Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Posts written by ~Coldest.Heaven

view post Posted: 2/2/2020, 22:16 Il lascito degli Dèi ~ inno all'oscurità - GdR

Alder accolse il bardo con un cenno del capo e lo invitò a sedersi. Una volpe nera apparve poco dopo lui, seguendolo e sedendosi ai suoi piedi, una piccola sagoma immateriale. A giudicare dalle movenze goffe ed esitanti del giovane, doveva essere stata una giornata di faticosa marcia. Un po' tutti erano stanchi, sia fra le forze dell'alleanza che quelle di Lithien. Alcuni più di altri. Con Surturson sparito e Glacendrangh in quello stato, l'elfa si era trovata di punto in bianco a fare le veci del comandante. Nel giro di una manciata di settimane era stata strappata alla fortezza dell'Erynbaran per essere lanciata in qualcosa di più grande - per cui, tutt'ora, non necessariamente si sentiva pronta. Ma quando gli occhi dei suoi sottoposti fra le Lanterne si erano spostati su di lei, in attesa della prossima mossa, quelli delle altre figure a capo dei loro alleati avevano man mano fatto lo stesso - finché lei non accettò tacitamente quel ruolo. «Dicono che hai notizie da riportare. Ha a che fare con il perché Lithien non si sia mossa sino ad adesso?»

Con un gesto la donna indicò la propria borraccia, e il bardo bevve avidamente. «Sarà...» si interruppe di colpo, tossendo per l'acqua andata di traverso. Lei non gli tolse gli occhi di dosso nemmeno per un attimo. Il ragazzo era stato uno di loro: aveva sentito parlare di lui. Solo, era sparito, lasciandoli da soli a combattere l'oscurità. E nel momento in cui l'oscurità si era fatta fitta, il Kishin ad orchestrare ogni sua mossa, era tornato - portando uomini e donne pronti a dar man forte a chi avrebbe tranquillamente potuto tacciarlo come disertore. Alder stessa era insicura di se ringraziarlo o meno, specialmente visto il ritardo. «... sarà una lunga storia.» Lei annuì senza dire una parola, quindi Taliesin iniziò a raccontare una storia che sarebbe parsa un'altra delle sue storie narrate, ballate intrise però di un'oscurità priva di fondo che di certo non apparteneva al suo repertorio tipico.

Quando finì, i due rimasero in silenzio per diversi momenti: lei si mordeva il pollice, lui fissava assente il tavolo, di tanto in tanto voltandosi verso l'entrata della tenda, come se si aspettasse che uno di loro entrasse.
«Quindi Lithien è stata penetrata dall'interno. Tutt'ora è in stato di pericolo, se la breccia è avvenuta senza che vi fosse maniera di prevederlo - e prevenirlo.» deliberò infine lei. Non le piaceva come prospettiva, per nulla, ma l'assalto era sostanzialmente stato respinto. Non potevano fermarsi, non per Lithien, non per ogni singola persona in pericolo - non finché il Kishin respirava. Per quanto avessero fatto l'impossibile, riunendo l'Edhel sotto un unico accordo, non sarebbero mai riusciti a salvare tutti. Le foreste di chi aveva ignorato il loro richiamo alle armi sarebbero bruciate, le fortezze di pietra degli Anahmid più testardi sarebbero crollate, e persino Lithien non sarebbe sopravvissuta ad un'altra incursione tanto disastrosa.

«Comandante Alder.» La voce cauta del ragazzo la scosse: non si era nemmeno accorta di star stringendo i pugni tanto forte che le unghie erano affondate nei palmi. Quando si volse verso il Canterino, come una volta era conosciuto fra i suoi compagni nelle Lanterne, venne colpita dalla sua espressione. Non meno stanca di prima, a dir poco esausta, ad un passo forse dal crollare - eppure una stoica fiamma riluceva nei suoi occhi, tale da quasi proiettare ombre sul suo viso invecchiato troppo presto dopo l'esperienza dell'invasione di Lithien. E forse di qualcos'altro. «Se posso, che fine ha fatto Jevanni?» La donna sospirò, quindi si alzò in piedi e gli fece cenno di seguirlo fuori. Mormorando, seguita dal bardo e dalla sua strana volpe, gli raccontò del Talamlith e della tormenta, dei draghi e dei demoni. E gli disse di quando, davanti ai suoi occhi, il guerriero si era spento davanti ai suoi occhi.

- - -

Quando giunsero nell'altra tenda, Alder congedò con un cenno il ragazzo che stava facendo la guardia - questo annuì sollevato ed uscì, lasciandoli soli. La tenda al suo interno aveva un gelo innaturalmente profondo e conteneva un solo grande oggetto che la riempiva quasi del tutto. Il bardo realizzò immediatamente che fosse quella la fonte di quel freddo.
«È così da quando si è conclusa la battaglia.» disse lei, tetra. «Durante la battaglia ha perso conoscenza dopo averci messo tutto sé stesso - ma prima che potesse risvegliarsi, è successo...questo.» Sfiorò con le dita l'oggetto, un blocco di ghiaccio dalla forma simile ad una bara priva di un coperchio sollevabile, al cui interno era visibile il Guerriero in uno stato di apparente incoscienza. L'elfa fissò il bardo. «Crediamo lo abbia fatto da solo.» Si era detto che fosse naturale - per quanta naturalità potesse esserci in quella bizzarra stregoneria; che fosse una misura estrema per proteggersi durante il recupero delle forze, come un letargo per un orso ferito. Una congettura al volo per tranquillizzare le truppe, ma a cui lei poteva credere solo in parte. Pure in quel momento, guardando un Jevanni così sereno dentro quel sigillo di cristallo, lei non poté scrollarsi del tutto il dubbio che quella barriera non fosse tanto per proteggersi, ma separarsi. Concedersi un sonno indisturbato, che nessuno però si sarebbe potuto concedere in quel frangente. No: dopo tutto quello che era successo, persino con la morte di così tanti e dei propri cari, nessuno si sarebbe voluto concedere un momento di riposo.

Gli occhi dell'elfa si soffermarono su un dettaglio che prima non aveva notato: una crepa, proprio sotto l'indice, attraversava la superficie altrimenti perfettamente liscia. Era piuttosto sicura che non ci fosse prima. Con la coda dell'occhio vide un guizzo nero - mise a malapena a fuoco la volpe balzare sulla bara, prima che essa sparisse come una goccia d'acqua in uno stagno: in quel momento Jevanni riaprì gli occhi. La crepa si allargò, si moltiplicò fino a diventare una ragnatela, e davanti ai due la bara si infranse con un tintinnio a malapena udibile, come se non si fosse trattato di una mole massiccia di ghiaccio ma un paio di schegge di vetro lasciate cadere a terra. Il Guerriero, ora sdraiato al suolo, si sollevò a sedere sotto gli sguardi esterrefatti di Alder e Taliesin.

«Che diavol...?!» imprecò Alder, la mano istintivamente portata ad un bastone che era però troppo distante, lasciato appoggiato fuori dalla tenda; Taliesin rimase invece ammutolito. Jevanni osservò per un lungo, lunghissimo momento i loro volti esterrefatti - una dozzina di secondi in cui parve non riconoscerli, per poi finalmente sorridere e alzarsi a fatica in piedi. «Bene...credo...» si aggiustò la veste, stiracchiandosi appena con diverse smorfie, i muscoli intorpiditi. «...credo che la battaglia sia finita.» Alder annuì lentamente, la sua pelle pallida che man mano riprendeva colore e contegno con una forza che non le parve propria. «Il Talamlith è nostro. Abbiamo continuato la nostra marcia; il Kishin è stato sconfitto nel Matkara, e le Ombre si sono unite a noi. La prossima missione, per quando potremo muoverci...» Jevanni scosse il capo ed allargò il sorriso. «Ho riposato e visto ciò che dovevo vedere, fatto quello che dovevo fare. Sono pronto per questo ultimo passo, Alder.» Si rivolse dunque al bardo, che ancora non era riuscito a spiccicare una parola - ma i suoi occhi lucidi dicevano abbastanza. «Hai fatto quello che ti avevo chiesto?» Il ragazzo annuì, esitante, distogliendo però lo sguardo con una traccia di ansia. «Lithien è stata invasa dai demoni. Siamo a malapena...insomma, siamo qui. Mi dispiace non essere arrivato prima.» Jevanni annuì e gli diede una pacca leggera sulla spalla, costringendolo a guardarlo. «Va bene così. Davvero. Hai fatto del tuo meglio, ed è bastato: il nemico è ancora qui, in fondo. Non sei in ritardo.» Lo fissò dritto negli occhi finché non riuscì a scorgere nei lineamenti una vaga forma di convinzione. «Sei stato coraggioso e forte, per essere arrivato fin qui. Grazie per aver tenuto duro.»

Finalmente il bardo si lasciò andare ad un sorriso debole, capace di dar vita al volto altrimenti smunto e segnato dalle intemperie subite e i giorni - quelli che sarebbero potuti essere gli ultimi giorni in cui avrebbero effettivamente vissuto. Come pagine e parole tracciate su un inchiostro che stava per terminare, sui bordi di una pergamena ormai prossima alla fine. Era una sensazione palpabile nell'aria, tale che nonostante la serenità trasmessa dal volto del Guerriero, nessuno riusciva ad essere realmente tranquillo e dimentico dell'imminente scontro. «Dovremo scendere nelle profondità di Theras. Ripartiremo all'alba.» Il Guerriero annuì gravemente, e con un gesto la spada rinfoderata gli apparve fra le dita. «Costi quel che costi.» L'elfa incrociò le braccia quindi rivolse uno sguardo penetrante al bardo per comprendere le sue intenzioni. Questi sentendosi interpellato aprì la bocca - ma non riuscì a parlare. Come un brutto sogno in cui spalancava la bocca e il suono della voce non riusciva a liberarsi dal petto, come un gatto privato degli artigli, Taliesin il bardo si sentì inerme di fronte a quell'improvvisa inquisitività. In passato aveva reagito con violenza a quegli approcci, lasciandosi alle spalle tutto e tutti pur di non avere nessuna catena e nessuno a cui dover render conto. «La battaglia non è ancora finita - ma hai fatto quanto ti avevo chiesto. Non hai più nessun vincolo.»

Il ragazzo chiuse gli occhi. La volpe nera si era dissolta, e con essa il controllo che il Guerriero aveva posto su di lui. Aveva imparato il nome del famiglio quel fatidico giorno in cui Lithien bruciò sotto il controllo dei demoni: Andvar. Responsabilità. Il più grande dono e la più grande maledizione, crudele frutto di un'amichevolezza artefatta e di una disperazione che aveva costretto il Guerriero a plasmare un guardiano che tenesse d'occhio la volpe, creando una sua Ombra che lo seguisse e fungesse da suo opposto per riportarlo al suo dovere. Taliesin non era stolto: aveva notato la traccia di colpevolezza da parte di Jevanni, il velato dispiacere nell'incontrare lo sguardo e il suo tentativo di rassicurarlo per rimediare al fardello imposto. E sapeva che non era stato un caso che l'Ombra l'avesse costretto a rimanere sul suo cammino con tanta solerzia dopo la sua promessa stretta con lo spadaccino. Ora che era sparita, il peso della libertà era sprofondato sulle sue spalle.

«Ci sarò.»

- - -

Le truppe marciavano nell'oscurità del Samarbethe. I loro passi tentavano di essere leggeri, ma era abbastanza futile: gli occhi dei Molti erano puntati su di loro, e le pareti nude scavate nella roccia sembravano essere gole che solo attendevano che il boccone giungesse, per poi deglutirlo. La prima ed unica portata: loro.

«Hai paura?» Al suo fianco, Mikhiel digrignò i denti e diede impressione di voler sputare per terra, ma ci ripensò subito ricordando dove si trovavano. «Mai stato più tranquillo. Secondo te, coglione?» Poco davanti, al fianco di un Donovan di fronte all'armata, Alder si voltò per rifilargli un'occhiataccia - i suoi occhi scuri a malapena visibili nell'oscurità - ma Jevanni le fece cenno con la mano ridacchiando. «Risposta più che adeguata. Non sono molto bravo a far conversazione.» La Lanterna gli lanciò un'occhiata torva, grattando l'elsa dell'ascia riposta nella fondina al fianco. «No, infatti.» Dopo una breve pausa, scrutandolo, borbottò qualcosa che si perse nell'echeggiare della moltitudine di passi degli eserciti. «Hai...?» L'altro sbottò schiaffandosi la mano in fronte, sibilando fra i denti una bestemmia che il Guerriero riconobbe divertito pur senza udirne la voce. «Grazie. Ti sto ringraziando. Maledizione, c'è davvero bisogno di farmelo urlare? Grazie. Toh. Pensavo fossi un buffone, e non mentirò: nel Talamlith ero lì lì per tagliarti quel cazzo di braccio quando ti ho visto restar fermo tutto il tempo. Poi ho visto...insomma, hai salvato Rusk ed Alder prima di crollare come un sacco di patate.» E Jevanni rise. Una volta per quel tono e linguaggio si sarebbe sentito piccato nell'orgoglio - gli era costato quasi la vita e aveva riversato ogni propria risorsa in quello scontro, dopotutto - ma era evidente nel modo in cui camminava che qualcosa fosse cambiato. Rispetto alla prima volta che Mikhiel l'aveva visto entrare nella baita-rifugio proponendo quel folle piano, il Guerriero dell'Inverno aveva qualcosa di radicalmente diverso: una vitalità nuova, una leggerezza nel suo portamento che portava una prontezza. Confidenza irradiata, una torcia che da sola poteva scaldare l'esercito e illuminare il cammino - lui, che aveva evocato una bufera da oscurare il cielo e gelare le ossa nemmeno qualche giorno prima. E inaspettatamente, il Guerriero rise, forte, come nessuno in sua presenza in quell'intero esercito l'aveva mai sentito. Il suono colse di sorpresa i più vicini, che dapprima nervosi si unirono, poi sempre più rilassati, fino a riempire quella grotta sempre più piena di ragnatele mosse dalle correnti delle gallerie di una cacofonia di voci di ogni razza e lealtà, fede e paese.

Per un momento, davanti alla morte, il mondo rise.

Mentre ancora l'ilarità collettiva era in procinto di spegnersi, Jevanni si congedò con una pacca sulla spalla della Lanterna e rallentò salutando con cenni vari gli uomini della Ruadh, Rusk, Gramar, e tutti i compagni dell'Ordine con cui aveva parlato - prima di giungere ad un ragazzo che poggiava, evidentemente teso, la mano sul pomolo di una spada. Al suo fianco, il Beduino vide Jevanni e si congedò con un gesto - andando ad unirsi al resto dei suoi uomini. «Mi sono sempre chiesto: è un gran bel fodero. Non è troppo grande per la tua spada?» Taliesin gli lanciò un'occhiata confusa, riscuotendosi dai suoi pensieri con un sussulto, poi chinò lo sguardo verso l'arma. Compagna di una vita passata all'insegna del non usarla, dell'avere una garanzia, sempre un piano B - ma forse, dopotutto, la più grande finzione di tutte: l'essere capace di difendersi. «Non conta la dimensione effettiva della spada, ma la percezione che si ha di essa.» Dopo un po', fissando un punto indefinito davanti a sé - come se per riascoltare quanto aveva appena detto - sfoderò un sorrisetto. «Proprio come --» ma quando si voltò, Jevanni era sparito. Ai suoi lati, sorpassandolo non appena si fermò, gli uomini continuarono a marciare senza curarlo di uno sguardo, procedendo strenuamente nelle gole del Samarbethe.

- - -

Jevanni aveva sfoderato Orizzonte ed era scattato in avanti sentendo il boato e l'eco delle urla proveniente dalle prime file - ma l'oscurità era divenuta più fitta, e le torce spente da un improvviso, fatale vento avevano lasciato che le tenebre si impadronissero della testa dell'esercito. Clangore di spade e voci e versi stridenti rimbalzavano nelle orecchie, e improvvisamente il caos animò le viscere della terra stringendo le sue fauci sugli incursori del Samarbethe. Jevanni non aveva bisogno della vista: l'istinto quasi sovrannaturale affinato in una vita di scontri in condizioni avverse, costretto a non potersi basare solo sull'illusione (o percezione, qualcuno avrebbe detto), gli permetteva di scorgere quasi chiaramente l'uomo che si parava di fronte a lui e la mostruosità che, poco oltre, usava una delle sue chele e ganasce per sventrarlo. Udiva le urla ruggenti di Donovan nell'affrontare simultaneamente due demoni simili a mantidi, con corpi sinuosi dotati di lame lungo le braccia che danzavano avanti e indietro evadendo la sua spada e i suoi lampi di luce, e sentiva il clangore pesante dello spadone di Alder poco più avanti - per poi sentire uno stridio assordante e infine il più assoluto silenzio. Le truppe erano come congelate dietro di lui, dove i bastoni delle Lanterne proiettavano una luce tenue e tremolante nel buio incalzante, come pece che cola pronta ad accendersi in un incendio per divorarli tutti in un batter d'occhio. Davanti al Guerriero, però, solo un improvviso sudario: un passo esitante in avanti, poi un altro, sentì i cadaveri ai propri piedi quasi farlo inciampare. La tranquillità con cui si era addentrato nei cunicoli era stata sostituita da confusione, un crescente orrore che solo a fatica tenne a bada.

Qualcosa nelle tenebre si mosse; Jevanni sferzò l'aria con un fendente, il brillare dei funesti venti dell'Edhel comandati dalla lama si abbatté come un maglio nella direzione di quel movimento a malapena intravisto, ma l'essenza delle tenebre lo evase con la semplicità disarmante di una fiamma che rimane a malapena turbata dalla pietrolina scagliatavi attraverso, e questa gli guizzò contro passandogli ai lati senza curarsi di affrontarlo, andando a cercare famelica - un brulicare di zampette e sfilacciare di ragnatele ancora attaccate - le prede più indietro. Il Guerriero fece per seguire la matassa oscura, ma non appena fece per voltarsi il sesto senso lo costrinse a porre Orizzonte di fronte a sé; un colpo possente tuonò come acciaio fino ad assordarlo, e l'impatto dell'arma posta a difenderlo rischiò di lussargli la spalla. Arretrando cauto, ora in posizione di guardia, lo spadaccino riuscì finalmente a mettere a fuoco la sagoma che si poneva di fronte a lui - e fu sicuro di star sognando.

- - -

Taliesin si guardò attorno, improvvisamente confuso dalla sparizione di Jevanni. Si guardò a destra e a manca, cercò nelle retrovie ma non gli riuscì di guardarlo. Il passo monotono dei soldati nella quiete soffocante prima della battaglia era un tamburo che rullava, ma era una melodia alla quale non aveva voglia di unirsi. C'era qualcosa che voleva dire al Guerriero, qualcosa di importante - non quella sciocca battuta di pessimo gusto che sul momento gli era sorta, maledizione a lui e alla sua linguaccia lunga. Doveva dirgliela prima della battaglia, prima che il momento di pentirsi lo cogliesse, prima che quel briciolo di spina dorsale sparisse al primo soffiare del vento di guerra. Chiese ai più se avevano visto il Guerriero, ma i più alzarono le spalle e gli altri lo fissarono infastiditi. Alcuni di loro si erano uniti ai canti la notte prima, e per poco il Bardo non finì per replicar loro aspramente - ma si era trattenuto: si trovavano tutti, in fondo, sulla stessa barca. Una barca magica che raschiava la sua chiglia contro il fondo pietroso, trascinandosi con crescente rammarico e un malcelato timore, un timore però perpetrato dalla nenia stridente del legno e riecheggiante nelle orecchie, l'accompagnamento agli stivali sulla terra. C'era qualcosa di bieco e parimenti ipnotizzante in quella manifestazione di lugubria, eppure la mano ancora non corse a cercare lo strumento per porre la propria impronta sonora accanto a quelle del mondo.

