che non sono pronte a sentire di nuovo il suo nome.
La porta di legno massiccio scivola silenziosa sui cardini e il tepore del camino la investe chiamandola a sé. Sono fatti della stessa pasta, lei e il fuoco, entrambi insaziabili e incapaci di stare al proprio posto. Si guarda attorno in silenzio, sulla soglia, incorniciata dalla penombra bollente del tramonto. Rosso fuori, rosse le sue labbra, rossi riflessi sulla camicia bianca, leggera, di seta, che le si posa sui piccoli seni lasciando intravedere la completa irriverente nudità al di sotto.
Molti sguardi le si poggiano addosso, interrogativi, ma lei non entra né esce: fissa l’uomo con la testa china sul tavolo, cerca i segni distintivi di un condottiero che ben conosceva. Quasi non le sembrano le stesse spalle, la stessa schiena che tante volte ha guardato da sotto le mura. Ma gli occhi, quegli occhi che la fissano increduli, non sono cambiati, sono gemme rimaste intatte mentre il loro scrigno si consuma. In quegli occhi brilla lo stesso ardore di allora, quello che lo aveva reso indomabile.
Silenziosa gli si avvicina, lasciando che altri chiudano la porta alle sue spalle, scosta una sedia e si siede al contrario, con lo schienale a reggerle gli avambracci su cui poggia il mento. Lo fissa in silenzio, con un mezzo sorriso sulle labbra dipinte. Si lascia ammirare e nostalgica lo contempla, gli lascia intuire cosa si celi sotto quei vestiti troppo casti per lei, dietro i capelli raccolti in una crocchia elegante sulla nuca. Gli lascia ricordare cosa ha visto anni prima, prima che lei acconsentisse a cederlo al comando di altri. Gli sorride come a un vecchio amico, nonostante non si siano mai chiamati a quel modo, nonostante allora lui fosse la preda e lei la predatrice.


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Tu…
I denti di lei, polpa bianca di una mela scarlatta, scintillano divertiti.
Chi non muore si rivede, Cavalier Medoro. Più o meno”. Gli strizza un occhio, avvolgendolo nella sua rete. “Mi sei mancato”.


Lui storce le labbra, tentando di scacciare il pensiero che gli si insinua dentro, suda leggermente, si passa una mano sulla fronte. Lei continua a fissarlo senza distogliere lo sguardo, divora il suo imbarazzo, ne assapora l'aroma acre, salato. Lui rifiuta di abbassare lo sguardo lungo lo schienale della sedia, lei sospira leggermente, fingendo di rimpiangere gli anni passati insieme. Poi lancia un’occhiata distratta alla cartina sul tavolaccio.


L’ultima volta che ci siamo visti controllavi un territorio molto più piccolo. Egregiamente, intendiamoci”.


Si lecca le labbra con la sua lingua piccola, guizzante. Lui deglutisce lentamente, cercando di non farsi vedere. Un tempo avevano la stessa età, ma non ora.

Io… Ho un compito, Rosa”.


Pronuncia quell’appellativo quasi con disprezzo, come se le attribuisse la colpa di quella situazione.
Lei emette una risatina soffocata, che le muore in gola. Lo trova divertente, proprio come allora. Solo che ora è molto meno interessata a portarselo a letto. Per quello si sarà tempo almeno fino a notte fonda.


Lo so, cavaliere senza macchia. Ti sorprenderà sapere che sono tornata per questo”.


Lui pare stupito. Forse credeva che lei si fosse vestita a quel modo solo per divertimento. Sospira di nuovo, alzando gli occhi a cielo.

Tutti noi sappiamo che cosa incombe sopra le nostre teste. Mi è stato riferito che tu cerchi di fermarlo. Anche io. Penso che sia la nostra unica possibilità di salvare quello per cui siamo vissuti. E morti”. Un’occhiata eloquente. Lei sa. Nota il rossore comparire sulle guance di lui e gli rivolge un altro dei suoi sorrisi ferini, da gatta. “So anche che per farlo vuoi radunare un esercito”.


Si alza in piedi. Da vicino non è alta quanto se la ricordava, eppure la sua figura sembra riempire la stanza, catturare l’azione di tutti. La sua voce morbida ha quasi provocato il silenzio.

