Loro. Loro due. Soli
Così diversi nello spirito quanto negli ideali.
Eppure uniti dallo stesso stendardo.
Quello di un Sovrano scomparso ma mai dimenticato.
E, ora, il destino gli aveva imposto la più ardua delle prove,
la stessa compiuta dal Re che non perde mai anni addietro.
Come se loro potessero paragornarsi a lui.
Come se loro due, soli, potessero sperare di eguagliarlo.
I M P A R E G G I A B I L E
Gli occhi sgranati, le gambe tremanti.
Un rivolo di sudore percepito sotto la folta barba scura e ispida e il cuore che batteva all'impazzata.
Le gambe incerte parevano non volersi muovere, la mano che impugnava la spava tremava visibilmente, minacciando di fargli perdere una presa mai così traballante in tutta la sua vita di soldato.
Sentiva di dover provare a reagire innanzi al ruggito atavico del mostro, di dover combattere, di provare a fare qualcosa, qualsiasi cosa che fosse affrontare il suo destino o scappare miseramente a gambe levate. Ma non riusciva a muoversi. Paralizzato dall'orrore che gli si parava davanti agli occhi, una tetra defromità manifestatosi lì, nel suo villaggio.
Non ci aveva creduto, non aveva voluto crederci.
Solitamente i viandanti narravano delle loro peripezie, recitando abilmente per far credere di aver trovato lungo i propri viaggi di laghi incantati oltre la Ystfalda, caverne piene di artefatti magici nei regni d'Oriente, mostri nati dal ventre della terra nel silenzioso deserto dell'Akeran, tutte storie diverse, niente più di favole che aveva lo scopo di incantare i bambini e gli adulti più sognatori per racimolare un pò di attenzione o dare valore alla mercanzia che portavano con sè. Negli ultimi tempi però le storie erano sempre le stesse; e gli abili attori che prima parlavano di sconfinate o miracolose ricchezze, avevano gli occhi colmi di terrore mentre narravano di abomini d'ombra, apparsi nel cuore nella notte in quello o quell'altro villaggio, uccidendo i pochi soldati accorsi ad affrontarli e smembrato facilmente i paesani disarmati. Era un castigo, aveva sentito dire, una punizione divina.
Come se gli umani con i loro difetti avessero spezzato il sogno degli Dèi e questi, in risposta, avessero preso a partorire i n c u b i.
Non stava sognando. Aveva visto in lontananza grandi spirali di fumo nero che offuscavano il placido cielo notturno e sotto di esso un grande incendo che avvampava già diverse abitazioni e, davanti a esso un mostro con pelle color pece, e fattezze vagamente umanoidi, il volto liscio e senza occhi, crepato in mezzo solo da una fessura circolare riempita da zanne bianche come la luna. Aveva spalle larghe e disallineate, braccia così lunghe che i dorsi delle mani sfregavano sul terreno polveroso ogni qualvolta questi si muoveva in avanti con passo ciondolante. Il suo ruggito pareva un lamento di eterna sofferenza, profondo come l'antro più scuro del mondo, capace di far sprofondera l'animo umano in un baratro senza fine.
La morte incarnata.
« Che il vostro animo non vacilli uomini! »
Come ipnotizzato dal mostro che avanzava verso di lui, non si accorse della voce oltre le sue spalle.
Non riusciva a staccare gli occhi dal mostro, quasi come se la minima distrazione avrebbe potuto decretare la sua morte.
La parete di una casa mangiata dalle fiamme crollò rovinosamente per strada, e il mostro ruggì nuovamente per un tempo che gli parve infinito, dando fondo a tutta l'aria contenuta nei suoi nefasti polmoni.
Sarebbe quasi certamente svenuto dalla paura, se non fosse stato per quella mano che sentì appoggiarsi sulla spalla. Un tocco dolce, sicuro e una figura vestita di un'armatura dorata che lo superò di un passo, una spada di lucente metallo pronta a ingaggiare il combattimento.
« Non avere paura. Non è ancora tempo di morire. »
Non riuscì a vederlo in viso, ma la sua sola voce era riuscito a calmarlo più di quanto avesse sperato.
Alle sue spalle, sentì lo sferragliare delle armature dei soldati, i suoi compagni, che uan volta raggiunto lui e il misterioso cavaliere, puntarono le picche per terra, in attesa di ingaggiare il combattimento. Nessuno di loro fiatò, limitandosi a cenni del testa che denotavano un'intesa figlia di un'amicizia che durava da molto tempo e poi attesero tutti in attesa del cavaliere alla testa del loro gruppo, mentre il crepitare del fuoco cresceva di intensità.