L'Ispirazione era una musa dolce e invitante come le ragazze per le quali il suo cuore aveva battuto, ma lì dentro era come se, tolti i veli, la pelle della fanciulla fosse putrefatta e i suoi denti ingialliti e cadenti svelassero una lingua biforcuta e sibilante - e se avesse pizzicato anche una sola delle corde, lei si sarebbe avvinghiata al suo collo e glielo avrebbe strappato a morsi ridendo, folle. Cercò più avanti, si avvicinò a Juan toccandogli un braccio per richiamare la sua attenzione, ma questi lo scacciò con un gesto senza interrompere l'infervorata discussione che stava avendo con una delle Lanterne; parve al Bardo che il beduino stesse tentando di vendergli uno dei ninnoli, raccontando di come quell'amuleto lo avesse protetto durante lo scontro nelle piane con i demoni. Da un lato volle sorridere, pensare che nonostante il momento il suo pensiero fosse sempre volto agli affari, ma dall'altro l'inquietudine di sottofondo - lo sguardo della musa - gli impedì di considerare il lato quasi grottesco di un manipolo di canaglie in un contesto che non lasciava spazio per svicolarsi, lasciare agli altri il momento eroico. In quella storia gli eroi sarebbero stati anche loro. «È importante.» Juan finalmente si scusò con la Lanterna, un ragazzo con i capelli ricci castano chiaro dalle orecchie da elfo appena accentuate, e si voltò di scatto con a malapena dissimulata irritazione. «Vai, dimmi. Cosa c'è?» La reazione brusca dell'amico lo colse di sorpresa, un po' lo ferì, ma non lo diede a vedere. «Hai visto Jevanni?» L'altro lo squadrò confuso per un attimo, occhi sottili. «Chi? Jev...oh, l'albino?» Fissò più in avanti, sollevò il braccio. «Sarà prob...» non riuscì a finire la frase, la voce si ridusse ad un sibilo a malapena udibile, come se qualcosa gli avesse accartocciato la gola stringendola con un pugno d'acciaio invisibile. Lui e molti altri nei pressi si fermarono, di punto in bianco, chi tastandosi la gola e chi piegato in due o in ginocchio in preda a dolori indicibili, tremando sempre più forte - e gli uomini di Lithien seppero subito cosa stava succedendo, sfoderando le armi e intonando incantesimi rivolti ai loro compagni. Taliesin, bianco come un lenzuolo, arretrò mentre qualcosa di anche a lui familiare accadeva a Juan. «Un'altra epidemia! Alle armi!» tuonò un vecchio mago, e immediatamente le truppe si allontanarono dagli individui colpiti, le cui fattezze stavano già iniziando a mutare e le voci a riaffiorare con tonalità gutturali e strianti. Il primo a scagliare un dardo di luce fu il mago che aveva lanciato l'allarme, e subito dopo demoni ed ex-compagni si scagliarono l'uno contro l'altro in uno scontro fatto di lampi bianchi e vermigli che danzavano nella penombra dei tunnel. Anche più avanti e indietro l'esercito era in subbuglio, e il Bardo man mano indietreggiò fino a toccare una delle pareti con le spalle. Il cuore a mille, la mano che stringeva convulsa l'elsa di Fabula ma non riusciva a tirarla fuori, impigliatasi nel lungo fodero, il ragazzo fissò tremante la Ruadh venir dilaniata e il Beduino cadere per mano del ragazzo a cui aveva voluto vendere il gingillo.

Fratello contro fratello, l'esercito si stava uccidendo - e lui non aveva la minima idea di cosa fare. Voleva fuggire. Questo era ciò che avrebbe voluto dire allo spadaccino, molto prima che quel momento arrivasse - e ora sarebbe stato troppo tardi per farlo. Raccolse le energie per lanciarsi in avanti, schivando qui e lì colpi di lancia, mazza e incantesimi che andavano a sbriciolare la pietra ad un soffio dal cappuccio del proprio mantello scarlatto, spingendo a terra con una spallata un Anahmid a cui erano spuntate due braccia scheletriche dal collo, per poi scavalcarlo con un balzo. Quando le gambe furono sul punto di cedere si accasciò in un anfratto riprendendo fiato, le mani tremanti e sudore gelato a fargli girare la testa. Una vena pulsante nel collo ritmava i battiti del cuore con la violenza di un martello sulla fronte. Non è reale. Non può essere vero. Non di nuovo. I pensieri erano serpenti neri che scivolavano nella sua testa ai lati del suo campo visivo, vermi che rifuggivano ai confini di quanto la sua testa tentava di elaborare - senza successo. Come possiamo vincere? Perché non posso...perché non posso vincere?! Gli eroi salvavano tutti alla fine di una storia - era necessario che fosse così, perché ci fosse qualcuno a raccontare le sue gesta alle generazioni successive. Non sono un eroe. Sarebbe morto, e non valorosamente: sarebbe morto in quel cunicolo e la sua carcassa sarebbe rimasta a marcire, forse divorata da chissà quali bestialità. Il suono della battaglia parve distante in quel momento, la testa in principio di spaccarsi. Non ci sarebbe stato nessuno a ricordare con affetto il suo nome, a guardarlo arrivare pomposo per le strade e dire So chi è!. Nessuno sguardo languido di fanciulla sognante, nessun timore reverenziale ad accompagnare i suoi ingressi nelle grandi sale. Perché sarebbe finita lì. Finì per fissare una pozza di sangue, nella quale attraverso la luce tenue dei lampi di battaglia riusciva a malapena a specchiarsi. L'occhio sinistro, che gli aveva preso a far un male indicibile, era diventato nero. La gola era divenuta secchissima, e le dita tremavano: iniziava a comprendere. Sarebbe successo presto. Pensieri alieni si infiltrarono fra i labirinti di paura, sussurrando di rasserenarsi e concedersi invece di opporsi, e che tutto sarebbe presto sembrato più naturale. Tutto più ovvio. Più semplice. Voci di tanti, fiume di mormorii dove tranquillamente perdersi invece di dover strillare per farsi sentire. Gli occhi seguirono il flusso di sangue che aveva originato la pozza, e scorse gli occhi privi di vita di Jevanni, la sua testa mozzata e rotolata dal corpo fino a giungere a pochi passi da dove il Bardo si trovava.

Voglio fuggire.
Hai ragione a volerlo. Puoi farlo adesso, se vuoi. In questo preciso momento, pure. Nessuno lo noterebbe.
Non...non sarebbe giusto.
No, non lo sarebbe. Nessuno ti obbliga a fare del bene. La vera domanda è...
Che cosa voglio fare.
Hai sempre fatto quello che volevi, Taliesin. Uomini più saggi di me ti direbbero che questo è ciò che conta.
Allora perché mi hai contattato? Perché mi hai fatto andare a Lithien?
Credevo che fossi intelligente abbastanza da capire la necessità della situazione.
Che avrei fatto qualcosa di assolutamente folle contro ogni istinto di autoconservazione?
Che fossi più di quanto pensassi di essere.
Lo sono?
Solo tu puoi dirlo. Solo tu puoi saperlo. Solo tu puoi deciderlo.
E se non volessi?
Allora la tua storia terminerà assieme alla mia.

L'occhio destro era per metà nero, e una vampata di calore si era impossessata del Bardo aumentando la nausea. Si risollevò a fatica con un corpo che sembrava mosso a distanza attraverso fili di burattinaio invece che da tendini. Riuscì finalmente ad estrarre Fabula e appoggiò la sua fronte umidiccia sull'acciaio gelido della spada. No, non avrebbe avuto senso farla finita così: avrebbe solo significato lasciarsi totalmente in balia del Guerriero.

Mi sarebbe piaciuto un modo più facile per diventare famoso.
Quelli come noi vengono dimenticati facilmente, amico mio. Ma forse un posto c'è per chi vince questa guerra.
D'altronde non ci sarà nulla da raccontare se non finisce oggi.
Nessuna storia lasciata a metà può essere tramandata.

Il Bardo scosse il capo per scacciare i sussurri dalla propria testa, una mano poggiata sull'occhio sinistro e la bocca schiusa a respirare affannosamente. «Ti dispiace se nella storia ometto la parte della volpe in Lithien? Se devo essere coraggioso ora, tanto vale dire di esserlo stato pure lì...?» Jevanni non rispose: gli occhi vitrei e la bocca erano sempre immobili, e per sempre lo sarebbero stati da allora. Eppure, in un angolo recondito della sua mente, al confine fra la realtà e il dubbio, Taliesin credette di sentire un verso soffocato, una risata dal naso sfuggita.

Il ragazzo uscì dall'anfratto e si avventò sui demoni, abbattendone due, il primo affondando la spada fino al petto e il secondo decapitandolo con un fendente brutale. Nuova energia nelle sue braccia, frutto dello stesso influsso diabolico che intendeva trasformarlo nelle aberrazioni che avevano quasi raso al suolo Lithien. Altri si voltarono e si lanciarono, ma il Bardo passò oltre i loro attacchi e deflesse un calcio con il piatto della spada, per poi piantare quest'ultima fermamente nella fronte del più vicino, proprio fra i suoi attacchi. Schioccò le dita e il liuto apparve fra le mani, e prima ancora di rendersene conto queste già stavano pizzicando le corde seguendo note che dall'essere vagamente nell'aria parevano ora marchiate a fuoco su un pentagramma imprescindibile dalla realtà stessa.

La musa sussurrò le parole nel suo orecchio; nonostante il suo alito pestilenziale pregno di putrefazione e sangue l'avrebbe di norma fatto svenire, lui inspirò a pieni polmoni - quindi aprì la bocca e iniziò a cantare. Le parole che scivolarono dalle sue labbra sovrastarono il clangore e le urla, man mano riempiendo come acqua e permeando le menti di demoni e combattenti assieme: elfi e umani, demoni e ombre, paralizzati sentendo un linguaggio che mai avevano sentito e che pure riuscivano a comprendere - inspiegabilmente. Parole appartenenti a tutti e nessun idioma, capaci più di qualunque altro modo di brecciare la paura, la collera e la disperazione, paralizzando il mondo intero sul suo asse - come un pubblico ammutolito, e lui fosse la stella.

La voce tremò, la gola stretta nella morsa - la fetiales continuava il suo percorso, inesorabilmente tentando di strappargli l'ultima arma che gli era rimasta; si fermò, deglutì quello che gli parve essere catrame, e inspirando nuovamente tornò: la voce esplose questa volta, annichilendo i demoni e facendo ondeggiare la realtà stessa, finché questa non iniziò a sfumare e perdersi in un mare di luci, suoni e vibrazioni che iniziarono a scindere da quella visione di incubo che gli era stata imposta. Il Bardo cantò, e cantò a lungo finché la voce artificialmente arrochita non tornò la sua vera essenza, e l'asse del mondo tornò a girare per tutti.

- - -

Jevanni sapeva che quella che aveva davanti fosse una menzogna: questo tuttavia non lo fermò dal gettarsi in avanti come una furia, calando un fendente sull'omone con tanta violenza che nel venir parato provocò una pioggia di scintille. Altri attacchi partirono: alcuni vennero deflessi dallo spadone, alcuni colpirono il mastodonte ma all'impatto fu come colpire un lenzuolo impalpabile. Era un'illusione, qualcosa che non doveva esserci: qualcosa che doveva appartenere al passato, eppure era lì.

«Fuori dalla mia testa...ora.» Il volto massiccio di Yester, la Montagna di Uthenera, lo osservava impietosamente da dietro la celata che copriva il resto del suo capo. Tanto, tanto tempo addietro gliel'aveva strappato dalla testa - si erano scontrati e si erano battuti. E Jevanni aveva vinto: solo, aveva commesso un errore.

«Bello vincere, eh? Ti dà una certa sensazione, un non so cosa di soddisfacente.»
La voce non venne dall'omone, ma proprio nella sua testa - una fitta di dolore che gli fece digrignare i denti.
«Non c'è posto per te qui. Non ho paura di te.»
«No?»
Lo spadone mulinò sfregiando cinque volte in rapida successione il suolo, lanciando scintille e rintoccando a mo' di campana prima di abbattersi in due guizzi rapidi (troppo perché fosse fisicamente possibile) sul Guerriero; questi deviò il primo a lato e sfruttò la violenza del colpo per portarsi all'infuori del raggio del secondo. Si scambiarono altri attacchi come una fitta ed intricata danza le cui mosse erano poco più di un battito di ciglia.

«Sei rimasto solo perché sei incapace di proteggere gli altri.»
«Ho combattuto al fianco di altri sino ad ora, non sai niente.
Fuori dalla testa ho detto, maledizione, FUORI!
»

Yester fece per deviare l'attacco, ma Orizzonte attraversò la spadone del bestione come fosse stata di burro spezzandola nettamente. Jevanni sfruttò il momento per voltarsi e tirare un affondo dritto nel petto, penetrando l'armatura e trafiggendo proprio il petto della Montagna. Con un sussulto ed un brivido questa parve afflosciarsi, ma il Guerriero non commise l'errore dell'ultima volta: posò il palmo della mano libera sulla fronte dell'omone, da lì una patina di ghiaccio si andò a formare fino a racchiuderlo in una vera e propria statua di ghiaccio.

«Non...non è Uthenera. Sono diverso.»
Ansimante, sfilò la spada dalla statua violentemente. Questa cadde in frantumi - di Yester, nessuna traccia.
«Più cambi, più rimani lo stesso.»

Alle sue spalle, avvertì la presenza di Yester. Non erano più nei cunicoli, non più nelle viscere del Samarbethe, ma fra le piane di un campo di battaglia devastato dalla foga di due nazioni che si erano scontrate con l'idea di dividersi i territori. Una gran collina sormontava quel tavoliere spezzato, un tempo l'aveva discesa a cavallo. Il Guerriero inspirò, ma il petto era come stretto da una ganascia impalpabile. Quando abbassò lo sguardo, Orizzonte era spezzata e macchiata di sangue nel punto di frattura.

«Non puoi sconfiggermi ora. Non puoi sconfiggerci.»
«Tu e quale esercito?»

Il suolo era lastricato di cadaveri impilati l'uno addosso all'altro. Alcuni di Uthenera, alcuni delle Lanterne, Arshaid e Ruadh, Lady Alexandra e Serhat Satu, Hocrag e Kreisler, Visilne ed Asmus, Seyrleen e tutte le vittime che il mondo aveva mietuto e strappato crudelmente. Uomini e donne che Jevanni aveva conosciuto o visto, e alla fine di tutto quanto - alla fine di tutte le guerre - lui solo era rimasto in piedi.

«Combattere al fianco non basta. Eri un generale - dimentichi? E hai fallito.»
«Non...»
«Un generale conduce i suoi uomini alla vittoria, non si limita a combattere.»
Strategia, lungimiranza ed accortezza, fiducia e autorevolezza: il minimo richiesto per una tale responsabilità.

«Perché dovrebbe andare diversamente?
Puoi dire quello che vuoi: ma la Sfinge, le Lanterne, Kjed, Taliesin, le speranze di tutti
sono sulle tue spalle.
»

La voce raschiante provenne da Donovan, un nido di larve scavato nella guancia sinistra per poi riemergere dall'occhio destro.

«Hai fatto di tutto per scrollarti la responsabilità
lasciare tutto ad altri per coordinare le armate con cui volevi affrontarmi
ma tutto è su di te.
»

Una Visilne trafitta da una pioggia di frecce, mutilata e ridotta ad una polpa quasi irriconoscibile non fosse stato per la matassa scomposta di capelli rossi, parlò con una mascella decomposta.

«E tu li deluderai, di nuovo.»

Jevanni rimase in silenzio, lo sguardo perso nella punta di lancia che spuntava dal proprio addome.
La mano percorse il manico in legno, incapace di avvertire realmente il dolore che lo attraversava. Eppure lo conosceva bene: era l'errore da cui era originato tutto. Dando le spalle alla Montagna. Era il momento in cui aveva tolto a sé stesso la possibilità di vivere con Visilne il sogno per il quale aveva finalmente trovato una soluzione. Davvero non riusciva a perdonarselo, dopo tutto tempo? Nonostante avesse già scorto in sogno la splendida esistenza al fianco di Visilne...
...nonostante sapesse che non avrebbe mai potuto vederla in questa vita,
che il mondo che conosceva era già andato e finito.

Aveva già dato l'addio alle miriade di volti che tappezzavano il suolo fra stendardi in brandelli, come sudari.

Era piuttosto sicuro di essere in grado di perdonarsi, adesso.
«No.»
Dalla punta delle dita il legno iniziò ad incrinarsi, per poi spezzarsi ed esplodere in schegge - la testa della lancia cadde a terra conficcandosi nella gran pozza di sangue che allagava la piana un tempo verdeggiante. Il dolore sparì, il corpo del Guerriero si destò da quel torpore.

«No, Kishin: sono diverso.»
In fondo, non aveva bisogno di calamità nella sua testa per ricordargli dei fallimenti accaduti nei tempi antichi.
I veri demoni sono sempre presenti nella nostra testa, pronti ad azzannarci nei momenti di debolezza.
Aveva avuto tutto il tempo per affrontarli, e abbatterli uno ad uno.


«La morte ad Uthenera non è riuscita a fermarmi, non lo farà adesso;
e anche avendo perduto tutto - tutti - coloro che ho amato, non è il momento di arrendersi.
Fai del tuo meglio, quando arriveremo.
»

Se non altro, avrebbe dovuto ringraziarlo per quel memento respònsus.
E lo avrebbe fatto - nelle viscere del Baathos.

Una brezza fresca attraversò il campo di battaglia, e la lama di Orizzonte crebbe con un filo luminescente di ghiaccio. I suoi occhi scintillarono nel cielo sempre più cupo, e la mano andò a toccare il fianco - tirando fuori il corno da guerra.

Così aveva soffiato l'inizio di quella maledetta battaglia in quella maledettissima piana:
così ne avrebbe soffiato la fine.

Gale esplose nel suo suono profondo,
uno squillo tale da accartocciare quello spazio artefatto
e mandare in frantumi i riflessi nel sangue.

Lentamente la realtà tornò a soggiogare quel dominio fantastico,
il cielo tornò pietra,
e Jevanni non fu più solo.

- - -

La situazione era a dir poco caotica. Uomini in stato confusionale si stringevano la testa, chi erano piegati in due e chi tremava nell'angolo. Alcuni erano in preda a raptus violenti, ed era stato necessario legarne le mani o tramortirli - uno di loro proprio per mano del Guerriero, che per un momento temette di esser stato scambiato per un demone del Baathos. Alder stessa era scossa, anche se giurava di star bene e che sarebbero partiti non appena gli uomini si fossero ripresi, e Donovan passava in rassegna assieme ai curatori chi era stato ferito - la psicosi aveva portato molti ad aggredirsi fra di loro, credendoli nemici. Due erano morti: uno per l'aggressione di un compagno, un Anahmid a malapena capace di cavarsela in battaglia, e un'Ombra si era invece accasciata priva di vita al suolo - nessuna ferita visibile sul corpo, solo un'espressione angosciata. Taliesin era in un angolo a suonare la stessa nota, con occhi spalancati sul nulla e un'aria assente; lo spadaccino seppe in seguito che il ragazzo con la sua melodia aveva aiutato a indebolire l'ondata malefica che aveva penetrato le loro menti. Donovan stesso ammise mormorando che era sul punto di soccombere, non fosse stato per la voce del Bardo. Il vecchio aveva salutato Alder con un abbraccio una volta giunto all'accampamento assieme agli uomini di Lithien e Taliesin, qualche giorno prima. Era stato uno dei pochi momenti in cui i sottoposti avevano mai visto l'elfa così tanto a disagio. Nonostante le suppliche velate della donna di riprendere le sue mansioni e comandare le Lanterne, lui aveva scosso il capo: era arrivato il momento delle nuove leve. Aveva però accettato lo stesso ruolo di una volta: quello di braccio destro di una più giovane conduttrice. E in quel momento, vedendo la stanchezza dietro l'energia che palesava per ravvivare gli uomini, Jevanni comprese il perché di quella sua scelta. Jevanni chiuse gli occhi e si concesse un momento di riposo assieme agli altri, tastandosi il petto lì dove la lancia di Yester lo aveva trapassato - come aspettandosi di trovare sangue.


Lasciati indietro i cadaveri e coloro che non potevano più muoversi, più un piccolo contingente per custodire i feriti e scortarli fuori, l'esercito continuò.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb

Chiedo ancora scusa per il ritardo a dir poco mostruoso, ma la mia disponibilità per l'evento era limitata ai tempi originariamente prestabiliti; si sarebbe dovuto concludere verso la fine dell'anno, purtroppo però con la sessione universitaria (e il dannatissimo Windows corrotto che mi è costato tre anni di file ed immagini e documenti) ho dovuto mettere del tutto in pausa l'evento per concentrarmi. Se interessa a qualcuno, questo sacrificio è valso una raffica di voti positivi - mi amareggia solo aver fatto aspettare ulteriormente.

Passando alle cose serie: ho trattato il mio post similmente ai colleghi del Dortan non citando la presenza degli altri eserciti per ovviare al problema di comunicazione per facilitarmi la vita, spero non sia un problema per il QM - in caso si può dire che ci siano numerosi ingressi per la rete del Samarbethe. Con l'uscita di Hole, ho ricevuto la possibilità di muovere il suo personaggio in sua vece - quindi il post è visto secondo prevalentemente secondo le prospettive di Jevanni e di Taliesin.

Taliesin ha paura di morire - ed è qualcosa che, nonostante la presenza e fiducia di Jevanni lo abbia incoraggiato, ancora non è riuscito ad affrontare. È cresciuto con la prerogativa di dover badare a sé stesso, di essere attaccato alla vita e di doversela godere - ma questa è una situazione che non glielo permette, e più che mai lo mette a contatto con questa possibilità. E nel crescere, il ragazzo diventa sempre più uomo: il pensiero di cosa ci sarà dopo di me inizia a diventare sempre più presente in lui. Questo si concretizza in una totale disfatta: la trasformazione che aveva preso piede in Lithien colpisce l'esercito e lui stesso, presto tutti coloro che lo conoscevano sono morti sotto i suoi occhi. Raccoglie il coraggio e la determinazione di affrontare i demoni, e dopo averne uccisi una manciata utilizza il liuto per tentare di infrangere la magia ed infondere coraggio negli alleati (immaginavo parole in hopelandic), che è ciò che permette a larga parte delle truppe di salvarsi - anche se comunque molti, fra cui Taliesin stesso, rimangono visibilmente traumatizzati.