Che puttanata”.


Ride forte, cammina fino a trovarsi al suo fianco, si china a leggere i nomi scritti sulla carta, nomi del loro passato. Ora che è così vicina il suo odore riempie il naso di Medoro, un profumo di bagno caldo, di cavalcata sotto il sole, di desiderio represso a stento. Riesce a intravedere sotto la stoffa della camicia, riesce ad essere preda dei suoi occhi, che saettano veloci dalle regioni disegnate sulla pergamena a lui e poi ancora indietro.


Non hai idea di come convincere tutti questi smidollati a combattere per te, non è vero?
Lui si schiarisce la voce.
In realtà stavo preparando un piano. Ho reclutato dei cittadini. Credo che se ci spostassimo con…


Tace, notando che lei lo sta di nuovo fissando, che il suo naso quasi gli sfiora la guancia. Ha piegato le ginocchia per trovarsi alla sua stessa altezza e gli sussurra nell’orecchio. Il suo fiato è caldo, proprio come lo ricordava.


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Non hai la minima idea, Medoro. Ma sei fortunato. Si dà il caso che io abbia una soluzione”.
Guarda avanti a sé, verso la porta chiusa.
Là fuori, vedi, c’è già una parte del tuo esercito. E anche un piano”.



Gli solletica l’orecchio con la lingua, consapevole che lui la disprezzi e al tempo stesso non possa resisterle. Quel pensiero la esalta, la inebria come un bicchiere di buon vino. Gli poggia la mano sulla schiena, lo sente sobbalzare mentre gli preme le unghie contro la stoffa della casacca. Non sa se sia più divertente il pensiero di avere una speranza di vincere quella guerra oppure il fatto di poter giocare con lui esattamente come allora.
Vecchia nostalgica.


Quindi ho due domande per te. Primo: hai abbastanza palle da uscire qua fuori a constatare di persona?....
Lui gira lo sguardo verso di lei, attende. Sente suoi muscoli contrarsi, sa che si alzerà per seguirla. Ma non si ferma.
Secondo: Avrai abbastanza palle questa notte quando verrò a prenderti?


Ride forte della propria volgarità, mentre si dirige a passi svelti verso la porta, lasciandolo per metà sollevato dalla sedia, raggelato. Gli uomini agli altri tavoli la guardano, lei manda loro un bacio. Probabilmente ci sarà tempo per un bicchiere di buon vino prima di ritirarsi per la notte.
Ma prima c’è del dovere da compiere, un dovere che ha rifuggito per troppo tempo. Esce all’aperto chiudendosi la porta alle spalle. Un uomo con i capelli corvini raccolti in una morbida coda la sta attendendo al fianco della madre dei draghi, con i grandi occhi azzurri impazienti.


Quindi?


Non riesce a trattenersi dal porle la domanda.
Lei gli risponde con il suo ghigno feroce, di sfida. Sente ancora il cuore galopparle nel petto, risalire fino alle labbra, riempirla dell'eccitazione di quella nuova sfida e del sapone con cui Medoro, il cavaliere senza macchia, si è rasato la barba.


Sale e pepe è perfino più affascinante. Un paparino”.
Strizza un occhio, passandosi una mano tra i capelli e ricordando con fastidio di averli raccolti.
Il giovane sospira, impaziente.
Intendo: uscirà?


Non ha ancora imparato a gestire quel suo modo di fare esuberante, volontariamente provocatorio. Per questo le piacciono, lui e i suoi imberbi, idealisti compagni del nuovo oriente: non hanno l’esperienza e la ferocia dei suoi vecchi servitori, non hanno le palle di darle ordini, non saprebbero combattere una battaglia campale, ma sono innocenti. Qualcosa che a lei manca, qualcosa che non ha più la stessa voglia di sporcare di un tempo.
La schiena alla porta, alza la mano destra, pollice, indice e medio sollevati. È la sua risposta. Tre secondi prima che la porta si apra.
Abbassa le dita ad una ad una.
Uno.
Si passa la lingua sulle labbra, assaporando il piacere della vittoria.
Due.
Si immagina come sarà tra le sue braccia ora che non è più un casto paladino prigioniero di un re invincibile, ora che è stato corrotto dall’ignavia e dalla miseria, che ha pisciato agli angoli delle strade e dormito tra le pulci.
Tre.
Si chiede cosa penserà lui di lei, che ha scelto di combattere per una causa.