Come l'eroe delle storie che gli avevano raccontato da piccolo, dotati di armi scintillanti e una splendida armatura, volontà incrollabile e una maestria di spada senza eguali; li avrebbe guidati a sicura vittoria, per poi festeggiare con loro una volta passato il pericolo.
Avrebbe voluto dirgli come il mostro, una volta ghermiti gli uomini tra i suoi artigli li facesse e s p l o d e r e in una chiazza di liquame color tenebra, ma non lo fece. Un eroe come quello sapeva già tutto su come combattere un mostro, sicuramente più di un soldato comune come lui. Era un semplice uomo, incapace da solo di compiere un'impresa tanto ardua.
Deglutì, la gola secca a causa del divampare delle fiamme sempre più alte, e rinsaldò la presa sulla spada.
Vide il cavaliere girarsi per un istante nontandone i capelli biondi rifulgere della luce del fuoco e lo sguardo colmo di ardente decisione.
Passò un istante, e poi l'eroe si lanciò all'assalto del mostro.
E tutti loro lo seguirono, pronti a supportarlo per salvare la loro casa da una minaccia che nessuno aveva mai pensato di dover affrontare.
Come avrebbero fatto? Quanto tempo avrebbero impiegato?
Tanti, troppi regni si spartivano il Dortan, e altrettanti sarebbero stati i Regni da convincere.
Potevano veramente riuscire anche loro dove solo Lui aveva trionfato?
Come potevano due servi fedeli come loro anche solo pensare di compiere le Sue stesse gesta?
Oltre alle sue grandi doti Lui aveva potuto contare su Chevalier e su Persona.
E loro avevano solo cenere e spade.
Poco, troppo poco.
Medoro passò il resto di quella notte e tutto il giorno seguente a aiutare gli abitati del villaggio nel rimuovere le macerie delle abitazioni distrutte e a scavare le tombe sulle quali coloro ancora in vita avrebbero potuto piangere i morti, uomini e donne che il mostro aveva trasformato in grumi di sangue nero schizzati qua e là, non lasciando nemmeno un corpo da piangere ai propri cari.
Chi era riuscito a farsi forza, si era unito a lui in quel suo blando tentativo di far tornare il villaggio alla normalità il prima possibile. Gli altri, invece, si erano radunati in piazza, penitenti, mentre quello che all'apparenza sembrava un comune viandante li ammoniva per i loro peccati, e come l'unica loro speranza di salvezza sarebbe stata dirigersi a Oriente per unirsi al comando di una Regina lontana in quella che sarebbe stata l'ultima grande guerra della loro tempo; contro gli stessi demoni che ora minacciavano le loro vite. Gli altri regni stavano già accorrendo, diceva. Dovevano sbrigarsi perchè il crepuscolo incombeva su di loro, su tutto Theras. E loro tra ansiti e sospiri timorati, inginocchiati e con le mani giunte, pregavano che gli Dèi accogliessero le loro preghiere e che i loro soldati imbracciassero le armi.
...se solo i governi fossero stati così accomodanti da accogliere la voce di chi veniva governato.
Medoro voltò lo sguardo dall'altra parte, fuggendo il sermone per tornare a prodigarsi con coloro che, invece che genuflessi, stavano cercando di dare nuovamente una parvenza di normalità al luogo che abitavano.
Sarebbe stato difficile non credere alle parole dello straniero dopo la tragica notte appena trascorsa. Presto quelle voci sarebbero state amplificate da chiunque le avesse udite in principio, propagandosi fino a giungere anche al più sordo di loro.
Tutti avrebbero saputo.
Troppo spaventati, avrebbero creduto anche alla più inverosimile delle storie pur di aggrapparsi a un'insperata possibilità di sopravvivenza.
Un pò come avevano sempre funzionato le religioni, solo che questa volta la minaccia era stata più tangibile che mai, rispetto all'astrattismo delle deformità con le quali i vari credo li avessero mai intimoriti.
Il tramonto giunse in fretta e con esso la quiete. La paura e la concitazione si affievolirono al calare di un tiepido silenzio, e dopo una notte insonne e una giornata passata a faticare, Medoro rincuorò un'ultima volta le guardie -i cui turni erano stati raddoppiati- , obbligandosi infine a riposarsi.