Per Jevanni la paura è un evento legato al suo background. Non c'è molto più di rimasto in realtà come possibili paure, perché il grande sonno da cui si è risvegliato gli ha permesso di trovare una nuova serenità: dopo l'ultimo contest, ormai il personaggio è realizzato ed è completamente libero dei pesi che gli facevano in principio da zavorra. Rimane solo un nodo - il ricordo della sua morte (pregherei di non leggerlo, è...orrido agli occhi del me presente, lo inserisco giusto per dire "non ho tirato Yester/Uthenera dal nulla"). Morto da generale di una battaglia persa, il timore di effettivamente perdere un'altra volta e deludere chi ora lo sta seguendo, qualcuno forse più lui della Sfinge (che per ora sto interpretando come presenza all'interno dell'Oneiron o che in ogni caso non sta seguendo fisicamente le truppe), conducendoli alla sconfitta. Jevanni vedendo Yester, colui che l'aveva ucciso (prima di spirare lui stesso, ucciso dal Guerriero) riconosce subito che si tratta di un'illusione, ma nonostante questo cerca di spazzarla ugualmente via con forza bruta. Questo non fa che man mano scivolare tutto nel surreale, ampliando gli effetti dell'allucinazione portandolo fuori dal Samarbethe finanche al trovarsi nuovamente ferito a morte. Ma una volta ripresa la calma, avendo assaporato appieno l'effetto della disperazione indotta dall'allucinazione, Jevanni ripensa a tutto quello che è successo, che hai vissuto e visto, e ha fatto i conti con sé stesso. E alla fine, ha stabilito che non aveva più senso temere di deludere - men che mai in questo momento precedente alla battaglia. Suonando il corno di guerra incantato Gale spazza quindi via l'illusione, tornando del tutto alla realtà, e assieme alle truppe dopo un breve momento per riprendere fiato si procede nuovamente avanti per la destinazione.
view post Posted: 21/1/2020, 21:07 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Fino alla fine degli esami (il 28) non posso fare niente. Ho tirato le somme e non posso prendermi pause perché devo dare due esami assieme. Di nuovo, sono mortificato - se necessario procedete senza di me.
view post Posted: 16/1/2020, 16:34 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (~Coldest.Heaven @ 11/1/2020, 23:50) 
In pieno stile e puntualità, il portatile ha deciso di mollarmi un'ora fa. Oltre a crearmi problemi con gli esami e farmi uscire dalla grazia di dio, è palese che non potrò rispettare alcuna scadenza. Sono desolato tanto quanto irritato.

Edit: conto di partecipare se concesso il tempo bonus, comunque.

Avendo perso i dati che avevo degli ultimi 3 anni con questo guasto, sono abbastanza nei guai con gli esami e con altre faccende. Ringrazio gentilmente per la proroga, ma non credo di riuscire a farcela entro domenica: ho scadenze altrove in aggiunta allo studio arretrato. Avrei bisogno di più, a meno che nei momenti di pausa non mi colga un'incredibile foga di scrivere e riesca a stendere tutto quanto in una sola botta.

»Rose (e chiunque altro sia interessato che è rimasto) - Avrei bisogno di un tuo input su cosa avevi (avevate, se Gemini è ancora in team con te) in mente per l'arrivo. Non ho avuto possibilità di riflettere se non su pochi elementi e possiamo concordare in privato se vuoi interazioni fra il mio personaggio e il tuo. Purtroppo devo chiedere a te qualcosa da cui partire, però: in questo preciso istante non ho testa di mettermi a pensare qualcosa di diverso dal diritto delle organizzazioni internazionali.
view post Posted: 11/1/2020, 23:50 Confronto - Il Lascito degli Dèi
In pieno stile e puntualità, il portatile ha deciso di mollarmi un'ora fa. Oltre a crearmi problemi con gli esami e farmi uscire dalla grazia di dio, è palese che non potrò rispettare alcuna scadenza. Sono desolato tanto quanto irritato.

Edit: conto di partecipare se concesso il tempo bonus, comunque.

Edited by ~Coldest.Heaven - 12/1/2020, 19:00
view post Posted: 4/1/2020, 14:45 Confronto - Il Lascito degli Dèi
Abbiamo voglia di provare ad organizzare qualcosa assieme per l'incontro dei vari eserciti? :mumble:
view post Posted: 18/12/2019, 23:47 Il Lascito degli Dèi ~ Via Domus - GdR

Finalmente sei qui. Fatti vicino, abbiamo tanto di cui parlare.
Vediamo un po'...sì, direi che partiremo dalle basi:
sai cosa significa mescolare cielo e terra, montagna e abisso, bianco e nero
realtà e sogno?

(Una mano tocca un calice ricoperto di oro e gemme, colmo tanto di arroganza -perchè tanta ce ne vuole per un atto così efferato- quanto di rosso, rossissimo vino -rosso come il sangue- e con un movimento incurante lo lascia rovesciare. Il liquido si spande, una mappa accuratissima di una terra lontana finisce per venirne macchiata. E la macchia diventa grande, sempre di più, e della pergamena bianca -qui e lì ingiallita, perchè dopotutto Theras è qui da tanto- non rimane che uno straccio umido, anzi, zuppo e di un colore che ricorderebbe il naso di un ubriaco.)

Bene. Bravo, ottimo lavoro.
Vuoi bere il vino? Non puoi. Come credi di rimetterlo nel calice? È andato. Lo hai versato, o la pergamena l'ha assorbito. Chi l'avrebbe mai detto che questo mondo sarebbe stato in grado di assorbire così tanto vino.
Questo è l'Oneiron. Hai infranto le bocce di vetro che contenevano i sogni di tutti noi, e hai sparso fra di noi gli incubi che tenevamo rinchiusi nelle nostre menti. Siamo grandi carcerieri, molto gelosi di quanto partoriamo - ma quando si tratta di fare i conti con gli incarcerati, siamo piuttosto miseri. Cielo, cielo, siamo - parliamone. Non sono come te. Non superiore: solo, diverso. Io sono nero. Tu sei bianco.

Ma mettiamo che tu sia un uomo più pratico. Tutto muscoli, nessun bisogno di sognare perchè hai la forza o l'arguzia di creare il vero paradiso attorno a te. Tanto di cappello. Solo, ricordi la mappa? È inutilizzabile. Divertiti pure a plasmare un mondo in cui non ci sono regole, coerenza, coesione. Ogni via che imbocchi o che ti crei è sfumata, l'inchiostro si mescola alla materia più cupa degli incubi e dei sogni di tutta Theras. Theras? Theras stessa non esiste più! Perchè tutto ciò che la rendeva tale è svanita. Prima che tu possa rendertene conto, sarai perso in un mondo alieno e scostante.

Complimenti.

Oh, complimenti, davvero.
Cosa credevi, che Theras ed Oneiron fossero due facce di una stessa medaglia?
Pensi così poco del mondo che ti accoglie nel momento in cui sei più vulnerabile e chiudi gli occhi?

Non ti mentirò. Io stesso ero convinto che Theras fosse unidimensionale, un racconto tracciato su binari da parte di uno scrittore troppo innamorato della sua creatura per condividerne le possibilità con altri. In una certa maniera, lo è - non puoi cambiare il mondo. Non puoi cambiare il corso della storia. I petali scarlatti di una rosa colta rimarranno scarlatti, e invariabilmente diverranno grigi e marciranno. Puoi farci qualcosa? No. Dimentica la magia: è una piccola concessione di fantasia per chi vuole fingere che quello che ti sto dicendo sia una menzogna. Ma una rosa è una rosa è una rosa. E la magia è un'edera che ciuccia vita al mondo, è nulla più che una piaga che lo svuota man mano di ogni significato. La magia non è germoglio dell'Oneiron.
È legata alle stesse regole dello scrittore -ricordi la metafora?-
e quando credi che potrebbe creare una rivoluzione, ti viene ritorta contro o negata.

Non guardarmi così. Dopotutto, non sono di Theras. Non più - non da quando mi hai partorito.
Sono diverso da ciò che ero prima. Come il bruco divenuto farfalla.
Ma parliamoci chiaro. Da allora, sei cambiato anche tu. Però hai ragione: il nocciolo del discorso.
Andiamo al punto di questa lunghissima frase.

Theras è unidimensionale. Ma in fondo non è poi...male. Ho accarezzato i campi di grano, sentito il sapore della terra e il tepore del sole su una pelle che non conosceva nulla di concreto. Ho visto l'alba di un sole glorioso, e l'ho visto calare. Ho visto il buio, e ho sentito la mancanza di quel sole. Infine ho visto le ombre proiettate, e ho visto come persino quelle fugaci e cangianti apparizioni potessero dar forma al mondo. Ho provato amore per tutto ciò che non potevo coltivare, plasmare, persino eliminare con il mio solo volere. Ho imparato ad accettarlo. Io, che nell'Oneiron e nel suo mondo infinitamente duttile trovo il conforto di una casa.

Chiamami uno sciocco. Ma amo la mia casa, e amo la tua.
Il mio stagno e il tuo focolare.
Il mio flauto e la tua spada.
Il tuo bianco e il mio nero.

E per nulla. Nulla al mondo.
Vorrei vederli sparire.


- - -

Jevanni si risvegliò nel vuoto. Il campo di battaglia era svanito, il Talamlith ridotto in frantumi - schegge di vetro che galleggiavano e cadevano in una pozza infinita. I suoi piedi galleggiavano su una goccia di quell'enorme specchio fra due mondi, tanto profondo che da entrambi i lati vigeva un'oscurità più assoluta. Qui e lì fasci di colore, suoni e odori danzavano attorno a lui come portati da un vento invisibile e intangibile.

Poco più avanti, le mani congiunte in avanti a stringere il nohkan, lo Specchio ricambiava il suo sguardo.

«Jevanni Glacendrangh. Ora capisci, finalmente, perchè tutto ciò?»
I suoi occhi erano tristi, colmi di più stanchezza che mai, e i suoi stessi contorni erano in più punti sfrangiati.
Il Kishin non era stato clemente.
«Alla fine di tutto quanto, comprendi? Comprendi davvero il rischio che comporterebbe il tuo intento?»

Si osservarono,
finchè Jevanni non distolse lo sguardo per ammirare i filamenti dei due mondi che si sfioravano ed intrecciavano.
Si trovava fra sogno e realtà. Dove Oneiron e Theras, per un breve momento, si toccavano.
Il fiato che si appannava sullo specchio.
«Io...lo capisco.» Toccò una luce dorata,
questa ondeggiò sul suo dito ardendo finchè non gli parve che lo stesse bruciando sino all'osso.
Ma non sentiva dolore. Solo qualcosa di distante.
«Capisco il tuo punto di vista. Lo rispetto.
E tutto ciò che hai fatto, l'aver combattuto per proteggere questo tuo principio, ti fa onore.
»

«Onore. Credi che me ne faccia qualcosa del tuo onore, Guerriero?»
Le dita sbiancarono per la stretta sullo strumento musicale.
«Non ti importa di quanto intendi fare?
Credi che lei riuscirebbe a perdonarti per aver ridotto il mondo per cui cantava in sfacelo?
»

Una risata flebile, appena udibile, uscì dalla bocca.
Una sinfonia di soffi che non ricordava molta allegria. Non c'era molto di cui essere allegri.
«No, non penso proprio. Avrei voluto ricordarmene un po' prima, sai? Ci avrebbe risparmiato molti battibecchi.»
Uno scontro aspro che forse non avrebbe mai avuto senso:
un uomo comune non sarebbe mai riuscito a fondere sogno e realtà.
La minaccia non poteva certo sussistere nel potere poco affidabile
di colui che poteva semplicemente lanciare uno sguardo al futuro.
Ma le eccezioni potevano sempre accadere. Una volta un sole nero era sorto su Theras.
E Ilthan non aveva mai dubitato che un rischio di quel genere
non potesse diventare il fulcro d'inizio di una Quarta era. L'era senza sogni o vita.

«Ma non è questo quello che volevo dirti. Volevo ringraziarti, Ilthan.
Per avermi fermato, e avermi dato quest'opportunità.
»

«Di cosa stai parlando?»

«Di avermi dato un'opportunità per non vincere.»
«La possibilità di perdere.»

«Di perdermi.»

lascito2

Le terre caddero e i cieli si svuotarono. I mari inghiottirono le montagne e le nuvole fagocitarono gli alberi.

Le risate divennero pianti, e le urla divennero fischi.
La luna spense il sole, e si adombrò anch'essa lasciando solo una voragine nera al suo posto.
In essa, il tutto confluiva.

Il mondo era caduto in frantumi - e al centro di tutto quanto un solo oggetto (soggetto?) era in caduta libera. Braccia spalancate, la chioma lunghissima di capelli candidi che seguiva il viso rilassato e gli occhi chiusi come una fiamma argentea, il Guerriero si era lasciato alle spalle Ilthan e il gran specchio dei mondi. In una cascata di cristalli spezzati, ricordi andati e passati e futuri e mai avvenuti, il gelo di un oblio che avvinceva sempre di più le membra (una rappresentazione approssimata di esse?), la spirale empirica che si stagliava l'alto si attenuava e diveniva sempre più soffusa, la voce tuonante di Ilthan in echi sempre più confusi,
Jevanni abbandonò la realtà.

- - -

Riaprì gli occhi, e gli occhi videro bianco. Una fitta di dolore che li spinse a chiuderli, e poi riaprirli a fatica.
Oro. Tanto, tanto oro. Dinanzi a sé aveva una distesa intera di sabbia dorata, sconfinata.
Non era nell'Akeran. Di quello era sicuro.
Riaprì la mano e si stupì di trovarla vuota. Poi ricordò.
Aveva lasciato Orizzonte. Tirò un respiro profondo e si alzò in piedi.
Con pacche, si liberò dalla sabbia nelle vesti. Andava bene così.

E così l'uomo camminò. Camminò per miglia e miglia, e quando finirono le sabbie si immerse in acque nere e verdi e ancora oltre scorse terre lussureggianti e terre di fuoco, terre di ghiaccio e piane ricche di canzoni commoventi e frutti tanto dolci da supplicarlo di rimanere. E lui per più che qualche attimo, si chiese. Chiese a sé stesso se era quello che cercava, e quando non lo fece furono le anime a porgli il quesito. Ma puntualmente scuoteva il capo, sorrideva e con un cenno di saluto passava oltre.

Quando si fermò, le vesti avevano perso ogni colore originario e si erano tinte del colore della terra e del mare e del cielo sotto cui aveva camminato in ciascuno dei piani. Arrivò su colline familiari, sulla cui cima una piccola casa familiare si ergeva quieta.

Il cuore in gola, la mano esitante, Jevanni bussò con nocche screpolate e sbucciate.
E a spuntare dalla porta fu un familiare boccolo rossiccio. Familiari occhi dolci. Una familiare espressione.
«Ce la siamo presi comoda, vedo!»
Le labbra secche si allargarono per rispondere con un sorriso privo di fiato.
Cercò di dire qualcosa, ma la bocca non trovò risposta. Aprì, e richiuse.
Avrebbe borbottato un'imprecazione nervosa, se non avesse saputo che la infastidiva.

Lo ricordava.
Si ricordava ancora cosa le piacesse, cosa odiasse.

E lei si ricordava ancora di lui. Il guizzo nei suoi occhi color nocciola trapelava la stessa anticipazione sua.

«Sì...diciamo che mi sono distratto. Una piccola avventura.»
«Un'avventura, dici.» Lei replicò con una smorfia sospettosa.
«Non devo farti dormire fuori la notte, vero?»
Dopo un momento incredulo, Jevanni scoppiò a ridere senza riuscire a controllarsi,
e lei si unì poco dopo coprendosi la bocca con la mano. La strinse in un abbraccio e affondò il
viso fra i suoi capelli, sfiorandole il collo col naso. Inspirò ed ebbe un giramento di testa:
il profumo gli avvinghiò i polmoni e bloccò il fiato in gola, come se non volesse mai più liberarsene.

Sentendo quel mancamento,si rese conto di quanto le fosse mancata.
Come se sino a quel momento avesse saputo di star sanguinando,
da così tanto da essersi dimenticato cosa significasse non sanguinare più.
Le ferite vanno trattate, prima che si infettino.
Magari era ancora in tempo.

«Spero di no. Ma te la racconterò. Poco per volta, notte per notte.»
Lei annuì, asciugandogli con l'indice le lacrime che scendevano lungo le guance.
«E sia. Ora entra, inizia a far freddo.»

La porta della casa in cima alla collina si chiuse.

- - -

Sento i tuoi passi traversare le stesse piane che ho traversato io.
Sento il tuo odio verso di me nel ricordare qualcosa che non ti appartiene.
Pensi che non serva a nulla. Che mi stia prendendo gioco del fato di Theras.
Ti sbagli. In parte. Sarò sincero: Theras per come la conoscevo io non esiste più.

Quello che chiamiamo Oneiron, per un po', è stata per me punto dell'essenza.
Che diavolo significa? Ah, non chiederlo a me: non son stato io a dargli questo nome.
Ma era quello. E rappresentava il nome che io porterò nei miei ricordi,
pur nell'imbarazzo che mi provocherebbe riguardarli adesso, o il dolore della loro irripetibilità.
E quale che sia il nome, la Theras che Jevanni Glacendrangh desidera è sparita.
Questo non vuol dire che non la ami, che non voglia augurarle buona fortuna. Che non voglia aiutarla.

Ma per me questo mondo è speciale. Nello spazio di un passo su Theras, qui posso vivere mille vite.
Nel momento in cui l'Edhel si libera del giogo del Kishin, e forgia un'alleanza che sfida decine di anni di astio,
posso dirmi certamente contento. E sicuramente voglio che la terra fiorisca e conosca migliaia di altre storie.
Solo, non sarò davvero parte di esse. Non sarebbe nemmeno giusto. Quindi puoi capirmi, non è vero?
Mi sono solo concesso un sogno.

I sogni appartengono alla notte. Non dovrebbero poter illuminare il mio cammino.
Eppure c'è qualcosa in loro di così intrinsecamente seducente che non posso ignorarli, sai?
Forse mi sbagliavo. Magari è l'opposto.
Forse i sogni sono di un nero così intenso, che rende i colori attorno più vivaci, come le ali di una paradisea.
Non vanno seguiti, ma evidenziano la bellezza in potenza di quanto ci circonda.
In potenza. Mi dicevi che Theras è unidimensionale, ma non penso tu la abbia veramente capita.
Proprio come io mi sbagliavo sulla natura di questo mondo.
Ma tu sei un'ombra: non mi aspetto tu possa comprenderlo, né che mai potrai.
Proprio come io non riuscirò mai a comprendere appieno la materia di cui è fatto un sogno.

Quando vedrai la porta, bussa con gentilezza, te ne prego. Il legno è un po' sottile.


- - -

Giunse barcollante, aggrappandosi ad un ramo improvvisato bastone. Ad accompagnarlo, un falco che volava in cerchi sopra la figura ricurva. Le vesti ampie da cui spuntavano due pallidi ed esili polsi volavano al ritmo del battito delle ali del compagno.

«Ci siamo.»
«Alla buonora» ribattè seccato lo Specchio fissando la collina di fronte a loro.
«non è stato esattamente piacevole.»

In un frusciare di ali, il falco piombò per terra e si dissolse - lasciando spazio alla forma umana di Kjed.
«Sei arrivato quando saresti dovuto arrivare.
Quando saresti stato in grado di capire il suo cammino, per giungere alla sua stessa conclusione.
»
Lei sorrise. «Ripercorrere gli stessi passi del tuo riflesso dovrebbe essere facile, no?»
«È il tuo araldo, Gelida. Non avresti potuto trovarlo tu prima?»
Lei seguì il suo sguardo, posando gli occhi sulla casa sulla collina. Dall'ultima volta che l'aveva vista, il tetto si era fatto più storto e qui e lì i colori dele pareti si erano sbiaditi. Ma era diventata più grande solida, una casa vera e propria per chi intendeva vivere quietamente i suoi giorni difendendosi dal rigore dei venti di montagna e con campi su cui poter lavorare e faticare per dar da mangiare.

«Forse l'ho già fatto, Ilthan. Forse no. Ma grazie a te, l'Oneiron può permettersi un momento di tregua.»
In un momento di debolezza, la Sfinge si era lasciata tendere un agguato dal Kishin -
ma la prole di Eitinel e il senza-sonno avevano combattuto strenuamente. Grazie al regalo della Sfinge, poi,
l'Oneiron aveva risposto al richiamo dello Specchio e respinto del tutto la minaccia.
«Non riesco a credere che fra tutti quanti, debba essere tu a predicare la tregua.»
Lei iniziò ad incamminarsi, e lui la seguì iniziando la scalata. I campi non davano frutti, nulla di strano nell'incombere dell'inverno. D'altronde era inutile ripetere che il luogo scelto per erigere la sua casa era pessimo, e probabilmente non avrebbe guadagnato così tanto da permettersi la vita agiata che, talvolta su Theras, aveva conosciuto. Ma l'aveva scelta lui. E questo era tutto ciò che importava.
Non era che uno dei paradisi più freddi che gli potesse capitare.
«Mi consideri al pari di quel folle di Greion solo perchè ho scelto di combattere?»
Una sfumatura di disprezzo nel modo in cui lo disse, e la maniera in cui le sue labbra violacee si arricciarono,
lasciarono intuire allo Specchio di aver osato un po' troppo. Ciononostante, non potè fare a meno di seguirla.
«C'è calma anche nel tendere la freccia al cuore della fiera. Non dimenticarlo mai.»
Continuò senza fermarsi, e si fermò davanti ad un ceppo posto ai lati del sentiero che portava alla casa.
«E di frecce non ce ne rimangono tante» mormorò, incrociando le braccia davanti ad Ogron.
Lo Specchio offrì il bastone al vecchio incappucciato, che con un cenno di ringraziamento si alzò dal ceppo.
I tre continuarono il loro cammino verso la cima della collina.