Meglio per te che sia un buon piano”.


Un ghigno trionfante le si dipinge sulle labbra. In realtà non era proprio sicura che sarebbe arrivato subito, la sua era una scommessa, il che rendeva tutto ancora più eccitante.
Ma non era necessario che loro lo sapessero.




CITAZIONE
Il mio post è collegato a quello di Claudia, dove esporremo a Medoro la nostra scoppiettante idea <3

view post Posted: 7/11/2019, 22:54 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Comunque ora che ho scoperto che Medoro ha 35 anni circa, il mio sogno che fosse diventato un daddy si è miseramente infranto :glare:
view post Posted: 6/11/2019, 23:00 Il Lascito degli Dèi ~ Quasi nessuno - GdR

Regni del Leviatano – Casa di un tal Wild Jack

I contadini si dirigono verso i campi, alcuni trascinando restii cavalli da soma o carretti pericolanti. La maggior parte portano semplici casacche rattoppate e gli zoccoli, e alzano i volti cotti dal sole a guardare l’alba priva di nuvole. Hanno lavorato da prima di avere i primi peli sul petto e termineranno quando le gambe non riusciranno più a reggerli. A casa, per i più fortunati, una donna aspetta di mettere al mondo i loro figli e di ricucire gli strappi sulle loro ginocchia. Alcuni cantano melodie popolari che hanno imparato dai propri nonni e portano fili di fieno impigliati tra i capelli.
Tutti rivolgono un’occhiata indecifrabile alla finestra della casa di Jack, ora Wild Jack, che da parecchi giorni è chiusa solo da pesanti tende inchiodate alla bell’e meglio dove prima c’erano le persiane di legno scolorito dalla grandine invernale.
Il vento tenta pigramente di scostarle, portando all’interno il profumo dell’erba appena tagliata e il suono del campanaccio delle mucche al pascolo oltre le colline. Di tanto in tanto, attraverso uno spiraglio, si riesce a intravedere una delle uniche due stanze del casolare. La camera da letto non è come quella di tutti i contadini, non più: qualcuno ha cambiato gli arredi e coperto il letto con un lungo drappo rosso che scivola a terra. Sopra, coperta solo dalla vita in giù, riposa una creatura che in pochi hanno visto. I bambini sussurrano che si tratti di una strega o di una creatura delle tenebre, ma gli uomini sanno bene che si tratta di una donna in carne ed ossa. L’hanno vista, per puro caso intendiamoci, farsi il bagno nell’aia. A loro discolpa, lei non faceva assolutamente nulla per nascondersi. Anzi, sollevava i lunghi capelli sopra la testa, lasciando una scia di gocce nell’aria alle proprie spalle.
A casa i braccianti avevano raccontato che doveva trattarsi di una qualche donnaccia che Jack aveva rapito al porto quando era tornato. Sulla schiena aveva un disegno che non si erano certamente soffermati a guardare. Era una rosa, certo, ma solo perché lo aveva riferito loro il cugino dell’amico di un conoscente. E non l’avevano affatto guardata in quegli occhi a mandorla color acciaio e smeraldo. Non si erano sentiti così vicini a lei da rivolgerle qualche parola, da desiderare di passarle la spugna sulla pelle liscia sotto i seni. Assolutamente.
No.
Piuttosto si erano lamentati con Wild Jack che lei non facesse nulla per quel villaggio a parte mangiare il loro cibo, dormire e farsi comprare alcool da bere. Quasi più alcool degli stessi contadini al tramonto. Non si univa a loro alla taverna, naturalmente, ma sedeva sul davanzale con in mano il rozzo calice di terracotta pieno di vino scadente a cui puntualmente accompagnava una faccia insoddisfatta.
Le loro lamentele, come le onde, si erano infrante sulla pazienza del padrone di casa, che ogni volta era tornato sempre più irritato a riferire. Ma la giovane donna sembrava imperturbabile. Forse aveva i propri modi per convincerlo ogni volta a farla restare, sebbene a tutti sembrasse impossibile che quella creatura così bella dividesse il letto con un uomo tanto brutto.
La voce della sua presenza era rimasta quasi segreta, condensata nelle chiacchere delle casalinghe alla fontana e nei borbottii alla taverna a cui l’oste si univa raramente, rispettoso di una cliente tanto assidua.
Ma poi era giunto il giorno della festa del raccolto, il grande falò acceso nello slargo che gli abitanti del villaggio chiamavano piazza, i dolcetti distribuiti ai bambini, la musica dei tamburelli e dei liuti. Ed era arrivata anche lei, come un uccello scappato dalla gabbia, vestita soltanto di una sottogonna, con una fascia che le avvolgeva il seno minuto. Aveva legato i capelli in una treccia e qualcuno, probabilmente Jack, le aveva donato dei braccialetti di legno grezzo che producevano un rumore secco sbattendo l’uno sull’altro quando lei si muoveva.
Si era avvicinata al fuoco.
Tutti l’avevano guardata di sbieco, pronti ad allontanarla.
Aveva alzato le braccia.