Dopo averlo salvato la notte precedente, Brennt, un corpulento soldato dell'Arconte Doleos, con barba ispida e occhi nocciola aveva insistito perchè si unisse a lui a cena, offrendogli anche un riparo per la notte. Non aveva famiglia, gli aveva detto, e poteva quindi permettersi di concedergli una stanza per la notte. Medoro aveva accettato l'invito di buon grado approfittando dell'occasione per spiegargli il motivo della sua visita: la sua missione. Scoprendo come Brennt -questo il nome del padrone di casa- avesse in gioventù sognato di diventare un eroe senza macchia della capitale, senza aver però mai avuto il coraggio di abbandonare il luogo dove aveva sempre abitato, e dove tutt'ora resideva. Dopo averlo ascoltato, Medoro lo pregò di non chiamarlo eroe, evitando di incedere sugli anni che lo avevano visto rifugiarsi tra i vicoli come un ratto, prodigandosi invece nel convincerlo di come la missione che seguiva ora dovesse avere la priorità su tutto.
Si lasciò andare, raccontando a Brennt tutto ciò che aveva bisogno di sapere. E, alla fine, Medoro si augurò -come poche volte aveva fatta in vita sua- di aver fatto breccia nell'animo di quell'uomo.
Era una possibilità che non poteva sprecare.
« Il male incombe su di noi. » parlò sinceramente, calmo, come se averle ripetute così tante volte gli avessero fatto perdere di vista il loro spaventoso significato -che entrambi avevano toccato con mano la sera prima. « su tutti noi, Brennt. » Aveva insistito sui particolari più macabri così da farlo pensare sempre di più alla notte prima, a quanto fosse spaventato e inerme innanzi a coloro che minacciavano l'intero Theras. E l'aveva visto sfregarsi le mani sudate più di una volta, lo sguardo lacerato da ferite ancora troppo fresche perchè potessero essersi già rimarginate.
Quando decise che fosse stato abbastanza, poi, Medoro mosse la propria richiesta e Brennt, benchè combatutto, vedeva sempre più chiaramente la r e a l t à che avrebbe presto dovuto affrontare. L'avrebbe vista come l'unica possibilità di salvezza.
...
« Al momento giusto possiamo tutti essere eroi. E non servono spade scintillanti o armature magiche. »
Tentò di incoraggiarlo, provando a dissiparne i dubbi « L'onore è certo importante, ma anch'esso non è fondamentale in alcune occasioni. » Deprecabile da parte sua parlare così dopo che, a tutti gli effetti, aveva abbandonato il proprio onore tempo addietro, in un vicolo lurido della capitale.
« Sono i sacrifici quelli che definiscono gli eroi. » Medoro fissò il proprio calice di vino, agitandolo debolmente tra le dita « E più il compito dell'eroe è importante, più grandi essi sono »
Svuotò la coppa in gola, sperando di aver fatto abbastanza per una sola sera.
Il proprio interlocutore pareva voler fissare anch'egli solo il proprio calice finchè, a un tratto, bevve anch'egli tutto il vino un solo sorso, sperando che il calore dell'alcol rischiarasse la foschia di pensieri che gli si arrovellavano in testa.
A Brennt interessava il bene del villaggio sopra ogni altra cosa. Non aveva affetti di cui preoccuparsi, ma questo aveva fatto sì che tenesse ancor di più alla comunità dove abitava, dove era nato; dove aveva sempre vissuto. Anche per questo aveva deciso di diventare un soldato.
Medoro, per un momento, si chiese quante persone nel corso delle sue conquiste fosse state ingannate dal Re che non perde mai, e come avesse potuto sopportare il peso di tutte quelle menzogne.
« E sia, Medoro » Brennt aveva alzato lo sguardo verso di lui, le guance arrossate dal vino « Se davvero gli Dèi ti hanno investito della loro sacra missione, avrai la tua udienza dall'Arconte come mi hai richiesto. » battè il pugno sul petto in un gesto che a Medoro parve a metà tra una promessa e un saluto tra compagni d'arme. « Il giorno seguente all'indomani, attenderemo l'arrivo del tuo compagno e poi vi condurrò dall'Arconte. » Battè un pugno sul petto « Mi ascolterà, vedrai. »
...non ci credeva nemmeno lui, glielo lesse negli occhi.
« Ti ringrazio, Brennt. » Poggiò le mani sul tavolo, alzandosi stancamente dalla sedia, esausto dopo una notte insonne e il giorno passato a faticare insieme agli abitanti.