Ogron si sollevò il cappuccio e inspirò l'aria gelida, il suo respiro divenuto nubi frigide e foschia.
«C'era una volta un guerriero.» Ricordò.
- - -

Un bambino nato da un uomo e una donna che avevano combattuto per liberarsi da un tiranno.
Ma il tiranno un giorno si ripresentò alla loro porta. Era un uomo cambiato, illuminato da un sogno sincero,
ma il prezzo da pagare per l'ammutinamento sempre deve esserci.
Rifiutò però le loro vite, e in cambio scelse quella del loro figlio.

Il figlio crebbe sotto il sogno del fu-tiranno, che ora veniva chiamato generale.
Divenne un uomo, imparò che l'unica maniera per controllare la propria vita era combattere.
Altri videro la sua forza e ne furono ispirati, impauriti, o interessati. E l'uomo divenne una spada,
una pura lama di ghiaccio bella e perfetta, per tagliare e spazzar via le avversità di chi lo comprava.
Prima di rendersene conto, credette che combattere fosse la sua vita. Ma non comprese subito
che combattere in sé non fosse la vita stessa, solo un mezzo per raggiungere una meta
e che la sua meta, il suo orizzonte, fossero ancora celati dalla nebbia dell'ignoranza.

Un giorno una fiamma vacillante catturò il suo sguardo, guidandolo nella nebbia.
Lo riscaldò col suo tepore, e gli aprì gli occhi.
La fiamma era una fanciulla, e lui la strinse a sé affinché non si spegnesse.
Lei sentì il suo freddo, ma non ne fu spaventata: ricambiò l'abbraccio, e promise di donargli la sua fiamma.
Il guscio di ghiaccio si sciolse, e l'uomo -come da un uovo la fenice- rinacque.

Ma un giorno gli altri, non certo dimentichi del passato della lama di ghiaccio, lo cercarono.
Gli promisero tesori, ricchezze, un futuro affogato nell'oro e nel potere.
Eppur lui, irremovibile, rimase nel focolare assieme alla fanciulla. Disse, questa è la mia nuova vita.
Ma la malignità degli uomini è grande, il loro egoismo infinito. Finite le buone maniere, lo costrinsero.
Così fu strappato dalle braccia morbide della fanciulla del focolare, e il destino crudele non lo fece mai tornare.


- - -

Kjed rimase muta, lo Specchio pure. Ogron sospirò.
«Nato da Ilthan. Ora capisci, finalmente, perchè tutto ciò?»
Lui non rispose. Non subito. Strinse le mani fino ad affondare le unghie nel palmo e gli parve di trafiggerlo.
Uno specchio può mostrare tante cose, riflettere alla perfezione quanto appare. Ma il riflesso è fugace,
e soprattutto
non ha una storia.

E la storia di un uomo, alla fine di tutto quanto, non sarebbe mai riuscito a comprenderla.
Il vecchio parve leggergli la mente, e scosse il capo. Un piccolo sorriso triste, nascosto nel cespuglio della barba.
«La storia si ripete. L'avresti chiamato, l'avresti portato a combattere una guerra non sua,
e lui puntualmente sarebbe morto. Sarebbe tornato, strappato dal suo sogno,
e invano avrebbe tentato di raggiungerlo ancora. E ancora. E ancora.
»

Raggiunsero la porta. Come previsto, era abbastanza malridotta
-quanto bastava perchè non entrassero troppi spifferi-
e il pomo in legno della porta era pieno di graffi, qui e lì meno levigato.
L'anello per bussare era lì, tanto consunto che il punto della porta dove impattava era appena scavato.

«E cosa cambierebbe questa volta?»
Ogron scosse il capo severamente. «Troverai da te la risposta. Ti abbiamo solo indicato la via.»

I due Daimon svanirono fra le pieghe del mondo, lasciando Ilthan da solo -
con solo un fagotto sottile e lungo ai suoi piedi.
Alla fine si fece coraggio. Bussò alla porta, il più delicatamente possibile,
e attese.

Sentì passi frettolosi, come di corsa, e la porta si aprì. Capelli corti ricci neri e occhi nocciola spuntarono da dietro, sospettosi. Prima che lo Specchio potesse dir alcunché al bambino, una donna anziana raggiunse il piccolo. Gli stessi occhi nocciola, seppur più affossati e resi opachi dall'età, lo guardarono con un misto di sospetto e poi stupore. Dopo poco, comprensione. Si inchinò appena.
«È il momento, quindi. Vieni, vieni pure. Ti sta aspettando.» disse con un sorriso.

Ilthan annuì con circospezione e dopo aver preso il fagotto la seguì, entrando nella casa.
Accogliente e calda rispetto all'esterno, come se l'aspettava.

Arrivarono in una stanza ampia, un salotto con un camino in fondo alla stanza, un tavolo, qualche sedia e qui e lì quadri lungo le pareti, dapprima simili a scarabocchi disegnati da bambini e poi man mano sempre più ricchi di dettagli e cura.
Davanti al camino, un vecchio sedeva su una sedia a dondolo. La donna e il ragazzino li lasciarono soli,
chiudendo la porta leggermente. A quel suono sottile, l'uomo sulla sedia sussultò appena, come se destato dal sonno.

Cenere cadde dalla pipa che aveva in mano.

immagine
«Ah, vecchio mio. Finalmente sei qui.
Fatti vicino, abbiamo tanto di cui parlare.
»


Ilthan si sedette sulla sedia indicata da Jevanni, e tese le mani verso le fiamme danzanti per riscaldarsi.
«Basta con questi richiami al passato. Mi irritano.» L'altro sorrise.
«E sia. La storia non ha più bisogno di ripetersi.»
Così sperò Ilthan. Tirò un respiro profondo. «Ti ricordi del tuo dovere, vero?»
Lui annuì. «Non l'ho scordato. In fondo lo sai. Solo...ho voluto fermarmi un momento.»
Ci pensò un attimo, poi scoppiò a ridere raucamente. «Ai tuoi occhi deve sembrare così poco da quando ho iniziato!»
Da quando l'aveva sollecitato ad affrontare la minaccia al Kishin non era passato che poco meno di un mese.
Eppure, guardando quei quadri, come ipnotizzato, Ilthan scosse il capo. «Forse sto iniziando a capire.»

Non comprendere. Ma almeno, avere una vaga idea di cosa significasse tutto quanto.
Pur dipinta nell'Oneiron, quella Theras impossibile trasudava una sensazione struggente.
Quel sapore di lacrime, sudore e sangue di chi aveva combattuto e combattuto - e aveva capito per cosa farlo.

Solo, non l'avrebbe mai avuto. Se non in quel breve, transitorio conforto.
«Penso che ne sia valsa la pena. Se sei arrivato fin qui, se riesci ad andare oltre queste parole,
allora spero lo penserai anche tu.
»

Il Doppio si trovò ad annuire, lentamente, cullato dalla sedia e dal tepore.
«I sogni non possono realizzare il futuro. Ma possono guidare.»
Non era sicuro a chi stesse parlando, ma il vecchio sentì di doverlo dire.
Ilthan guardò il fagotto che aveva tenuto in mano sino a quel momento, e sfilò il velluto che la ricopriva.
Porse quindi la spada all'uomo, che la ammirò per diversi istanti tastando con dita rattrappite l'elsa e il fodero.
«Mi dispiace per averci messo un po'.» disse infine, sincero. Ilthan sospirò.
«La guerra non è finita, Guerriero. I venti continuano a soffiare.
C'è ancora una battaglia da combattere.
»

Jevanni annuì. Aveva visto quanto aveva desiderato. Aveva detto tutto ciò che avrebbe voluto dire.
Aveva fatto ciò che doveva fare. Dato il giusto addio ad un capitolo della vita lasciato in sospeso.

Riaprì gli occhi e la melodia si fermò.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb

Nell'interpretazione di questo contest bisogna tenere a mente due dettagli. Il primo è che dopo ogni - - - può esserci uno stacco temporale anche incredibile fra un avvenimento e un altro; tempo e spazio nell'Oneiron sono qui considerati all'estremo della loro incoerenza con tutte le conseguenze astratte e concrete che ciò comporta.

La seconda chiave di lettura sta nell'utilizzo del Times. I paragrafi scritti in quella maniera non sono un narrato, ma non sono nemmeno un dialogo. Sono pura coscienza che fluisce da un mittente ad un destinatario che potrebbero come non potrebbero corrispondere ai personaggi presenti nel testo. Nulla è davvero unidimensionale.

Quello che succede, più in concreto e in sintesi, parte dal momento della fine di dark matters: Jevanni perde i sensi a seguito dello sforzo incredibile nell'usare i suoi poteri da araldo, e seguirà un lungo periodo di incoscienza su Theras di cui probabilmente descriverò meglio le circostanze in un altro post. In questo stato, con l'intervento della Sfinge (descritto nel QM point) che porta il Guerriero vicino all'Oneiron per portarlo al sicuro, Jevanni coglie l'occasione per fare quello che pianificava di fare quando è tornato nell'Edhel: cercare Visilne nei suoi sogni. Dopo aver vissuto il sogno che sino ad allora aveva potuto rimpiangere, Jevanni e Ilthan si reincontrano. Ed è tempo di risvegliarsi.
view post Posted: 27/11/2019, 11:46 Il lascito degli Dèi ~ Dark Matters - GdR

( IX )
-LA BATTAGLIA PER IL TALAMLITH-


Lo sferragliare dei carapaci e i passi pesanti si mescolavano al tintinnare delle gigantesche catene che, partendo da mastondontici Kensillah che ne reggevano un'estremità, si lanciavano verso il cielo fino a raggiungere i draghi. Agganciate ai pesanti collari, stretti attorno alle squame opache dei colli dei Varnarmenni, parevano viticci di oscurità a strangolare un sole già morto. A malapena sostenendosi per la stanchezza, il drago di zolfo Eldingar inspirò a pieni polmoni l'aria frizzante che l'Edhel portava, incapace di ricordare quanto tempo fosse passato dall'ultima volta che aveva osservato lo Hjart con nulla più che serenità. Le sue squame si erano deformate e cristallizzate in mille e più configurazioni, infrangendosi e poi ripristinando il ciclo di nascita e morte, così tante volte che alla fine aveva dimenticato come imbrigliare il potere della creazione tanto anelato senza avvertire agonia: perchè quando Fyrirliði aveva annunciato la fine dell'immortalità e l'inizio della Vita, tracciando davanti ai suoi occhi increduli quel grandissimo disegno, terribile ma bellissimo, aveva detto che nessuno fra loro avrebbe dovuto mai immischiarsi con le vite delle loro creature. Non aveva mai detto che sarebbero state loro a dominarli.

Guardò verso il basso, dove l'orda di bestie distorte da chissà quale potere oscuro marciava mantenendoli imbrigliati. Aguzzò la vista nel cercare di distinguere fra di essi qualcuna delle creature che lo Hjart aveva partorito, ma non ne vide: il capo di quell'esercito, i cui passi di piombo riusciva a sentire persino a quell'altezza, non aveva ordinato nulla più che piccoli esperimenti dotati di una frazione infinitesimale di tempo, un lasso troppo ridotto per poter anche solo imparare e tramandare ad una propria prole. Non rispettavano il cerchio degli elementi: al contrario ne abusavano, ritorcendolo a proprio piacimento non per ciò per cui lo Hjart era stato concepito, bensì per uccidere. Uccidere! Avvertì l'intero corpo rabbrividire al solo pensiero. Creature nate per morire e per portar morte: come una fiamma scaturita per divorare altre fiamme. Era così perverso, contro natura, da sentirsi sporco sotto le scaglie, anche solo per averci pensato.

Marciavano da qualche giorno lungo quelle che gli umani avevano chiamato aisengard, le vie di ghiaccio, riducendo in cenere tutto ciò che trovavano e facendo mattanza di qualunque creatura ancora respirasse. Ma sempre meno avevano incrociato sulle strade umani ed elfi, sempre meno sangue lastricava il loro seguito; parimenti, cresceva invece il nervosismo fra le truppe man mano che ci si addentrava nel sud della regione. Tanto patetica era la loro esistenza, però, che nessuno di loro avrebbe mai osato porre domande dirette al gigantesco demone: se anche prima lo avevano temuto, men che mai avrebbero potuto ora che era divenuto l'Idolo. Eldingar vrebbe avuto anche pietà di quelle povere anime, se di anime i loro creatori li avevano donati; non fosse che quelle catene di paura erano state piazzate anche attorno al suo collo, e quello dei suoi compagni.

Il drago si sentì mancare per lo stremo, eppure si fece forza; per puro orgoglio e forza di volontà rimase stoicamente in volo, persino quando le membra gli imploravano riposo dopo gli esperimenti sullo Hjart e le lunghe marce. Eldingar non sapeva che quel giorno, in realtà, doveva ancora iniziare.

- - -

« Muoversi, muoversi! »
Khurradādhbih ibn Farrokhzād dei Malunfhan non sorrideva spesso. Non che non trovasse soddisfazione, anzi, piacere in quello che faceva: non c'era sensazione più piacevole del vedere le creature della superficie sparire sotto l'ombra delle sue zampe massicce. o inghiottiti dalle armate come uno sciame di api su una mano troppo vicina all'alveare. In ogni caso l'equivalente del sorriso del Lamash, una smorfia feroce su un volto che di umano aveva solo gli occhi, grotteschi e fuori posto, appariva decisamente poco rassicurante; e quel mattino era sì intenso da dissipare la poca serenità alla vigilia dello scontro.
Aveva due ragioni per essere contento. Ed erano buone.

La prima era che, come già si prospettava nel lontanissimo orizzonte, gli elfi si erano uniti agli umani e si stavano dirigendo verso di loro. Che era nulla più di quello che aveva atteso dall'inizio di quella maledettissima adunata, ancora prima che Shahryar annunciasse la sua entrata in scena. Se gli avessero chiesto perchè, lui avrebbe risposto "Perchè così non devo rincorrere quei bastardi fino ai quattro angoli di Theras". C'era un che di profondamente inebriante del vedere la risposta della preda ad una minaccia incombente, nel sentire la paura vibrare nelle sue dita, vederla strisciare indietro fino a toccare la parete o trovarsi l'abisso alle spalle. Eppure nulla. Nulla. Poteva superare la sorpresa che provava quando la preda comprendeva che la fuga o la pietà - quando mai? - cessava di essere un'opzione, e invece di rassegnarsi alla fine cercava un'altra soluzione. La disperazione: qual delizioso dono da dare a creature così patetiche!

« Mio signore, ha ordini? » chiese un Kuvali evocato apparendo dal nulla, una voluta di fumo radunato senza fiamme a produrlo.
« Procedete come stabilito. » La voce era roca; quella notte non aveva dormito molto. Non nervosismo, ma eccitazione. E così aveva sperimentato.
Con un cenno di assenso servile, il demone di fumo sparì lasciando nulla dietro di sè se non un odore di incenso misto a qualcosa di indefinibile a parole se non con "marcio".

La seconda ragione era appesa alla sua zanna destra: legato più volte da una piccola catena di ferro annerito e bruciato macchiata qui e lì di sangue, il Cuore sussultava ad ogni passo colossale. Inizialmente il Khzad non era stato particolarmente soddisfatto del monile: i suoi primi tentativi di sfruttarlo avevano visto risultati a dir poco abismali, con creature incapaci di sopravvivere più di qualche minuto o incapaci di risultare utili, portando ad una tale frustrazione che ben più di una dozzina di Kisalah rimasero schiacciati dalle fitte di collera del loro capo, troppo poco furbi per restare alla larga dalla sua proboscide e dalle sue sei zampe come gran parte delle truppe più vicine aveva scelto. Ma quei sacrifici involontari agli dèi della collera avevano gradualmente dato i loro frutti, e quando la furia lasciò spazio al silenzio il pachiderma riuscì a cogliere i primi frutti. Servirono giorni, prima che dal Cuore creature prive di scopo e forma definita uscissero i primi nefer, giorni in cui la tempesta aveva avuto tempo di battere le strade e costringerli al riparo, arrestando l'avanzata dell'Erynbaran. Giorni in cui la tempesta si era infine spenta, e le armate avevano camminato e camminato a pieno regime fino a congiungersi in un unico esercito. Altri Lamash da tutto l'Edhel avevano sfidato l'autorità di Khzad, pensando che quello fosse il momento migliore per venir visti dal Kishin come il più meritevole di rispetto - ma non avevano fatto i conti nè con il vastissimo esercito, nè con il pachiderma stesso. Sconfitti i loro capi, le truppe erano state tutte accorpate, marchiate come Tergan e data loro la possibilità di tornare ad essere qualcuno - a patto di sopravvivere a questa giornata.

« Ricordate tutti » tuonò.
« Un passo indietro, e la terra vi inghiottirà. Mostrate pietà, e vi darò in pasto ai Kisalah.
Per ogni scalpo di uomo, riceverete gloria.
Per ogni goccia di sangue delle orecchie a punta, mille tesori.
E raccogliete i bastoni di quelle stupide lanterni.
Faremo un gran falò con quei legnetti da due soldi.
»
Risate feroci e sguaiate scossero i più vicini, mescolandosi ad urla gutturali di guerra e versi mostruosi.

« E chi mi porta il loro capo... »
Alcuni lo chiamavano il Guerriero dell'Inverno.
Un nome pretenzioso, inventato da un mocciosetto incapace di ricordare il nome vero, probabilmente.
Un nessuno uscito dal nulla, nascosto dietro l'egida delle Lanterne, gli Arshaid
e tutti gli altri idioti che si erano convinti di poter vincere.
Eppure doveva essere qualcosa per aver riunito tutti: serviva potere per ottenere altro potere.
« ...diventerà il mio prossimo generale. »

L'esercito avversario apparve sempre più grande, più numeroso. Stupore e delizia colmarono il demone, sempre più bramoso dello scontro: quanto doveva esser stato difficile ingoiare l'orgoglio, per combattere a fianco di coloro che avevano disprezzato a lungo? Quanto grande doveva esser stata la paura, per giungere alla fine dell'odio? Una domanda retorica. Grande quanto lui. Un barrito fragoroso scosse le piane, uccidendo sul colpo uno stormo di sparvieri che aveva osato avvicinarsi troppo al momento sbagliato.

Come una macchia d'olio, dai piedi del demone un nugolo di esserini piccoli - roditori, o perlomeno sagome rassomiglianti a topi, denti acuminati e occhi gialli colmi di fame. Come secondo un tacito ordine, si lanciarono all'unisono distaccandosi in massa verso l'esercito dell'Edhel. Al vedere un'ondata di pece giungere, gli uomini e gli elfi incoccarono le prime frecce e i primi ordini furono urlati in lontananza.

Così iniziò la Battaglia del Talamlith.

- - -

Har Surturson esaminò uno ad uno i soldati passando loro davanti, lo sguardo solenne degli occhi venati d'oro. L'occhio anzi: uno di essi era coperto da una fascia di garza bianca, lasciando solo quello sinistro a fissare i volti degli uomini. Non era uomo da battaglia campale: aveva condotto esplorazioni, incursioni, missioni anche , ma una battaglia campale era decisamente fuori dalla sua sfera conoscitiva. E d'interesse. Aveva in realtà cercato la sicurezza delle posizioni più alte proprio per non dover più essere in prima linea - chiaramente, questo non poteva più essere il caso. Che dire? Jevanni aveva avuto ragione. Le armate che scendevano dai colli del Talamlith erano sterminate: aveva ricevuto notizie che i demoni si fossero riuniti sotto un unico vessillo, ma quello? Quello che aveva davanti era impensabile. Lo vedeva riflesso negli occhi dei suoi uomini, e anche se il suo volto non tradiva alcuna insicurezza, avvertiva un sentore profondo che andava oltre la paura.