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Alcune donne si erano allontanate, altre avevano distolto lo sguardo e avevano tracciato nell’aria un gesto per esorcizzare il male.
Il liuto non aveva smesso di suonare. E lei aveva iniziato a ballare.
Tutti avevano trattenuto il fiato.
Lei era a piedi nudi ma non sollevava nemmeno un filo di polvere dalla terra battuta. Le fiamme parevano avvolgersi attorno alle sue dita, ai capelli, dentro gli occhi. Un attimo prima pareva che sarebbe caduta nel fuoco e quello dopo con un passo elegante era quasi inghiottita dalla notte. I suoi gesti disegnavano creature di luce e ombra sul terreno. La sua danza parve durare in eterno, e forse il musico prolungò appositamente la melodia e il bardo non smise di cantare.
Da allora il suo segreto non fu più tale, nonostante fosse tornata al proprio perenne ozio. Forse il bardo aveva riconosciuto quei movimenti, ormai ricordo di antiche leggende. O forse le voci si erano diffuse, sospinte dal fuoco e dal fumo. Ma la sua presenza divenne nota al circondario, al mezzadro e alle sue guardie, ai villaggi vicini e ai mercanti itineranti. E con essa un nome, che veniva sussurrato di bocca in bocca e che per quasi nessuno aveva significato.
Quasi nessuno sapeva chi fosse Dalys.
Quasi.


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view post Posted: 4/11/2019, 12:58 Il Lascito degli Dèi ~Something new, Something old - GdR