« La mia è la causa più giusta che tu possa mai sperare di servire in vita tua » gli parlò sinceramente, gli occhi velati di una leggera malinconia. Tempo addietro, qualcuno avrebbe potuto recriminare per la dubbia moralità del Monarca che aveva giurato di servire -anche se pochi avevano osato tanto in sua presenza. Mentre ora, al cospetto degli Dèi, e di fronte a una minaccia così grande, nessuno avrebbe potuto addurre critiche a ciò per cui si stava prodigando.
Forse solo sui loro metodi.
« Devo riuscire a compiere questa missione e... non c'è altro modo. »
Non gli rimanevano più altre possibilità.
Non c'era tempo e avevano finito le idee,
e quella era stata l'unica intuizione che gli era parso poter funzionare.
Potevano davvero tentare di fare ciò che lui aveva fatto?
Non sarebbe stato come t r a d i r l o il solo pensare di ergersi al pari di lui?
Medoro aveva tentato una prima volta con la diplomazia,
fallendo miseramente e evintando per un soffio scontro armato.
Per quanto odiasse negarlo, Zephyr non poteva certo radere al suolo i villaggi e le fortenzze.
Altrimenti avrebbero raccolto solo cadaveri e cenere invece di un esercito.
Inevitabilmente, si chiesero cosa avesse fatto Lui al loro posto.
Medoro era stato di parola.
Lo avevano atteso al limitare del villaggio, dal quale, a poca distanza, si intravedeva già la loro destinazione.
Zephyr non aveva mai dubitato delle capacità in combattimento del cavaliere, ma dopo essersi divisi i compiti si era chiesto più di una volta se quegli anni trascorsi da reietto avessero levigato la sua moralità al punto da renderlo capace di ciò che gli era stato chiesto.
Quando ancora il Maniero Bianco era intatto, tra le menzogne e i complotti dei cortigiani Medoro era sempre stato il caposaldo integerrimo dell'onesta, intonso quanto la sua armatura, rifuggendo qualsiasi tentativo di corruzione da parte un ambiente per la gran parte viziato dai complotti. Ma nel vedere lo sguardo deciso del soldato che li accompagnava -aveva detto chiamarsi Brennt- Zephyr si era dovuto ricredere.
Forse le ideologie della sua gioventù erano sfumate, forse la vita da reietto l'aveva costretto a adattarsi.
Forse era solo diventato più furbo: una dote non da poco.
Finora non aveva disatteso quanto promesso, e quindi, come da accordi, avrebbe lasciato che fosse lui a rivolgersi all'Arconte con la consueta diplomazia per provare a persuderlo a ammorbidirlo anche se, da quello che sapevano, il governatore di quelle terre era un codardo, avido e dittatoriale. Solo Brennt non aveva ancora perso le speranze nei suoi confronti.
Arrivarono in breve alla residenza dell'Arconte, che a Zephyr ricordò vagamente una delle tante tenute estive che i nobili solevano utilizzare ai tempi del Re che non perde mai per rifuggere l'atmosfera greve che spesso si respirava nei meandi del Maniero Bianco. Un posto dove i deboli fuggivano.
Ebbe anche l'impressione di esserci già stato, di averlo già visitato in un'occasione che era sicuro non avere alcuna importanza, ricordando però come nessuna dimora di nobili che avesse scorto -quando era ufficiale del Re- fosse così fatiscente.
Era un anonima e piccola rocca, con una corta cinta muraria e una manciata di torri, posta strategicamente in cima alla collina, ma benchè non fosse avido di dettagli di quel posto che presto avrebbero conquistato, gli riuscì difficile non notare come l'incuria avesse conquistato quel posto prima di loro.
Una folta e verde edera penzolava su gran parte dei bastioni esterni, e laddove la pietra era libera dalle piante vide mattoni sbeccati e pronti a sgretolarsi al minimo tocco. Una delle torri era crollata per metà e un altra mostrava uno squarcio su un fianco.
Un edificio confacente a un'aristocrazia decaduta, polveroso e umido. Solo l'ombra di ciò che un tempo era stato.
In disgrazia, come il resto dei nobili del Dortan.
Oh, quanto avrebbe riso Lui delle disgrazie di coloro che lo avevano soppiantato.
Brentt fu il primo a arrivare. Salutò i due soldati di guardia ai lati del portone con un gesto della mano e, con uno schiocco delle briglie aumento il passo del cavallo, distanziandoli quanto bastava per arrivare prima di loro e far sì che tutto andasse come pianificato.
Sicuro che ora nessuno potesse sentirli, Medoro si volse verso di lui. « Mi sembri stanco, Zephyr. Posso procedere da solo, se preferisci. » Per quanto stanco a causa degli sforzi eccessivi a cui si era sottoposto incanalando ben più potere magico di quanto normalmente potesse permettersi di fare, Zephyr si chiese quanto evidente fosse la sua spossatezza, per far sì che Medoro si preoccupasse per lui.