« Ci siamo? » La voce lo riscosse. Al suo fianco, come evocato dai pensieri, era apparso Glacedrangh; era tornato la notte prima assieme al gruppo di Berkan. Quando interrogato sulla sua assenza durante la missione, si era limitato a dire che "era stata necessaria". « Tutti gli Arshaid disposti a fronteggiare la minaccia sono qui, le tribù hanno eletto Cavaliere Gwydion come ambasciatrice, almeno per questa emergenza, per limitare gli scontri. Le Lanterne hanno subito pesanti perdite a nord ed ovest, dove la resistenza dei demoni è stata maggiore e le tribù non hanno collaborato, ma anche i feriti intendono collaborare nelle retrovie con i macchinari. » Jevanni annuì, grave. Era un progetto troppo ambizioso per l'Ordine, che mai si era adoperato per una crociata così fanatica contro i nemici dell'Edhel, non così radicale - sicuramente non in una situazione tanto drastica. In compenso, l'Erynbaran era adesso libero. « Gli Anahmid sono armati, ai più determinati abbiamo provato ad insegnare l'utilizzo dei sacri bastoni, ma senza reali risultati. Sono il grosso delle nostre armate » aggiunse con un pizzico di irritazione. Non avevano accettato un capo in comune, e solo in virtù della loro forza la tribù dei Van era riuscita a prevalere e costringere alla sottomissione i più riottosi. « Persino gli uomini del Canterino hanno deciso di fare capolino e unirsi. » arricciò il labbro scettico. « Abbi fede in loro. » Jevanni sorrise appena. « Ho dato a Taliesin quello di cui aveva bisogno. » Di fronte all'espressione interrogativa di Penna Bianca, il sorriso di Jevanni si allargò poco più - ma non aggiunse altro.

« Vedo...vecchie conoscenze » disse infine lo spadaccino volgendosi verso l'essere spettrale che aleggiava con le sue piccole ali e il suo caratteristico cilindro. Il Guerriero non aveva mai parlato direttamente a Lanhai, da che avesse memoria - ma il vecchio guardiano del Gorgo era indubbiamente rimasto impresso nell'immaginazione di chiunque altro l'avesse anche solo incontrato nel suo cammino fino all'antica sede del Sorya. Quando il Sorya ancora non esisteva. A seguirlo ora, una gran folla di creature, inumani di ogni forma e natura che parevano usciti da una delle antiche fiabe: troll, fate, folletti, esseri tanto piccoli quanto inquietanti dall'aspetto e altri più grandi. « I Rahm as Aid hanno preso a seguirlo nei vagabondaggi, unendosi al suo...popolo. Non sappiamo perchè: i miei uomini pensano sia perchè cercavano sicurezza nei numeri, ma... » lo spadaccino annuì. « Quando si ha paura del domani, cerchiamo sempre conforto nelle storie. » E la vecchia fata certamente ne aveva qualcuna per l'occasione, sotto quel cappello. Quel giorno era invece silenzioso, impugnando la falce e osservando il cielo come in attesa di un segno. « Oggi dobbiamo scrivere queste storie » sentenziò Gwydion con altri due Arshaid al suo seguito, capi a giudicare dai loro copricapi elaborati. Il bastone dell'elfa era già tramutato nella spada bastarda, segno che la battaglia era ormai agli inizi. Jevanni e Surturson annuirono. Fu in quel momento che il verso del Lamash scosse l'aria con la potenza di un tuono, zittendo il mormorio delle truppe.

- - -

Dopo un momento di sbigottimento, Surturson digrignò i denti. « Preparate gli archi e le balestre! » Gwydion ripetè l'ordine in elfico e altri ancora lo trasmisero fino agli estremi delle due ali dell'esercito. Il comandante delle Lanterne sfilò dal cappotto un oggetto, portandoselo al viso. « Cosa diavolo... » mormorò; dietro il cannocchiale puntato verso i puntini neri che si propagavano dall'esercito lontano, l'espressione del priore divenne torva. Non era sicuro di cosa stesse vedendo: scorse uno sciame di creature prive di colore, una sagoma nera a malapena delineata nella neve, mille denti bianchi aguzzi e occhi luminescenti che si defilava zampettando con innaturale velocità. « Sono creature della reliquia » lo ammonì Jevanni, che fece qualche passo in avanti. « Che significa che il suo possessore...Dia l'ordine di lanciare. » Il priore fu sul punto di dire che non avrebbe sprecato la prima salva di frecce su dei dannatissimi topi, ma il Guerriero fece un passo in avanti rompendo la riga, il braccio sollevato. Har esalò un sospiro esasperato, e fece lo stesso. « Spero tu sappia cosa stai facendo. » Lo calò con violenza, e nell'attimo in cui lo fece i fischi dei dardi trafissero l'aria. « Lo spero anche io », credette di udire il priore, prima che improvvise sferzate di vento proveniente dalle loro spalle li investissero con tanta violenza da costringere alcuni a puntellarsi sui lunghi archi per non barcollare. Le frecce volarono in alto, superando la fiumara di roditori e le primissime file dei demoni, andando a grandinare sulle truppe poco dietro colte impreparate dall'attacco - nonchè dal vento gelido che ora li colpiva in faccia, sputando i primi fiocchi di neve e inaugurando il primo sangue.

Le urla di trionfo si levarono e durarono per qualche breve momento, per poi spegnersi quando le bestioline nere giunsero ad una decina di metri dalle truppe. I primi vargar e gli incubi vennero sguinzagliati, e con essi vennero scagliate le prime magie degli Arshaid per sfoltire l'avanguardia. Har notò che i pochi mostriciattoli riusciti a superare scudi e prime righe morivano appena dato il primo morso; si rese conto che le vittime si stringevano le ferite, anche di dimensioni ridicole, come se in preda a lancinanti dolori. L'iniziale confusione divenne collera appena; sputò per terra e ne incenerì un drappello con un raggio di luce ardente scaturito dalla punta del bastone, tenendo i suoi due lupi al proprio fianco. « Archi, archi! » gracchiò il Priore, passando due dita sull'occhio bendato con una smorfia di concentrazione. Jevanni era rimasto fermo sul posto, Gwydion e un giovane esploratore a proteggerlo dalla prima ondata, con il braccio ancora sollevato. Anche se non riusciva a vederlo in viso, Surturson realizzò che la tempesta invocata gli stava richiedendo tutte le forze. In lontananza, un secondo possente barrito segnalò l'avanzata: facendosi scudo con le braccia o meramente sopportando le frustate in viso della tempesta, le truppe di Khzad iniziarono a marciare.

- - -

Z'mir il Kunali riapparve in una nuvola di fumo. « Allora? » lo incalzò un compagno sollevandosi in piedi sulle sue due paia di piedi culminati d'artigli. « Il piano non cambia » rispose con tono piatto scambiando un'occhiata eloquente con i presenti - che pian piano imitarono il primo ad aver parlato, alzandosi e riprendendo le armi, chele o diavoleria, chi solennemente e chi quasi ridacchiando. Qualcuno diede una scrollata alla lunghissime catena che reggeva, e dall'altro lato esse iniziarono a smuoversi e sollevarsi verso l'alto. « Voglio vedere come se la cavano quei bastardi con questi giocattolini » gongolò un omiciattolo con tre braccia, uno dei quali costantemente occupato a grattarsi la nuca su cui brulicavano in spirali ipnotiche delle cimici voraci. Z'mir passò lo sguardo inespressivo dalle truppe alle piane che, oltre la foresta dietro cui si nascondevano, ospitavano il vivo dello scontro dove i due eserciti stavano ora combattendo, e seguì l'avanguardia che si era già messa in cammino, proiettando un'aura camaleontica su di loro. Un piccolo trucco che gli era stato utile, quando i Molti avevano tentato di assistere gli Uno per detronizzare Khzad, abbastanza da permettergli di sgozzare facilmente quella genie di demoni che avrebbe potuto spazzarlo via soltando pensandolo.

Ma il grande Lamash aveva permesso loro di liberarsi del giogo del Kishin mentre questi era distratto, e man mano i demoni minori si erano lasciati alle spalle i servi più affiatati: chi stanco di quei giochi di corte così schifosamente umani, chi attratto dal potere sconfinato di Khzad e sperando di guadagnare la sua fiducia, anche sapendo di essere nulla più che un Tergan, ora il suo era un esercito "del Kishin" solo di nome. Z'mir era convinto che quando avrebbero finito, il Lamash avrebbe ridotto in poltiglia ogni suo ostacolo - Kishin compreso - grazie all'enorme potere ottenuto dai draghi. Quando le retrovie dell'esercito si resero conto dei nemici provenuti dalla foresta e girando alle loro spalle, era già troppo tardi: prima ancora che si potesse suonare il corno, gli ordini vennero coperti dal clangore delle spade e delle urla.

Il demone passò fra i bruti che si scontravano con i Rahm as Aid, scivolando invisibile e sostanzialmente indisturbato. Assistito dalla fortuna e dal caos che regnava da ambo i lati e dalla sua vista acuta, scorse il suo bersaglio: un uomo dal capo coperto da un turbante adornato da due piume candide, una lunga asta attraversata da crepitanti fiamme dorate, una spada ancora rinfoderata. Il Kunali non sapeva sorridere, sebbene sapesse provare gioia, e in quel momento sicuramente la sentiva scorrere dentro sè mescolata alla brama di sangue; fece la cosa più vicina di cui era in grado: passò la sua lingua completamente liscia lungo i denti aguzzi scoperti. Il suo braccio prese forma di una grande lama ricurva. Con un movimento guizzante del braccio decapitò Har Surturson - o provò, perchè nel momento in cui divenne corporeo avvertì qualcosa attraversargli la schiena di lungo e lasciargli una scia di dolore ardente. Z'mir emise uno stridio assordante che gettò nel panico i combattenti nei suoi paraggi, tutti eccetto uno: un uomo ringhiante con un occhio guercio e una mano con tre dita piegate come a invitare il demone ad affrontarlo, nell'altra una pesante ascia attraversata da scintille azzurre. « Fatti sotto, stronzetto! Sarò qui tutto il giorno! » ringhiò sollevando l'arma sopra il proprio capo, e il Kunali rispose sibilando; dopo un attimo di esitazione, indeciso se combattere o meno, stabilì che il vantaggio era ormai perso. In un batter d'occhio il demone ritornò fumo e sparì nel campo di battaglia.

- - -

« Qu-queste maledette co-c-correnti! Non li raggiungeremo mai d-di questo passo! » berciò un drago dalle squame rilucenti nel cielo, splendendo dorate e lucide sotto la neve che si scioglieva al contatto col suo corpo caldo. Wotan aveva scelto di unirsi con riluttanza a quell'impresa che mal si confaceva al suo status, ormai da lungo irrilevante in una gerarchia di draghi scardinata dal loro tempo e dal loro spazio. Il loro caro, adorato spazio ricco degli antichi frutti della sua gloriosa arte, ormai persa nei secoli. E che di quel passo lo sarebbe rimasta, vista la pazzia a cui era stato costretto. Se solo Huginn avesse scelto di seguire il drago di rubino, quel lontano giorno... « Vola più in alto, allora. » Il tono scocciato di Andòf lo fece sussultare, e a malincuore seguì il consiglio separandosi dal corpo dello stormo. Il drago di rubino non aveva contato sulla totalità della popolazione del picco della montagna, nè sulla gran moltitudine che aveva risposto al richiamo lanciato per vendicare i propri fratelli.

« Finirà oggi, in una maniera o nell'altra. » Eirgrænn lo raggiunse, evidentemente affaticato ma non meno determinato. Il suo corpo era poco adatto al volo prolungato, pesante com'era in confronto alle sue ali, e le sue scaglie verdastre non erano granchè aerodinamiche; ciononostante, continuava a sbattere le ali mantenendosi al passo. Sotto di loro il paesaggio dell'Edhel si dipanava nelle sue sfumature bianche con sacche di resistenza qui e lì, nero dei versanti scoscesi delle montagne rocciose o le verdi conifere che si ergevano fiere al di sopra dello stuolo bianco. Il drago di rame e quello di rubino ricordavano ancora i tempi antichi in cui nulla di quello esisteva, e la terra era brulla e priva di forma: l'avevano plasmato a loro piacimento, prima per curiosità, poi per vezzo, infine per noia. Ma di tanto in tanto, nella loro infinità, si erano presi qualche lungo momento per ammirare quanto avevano creato, sorriso orgogliosi o storto il capo dubbiosi; avevano contemplato ciò che avevano fatto, ammirato il passato, per poi tornare alle proprie futili preoccupazioni quotidiane. In quelle circostanze non fu permesso che uno sguardo sommario, una vista d'insieme sfocata mentre si lasciavano alle spalle miglia e miglia in un batter d'occhio per raggiungere il Talamlith.

« Non finirà. Inizierà qualcos'altro » sentenziò Andòf, guadagnandosi un'occhiataccia dell'altro. « Eirgrænn intendeva questo. » con il muso indicò le terre desolate, distrutte dai demoni e dalla guerra che era seguita, con alberi giganteschi ridotti in cenere. Alberi che una volta erano elfi, l'antica progenie dell'Àlfur che il maestro Fyrirliði aveva presentato loro quel fatidico giorno. Il giorno in cui, da solo, divise in una faida la sua stirpe - o così avrebbe voluto pensare. Andòf, dopotutto, aveva contribuito a suo modo. Una macchia indelebile che mai sarebbe stato in grado di lavare dal suo cuore di gemme, persino dopo averlo spremuto per liberarsi delle sue spoglie immortali per calarsi in un corpo più umile. « Allora sì. In quel caso sì. » La tempesta divenne gradualmente più forte, il drago di rubino riconobbe il potere che aveva percepito nel Guerriero al suo arrivo al picco. Lo scontro doveva essere già iniziato. « È la nostra occasione per correggere l'errore. » disse il drago verde aguzzando la vista. L'altro sospirò e annuì solennemente. « Grazie, Rauðvín. » disse con voce rauca, sospingendosi in avanti per raggiungere la punta d'avanti dello stormo. Verderame scosse il capo ed esalò un getto di vapore ardente per scaldare il muso, quindi si preparò a calare di quota assieme ai suoi fratelli.

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Da sopra la propria spalla, Har fece un cenno di ringraziamento - ma Mikhiel rispose facendo un cenno rude con le dita rimaste. « Quando cavolo credi di iniziare a combattere? I Priori seguono gli uomini sul campo, o vuoi approfittare di essere uscito dalla biblioteca per prendere un po' d'aria?! » In risposta, un verso lacerante dominò le orecchie degli astanti e una fiammata arrivò tanto vicina che il fiato si seccò subito in gola alla Lanterna. Surturson lo schernì con un accenno di risata soffiato, che si condensò in una piccola nuvoletta di vapore presto strappata via dalle folate sollevate dai draghi giunti. « Aspetto il momento giusto. Come sempre. » Schioccò le dita e uno degli incubi si animò dalla propria ombra, saltando in groppa ad uno dei draghi dalle scaglie argentee, che prese il volo poco dopo. « Dobbiamo vincere. Non posso rischiare ora, capisci? » gli lanciò un'occhiata solenne, alla quale la Lanterna non seppe come rispondere. « Non morirò per te. » sibilò comunque nell'orecchio dell'altro, che gli aveva teso la mano per aiutarlo a rialzarsi. « Allora non farlo » rispose freddamente Har. Non si erano mai piaciuti molto, neanche quando Penna Bianca era ancora un apprendista - quindi prima che Mikhiel venisse scartato come uno storpio per averlo salvato in una missione, giocandosi la promozione a Cavaliere che invece venne facile ottenere all'ambizioso allora ragazzo. « Vedi alcuna ragione per farlo? » Il veterano saldò la presa sull'ascia e le scintille si rianimarono. Scosse il capo, e quando si separarono tornarono a combattere la loro guerra. Ma lo sguardo di Surturson era lontano.

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Il Kunali tornò nelle retrovie, furente. Qui e lì le sue dita tagliavano gole, recidevano tendini, graffiavano le mani che reggevano gli scudi, tutto senza che ci si potesse difendere. Aveva fallito nel suo grandioso intento, ma i suoi compagni si erano fatti valere: la retrovia era piena di coloro che fra umani avevano imbracciato le armi con insicurezza, incapaci di distinguere il lato tagliente dall'impugnatura, alcuni avevano perso il sangue freddo e avevano tentato di fuggire - solo per trovarsi nella schiena una ventina di centimetri di aculei di Hiravaash. I deboli, i feriti, i codardi: non importava che fossero prede minori. Kzhad era convinto che lo scontro frontale era l'unica maniera per schiacciare i propri avversari - e Z'mir, umilmente, si riteneva in disaccordo; l'aveva provato quando i Molti tentarono di tendere un tranello al Lamash, distratto dalla Reliquia, ignari che i sottoposti di entrambi i fronti avrebbero tentato di interferire. Z'mir aveva ottenuto un briciolo di fiducia dal grande demone, che gli aveva lasciato un nutrito seguito e soprattutto carta bianca: un'occasione per dimostrare il proprio valore, e colpire dove più avrebbe fatto male.

« Statevene indietro bastardi! » Lo sguardo del Kunali venne attratto dalla fonte della voce pavida. Un drappello di uomini si era raccolto attorno ad un arnese bizzarro - un mostro d'acciaio su due ruote malferme in legno, probabilmente dovevano rimaste incrostate di ghiaccio: due degli uomini adornati al braccio con una fascia di un cerchio incompleto cercarono di spostarlo, senza troppo successo, mentre i demoni si stringevano ridacchianti attorno a loro, pregustando la loro preda. Bredon sbottò, i capelli ricci in mezzo agli occhi a causa della tempesta, incoccò una freccia. « Tutto perchè dovevamo proprio usare questo trabiccolo idiota! » Un altro, quello che aveva parlato prima, un uomo vestito di pesanti vesti e un turbante ricco di orpelli, gli diede un calcio sullo stinco strappandogli una bestemmia.
« Trabicco-trabiccolo? È uno dei dieci tesori di Tanaach, razza di imbecille! Roba Maegon! » Un altro, una Lanterna di grossa stazza, li guardò confuso. « Ma perchè usare un tesoro invece di un'arma? » Juan e Bredon si voltarono all'unisono verso Umi. « Stai zitto! »

Uno dei demoni si fece vicino ondeggiando il suo spadino, ma fece un passo di troppo: in preda alla tensione un uomo tremante si lasciò sfuggire una freccia, che andò dritta in uno dei cinque occhi. Il Kisalah ululò di dolore rotolandosi per terra mentre i suoi compagni si sganasciavano dalle risate, ma si ammutolirono nel vedere il Kunali riprendere forma e osservare tutti con gelida collera. « Cosa diavolo state facendo. » disse, generando un'ondata di terrore che colpì sottoposti e nemici contemporaneamente, spingendo i più lontani a cercare riparo altrove, mentre i più vicini - quelli vicini al marchingegno della Ruadh, rimasero completamente paralizzati. I demoni, nello specifico, non avevano mai avvertito così tanta furia nel loro compagno. « N-n-niente boss! Ci stavamo divertendo u-un attimo per tram-taurm-ta-traumatizzarli! Vero? Vero?! » disse una Cimice guardando gli altri, che annuirono nervosamente. Z'mir gli riservò una rapida occhiata, non più di un momento per prendere le misure, e gli recise di netto il collo con un gesto del braccio falciforme, con tanta precisione da far volare e ruzzolare il capo ai piedi di un Kensillah. Gli altri sobbalzarono, il Kensillah guaì e la Lanterna dai capelli ricci sollevò la spada puntandola verso il demone - non riuscendo però a tenerla salda abbastanza da essere una vera minaccia. In quel momento un ruggito di drago nella distanza richiamò l'attenzione di Z'mir. Un altro, e un altro ancora. Dopo giorni di silenzio mesto incatenati, si stavano finalmente sfrenando, quasi fossero cani randagi. Un po' troppo, gli parve: non molti erano sopravvissuti a seguito dell'assalto del castello di quello stupidissimo Tergan, Tergan per cui quelle lucertole troppo cresciute avrebbero preferito morire piuttosto che lasciarlo al destino inevitabile. Non provava pietà, ma nemmeno indifferenza: ricordava ancora il giorno che i draghi avevano raso al suolo le nidate nell'Akeran, impedendo loro di conquistare le terre che una volta appartevano loro di diritto. Ma avrebbero pagato: avrebbero pagato tutti.

Nessuno si rese conto del bastone di Umi, tenuto un filo troppo vicino al trabiccolo, nè della scintilla di fuoco che balenò dalla punta dell'arma andando ad accendere una miccia. Quando l'acciaio si animò sotto la coperta di neve che aveva tinto di bianco la superficie, le rune incise si illuminarono di bagliori iridescenti e con un fragore assordante il cannone sparò un'infinità di schegge e piombo ardenti di magia arcana. Il Kunali ebbe appena il tempo di riprendere la sua forma di fumo - ma si rese conto troppo tardi che nemmeno quella sarebbe bastata. Quando il lampo di luce si spense, rivelando il tesoro dalla sua gigante canna ormai esplosa e fumante, non era rimasta che cenere dei demoni. Le Lanterne, gli uomini della Ruadh e il Beduino erano a terra, una melma fangosa a seguito della deflagrazione che aveva istantaneamente sciolto la neve. Il volto scurito dalla fuliggine e le sopracciglia quasi totalmente bruciate, Juan si tastò il volto per qualche momento di shock: quando si rese conto di essere ancora vivo, venne scosso da qualche colpo di tosse e si rialzò a fatica assieme agli altri. Quando vide cosa era rimasto della diavoleria trafugata nei viaggi nell'Akeraan, quell'unico arnese a cui si era affezionato per quanto non l'avesse mai usato, si soffiò il naso. « Il...il mio tesoro... » disse con gli occhi lucidi, permettendosi qualche attimo di tristezza. Solo qualche attimo, confortato dai suoi uomini e dalle Lanterne ancora incredule, prima che la fine del mondo tornasse a martellare con insistenza, suonando con la forza di una campana disperata sulla torre più alta.