Something new


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Something old


Regni del Leviatano - somewhere

Il prato è un campo di fiori che si estende dalla strada all’orizzonte. Ogni giorno il sole sorge e tramonta, il vento sparge i petali tra l’erba e i viaggiatori si soffermano solo distrattamente a chiedersi cosa siano quelle pietre bianche che sembrano gettate a terra senza un vero e proprio ordine. Alcuni, i più anziani, quelli che ormai non possono più cavalcare, ricordano un piccolo mausoleo eretto qui anni prima, chissà da chi, chissà in memoria di cosa. Una mezza ala di pietra è ormai divorata dall’edera e dalle radici di un albero. I bambini dei villaggi vicini si spingono fino a qui a giocare, fingendosi cavalieri intenti ad espugnare una fortezza. Di tanto in tanto gli amanti, nelle notti stellate, si sdraiano a contemplare il cielo terso. Qualcuno ha sussurrato loro che questo luogo è di buon auspicio, che chi si scambia una promessa d’amore su quelle ampie piastrelle sbeccate ha davanti a sé un futuro di gioia.
Capita che qualche cavaliere raccolga un mazzo di quei fiori per la sua amata, di ritorno dalla guerra, o che semplicemente sosti per pisciare.
Il sole sorge, tramonta, sorge di nuovo. L’inverno caparbio erode gli spigoli e sibila tra le fenditure, l’estate umida si insinua nella frescura della volta ancora in piedi per metà. È un luogo tranquillo, che per puro caso le recenti guerre hanno appena toccato. Nessuno si sognerebbe di turbarlo.
Nessuno tranne Jack. In realtà si fa chiamare Wild Jack, ma questo lo sanno solo i suoi compaesani, anche perché nessuno lo conosce nei luoghi più distanti di un giorno di cammino. Lo si potrebbe definire uno dei tanti ragazzotti partiti per la guerra e tornati con qualche soldo da investire. Le vecchie sussurrano che sia stato un mercenario e che abbia compiuto le peggiori nefandezze, forse per via di quella brutta cicatrice che gli ha storpiato il labbro superiore. Certo è che tutte quelle chiacchere e quel suo brutto aspetto, insieme agli occhi color ghiaccio, alle orecchie smangiate e alle guance butterate dal vaiolo, hanno contribuito a creargli una certa fama e ora nessuno tenta di dargli fastidio.
Da quando è tornato ha vissuto quasi perennemente alla taverna, tentando di sperperare le proprie sostanze il più lentamente possibile e fallendo ben presto nell’intento. Non è mai stato bravo a tenere a memoria i numeri, soprattutto dopo un bel goccetto. Ecco quindi la necessità di procurarsi ancora qualche moneta d’oro. E si dà il caso che vicino al suo villaggio, a meno di un giorno di cammino - quindi ancora nell’area in cui nessuno avrà voglia di rompergli le palle - ci sia quel bel mausoleo mezzo distrutto in un campo di fiori. Forse gli altri contadini e mandriani non hanno idea di cosa voglia dire, ma lui certamente sì: lui ha visto altri posti come quelli, templi di vecchi e nuovi dei, sepolcri di supposti eroi. E sa che dentro si nasconde sempre qualcosa. Naturalmente se qualcuno glielo chiedesse negherebbe di avere alcuna esperienza in materia, non sono certo cose da ammettere a cuor leggero. È questo che racconterà a sua madre, ammesso riesca ancora a sentirlo abbastanza da distinguere le sue parole: le dirà che aveva una pala tra le mani e gli è venuta un’ispirazione, quella di scavare proprio accanto al pavimento di marmo. Le dirà che lui è sempre stato uno con delle intu…inta...intuimenti, insomma, che è con quelli che se la cava un uomo di mondo, che non è il caso di avvisare nessuno. Se qualcuno trova una fortuna è più che giusto che gli appartenga. Si asciuga la fronte con la manica del farsetto e sputa a terra un grumo denso di muco.
La terra è friabile, facile da domare, la sposta con gesti ampi. Non ha nemmeno il tempo di perdere la speranza: non è passata una mezz'ora che già il ferro impatta contro qualcosa di solido, legnoso. I padroni di casa si sono impegnati il minimo indispensabile. Scosta il terriccio e rivela una superficie di mogano con un intarsio in oro. Qualcosa di simile a un ghigno gli fa pendere la faccia verso sinistra: anche solo quella decorazione, opportunamente fusa, gli varrà un certo margine di permanenza dall’oste. Si rimette a lavorare alacremente, gioendo momento dopo momento: quello che poteva essere uno scrigno sepolto è in realtà una cassa lunga circa cinque piedi, abbastanza pesante da dargli qualche difficoltà a sollevarla. Qualcuno l’ha inchiodata con dei morsetti d’oro. Ridacchia tra sé: il disegno sulla superficie superiore rappresenta una grande rosa, grande abbastanza da diventare un lingotto. Chiunque si sia dimenticato qui quel tesoro è un bastardo sfortunato. Si frega le mani callose, forzando le cinghie. Uno sbuffo di polvere scivola dalle vecchie giunture e il coperchio scivola come se non avesse atteso altro.
Jack, anzi Wild Jack per gli amici, spalanca la bocca. Ci passeranno gli insetti, direbbe sua madre. Lui invece scandisce un’imprecazione a mezza voce, senza sprecare troppo fiato, cercando di pensare. In quel momento avrebbe proprio bisogno di quell’intuimento di cui prima. O di un bicchierino bello carico. Sdraiata su un letto di fiori ormai appassiti, le mani giunte in grembo, gli occhi chiusi e i capelli pettinati con cura, c’è una giovane donna di meno di trent’anni. Come fa a dirlo? Oltre che per la sua innegabile esperienza in materia di giovani donne, questa è totalmente nuda e la sua pelle liscia e tesa non può mentire. I capelli le coprono il petto, ma per il resto indossa solamente un paio di eleganti scarpe rosse.
Roba da matti.
Questo pensa Wild Jack, e non sa proprio spiegarsi come il corpo possa essersi conservato così bene, tanto che sembra essere solamente assopita. Proprio roba da matti, non certo il tesoro che si aspettava di trovare. Però, nel dubbio, pensa che potrebbe toccarla, giusto per accertarsi che non sia fatta di cera. Allunga un dito, lo poggia sulla pelle, scopre che è più tiepida di quanto si aspettasse, come se avesse la febbre, e non è certo gelida come i cadaveri che ha visto per tutta la sua non proprio brillante carriera. Un bel grattacapo. Si sfiora l’orecchio smangiato da una spadata con la mano libera. Alza lo sguardo. Abbassa lo sguardo, di scatto.
Le lunghe dita sottili della donna gli hanno stretto il polso in una morsa da cui non riesce a liberarsi. Risale lungo il braccio nudo, fino alla spalla, poi al viso. La guarda negli occhi grigio verdi che ora sono spalancati. Improvvisamente non sente più il bisogno di una soluzione.
Lei è la soluzione. È così bella da togliergli il fiato, molto più bella di quando sembrava morta, bella più di qualsiasi altra abbia mai preso con le buone o con le cattive, perfino più di quella locandiera sfacciata che avrebbe volentieri sposato lungo la via del ritorno. Viene scosso da un tremito di desiderio quando lei socchiude le labbra.