« No, posso farcela. » Si erano fatti carico di quel fardello entrambi, e voleva essere presente a ogni costo, per assicurarsi che tutto funzionasse « Non avverto la presenza di particolari pericoli, quindi anche se la situazione dovesse degenerare non dovrai preoccuparti della mia incolumità se è questo che intendi. »
« Sono stati giorni impegnativi, sia per te che per me e non... » Prima che potesse terminare la frase il cavaliere si accorse di essere ormai a ridosso dell'ingresso e, capendo di non poter più parlare liberamente, salutò le guardie con un educato sorriso. Zephyr li degnò appena del proprio sguardo.
Smontarono etrambi da cavallo, lasciando le briglie ai soldati che avevano appoggiato le proprie picche alle mura, offrendosi di condurre i loro cavalli alle stalle mentre i cardini del portone cigolarono tetri per spalancargli le porte di quel rudere umido e ombroso.
Se non avevano nemmeno dei paggi in grado di prendersi cura delle cavalcature degli ospiti, dedusse, anche la servitu incaricata delle pulizie doveva essere piuttosto scarsa.
Sempre preceduti da Brennt, con il fiero portamento dei cavalieri e dei dignitari, attraversarono con schienza dritta e mano sulla propria spada un paio di lugubri corridoi dove la luce del giorno filtrava da strette feritoie verticali, puntando lo sguardo avanti a loro in attesa di arrivare al cospetto di quello che si proclamava regnante di quelle terre povere e brulle.
Arrivarono in breve tempo al salone principale della rocca, una sala alta e rettangolare, con diverse porte ai lati che conducevano a sale più modeste o altre corridoi, sparuti e polverosi stendardi logori tinti in lontano passato di un rosso acceso e ora sbiadito pendevano inerti dalle pareti e un largo finestrone dal lato opposto al loro irrorava con bianca luce del mattino, svelando ogni piccoloo e decadente dettaglio della sala. A qualche passo dall'ampia vetrata, poco davanti a essa, un paio di scalini conducevano a un piccolo podio sopra il quale poggiava uno scranno di pietra, la cui ombra si allungava per tutta la lunghezza del salone, fino ai loro piedi.
Seduto mollemente su di esso, una sagoma di un uomo non più nel fiore degli anni, ticchettava le propria dita su un bracciolo. E ai suoi lati, una decina di guardie attendevano in piedi, con la picca poggiata a terra e l'elmo a coprire i loro sguardi.
« Vi porgiamo i nostri omaggi, Arconte Doleos.» Medoro si esibì un debole inchino, piegando il braccio sull'addome e chinando lievemente il capo. La deferenza avrebber importo loro di inginocchiarsi, ma entrambi sapevano che egli non era un Re, tantomeno il loro Re. Zephyr si prodigò nello stesso movimento, seppur più svogliato. « Come ser Brennt vi avrà già informato, siamo messi di sventura. Grame sono le notizie che portiamo, e meste saranno per voi le nostre parole. » il tono di Medoro si fece più deciso « Ma con noi portiamo anche speranza. »
Zephyr ebbe l'impressione che l'Arconte li sottovalutasse, al punto da non richiedere nemmeno che consegnassero le armi che tenevano alla cinta prima di presentarsi al suo cospetto. Indolente, o forse semplicemente troppo stupido e pieno di sè per curarsene. Con gli occhi che si erano abituati alla forte luce davanti a loro, notò come egli avesse fili grigi tra i capelli castani, senza barba e lo sguardo a metà tra il tedio e l'irritazione. Li stava scrutando dalla testa ai piedi, soppesandoli con silenziosa arroganza e smuovendo in Zephyr un nervosismo che forse non sarebbe riuscito a trattenere.
Dopo un paio di istanti l'Arconte si alzò per replicare al cavaliere giunto da lontano. « Mi dolgo quindi nell'apprendere le vostre nefaste notizie, ser Medoro, ma vi informo che sono già stato messo al corrente del motivo per il quale siete giunti fino alla mia dimora. Brennt me ne ha parlato ieri, e so bene cosa ne pensi il popolo di tutto questo, di come siano terrorizzati da questa guerra che andate profetizzando. »
Zephyr non ne fu sorpreso. Un umano che aveva provato a evitare l'inevitabile, uan storia vecchia come il mondo.