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Farrokhzād sbuffò e si scrollò la neve di dosso. Attorno a lui, uno stuolo di cadaveri appartenenti a truppe di entrambi gli schieramenti venne sepolto in un tumulo bianco. Il suo sguardo era affaticato per diverse ragioni: la tormenta impediva una visione chiara del campo di battaglia, oltre che ad ostacolare il passaggio delle sue truppe, per dirne una. Le truppe più piccole, gli sfigatelli che avrebbero dovuto tenere impegnate le prime linee mentre i veri demoni preparavano il loro assalto, non riuscivano nemmeno a raggiungere il vivo della battaglia. Man mano la linea di contatto fra i due eserciti era receduta, l'area che li separava sostanzialmente dimezzata; per la prima - non la prima, le memorie dei suoi avi gli ricordarono, ma sicuramente per una delle prime volte - si stava ritrovando a combattere ad armi pari. Anzi, a venir respinto.

Alle sue spalle, con la coda dell'occhio, poteva vedere le armi gettate dai più smidollati prima di gettarsi nella voragine. L'aveva aperta alle spalle dell'armata per ricordare la minaccia iniziale, certo non si sarebbe mai immaginato che qualcuno potesse, effettivamente, sceglierla: ma schifosi Tergan erano, e schifosi Tergan sarebbero rimasti. Avrebbe eventualmente punito qualcuno per riportare l'ordine fra i ranghi, ma non era la priorità in quel momento: la seconda ragione che lo aveva stancato era quel maledetto aggeggio. Aveva sperato di cavarne qualcosa di utile, sperimentando ondate dopo ondate di creature - ma si erano rivelate nulla più che distrazioni, ogni volta risucchiandolo delle proprie forze per partorire esseri che non valevano assolutamente la fatica. Proprio come quegli idioti che si riparavano con le braccia per procedere nella tempesta. In una fitta di collera esplose un barrito, tale da creare nelle vicinanze un'onda d'urto, che scaraventò in aria cadaveri e combattenti, qualcuno fra i più piccoli e leggeri che tentavano di nascondersi dietro la sua mole finirono addirittura nell'abisso.

« Gingillo inutile...! » ringhiò furente.
Persino i draghi avevano mostrato evidenti segni di cedimento nel plasmare i rinforzi, e man mano i nefer prodotti risultarono sempre più deboli. Aveva a quel punto ordinato di attaccare direttamente l'esercito; perchè maledizione, rimanevano pur sempre draghi. Eccetto che poi era arrivato quell'altro branco di draghi, piombato dal cielo come arpie, e la situazione era nuovamente peggiorata.

Gli occhi si piantarono come carboni ardenti sul nemico, ed espirò una coltre di vapore.

« Nessun sopravvissuto! Fate una carneficina!
Ballate sui loro teschi, bastardi, BALLATE!
»


Pestò il terreno più volte con le sue zampe mastodontiche infilzate in più punti da frecce e lance, la terra si sollevò e si abbassò fratturando brutalmente il campo di battaglia, qundi il Lamash tornò alla carica travolgendo i malcapitati sulla sua traiettoria, superò con un balzo i dislivelli più bassi e per quelli più imponenti arrivò a schiantarsi contro la roccia, sbriciolandola e procedendo oltre. Quasi non si rese conto che la bufera stava scemando.

- - -

Anche se con i suoi occhi chiusi non poteva veder nulla, e l'ululare del vento nelle sue orecchie lo aveva quasi assordato, Jevanni aveva un'impressione piuttosto chiara su quello che stava succedendo. Il gelo gli aveva quasi paralizzato le membra, l'aveva intorpidito e strappato alle sensazioni del corpo. Sarebbe potuto essere morto, solo la sua coscienza sopravvissuta e infrattata in uno spazio contiguo alla realtà; paradossalmente, nel non riuscire a sentir più nulla di sè, riusciva ad avvertire con nitidezza altrimenti impossibile quanto lo stesse circondando. E sapeva che non stava andando per nulla bene. Gli Anahmid erano riusciti a spingere notevolmente i nemici, quindi il grosso della battaglia si era spostato da dove si trovava lui, ma le perdite si stavano facendo sentire. Anche fra le Lanterne, molti bastoni avevano perso il loro proprietario, spezzati o ormai spenti. Archi abbandonati in favore di spade, scudi frantumati, stuoli di frecce: lo spadaccino riusciva a sentirli tutti, cantare la loro nenia dimenticata nella violenza dello scontro, pizzicando corde e suonando note con ogni botta di vento.

Sentiva lamenti, versi strozzati, fauci che si richiudevano sulla carne intirizzita dal freddo e lame che trafiggevano carapaci. Sentiva il crepitare della magia dell'altro mondo di Lanhai bruciare i vermi e le urla ad ogni fendente dello spadone di Alder, così come i due vargar di Surturson latrare prima di dilaniare le gole delle loro prede. Sentì Gramar sibilare un'imprecazione per l'arma caduta e il suo respiro spegnersi. Ma resse. Resse finchè le forze glielo permisero: era come un gioco perverso e masochistico, in cui sfidava sè stesso per comprendere quanto a lungo avrebbe potuto tenere sotto controllo l'influenza di Kjed. Solo che non gli era concesso perdere.

Un verso straziato poco davanti a sè ed un tonfo nella neve: qualcuno era stato sbalzato vicino ai pochi piedi. Respirava ancora, sebbene a malapena, come se ferito gravemente. Passi pesanti di una creatura massiccia annunciarono la causa. Il demone ringhiò e si avvicinò ancora, prima di fermarsi di colpo. « Tu...forte. » Il Guerriero socchiuse gli occhi: era alto due metri sollevato su due zampe, ricoperto di peli con l'eccezione di un'unica placca nera adamantina a difendergli il ventre e la schiena ricoperta di spine. Jevanni si costrinse ad esalare un profondo respiro, riempiendosi i polmoni di puro gelo, e portò una mano all'elsa di Orizzonte strappandola alla morsa raggelante della tempesta. « Tu preda più importante. » esalò qualche sospiro - una qualche forma di risata - e si mise a quattro zampe. « Se porto tua testa e bastone di ragazzo, doppia ricompensa! » Jevanni guardò verso il basso - e a restituirgli lo sguardo c'era un ragazzo che non poteva avere più di sedici anni - aveva una daga stretta in mano ma una ferita all'addome da cui, copioso, usciva sangue.
« N-non preocc.. » una fitta di dolore gli impedì di finire la frase. Lo riconobbe: era Rusk il ragazzo nella baita abbandonata nell'Erynbaran, assieme ai suoi compagni. Lo aveva sentito combattere e abbattere i demoni prima che lo raggiungessero mentre piegava i venti a loro favore; esalò il respiro trattenuto nei polmoni. Il demone si lanciò contro di lui, ma la mano rimasta sollevata per tutto quel tempo si ricoprì di uno strato di ghiaccio, ricadendo come un maglio sul mostro e quasi schiantandolo al suolo. Senza fermarsi, con un movimento fluido lo spadaccino sfoderò Orizzonte e lo decapitò: con un sussulto e un zampillare di sangue nero, l'altro morì sul colpo.

Ripose accuratamente l'arma e si chinò per aiutare il ragazzo a sollevarsi - ma in quel momento il corpo ritornò sensibile. Con un grugnito cadde in ginocchio e la vista si riempì di puntini luminosi, un attacco di vertigini che lo annebbiò totalmente. « Credo...di aver esagerato » mormorò con la testa ciondolante. Tentò di risollevarsi, solo per ripiombare esausto. Rusk lo raggiunse carponi. « Ser...! » biascicò tossendo e stringendosi la ferita. « Forza! Resistete, i medici si occuperanno di voi! » La voce arrivò ovattata, non più per il vento ormai ridotto ad una caparbia brezza; il Guerriero maledì la propria debolezza e perse i sensi.

- - -

( X )
-GRIDA DAL CIELO: TRASFORMAZIONE-


Eldingar fissò inespressivo il suolo tappezzato di cenere e carbone, risultato della sua potente fiamma. Dove ora brillavano tizzoni in attesa di spegnersi sotto i fiocchi di neve, prima avevano marciato uomini ed àlfur assieme. Gli avevano rivolto timidamente le armi contro, perchè in fondo che altro potevano fare? Li aveva spazzati via in un soffio, proprio come aveva fatto con gli altri prima di loro. La sua catena tintinnava, l'esserino che prima la teneva stretta era ormai morto da tempo - ma non era certamente quella miseria d'acciaio a costringerlo a fare quello che stava facendo. « Fuggite, mortali! » ordinò gelido prima di soffiare una seconda ventata di fuoco alle truppe che si stavano avvicinando. Non avrebbe fatto la fine dei suoi compagni più miti, morti fra le rovine di Verkstæði o sul campo di battaglia: lui che sapeva combattere e non pativa certo il misero freddo della tempesta, fuoco vivo scorreva nelle sue vene, non avrebbe deluso l'Idolo. Non poteva, assolutamente, non dopo la minaccia.

"Disobbeditemi, lucertoloni." aveva detto stringendo nella proboscide lo Hjart sotto lo sguardo terrorizzato delle poche dozzine rimaste di loro, ormai esausti e scandalizzati dall'eresia che stava ordinando loro di creare. "Disobbeditemi, e direte addio al vostro giocattolino. Ci siamo intesi?". Nessuno aveva osato fiatare. Nessuno poteva dire di no a prescindere, perchè la volontà dell'Idolo era indiscussa; ma con una premessa come quella? Probabilmente il Lamash non aveva realmente idea di cosa portasse con sè. Forse se avesse saputo che sulla sua zanna penzolava la genesi di Theras per come l'avevano conosciuta sin dalla prima era, avrebbe cambiato il suo approccio. E a quel punto, forse, non sarebbe nemmeno importato così tanto. Importava solo difendere il Cuore.

Tanto era concentrato sul muro di fiamme che aveva eretto che non si rese conto della sagoma che lo aveva raggiunto scendendo a picchiata dall'alto, se non quando ormai era piombata su di lui schiantando entrambi al suolo. Le due creature strisciarono a lungo lasciando una profonda scia nella neve e travolgendo le fila dei demoni. Quando si fermarono, il drago di zolfo intontito emise un ringhio e minacciò di sputare una vampata - ma l'altro lo precedette. « Sicuro di volerlo fare, maledetto folle? Finirebbe molto male. » Eldingar spalancò gli occhi, incredulo. « Sveigj...? » tentò di divincolarsi, ma era ormai troppo debole. Il drago di mercurio lo fissò sprezzante e una schiera di lance del suo elemento comparve per andare a trafiggere le Cimici che li stavano accerchiando. « Cosa è questo, il nuovo stadio della tua follia? Fammi indovinare, la morte dei vostri figli per creare la nuova vita? » Eldingar ringhiò e cercò di sprigionare un fiume di fiamme a bruciapelo, ma il drago di mercurio aveva già prontamente spiccato il volo. « Se Alum ti vedesse, starebbe male. » Eldingar si riaddrizzò e cercò nuovamente di soffiargli contro, ora furibondo. « Non osare nominarlo, verme. Non OSARE! » Si sollevò anche lui e si rincorsero in cielo, scontrandosi e separandosi come due magneti di polarità cangiante. « Non cambi mai. » Si scrollò di dosso le squame di zolfo ammaccate, e altre si formarono al loro posto. « Non capivi allora il genio di Fyrirliði come gli altri miopi, e ancora adesso non comprendi il valore della vita! »

Il drago di mercurio frustò l'aria con la coda, spazientito. « Forse dall'alto della tua follia hai dimenticato quanto in basso sei caduto. Stai servendo il flagello della progenie che tanto hai preferito alla tua immortalità - e a quella di Alum. » Eldingar serrò le fauci e tornò all'assalto, cercando di colpirlo con gli artigli ma l'altro fu più veloce, e con un colpo delle zampe posteriori lo calciò via. « E anche se fosse? Meglio della dannata fine di tutto quanto! » si riassestò in tempo per evitare di schiantarsi contro uno dei pilastri sollevati dal Lamash, e riprendere quota. « Distruggeresti davvero lo Hjeart? Sacrificando dunque l'immortalità di tutti, la mutabilità e infinità del creato, cristallizzarla per - per cosa, poi? Per la pigrizia? Per la stasi? Per qualcosa di finito come un'intera società incapace di produrre qualcosa di nuovo? Come allora? » Un cristallo di zolfo prese forma fra gli artigli, una lunga asta che prese poi fuoco e iniziò a torcersi - fino a prendere la forma di una flessuosa lancia. « Guarda. GUARDA cosa abbiamo fatto! » Con lo spiegare delle ali parve abbracciare Theras tutta, il corpo scosso da singulti colmi di angoscia e orgoglio incrociati come i filamenti che componevano la lancia. « Cosa hanno fatto i nostri figli. Qualcosa che noi non saremmo mai stato in grado di fare! Dovevamo solo...allentare la stretta. E non attaccarci alle nostre vite come fossero esse il dono più prezioso. » Il drago di mercurio esalò un respiro profondo e rimase in silenzio per diversi attimi, sotto lo sguardo allucinato del drago di zolfo. « Sai una cosa? » sbuffò infine, e dalle sue ali gocciolarono gocce argentee; queste caddero al suolo diventando sempre più lunghe, man mano diventando più viscose e infine solide: martoriarono i demoni al suolo, sotto lo sgomento e la crescente collera di Eldingar. Si lanciò contro cercando di colpirlo con l'arma forgiata, ma il drago di mercurio si librò in alto con incredibile facilità. I Protettori erano tenaci, ma per la loro convinzione avevano pagato un grave prezzo: e Sveigj non aveva certo intenzione di provar pietà. « Sono stanco di questa storia. » La coda guizzò con inaudita violenza colpendo il drago antico sul dorso, facendolo crollare a terra prima che potesse riprendersi.

Gli fu nuovamente sopra immediatamente, allontanando cautamente la lancia con un colpo di zampa. « Vatn non meritava un compagno così pazzo. » Eldingar cercò di artigliargli una zampa e sbilanciarlo, senza successo: Sveigj aumentò la pressione affondandolo persino più nel fango. I combattenti decisero saggiamente di stare alla larga questa volta. « Non...nomin- » non riuscì nemmeno a terminare la frase che una craniata dell'altro sul muso lo intontì. « No, tu stai a sentire a me adesso. Cosa credi, che Fyrirliði di colpo decida che tutti quanti dobbiamo morire perchè lui si è stancato della vita e ci deve piacere? Che non sia un miracolo che non abbiamo avuto le palle per farlo secco sul momento? » non ricevendo una risposta dal drago di zolfo, ancora annebbiato dal colpo, gli diede una seconda testata - quella volta per pura rabbia. Pure le sue stesse squame, ammaccate, iniziavano a ribollire e gocciolare come lacrime di rabbia. « Ottusi. Tutti voi. E tu? Tu anche ipocrita. Avresti tentato di ricreare Vatn, se i vostri maledettissimi Idoli non avessero avuto altri piani. Nuova vita? Qualcosa che noi non saremmo mai in grado di concepire? Non farmi ridere. » Impotente, il drago di zolfo iniziò ad ansimare - la pressione sullo stomaco gli impediva di respirare a dovere, men che mai sputare fuoco. « Qualunque ragione quello sciocco di Fyrirliði potesse mai avere, l'ha persa nell'attimo in cui ha preso la decisione per conto di tutti senza consultarci. Non abbiamo mai chiesto nulla di tutto questo. Non abbiamo chiesto di morire qui combattendo una guerra non vostra, non abbiamo mai voluto combattere nemmeno voi. » l'ultima frase, pronunciata con amarezza e bile, terminò con una zampa sollevata con gli artigli argentei spalancati. Il corpo del drago di Eldingar si tese, ancora incapace di opporsi; nessuno fu più in grado di muoversi però quando un verso atroce del Lamash attraversò l'intero campo di battaglia squassando
i timpani dei più vicini e assordando persino i due draghi.

- - -

(la sera prima)
« Mi stai dicendo che ora il Kishin ha qualcosa del genere? » Surturson aveva più domande di quante riusciva ad esprimere: si costrinse a sceglierne una, forse la più sciocca in retrospettiva. Jevanni annuì grave. Erano rimasti solo loro due, il Priore aveva chiaramente avuto intenzione di rimanere da soli per palesare il proprio nervosismo. « Un cuore attorno a cui gravita il segreto della vita - o così il Daimon ha detto. » Surturson grattò le orecchie di Hati, fissando l'ingresso della tenda con occhi incavati. Gli uomini stavano cercando di prendere sonno in quel momento, e sarebbe stato meglio che anche loro facessero lo stesso, eppure non ci riusciva. « Immagina. Avere il potere di dar la vita, ma non avere il potere di darla a sè. » Jevanni abbozzò un sorriso che non aveva niente di divertito nè allegro. « Non è un potere che sapremmo usare in ogni caso, non con le nostre miserabili vite. Ora, un drago che ha vissuto l'equivalente di innumerevoli esistente... » « O un demone vissuto secoli su secoli, aspettando impazientemente di uscire da quel buco che era costretto a chiamar casa. » lo interruppe Penna Bianca.

Regnò un silenzio lugubre per qualche momento, prima che il Priore mandasse via il varg con una carezza gentile sul capo e sospirasse. « Mettiamo che lo prendiamo noi. » Jevanni alzò il capo, allarmato. « No. No Har, non è una buona idea. I Distruttori lo prenderebbero come una beffa. Sarebbe un- » « Sì, un bagno di sangue. Ma mettiamo che lo prendiamo. » tamburellò con le dita sul bastone d'argento, l'effige del volatile notturno riflessa nell'occhio dorato. « Non lo consiglio. Non sappiamo sfruttarne il potere. » « Per ora. Forse studiandolo potremmo scoprire qualcosa. Chissà? Emularlo. » Si alzò in piedi e fissò la mappa dell'Erynbaran. Erano riusciti semplicemente volendolo ad estirpare l'oscurità dalla regione, e presto avrebbero scoperto se la loro luce avrebbe prevalso contro quella del Kishin. « Immagina. Il potere dei creatori che hanno dato la vita. Quanta conoscenza servirebbe per poterlo usare a dovere? E se la conoscenza reale venisse sfruttandolo? » si voltò, Jevanni lo stava fissando al limite fra il preoccupato e il costernato. Inaspettatamente, sorrise. Non era il sorriso tagliente che gli aveva rivolto quel giorno quando si era presentato con una proposta delirante a Caer Sidi, eppure ne ebbe paura comunque. « Lasciami sognare, Glacendrangh. Sarà la nostra ultima notte. »

- - -

Il barbagianni risalì dalla parete che dava nell'abisso, da cui aveva aspettato pazientemente che la tempesta si rasserenasse, e si lanciò nuovamente nel cielo. La vista del campo di battaglia era molto migliore di quando aveva solcato per la prima volta il campo, dal lato opposto, e con il diminuire delle correnti la visibilità gli permetteva di mettere meglio a fuoco la situazione. Trovato il suo bersaglio, scese cautamente fino ad avvicinarsi.

« Bene bene, i lucertoloni si ribellano! » latrò Kzhad davanti ai due draghi che gli si erano parati avanti.
Quello ricoperto di squame di rubino assottigliò gli occhi, continuando a volare, mentre quello verde atterrò pesantemente.
Il pachiderma fece ondeggiare il Cuore di fronte a sè. « I patti erano chiari, traditori. Sapete che succede ai traditori? »

Quello verde lo schernì con un verso vagamente somigliante ad una risata. « Eirgrænn crede che questa palla di lardo ci stia confondendo con i Varnarmenni. » Andòf generò una barriera circolare di gemme rosse, che separò il pachiderma e i draghi dagli altri.
« Lo penso anche io. » scoprì le zanne. « Lascia lo Hjart, figlio di Baathos, e noi ti lasceremo in pace. »

Il demone lo imitò, ringhiando sommessamente. « Siete loro. »
Riappese il Cuore alla zanna. « Ho un conto i sospeso con voi bastardi.
Per ogni granello di Akeran che ci avete tolto, vi farò soffrire la peggiore delle torture.
»

Si lanciò in una carica contro Eirgrænn, che si tolse in tempo dal suo tragitto: il bestione continuò la corsa e finì per infrangere la barriera senza particolari sforzi, scrollandosi di schegge di dosso e tornando a puntare i due draghi. Questa volta afferrò uno degli ammassi di rubino più grossi con la proboscide, e lo scagliò contro Andòf - ma questo semplicemente lo tramutò con un gesto in una pioggia di piccoli cristalli. « Se la metti così... » disse gelido, ma il suo sguardo si posò su uno strano intruso.