Sono…”.
Dice soltanto questo, e la sua voce è melodiosa. Si mette a sedere, senza lasciargli la mano. Lui si piega in avanti. I loro volti ora sono molto più vicini e può sentire il profumo dei suoi capelli. È curioso, pensa, che sembri appena uscita da un bagno.
…viva”.


Sul volto di lei legge confusione. Poi consapevolezza. Gli rivolge un’occhiata ammiccante, che lo fa arrossire. Lui, un uomo fatto, si sente senza armi di fronte a quella ragazza dallo sguardo che pare centenario.


Ma ti devo ringraziare” dice lei, e il suo tono non è più stupito. Raccoglie le gambe al petto, la stretta della sua mano diventa quasi una carezza, morbida. “Mi hai salvato, anche se non so come. Forse la hai sentita anche tu? Forse è per questo?


Lui non capisce. Continua a fissarla, e senza sapere perché non si ribella quando lei esce dalla cassa appoggiandosi alle sue spalle. Ora che entrambi sono in piedi si accorge di essere più alto di lei di almeno una spanna, nonostante indossi i tacchi. Pare fragile, con quel corpo dal colorito pallido. Si passa una mano tra i capelli. Gli basterebbe uno schiaffo per farla ricadere tra l’erba e il marmo, inerte, in suo potere.


O forse tu non la hai sentita?


Lui scuote il capo. Non capisce proprio cosa lei intenda. Capisce solo che lei potrebbe avere freddo. La avvolge nel proprio pastrano lurido, stupendosi di saper essere tanto gentile. Lei non commenta e anzi lo stringe sul petto con quelle piccole mani che sembrano danzare.


Come ti chiami?
Quasi balbetta. “Jack…Wild Jack”. Si sente uno stupido di fronte a lei, davanti a quel sorriso che sembra saperla lunga.
Molto bene, WILD Jack”. Si passa la lingua sulle labbra. Gli pare di intuire una risata al di sotto del suo tono di voce. “Sembra proprio che tu sia un duro”. Gli strizza l’occhio. Lui si chiede se lei intenda proprio quello che sembra. “Una vera fortuna”.


Gli avvolge le mani attorno al collo, sollevandosi a poggiare un bacio delicato all’angolo del labbro, sulla cicatrice. Non lo trova disgustoso o ripugnante. Forse è un angelo, o una creatura mandata da un dio per aiutarlo.


Hai una casa, Jack?
Annuisce.
Potresti darmi riparo per questa notte?