Si sarebbe aggrappato a qualsiasi cosa prima di trovarsi davanti alla scomoda verità. E invece di fidarsi ciecamente di ciò che gli era stato offerto aveva tergiversato. Come stava tentando di fare Medoro, anche Brennt aveva provato a evitare quello che anche per lui sarebbe stato lo scenario più sconveniente.
« E soprattutto quali richieste siete volete avanzare a me!.» L'Arconte picchiò il pugno sul bracciolo del suo freddo trono di pietra, alzando repentinamente e con sguardo furioso e l'indice che si alternava a puntare entrambi gli avventori che si erano presentati alla sua porta. « V-voi credete davvero che mi priverò del mio esercito, che lascerò i miei possedimenti sguarniti e in balia dei nemici per seguire la vostra Sovrana in una guerra lontana centinaia di leghe?! » Brennt, sbigottito da come quel discorso forse l'opposto di quello che gli era stato promesso il giorno prima, cercò di intervenire, recriminandolo debolmente per poi zittirsi dallo sguardo furente del suo Signore.
E loro avevano scommesso tutto su di lui. Che doveva convincere tutti della necessità della loro missione, e che aveva l'incredibile capacità di venire zittito da una persona come Doleos.
« Mio padre, ha conquistato queste terre dopo la dipartita di Ray!» -Zephyr ebbe un fremito nel sentire quel nome pronunciato senza aggettivi di contorno, quasi come si credesse al pari di un re; del Re - « e non sarò certo a svenderli a una puttana che ha conquistato quello che possiede solo per essersi donata a mezza corte in un tempo dove la lascivia veniva premiata più dell'onore! »
L'avrebbe ucciso seduta stante se non fosse stato per Medoro che, prendendolo per un braccio, lo fece desistere dall'estrarre la spada.
Gli ci volle un istante perchè la sua mano si convincesse a rinfoderare quel poco di lama che aveva già snudato.
Avrebbe dato a Medoro un'ultima possibilità. Ma un altro insulto verso il Re che non perde Mai, o la Rosa e l'Arconte sarebbe diventato un mucchietto di cenere.
« Il sommo Zoikar reclama l'armata invincibile del Leviatano per evitare il crepuscolo degli uomini, Doleos. » Medoro si fece avanti di qualche passo, per nulla intimorito dal nobile sbraitante « e i demoni che stanno apparendo nei villaggi sempre più spesso sono una prova che l'oblio sta nascendo dalle viscere della terra per inghiottirci. Dobbiamo unirci tutti contro questa minaccia. Possiamo davvero permettere che il perdurare della divisione del Dortan sancisca la sua fine ?. »
« In questa fortezza, con i miei soldati, saremo ben in grado di affrontare un demone, se si dovesse presentare l'occasione. »
« E i villaggi bruceranno uno dopo l'atro! Non capisci? Su cosa regnerà la tua avidità una volta che tutto sarà spazzato via? Quante morti dovranno subire gli abitanti dei villaggi circostanti per convincerti che non c'è altro modo se non quello di seguirci nella nostra battaglia? Con quale coraggio guarderai i tuoi uomini, quelli che chiami sudditi, affermando che non farai niente per proteggerli? Come potrai fregiarti dei tuoi titoli conscio della tua ignavia e della tua codardia nell'agire per un bene più grande? Come potrai... »
Diversamente dalla sua, la rabbia di Medoro nasceva dalla volontà di proteggere gli indifesi, nella speranza che l'Arconte mostrasse un minimo di considerazione per coloro che l'avevano reso ciò che era. Sarebbe stato un sovrano senza fiducia.
Voleva dargli modo di salvarsi, provando a convincerlo come aveva convinto Brennt, ma la risposta di Doleos gli fece capire come questo non fosse possibile.
« SMETTILA! » l'Arconte urlò furibondo, una presenza di spirito troppo blanda per resistere all'arringa di chi, un vero Re, l'aveva servito. « Io non devo spiegarti un bel niente, Medoro! Niente, assolutamente niente! »
« Dentro queste mura sono io che comando! Io faccio le domande e voi dovete prostrarvi. Le persone muoiono ogni giorno, e che sia per fame o per vecchiaia o per demoni, questo non cambia le cose. »
Paura. Zephyr gliela leggeva negli occhi, un terrore che aveva nascosto sotto una coltre d'indifferenza, rifugiandosi in quel castello insieme a tutte le sue guardie per rifuggere i pericoli oscuri che aveva sentito vessare i villaggi sotto il suo controllo.
Al sicuro, circondato dai soldati ai suoi ordini e alla servitù in attesa che la tempesta passasse. Ignorante e egoista.