Il barbagianni si posò sulla zanna destra, praticamente poggiando le zampe sul ramo. Un attimo dopo, al suo posto c'era un uomo. Prima che Khzad potesse rendersene conto, questi aveva già strappato catena dell'artefatto con uno strattone, tenendolo nell'incavo del gomito. Penna Bianca sorrise e sollevò il suo Valya Kai, e quando lo calò la punta del bastone emise uno sprazzo di luce seguito da un crack sinistro. Il Lamash guardò con orrore la propria zanna spaccarsi nel punto colpito, cadendo al suolo con un tonfo e spiattellando un Kisalah sottostante. Seguì incrociando gli occhi l'uomo balzare agilmente sull'altra, ma questa volta non gli diede tempo di fare lo stesso trucchetto: il suo urlo di dolore raggiunse una tale intensità che il Priore rimase stordito, per poco non facendogli perdere l'equilibrio, e persino i draghi si tirarono indietro. Il resto della barriera si infranse, facendo strage di chi si trovava incautamente nei pressi e disperdendosi nella neve in pezzi di diverse dimensioni. « Dannato... » ruggì, schiumante di rabbia nel vederlo ancora sulla zanna rimasta con la reliquia. « Sei tu il bastardo dietro quell'esercito? Il Guerriero dell'Inverno? » Surturson ridacchiò a fatica, ancora altalenante. « Oh, ti piacerebbe. » L'estremità superiore del bastone si accese di una luce incandescente. Quella volta il demone fu pronto. Sollevò bruscamente il capo scaraventando in aria la Lanterna, e spalancò le fauci gigantesche per inghiottirlo - ma non si rese del drago di rubino, che gli si avventò contro con tutto il peso riuscendo a spingerlo via di qualche passo - quanto bastò perchè l'uomo di atterrasse invece sul terreno, con ben poca grazia, sentendo il fiato svuotarsi del corpo all'impatto e rimanendo paralizzato dalla botta. Ma vivo.

- - -

« L'Idolo... » mormorò incredulo Eldingar. L'altro abbassò l'arto e guardò nella direzione che il drago di zolfo stava osservando. Andòf ed Eirgrænn si stavano scontrando con il mastodonte, uno scontro solo apparentemente alla pari - perchè qualunque ferita i draghi riuscevano ad infliggergli, per fiammata o per artiglio, il loro avversario si abbandonava ad una furia ancora più profonda, ancora più distruttiva. « Non è più lui? » Il drago di zolfo scosse il capo. Con un movimento agile il drago di mercurio si allontanò spiccando il volo, lasciandolo libero di respirare. « Alum è ancora vivo. » Eldingar sbiancò. « Co...? » Il drago scosse il capo, le squame argentee ancora deformate dal calore, come una chioma qui e lì spettinata. « Ha lasciato queste terre. Non voleva scontrarsi con te, ha ancora la bontà di sua madre dopotutto. Se ancora ti interessa, vallo a cercare. Ma bada. » si avvicinò e allungò il collo fino a potergli sfiorare la fronte, gli occhi ridotti a due fessure. « Se ci rivedremo mai su sponde opposte, non mi farò trattenere da Vatn. » Prima che il drago di zolfo potesse rispondere Sveigj si era già allontanato, continuando ad aprirsi la strada verso il pachiderma a furia di soffi di fuoco e lance di mercurio dal cielo.

Assieme a lui altri erano stati attratti dal verso, sia Vanarmenni che Eyðileggj. I primi si liberarono in vari modi, dal ridurre in poltiglia e cenere i loro aguzzini al trainarli per miglia e miglia e facendoli schiantare contro le pareti di terra sollevate dal Lamash, i secondi invece liberarono lo spiazzo attorno ai due draghi dalle ultime truppe così da isolare del tutto il signore dei demoni dai rinforzi.

Andòf si riprese da una botta atterrando, ansimando stanco: non combatteva seriamente da troppo tempo, e in quel nuovo corpo l'età si era già fatta sentire. « Cosa stai facendo? » lo redarguì Eirgrænn, non meno in difficoltà. « Lo Hjart non è più suo, non è lui il nemico! » Il drago di rubino scosse il capo e tentò di riprendere fiato, ma non fece in tempo a rispondere: da un cumulo di neve esplose un fascio di luce che trafisse il cranio di Khzad. Mentre il bestione emise un altro verso tuonante di sofferenza, Penna Bianca si rialzò a fatica puntellandosi sull'arma dell'Ordine con un'espressione stranamente soddisfatta. Non durò molto.

L'occhio sinistro ridotto ad un buco grondante di poltiglia immonda e sangue scuro grumoso, il Lamash abbattè furiosamente le sue enorme zampe sulla terra. Questa si squassò, venne compressa e sollevata, fino quasi a creare diversi anelli concentrici che divisero l'armata e investirono brutalmente alcuni fra i draghi che volavano più bassi. Entrambi gli eserciti si ritrovarono devastati, separati dagli altri, alcuni in un baratro e altri su una cima da cui non sapevano come scendere.

Al nucleo di tutto quello, Farrokhzād fissava i suoi nemici per la prima volta con una nuova sensazione. Non accondiscendenza, non interesse, non certo rispetto nè disprezzo. Era un istinto primordiale che trascendeva le emozioni più limpide e razionali, e rifuggiva da ogni logica. Perchè animale Kzhad lo era, in fondo. Provava paura. Ma non l'avrebbe mai ammesso. Snudò le fauci ricche di denti aguzzi e mostruosi, emettendo un ringhio profondo; girava lentamente in cerchi sempre più piccoli assieme ad Eirgrænn squadrandosi entrambi in cagnesco, aspettando il momento propizio.

Accadde in un attimo: durante il caos generato dalla sfuriata del demone Penna Bianca era sgusciato in alto, nuovamente librandosi sulle candide ali di barbagianni, per cercare una posizione di vantaggio. Con caute spirali si avvicinò, convinto che in quel momento fosse troppo concentrato da Verderame per rendersi conto del pennuto - ma fu lui a non realizzare che l'occhio rimasto, vigile, stava seguendo in realtà lui; non realizzò subito che, con quell'ultimo cerchio, si era avvicinato troppo nè notò la malignità con cui l'occhio iniettato di rosso della bestia brillò. Si volse improvvisamente alla propria sinistra e si proiettò in avanti in un affondo micidiale - in un affondo tale da penetrare il corpo fragile e polverizzare le ossa, far esplodere Surturson in una nuvola di piume prima ancora di realizzare il suo errore; invece il volatile venne scaraventato via con tanta violenza da riprendere forma umana, ritornando a terra e ruzzolando malamente tornando senza fiato, spinto dalla figura di Andòf.

« Hmpf? » Dapprima confuso, poi il mastodonte emise una risata latrante tanto forte da scuotere la terra ai suoi piedi.
« Che stupido! Hah! » la voce era appena attutita per la zanna tenuta ferma dal corpo impalato di Andòf.
« Uno al posto di un altro, cosa importa? Siete deboli. Deboli da soli. »
Sollevò il capo e il drago di rubino ruggì sofferente, riempiendo il campo di battaglia improvvisamente messo a tacere.

Eirgrænn rimase in silenzio, paralizzato ancora nella sua posa guardinga, costernato dalla visione del compagno.
« Solo il forte può dominare! Chi si erge al di sopra di tutti,
per riportare la terra alla sua natura reale: la sua piattezza!
» tuonò Kzhad.
Calpestò il suolo; una poderosa onda sismica portò l'anello più vicino a sbriciolarsi in una frana fragorosa.

Il corpo del drago di rame iniziò a sprigionare vapore, dai varchi fra ciascuna squama e dalle fauci; quest'ultime si iniziarono ad animare di un bagliore man mano più intenso, mentre la collera silenziosa iniziò ad animare Eirgrænn. Il demone notò l'aura omicida, e ghignò.
« Tu, l'uomo pennuto, il tuo amichetto qui - siete solo sassolini da venir schiacciati.
Sarete parte della terra dove io, e solo io, potr...oh? Volevi dire qualcosa?
»
L'occhio vagò sul drago rosso, che si stava cercando di dimenare con espressione dolorante. Il ghigno si ampliò.

« ...è pro...io...sto... »
« Alza la voce lucertolone, è difficile sentirti dall'altro mondo! »
Quando smisero i sussulti della sua grassa risata, Andòf sollevò uno degli arti e puntò un artiglio verso il Lamash.
« ...è proprio per questo che... » tossì. « ...che siamo più forti di te, creatura ingrata. »

L'occhio del pachidermi si assottigliò. Verderame sollevò tremante il capo, ricoperto di vapore ardente che stava sciogliendo la neve e formando una coltre attorno a loro e una leggera foschia. A fatica, Penna Bianca si stava rialzando - un braccio penzolante inerte lungo il fianco e l'altro a stringere il bastone sacro attorno al quale era legata alla men peggio la catena dell'artefatto.

« Anche divisi in cuore e corpo, siamo qui. Abbiamo un cammino da percorrere, tutti assieme. I forti sono deboli e i deboli sono forti, quando si decide di collaborare per un fine unico e assoluto. » Inspirò a fatica, stringendo con le zampe la zanna e spingendosi in avanti e lasciandosi attraversare ancor più, avvicinandosi al suo viso. L'altro cercò di scrollarselo di dosso, ma oltre a strappargli un altro ruggito di dolore non riuscì a far nulla. « Sei...troppo giovane. Forse troppo stupido, o entrambi...e non ho davvero più tempo per spiegartelo. » Avvertiva le proprie energie svanire, il battito indebolirsi: doveva agire subito. « ...umano. Veglia sul Cuore dei draghi. Veglia sulla vita di Theras e sul prezzo che esso comporta. Veglia sui nostri fratelli, sia i vostri procreatori che coloro che non vi hanno mai avuti. » Il drago spalancò le zampe e il sangue di cui il suo corpo martoriato era rigato si cristallizzò in rubino, ramificandosi e divenendo un fiume di rovi che affondò nel corpo del pachiderma in diversi punti, strappandogli un verso stridulo che mal si associava al suo brutale aspetto, eppure la voce profonda di Andòf arrivò chiara alle orecchie di Penna Bianca e del drago verde. « Sii la sutura nella trama strappata della nostra famiglia, e più Luce di quanto tu non lo sia stato per voi mortali. »

« Ma soprattutto... »
Esalò un ultimo respiro e le ramificazioni andarono a formare un unico bozzolo che legò drago e signore dei demoni, una statua rossa.
« Ricorda.
Ricorda che siamo vissuti.
»

In una sfaccettatura di volti e idee, vizi e pregi, paure dello sconosciuto e il coraggio di superarle con il genio della creazione. Ma anche imparando, chi prima di altri, che la creazione fine a sè stessa non significa nulla e che la distruzione non è mai assoluta. Che sono solo due facce di una stessa medaglia, e che nulla si crea, nè si distrugge. Perchè loro non avevano semplicemente perso l'immortalità. L'avevano trasformata. Non sarebbe mai stato tempo sprecato, ma tempo trasformato. Che ogni momento aveva importanza e poteva essere definito "vissuto" solo nell'attimo in cui terminava, dando vita ad altro.

Alcuni l'avrebbero capito. Altri no. Altri, solo in ritardo.

Per quello che riguardava Andòf, drago di rubino, amico e assistente di Fyrirliði, era tutto chiaro. Cristallino.
Il bozzolo si infranse, lasciando nulla più che sagome irriconoscibili - solo alla lontana riconducibili a corpi materiali.

Penna Bianca rimase in silenzio a contemplare quello che lo circondava, incapace di reagire alle urla di battaglia che scemavano e i demoni che fuggivano talvolta anche passandogli accanto, nè le urla feroci dei Van e i soffi dei draghi che illuminavano l'orizzonte braccando i sopravvissuti con non poco sadismo. A malapena si capacitava del fatto che il Talamlith fosse libero, perchè il peso di una vita - ben più di una, in realtà - si era di colpo trovato sulle sue spalle doloranti. L'intero corpo in realtà era esausto, eppure quasi non lo sentiva. Nè si rese conto del drago di rame se non quando gli fu dietro, troneggiando e arcuando il collo fino a fissarlo. Lo sguardo gelido esprimeva doppiamente silente ostilità e speranza - qualcosa che mal riusciva a conformarsi nelle sue iridi castane o nella sua pupilla a fessura. « Hai sentito le sue parole. Obbedirai, o Eirgrænn deve usare le cattive? » Har Surturson spostò cautamente lo sguardo verso la reliquia, poi verso il drago. « Non obbedirò » disse infine. Sorrise. « Collaborerò. » Dopo un momento di silenzio, Verderame sbuffò. Non si fosse trattato di Verderame, quella smorfia sul suo muso amaro sarebbe quasi parsa un ghigno. Forse. « Va meglio. » decretò infine, e prima che Surturson potesse dire altro si ritrovò stretto nel pugno del drago e portato nel cielo - seguito dalla moltitudine di draghi. Nessuno li rivide mai più.

Quando calò la notte, il cielo era tornato silenzioso - e la terra pure.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb

Ed eccoci qui. La Battaglia per il Talamlith. Era parte del progetto di gruppo fin dall'inizio, anche se ammetto che trovarmi di botto a descriverla da me dovendo reggere le fila di quanto avevamo orchestrato assieme il turno prima - con l'aggiunta di Grida dal Cielo - mi ha colto impreparato. Diciamo che ero già pronto a dividere le parti con i miei compagni e farne l'highlight di questo turno. Little did I know, Hole di colpo è rinchiuso in una gabbia di demoni a miglia di distanza e il povero Hocrag si è trovato ad affrontare il Kishin in un'altra dimensione. Whoops. Ad ognuno dunque le proprie imprese titaniche.

Da un lato abbiamo quindi l'orda di demoni capeggiata da Khzad (grazie Grim per aver dato a disposizione un diminutivo al suo nome di battesimo...spero peraltro di averlo scritto correttamente ovunque). Le mire del pachiderma, già parzialmente tendenti al liberarsi del giogo del Kishin, sono cresciute ulteriormente con l'influenza mentale generata dal Cuore - e man mano che altri Uno e i Molti cercano di usurpare il suo potere, lui li sconfigge e ingloba altre truppe. Fa inoltre alcuni esperimenti col Cuore, che però come si vedrà durante il combattimento non saranno di grande effetto perchè nonostante tutto gli manca la conoscenza e il potere dei draghi antichi. Ciononostante, la reliquia permette di disporre dei draghi e di letteralmente tenerli al guinzaglio. Uno fra loro nello specifico, il drago di zolfo Eldingar (creato dall'utente Palantir de la nuit nella scena Creazione, accompagnato dal drago Sveigj di Shervaar) lamenta in silenzio l'utilizzo blasfemo che sta facendo Khzad del Cuore, non potendosi sottrarre alla sua influenza.

Dall'altro lato abbiamo la coalizione di Lanterne, Arshaid, Anahmid, gli uomini della Ruadh, gli inumani (il "piccolo popolo" di Lanhai) e i Rahm as Aid capeggiati da Har Surturson. Jevanni si è riunito all'esercito la notte prima della battaglia, informando a larghe linee i vertici della situazione dei draghi e poi, più in dettaglio, all'intrigato Surturson.

Jevanni utilizza il suo nuovo potere da Araldo per invocare nuovamente la bufera soffiando violentemente contro l'orda di demoni, aspetto che permette alla coalizione di mantenere tendenzialmente un certo vantaggio a fronte di truppe numericamente inferiori. Questo però non può durare per sempre, e alla fine esaurite le proprie energie perde i sensi lasciando che la tempesta si calmi - ma non prima che arrivino i draghi Distruttori. Questi riescono a portare in significativo vantaggio la coalizione, e due di loro - il drago di rubino e quello di rame - raggiungono Khzad per strappargli controllo della reliquia. Approfittando della confusione arriva però Surturson che riesce a sottrargliela sotto lo sguardo incredulo di tutti, ma il demone non è intenzionato a farla passare liscia: il combattimento infuria e lo stesso campo di battaglia viene devastato fino a lasciarli soli dal resto degli eserciti. In un momento incauto Surturson rischia la vita, ma il drago Andòf si sacrifica per salvargli la vita - e con le sue ultime energie infligge un colpo mortale al signore dei demoni; prima di spirare affida una missione a Surturson: usare la reliquia per portare equilibrio e pace fra i draghi.

Le truppe dei demoni minori si disperdono quando il loro capo muore, già decimate dall'arrivo dei draghi e ora private del più forte fra loro, e così la battaglia finisce in vittoria per la coalizione dell'Edhel.

Questa è quindi la conclusione che propongo al ciclo Grida dal cielo. Per la prima volta i draghi Distruttori prendono possesso della reliquia, per quanto indirettamente visto che è comunque in mano a Surturson; quest'ultimo si lascia prendere da Eirgrænn, seguito da Distruttori e Protettori, per andare in un posto sconosciuto lontano dai tumulti dell'Edhel e di Theras, lontano da chiunque potrebbe abusarne.
view post Posted: 24/11/2019, 13:07 Il lascito degli Dèi ~ Dark Matters - GdR

ͽP R E M I S Eͼ
"of forewarnings and disclosure"

PJnzb

Primo di due post diviso in diversi POV situati sommariamente in ordine cronologico. Comprendo che la sintesi non sia mai stata il mio forte, e il tempo di inattività potrebbe aver appesantito alcuni punti - punti che magari in una trama complessiva potrebbero essere eccessivamente (forse inutilmente) concentrati su personaggi piuttosto che fatti. Mi era stato in effetti detto che questo evento avrebbero trattato storie più che personaggi, ma è mia fervida opinione che le storie siano storie intrecciate di personaggi vari e sul loro mondo interno, e di personaggi vari ho tinto (letteralmente e non) questa storia sin dal primo turno. Molti dei personaggi che ho ripreso sono inoltre parte della fazione delle Grida del Cielo e che sono apparsi in "Grida del Cielo - Creazione", come "richiesto" dal QM point, che dopo aver letto a distanza di tanto, tantissimo tempo mi trovo in dovere di congratulare, perchè i personaggi che hanno preso vita ad opera degli utenti mi hanno spinto (spero non troppo maldestramente) a condurre gli eventi che hanno fatto da filo conduttore a questo turno, o anche solo a fare brevi richiami.
Vi auguro una buona lettura.





( I )
-GRIDA DAL CIELO: DISTRUZIONE-


Mu'ayyd fissò inorridito la Madre incassare il primo colpo, arretrare, e venir poi scaraventata lontano da un secondo. L'esplosione di frammenti di roccia e granito, quanto restava del palazzo costruito in suo onore, lo sfiorò, una scheggia gli graffiò la guancia facendo colare una goccia di sangue verde dalla linea tracciata - un colpo di matita color melma a sfregiare il volto perfetto dell'Idolo. Il volto di un dio. Un dio intontito, però. Stentava ancora a capacitarsi del piegarsi lamentoso del tetto, a pochissimo dall'abbattersi sul suo cranio non fosse stato per le ali possenti di Hlíf richiuse su di lui per proteggerlo dal peggio.

Avrebbe voluto sentirsi disturbato per l'intrusione, schifato dalla presenza del Lamash che pretendeva da lui obbedienza, oltraggio per la strage dei suoi sudditi e delle loro (di conseguenza sue) creazioni. Avrebbe voluto alzarsi da quel trono di carne e ossa, snudare le zanne, mandare in fuga Khurradādhbih ibn Farrokhzād dei Malunfhan e il suo esercito. Quel colosso non sarebbe stata che una miserabile bestia, mentalmente incapace di comprendere quanto sfrontata fosse stata ad arrecargli noia. Tutto quello, avrebbe certamente voluto.

Tuttavia,
quando guardò dentro sè,
Mu'ayyd quella volta non vide il suo volto ghignare, beffardo, dinanzi alle avversità.

Il Cuore tacque ad ogni suo comando. Ogni suo ordine. Ogni sua preghiera. Ogni sua supplica.
Le sue lusinghe e rassicurazioni tacevano.
Sentiva solo lo scricchiolare delle zampe della Madre sotto le zampe colossali.

Il roboante verso di vittoria dell'Uno scosse la terra e sbriciolò i timpani, coprendo i lamenti e le preghiere affrante della draghessa perchè i suoi bambini fuggissero - ancora non si era resa conto di come gran parte di loro fossero rimasti schiacciati dalle rovine, altri fatti a pezzi come giocattoli. Si tappò le orecchie, e per qualche attimo la reliquia rischiò di scappargli di mano. La strinse con ancora più forza, finchè il suo stesso sangue non si mescolò agli umori disgustosi - eppur così dolci - che il cuore emanava. Lo fece con paura, ma la paura non generò nulla. Non lo rese nemmeno più forte. Perchè avrebbe dovuto? La paura era per i deboli. Era quello che si era detto per così tanto tempo, deliziandosi con quel nuovo potere smisurato e sognando la gloria a venire. Eppure, piccolo su un trono troppo grande per un Tergan come lui, in quel momento conosceva soltanto quella. Ma cosa più importante, non era rimasto più nessuno a creare per lui.