Lui vorrebbe risponderle che le darà riparo per ogni notte, tutte quante fino a che lui o lei avranno vita. Ma dalla bocca gli esce soltanto un fiato di imbarazzo. Annuisce velocemente. Lei gli regala un altro sorriso, avvolgente, umido, pronto per essere colto.


Molto bene Jack. Allora credo proprio che divideremo il tuo letto e che non lo racconterai a nessuno”.
Lui annuisce di nuovo mentre le prende la mano per farle strada.
Sai, Jack, sta per succedere qualcosa. Qualcosa di molto grosso. Qualcosa che potrebbe incularci tutti e non nel modo che ci piacerebbe”.
Sobbalza per quella volgarità. Lei si stringe nelle spalle, affondando nel mantello troppo ampio. Lo fa ridacchiare come uno scolaretto.
Non sono una romantica, non di solito, ma questo è un conto in sospeso, come un vecchio amante a cui non posso negarmi per quanto sia spaventosa l’idea di rivederlo”. Sospirò “Forse una volta, prima di morire intendo, me ne sarei fregata. È quello che ho fatto, in effetti. E sai che ti dico? È stata una delle mie peggiori idee”.


Ora il sorriso di lei si è trasformato in una smorfia sarcastica, dolorante. Scioglie la mano dalla sua e gli carezza la nuca. Il suo tocco è lieve, come un soffio di vento.


Allora sono fuggita. Allora credevo di essere libera. Ma ora sono diversa. Ora so cosa devo fare. Lo faccio per mia figlia”.


Fa qualche passo avanti, facendo una giravolta. I suoi passi sono leggiadri, si sentono appena, i capelli sciolti come un’onda d’ebano. Lei sospira, un sospiro che pare un canto, il sole crea ombre e luci sul suo collo nudo. Lascia cadere il manto e allarga le braccia, bagnandosi di tepore. Lui trattiene il fiato. Lei pare dimenticarsi di lui, mentre traccia figure nell’aria con le braccia e con la vita sottile. Lui pensa di non aver mai visto nulla del genere.


Hai una figlia?


Si ferma, gli rivolge un sorriso dolcemente malinconico.
Lui capisce di aver fatto la domanda sbagliata, legge il dolore dentro i suoi occhi. Ma quella debolezza passa veloce sul volto di lei, come l’ombra di una rondine in volo. Presto lascia il posto alla solita espressione, maliziosa e infantile, capricciosa.


No. Non ne ho mai avuta una”.


La sua voce grave contraddice ciò che sta dicendo. Raccoglie il mantello, se lo avvolge attorno come se improvvisamente sentisse freddo, lo affianca di nuovo, lasciando che le faccia strada. Camminano in silenzio, senza che lui trovi qualcosa di interessante da dire per quanto si impegni, fino a quando non intravedono il villaggio. Allora, d’improvviso, lei parla ancora. La voce gli giunge dalle spalle, ma pare distante miglia e miglia.


A proposito: io sono Dalys. Qualcuno mi chiamava la rosa, ne andavo fiera, ma ora non vale più nulla. Non è divertente? Avevo tutto e ora sono qui, con indosso solo questo mantello pulcioso”. Silenzio, profondo come un oceano. “Probabilmente è così che deve essere, proprio come all’inizio. Ho una cosa da chiederti, Wild Jack: visto che probabilmente morirò molto presto, morirò per sempre, potresti ricordarti di me?


Jack, solo e soltanto Jack, non osa girare la testa per verificare se le lacrime nelle sue parole le scorrano anche sulle guance.



CITAZIONE
Scena puramente introduttiva del pg che ho scelto, coordinata a quella con claudia <3
Che bello essere di nuovo in game con voi ragazzi, sono commossa.

view post Posted: 4/11/2019, 09:18 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (janz @ 3/11/2019, 09:53) 
CITAZIONE (Jecht @ 1/11/2019, 19:11) 
Mark Smith
Mathias Lorch
Medoro
Il Leviatano.

Sono commosso.
Con questi quattro nomi il mio post mi si è dipinto in mente solo leggendo.

Si eh?

L'ultima volta che ti si è materializzato un post in mente sappiamo tutti com'è andata a finire :glare:

Non si può dargli torto u_u
4642 replies since 20/7/2008