Un comandante con poco coraggio e con ancor meno carisma.
Un uomo al pari degli altri, solo più dispotico e avaro, non certo un individuo degno di essere seguito, non quando una crisi senza precedenti incombeva su tutte le loro teste.
« Guardie, prendete questi due traditori e giustiziateli seduta stante! »
I soldati, dopotutto, erano semplici uomini con timori da superare e affetti da proteggere. Stupidamente, Doleos non aveva tenuto conto di questo. Si rivolse verso le guardie alle sue spalle.
Nessuno dei soldati si mosse di un passo, gli sguardi colmi di livore puntati verso l'Arconte.
Medoro scosse la testa sconsolato, Zephyr sorrise della prima gioia di quella giornata e Brennt ebbe un attimo di esitazione.
« Muovetevi! Vi ho ordinato di prenderli, catturateli e uccidet... »
Mentre ancora inveiva contro i soldati, le sue parole vennero spezzate da un getto di sangue e viscere, e dalla punta di una lama che gli sbucava dal costato. Provò per un momento a alzare le braccia tremanti come a cercare di estrarla ma caddero immote lungo i fianchi mentre gli ultimi palpiti di vita abbandonavano convulsamente il suo corpo.
Medoro ritrasse la spada, e il corpo morto dell'Arconte ricadde a terra alzando un lieve sbuffo di polvere sotto il suo sguardo laconico.
L'aveva colpito alle spalle, senza onore alcuno. Proprio come egli meritava.
Brennt, scuro in volto, si avvicino al cavaliere che ancora fissava il cadavere sotto di lui, comprendendo anch'egli il dolore al quale si era costretto, incapace di trovare un altro modo di agire. Aveva sperato in un esito diverso.
« Mi dispiace, Brennt. Ho fatto tutto il possibile ma... » il soldato gli mise una mano sulla spalla, comprensivo e al contempo frustrato. Sotto di loro, una chiazza di sangue si stava dipanando dal cadavere ancora caldo dell'Arconte.
« Lo so, Medoro. Nel momento in cui non abbiamo rispettato gli ordini di Doleos, ci siamo macchiati di tradimento, ma sono contento tu ci abbia sollevato dal crimine della sua uccisione. »
« Dobbiamo muoverci, Medoro. »
Era andato tutto come doveva andare.
« Non abbiamo più tempo, abbiamo ancora molta strada da fare. »
Medoro si rivolse un'ultima volta a Brennt, posando una mano sulla sua spalla come aveva fatto la notte che lo aveva salvato dal mostro.
Zephyr iniziò a incamminarsi verso le stalle, per nulla curioso di sapere in quale elogio Medoro si stesse prodigando nei confronti di Brennt o di come avesse intenzione di rincuorarsi a vicenda. Quello era stato solo il primo passo di un percorso che, in quel momento, era ancora interminabile. La prima scintilla di quello che doveva presto diventare un incendio.
Medoro lo raggiunse mentre lui stava ancora conducendo i cavalli fuori dalla stalla. « Meritava almeno un ringraziamento, dopo quello che l'abbiamo costretto a fare. » giustificò il suo ritardo con severità, provando a spiegargli qualcosa che Zephyr ben sapeva ma che poche volte aveva considerato importante. « Guiderà l'esercito di questo regno in battaglia solo perchè noi l'abbiamo ingannato e ucciso gente che conosceva da una vita. » si puntò un dito sul petto «Io l'ho convinto a tradire il proprio signore. »
Zephyr si chiese per quanto tempo i sensi di colpa avrebbero tormentato Medoro.
« Doleos era uno stupido. E un debole. Siamo venuti qui proprio per questo, perchè potevamo volgere la situazione a nostro favore. E lo stesso faremo almeno per un paio di altri regni... »
Prima ancora che la Rosa arrivasse alla locanda, il cavaliere aveva già mandato dei ricognitori a sondare la situazioni nei piccoli regni, cercando di capire con che gente si sarebbe ritrovata a trattare per unire nuovamente i regni del Dortan, prendendo informazioni sui sovrani e sulle personalità più importanti come i capi villaggio o soldati di alto rango per sapere quale genere di persone avrebbe dovuto tentare di convincere pacificamente a partecipare alla sua causa. Fu Zephyr che gli aprì gli occhi.
Partiti alla conquista dell'intero Dortan, Medoro aveva caparbiamente tentato con le sole belle parole di convincere il nobile di turno a cedere il proprio esercito per una guerra contro esseri che nessuno aveva ancora mai toccato con mano, troppo distanti, ancora troppo irreali. Ed erano stati cacciati in malo modo, evitando lo scontro armato per il rotto della cuffia.
Aveva voluto evitare vittime inutili, fallendo miseramente.
« Già, ma abbiamo comunque derubato Brennt del proprio onore. Ringraziarlo e incoraggiarlo mi sembra doveroso. »
E se quello era un regno piccolo e povero, e Doleos un regnante mal visto e avido e codardo, Brennt era stata la vittima perfetta.
Era bastato aspettarlo rincasare, per far saltare in aria degli edifici con un esplosione fragorosa, e ingannarlo prendendo le sembianze di un mostro nero. La sua cenere era diventata pece, e dopo una breve schermaglia con i soldati gli era stato sufficiente teletrasportarsi al sicuro lasciando dietro di se una sbuffata di liquame nero per fargli credere che Medoro avesse ucciso il mostro con le proprie mani.
Una farsa bella e buona. Di vero c'erano state solo le morti di qualche abitante e la p a u r a.
Anch'essa in parte magica, in parte terribilmente vera.
« Potrai ringraziarlo una volta finita questa guerra, nel caso riuscissimo a vincere. Altrimenti sarà lui a doverti ringraziare, per avergli dato la possibilità di combattere per la propria vita in prima linea. »
Zephyr montò sul cavallo, deciso a tagliare corto e dirigersi verso la tappa successiva del loro viaggio.
« Un Monarca non può permettersi di tergiversare o chinare il capo perchè, inevitabilmente, la corona cadrebbe dalla sua testa. » Non avrebbe permesso che chi li aveva trascinati in quella missione disperata finisse vittima di dubbi e moralismi dopo qualche sacrificio e un paio di bugie « pensi che la Sua mente abbia mai vacillato mentre inseguiva i suoi obiettivi? E come puoi te sperare di replicare le sue gesta, di resuscitare il Suo Leviatano se hai dei ripensamenti alla prima difficoltà? »
Partì al galoppo, lasciandolo dietro così che rimuginasse in solitudine alle sue parole e facesse pace con la sua coscienza.
Se veramente aveva ancora delle perplessità, avrebbe fatto bene a nasconderle meglio.
La loro missione era troppo importante.
...
« Non abbiamo il suo poter soverchiante o il suo intelletto, però ci rimane la p a u r a.
Il terrore di un Monarca Invincibile ha tenuto il Regno unito sotto la bandiera del Leviatano e gli eserciti hanno marciato sotto di lui, obbedienti e implacabili.
Dobbiamo solo farli sprofondare nell'abisso della disperazione e poi tendergli una mano caritatevole, aiutarli a rialzarsi e dargli speranza.
Dobbiamo ingannarli tutti, mentirgli e fargli credere che i demoni incombano su di loro, glieli faremo vedere più da vicino di quanto abbiano mai pensato fosse possibile.
Useremo i nostri uomini per spargere storie terrificanti, fomentando il terrore nelle piazze cittadine, predicheranno di guerre con i demoni e di come gli altri regni si stiano già muovendosi per combatterle. Di come anche il loro aiuto sarà necessario.
E poi, in alcuni regni qualche mostro lo faremo apparire davvero.
Mi basta solo qualche incanto e un pò di suggestione, e alla fine il paladino che dissolve l'oscurità che risolve la situazione. Loro assisteranno alla comparsi di un abominio, e le voci messe in giro dai nostri uomini aumenteranno esponenzialmente; noi, o meglio, tu diventerai il salvatore, l'eroe in armatura dorata che sconfigge il mostro, perorando la causa degli Dèì per convincere i più scettici.
Gli offriremo le bugie più reali che gli siano mai state propinate e saranno i popoli a convincere i propri regnanti a seguirci in battaglia! Anzi, nel caso in cui qualcuno di questi sedicenti sovrani si rifiuti, saranno loro a rivoltarsi contro di lui, destituendolo per accorrere da noi ansiosi di combattere, perchè penseranno che, più grande l'esercito, più grandi saranno le possibilità di vittoria.
Tutto questo solo con qualche illusione e al prezzo modico di qualche vita. Sai anche tu che è l'unico modo possibile.
E, se davvero riusciremo a beffarli tutti, consacreremo a lui questo enorme inganno.
Ci pensi, Medoro? Se tutto va come deve andare il mondo sarà nuovamente scosso dal Leviatano.
Come molti anni fa, Medoro.
Come quando ancora servivamo l'ultimo Re degno di essere chiamato tale. »