« Che teatro patetico che mi fai trovare, vermicello. » Il Tergan si fece indietro in un angolino della sedia, unica parte del suo antico regno rimasta intatta dopo l'arrivo del Kishin. Aveva udito la voce, proprio come l'avevano udita tutti; aveva deciso di non darle peso. Il suo potere era puro, il suo controllo assoluto. Non aveva fatto però i conti con la realtà. E quando questa era venuta a bussare alla sua porta, l'aveva sfondata brutalmente con le sue mille e una nocche. « Devi certamente avere una faccia di bronzo per tradirci tutti e rintanarti qui. Ma rimani quel che eri prima, schifoso Tergan: un debole. »

In fin di vita, incapace anche solo di emettere il proprio fiato per ferire la zampa che ora premeva sul suo petto, Hlíf si muoveva solo tramite spasmi. Spinta dall'invasione, aveva dovuto abbandonare le sue bellissime forme e ricorrere all'antica forma che il suo corpo possedeva. Un corpo però ferito nel profondo, un corpo che aveva dimenticato come usare e che ancora risentiva delle ferite mai rimarginate e lasciate imputridire - preferendo immergersi nei sogni di essere colei che non poteva più essere grazie agli artefici delle macchine - una Móðir. Col tempo era divenuta debole, aveva ceduto allo Hjarta la propria vita con ogni sua creazione e ogni capriccio che l'Idolo gli aveva commissionato - piccoli sgorbi che avrebbero dovuto intrattenerlo e servirlo in sua vece, perchè i suoi occhi non erano in grado di apprezzare l'impossibile perfezione del corpo della dragonessa. Lei aveva seguito lo stesso amore di Fyrirliði: era loro dovere sfruttare quel potere, il loro essere in potenza. Non per imposizione di dèi artefatti, perchè non ve n'erano a governare i Byggir, ma perchè così avrebbe dovuto essere. Era il credo che si era imposta, perchè così avrebbe voluto che tutti potessero vivere: con uno scopo insito in sè, non come catena ma come seme attraverso cui crescere. Uno ad uno i suoi figli sfilarono davanti ai suoi occhi d'avorio sempre più vitrei, ognuno di loro più grottesco e deforme - bellissimo proprio come lei. I Draghi Antichi non sapevano cosa fosse realmente la morte - non l'avevano che potuto immaginare come concetto, così difficile da accostare ai loro corpi maestosi. La draghessa iniziò finalmente a comprendere l'opposto del dar la vita,
mantra e dogma a cui aveva coscritto la sua esistenza prima e dopo il Risveglio.

"Mi dispiace Eirgr...no, Rauðvín. Proprio non riesco a pentirmi di ciò che ho fatto." Persino a fronte di quanto di esso veniva disfatto dinanzi a lei. Vide l'Idolo spaventato tremare come una foglia e farfugliare un'unica parola inudibile; anche lui, in una misura, era in quell'istante ben più che il possessore dello Hjart. Era figlio suo, suo e di tutti coloro che l'avevano affiancata nel suo impeto creativo, dando vita a Theras. E si erano poi ersi come loro Difensori, solo per venir crudelmente uccisi per strappar dalle loro mani la stessa fonte della creazione:
ironia amara, troppo per poterla ingoiare persino per lei,
tanto che una singola lacrima attraversò il muso martoriato dalle ferite.

Esalò uno sbuffo; quello fu il suo ultimo respiro. "Confido in te." Si erano scontrati su molte faccende da quando erano stati portati in quell'era. Si erano conosciuti meglio di quando ancora Verkstæði si snidava nelle viscere della terra, avevano dapprima cercato il confronto a parole, poi fisico - giungendo mai ad una vera e propria conclusione, facendo avanti e indietro fra violenza e alterchi, immancabilmente tornando al punto di partenza. Non si erano mai davvero piaciuti a vicenda - e questo sicuramente non aveva mai aiutato i rapporti fra i Difensori con coloro che si erano fregiati, non senza un pizzico di sarcasmo vista la loro natura di Byggir, del nome di Distruttori. Ma Hlíf sapeva che, quella volta, il vecchio drago avrebbe fatto la cosa giusta.

« A-a-a...aiuto...! »

Al sussurro del cinghiavolo il Cuore pulsò un'ultima volta, una tenue luminescenza violetta, tanto rapida e tanto piccola che sfrecciò accanto all'Uno senza che l'Uno o nessuno degli altri demoni striscianti vi prestasse attenzione. L'essere Idolo Mu'ayyd cessò in quel momento: lo Hjart aveva già scelto il suo prossimo portatore.

In mezzo agli altri Difensori caduti sotto le lance, gli artigli e le fauci delle bestie al seguito di Khzad,
nell'infuriare di una battaglia persa in partenza,
nessuno lo udì urlare mentre la proboscide titanica del Lamash si chiudeva attorno a lui
per poi spappolargli la testa senza il minimo sforzo.

- - -

( II )
-CANTICO DEL FUOCO-


« Ricorda, Jevanni, poiché null'altro ha importanza se non la consapevolezza,
che mai sogno può essere tanto vivido da soggiogare il corpo per disdegnare l'anima. »


Spalancò gli occhi e si sollevò di scatto a sedere, un martellare del cuore ad accompagnare il risveglio.

Labbra di luce sussurravano le parole nella sua testa, parole a lungo rimaste sopite.
Ricordi di un'era andata. Di tempi in cui il cammino era incerto in una valle di luce e tenebra.
Prima che l'Edhel divenisse Edhel.

« ...E che mai un uomo dovrebbe essere tanto stolto da vedere e poi dimenticare ciò che ha vissuto,
se è della propria esistenza che vuole conservare ragione.
»
rammentò in un mormorio, riadagiando il capo sul sacco usato a mo' di cuscino. Inspirò e poi espirò, più volte, fino a tornare calmo. Eppure, con la calma, giunse anche un profondo dolore al petto. Il viso divenne incandescente, e per placare le fiamme scesero lacrime. Gli rigarono le guance e appannarono la vista, tiepide carezze rispetto al rigore gelido della notte. Si volse di lato, così che altri non potessero vederle nè notassero il suo strofinarsi gli occhi con la manica, ma attorno a lui erano tutti avvinti nella stretta dell'Oneiron - alcuni sereni, molti parecchio meno. Solo uno era in piedi, vedetta silenziosa: Har Surturson fissava l'orizzonte, lo sguardo concentrato su Lithien. La decisione delle Lanterne presenti era stata unanime: marcia per l'Erynbaran sarebbe iniziata immediatamente. Era parsa impossibile, ma dopotutto c'era riuscito: fosse pure di un millimetro, aveva spostato la montagna. Un'altra lacrima rotolò lungo la guancia, al pensiero che Taliesin avesse davvero scelto di andare fino in fondo e dargli retta. Gratitudine, rabbia per aver dovuto spingere nulla più che un ragazzo - o così lo ricordava, ma in fondo era cresciuto - per un'impresa titanica che non sarebbe nemmeno dovuta toccare a lui. A dirla tutta, non sarebbe nemmeno dovuta nemmeno toccare allo spadaccino.

In fondo, però, non poteva andare diversamente: se non fosse toccato a nessuno,
allora sarebbe toccato a tutti.
Una ad una, le mani avrebbero dovuto sollevare i macigni e sgombrare la via.
E in quella folla di coraggiosi e disperati, Jevanni avrebbe ritrovato il cammino.

« La mia esistenza... » si strinse il petto lì dove le antiche ferite del Crepuscolo non s'erano mai rimarginate.
Quanto aveva dimenticato? Di quanto aveva preferito disfarsi per non dover sentire paura e ansia?

Aveva dimenticato quel monito. E tutto ciò che ne conseguiva.
Sussurrò nomi incontrati, uno ad uno. Li enumerò perchè ciascuno portasse un volto.

Kreisler, Serhat, Balmur, Joey, Zaide, Priscilla, Carillon, Noah, Morpheus, Ahinoe, Viktor, Motoko, Derezzed, Luther, Rohan, Aron, Jace, Hocrag, Alexandra, Hanzo, Veronica, Rage, Laurens, Assur, Taliesin, Mirzah, Cardinal...e coloro che pur non incontrati di persona, pur mai nemmeno immaginati dalla mente limitata di Jevanni, hanno dato forma alla sua esistenza.

Ricordi affettuosi, di cameratismo fiero in situazioni ardue.
Ricordi astiosi, di rivalità e disprezzo in momenti buii.
Ricordi di sfogo e ricordi di illuminazione,
e come incenso bruciarono, emanando odori di ogni sorta.

Jevanni si immerse in quei profumi. E pianse. E rise.
Si sentì orgoglioso di scelte passate.
E anche quelle che non avrebbe rifatto, sì, accettò come proprie.
Lentamente il dolore si acquietò, la notte fu di nuovo serena.

"Così tanto ho pensato a te, che ho tralasciato chi mi ha portato qui.
A pochi passi dalle tue braccia.
"

Visilne lo avrebbe rimproverato, sapendo di come si fosse perso così stupidamente.

L'avrebbe fissato male, gli avrebbe negato carezze e il suo canto,
con la facciata materna di chi deve insegnare ad un infante troppo cresciuto i suoi sbagli.

Sarebbe stata lei a farlo.
Non più lui stesso.

« È l'alba. » disse infine la Penna Bianca. Jevanni si girò, stava parlando a lui e lui soltanto.
Un breve sguardo d'intesa, il momento per entrambi di raccogliersi alla nuova giornata e farsi vedere dai soldati.

L'adunata chiamò poco dopo tutti, e l'Edhel riprese la sua disperata battaglia.

- - -

( III )
-NO STRINGS ATTACHED-


Un sospiro nel vento, l'eco del canto trasudò da un mondo all'altro.
Il tronco di betulla si ritorse nei suoi nodi, corteccia plasmata e filata come una massa,
per poi assumere le fattezze di un viso. Un viso oltremondano, che di umano ricordava solo
la vaga fisionomia di due occhi, un naso sottile e una bocca, un sorriso sornione stampatovi sopra.

« Ah. Il lavoro dà i propri frutti, non è vero? Si tende a dimenticarlo, sempre più spesso. »
Lo Specchio fissò irritato l'albero, per poi distogliere altrove gli occhi. « Frutti che coglierai tu. »
Un silenzio come breve pausa, ma il sorriso sul tronco fu più che eloquente. « Coglieremo tutti. O nessuno. »

Come al solito. L'ombra continuò a camminare, osservando l'operato delle Pagine. Il Matkara era in subbuglio, ombre e abomini stretti in un abbraccio conflittuoso e letale. Cane che morde la propria coda, ai suoi occhi blasfemi che non riuscivano a comprendere nè il punto di vista delle prime nè quello delle altre. Un'ignoranza di cui non si compiaceva, ma di cui non riusciva davvero a biasimarsi. Si sentiva un sasso in balia del fiume, in attesa di raggiungere una sponda - o volare dalla cascata nell'abisso; eppure il solo pensiero di quello che stava accadendo, il solo fatto che esso stesse accadendo, gli parve futile oltre ogni dire.
Il vero nemico era sempre stato un altro, in fondo.

I demoni avevano semplicemente lasciato che le due contendenti se la sbrigassero da soli, ritirandosi dalle loro posizioni per poi accerchiarli: erano incastrati fra incudine e martello, sarebbe venuto da pensare - ma arrivati i primi Portali, la situazione aveva iniziato poco a poco a ribaltarsi. Le creature dall'abisso avevano man mano iniziato a sfruttare la loro distanza per assicurarsi l'incolumità, piuttosto che fermare chi tentava di fuggire da quella morsa; un attimo di insicurezza, in cui il momentum avrebbe permesso alle ombre di reclamare ciò che sentivano loro di diritto: la vita libera dal giogo fantasma della Bianca Inquisitrice. O qualunque sua pallida imitazione potesse anche solo venir concepito da loro - perchè di sicuro Ilthan non ne aveva mai pensato di poterne captare la vera essenza. O comprenderne l'utilità.
L'Oneiron era il loro posto, la loro casa: perchè Theras, allora?

Non l'aveva mai compreso. Aprì la bocca per porre la domanda, ma non riuscì a formularla.
Le parole bloccate in gola, la mente annebbiata e gli occhi straripanti di scene a lui aliene.
Stava combattendo per un Edhel non suo, per una signora che non riconosceva.
Ma non poteva far di meglio, dopotutto. Giusto?

« Credi che non caverai nulla da tutto ciò. »
Lui strinse le spalle, rifiutandosi di aprirsi a lei, ma il volto non demordette.
« Che finito tutto, farai comunque la stessa fine di chi perderà.
È con rancore e remore e riluttanza che ti stai impegnando.
»
Se ne andò, si lasciò alle spalle le parole della Sfinge,
ma pur perdendo vista dell'effige la sua voce non sparì.
« Rispondi a questo indovinello:
chi è colui che agisce come campione
venendo ricompensato a scherno e ceffone,
erigendo statue e strade e ricevendo carbone
all'indomani si desta e continua il copione?
»

Guizzando da un cespuglio alla cima degli alberi, senza mai approcciarsi direttamente al combattimento, Ilthan osservò l'andamento con crescente distacco. Era uno spettacolo che non lo appagava, nemmeno quando si trovava dal lato dei vittoriosi - per quanto parziale e temporanea detta vittoria fosse; avvertiva la sua presenza anche nel suo silenzio, le parole che riecheggiavano in ogni scricchiolare dei rami sotto il proprio inesistente peso, in ogni fischiare dell'aria nelle proprie orecchie.

« Sai la risposta. »
Una larga foglia strappata in più punti si era piegata verso di lui,
come una mano con dita richiuse meno un indice puntato.
In attesa di qualcosa, esortando la parola. Un invito a risvegliarsi.
« Un folle. » rispose infine, esasperato.

La foglia venne sospinta da una botta di vento, sparendo al di sotto nella violenza imperversante.
Nell'attimo in cui accadde, si sentì tirato indietro e costretto di nuovo a tornare nello stagno
come da un'invisibile mano a stringerlo dalla collottola per distogliere lo sguardo dallo specchio.
« E tu non sei un folle. » Ilthan avvertì un brivido: avrebbe dovuto restare in silenzio.
« Nè lo sono io, credendo che dopo il tuo contributo tu non abbia diritto ad un giusto... »
Magari, deviare il discorso. Magari ancora, porre la dannata domanda.
« ...incentivo. »
Perchè fondere la nostra casa con la loro?

Dal lago, un ramoscello ritorto a forma di una mano nodosa porgeva un oggetto.
Lo riconobbe al volo, perchè ci aveva passato tanto tempo assieme.
Uno scherzo di pessimo gusto, restituire quanto tolto e spargerlo per dato:
ma la realtà si mescolava all'irrealtà. E quello non era il flauto che aveva perso.
Lei lesse il suo pensiero. « Il flauto non esiste. »
Non era che un sogno. Quello davanti, invece, era qualcosa di...diverso. Di più.
Lo sentì solo sfiorandolo, timidamente,
come un bambino avvicinerebbe la mano a quella di una ragazza.
Qualcosa di alieno.

« Rassegnarmi a reggere la tua bandiera nel nome di un bene superiore, posso farlo »
Lo prese con trepidanza, ma non lo avvicinò alla bocca. Si morse le labbra, esitando.
« Accettare i tuoi doni velenosi? Questo proprio no. » disse infine.

Qualcosa nell'aria mutò improvvisamente, un cambio brusco.
« Fai pure la parte del folle, allora. Se questo è il ruolo che scegli. »
Con una brezza che sapeva di stizza, la presenza iniziò a scemare.
« Solo, ricorda: vogliamo entrambi la stessa cosa.
La fine del Signore delle Maschere.
»

Presto Ilthan tornò da solo, mentre il mondo sotto di lui si scannava
cercando di ritagliare per sè una nuova casa.
Lui, d'altro canto, non era più certo di cosa stesse facendo.

Strinse il nohkan fino a sentire il bambù scricchiolare sotto le dita,
fino a pensare che l'avrebbe spezzato e lasciato cadere nelle acque.

Ma non lo fece.

lascito

( IV )
-LIBERAZIONE-


Uno ad uno, gli esploratori tracciarono sulla gran pergamena srotolata sul tavolo gli Shaogal-Crann rimasti nella regione. Alder Gwydion non parve particolarmente contenta del numero di segni sulla mappa quando l'ultimo fra loro, un ragazzo intorpidito dalla tormenta, riportò i propri risultati - tutti già confermati da uomini venuti prima di lui - con un pezzetto di carbone posato sul tavolo. La tenda era più calda di fuori, ma non offriva tanto spazio: una volta congedato l'esploratore con una bisaccia colma di una bevanda fumante, solo Jevanni, l'elfa e Har Surturson e uno scriba rimasero a fissare i tratti approssimati dell'Erynbaran sotto la luce della candela; gocce di cera che colavano come ghiaccio sciolto, finchè Har non spense la fiamma soffocandola fra indice e pollice. La luce del pallido sole sarebbe dovuta bastare: quella notte non avrebbero dormito tanto.

« Ne sono rimasti intorno a due dozzine sparsi per la regione. Le tribù si stringono attorno ad esse, alcune collaborano mentre altre si tengono alla larga. » riportò l'elfa lanciando un'occhiata al rapporto trascritto dallo scriba, un uomo pallido con occhiali dalle spesse lenti e una calvizia imminente. Come il resto dei presenti, pareva tutto fuorchè convinto dei dati riportati. « Sei tribù hanno rifiutato l'aiuto per lo Shaogal Crann e stanno resistendo da soli all'assedio » disse con tono tremulo alitando sulle lenti e lucidandole. « Altre sono in gruppi da due a quattro tribù, a seconda della grandezza degli Alberi e della tribù stessa. » Gli altri annuirono. Jevanni concentrò lo sguardo sulla posizione marcata sulla mappa da una pedina anonima dipinta di bianco, il punto in cui si erano accampati: erano vicini al centro della regione, e dalla fortezza da cui erano partiti avevano trovato già diversi Alberi-Padre ridotti a carcasse carbonizzate. « Da qui possiamo raggiungere almeno questi in giornata » propose indicando tre segni grigi « dar loro i rinforzi di cui hanno bisogno, cercare di convincerli ad unirsi a noi. » Har sbuffò in risposta. « Glacendrangh, non ho tempo - nessuno di noi lo ha - per aiutare chi non si unirà a noi. Da soli non sosterremo mai le perdite per liberare l'Erynbaran, men che mai l'intero dannatissimo Edhel.
Non era questo il piano.
»

Alder si schiarì la gola per richiamare l'attenzione e fece un passo in avanti, chinandosi sulla mappa. « Concordo, non abbiamo tempo. Per questo dobbiamo agire subito. » indicò due dei punti prima segnati da Jevanni.
« I Breabadair sono sempre stati orgogliosi, più di molti altri fra noi: sono una delle tribù che ha scacciato le altre dagli Alberi per restare da sole. » dopo una sua occhiata per ricevere conferma lo scriba annuì confermando.
« Sono agili guerrieri, molto bravi, molto testardi. Sono spacciati » disse picchiettando le dita sul segno rosso come per volerlo cancellare con le unghie. « perchè le loro deboli magie non potranno proteggere a lungo l'albero. E non abbandonerebbero mai l'albero al nemico, nemmeno per salvarsi da un destino inevitabile. » L'altro Shaogal indicato era poco più ad est - la più distante fra le tre. « Nuic Brugach ha un terreno insidioso, difficile da traversare per chi non cammina sui ponti che collegano le case lungo il tronco e le cime degli alberi. Le tribù che vivevano prima, se non sono cambiate, erano abili nel dominare cielo e terra e questo ha permesso loro di resistere, ma hanno la via tagliata e non possono fuggire. Possono resistere all'assalto ancora un po', sicuramente usciranno allo scoperto e si dimostreranno disposti alle trattative se vedono che altre tribù nelle vicinanze vengono assistite. » Lo sguardo concentrato dell'elfa si assottigliò mentre man mano rimembrava nomi, posti, forse antiche conoscenze sotto lo sguardo attento della Penna Bianca.

Si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla. « Sei evidentemente la più indicata come ambasciatrice. Contiamo su di te per trovare gli alleati fra di loro. » Lei si irrigidì un momento, poi chiuse gli occhi e - Jevanni giurò di aver visto un'ombra di rassegnazione - annuì. « Sarà fatto, Priore Surturson. » Indicò le prime destinazioni, alcune delle quali più distanti, da cui avrebbero iniziato. Divisi in tre gruppi, uno diretto da Penna Bianca, uno da Gwydion e uno dal Cavaliere Berkas, avrebbero cominciato la loro campagna di epurazione e diplomazia. Har richiamò con un cenno del mento Jevanni. « So che conosci la lingua del Nord. Non è l'elfico - ma dovrà bastare. Andrai con Berkas, farai da interprete e aiuterai a negoziare. » Il Guerriero inarcò un sopracciglio, ma non controbattè. Sicuramente c'erano persone più indicate a tradurre - eppure lo sguardo che gli aveva rivolto era bastato a fargli capire che quelle persone non erano qualificate per l'incarico. Surturson si aspettava che fosse lui a parlare, e che li convincesse proprio come aveva convinto lui in Caer Sidi.

Un lembo della tenda si scostò, e ad entrare fu un uccellino nero dai contorni sfocati: uno degli incubi degli esploratori, le ombre richiamate dall'Oneiron grazie ai rituali oscuri dell'Ordine. Sotto gli occhi degli astanti, l'ombra grattò via dalla mappa con il becco una delle croci più a nord. « Bruciato » berciò, prima di dissolversi lasciando gli astanti in un cupo silenzio. « Ci muoviamo ora » dichiarò, e i tre uscirono venendo accolti dalla bora e dagli occhi concitati delle Lanterne.

- - -

( V )
-CANTICO DEL GHIACCIO-


La bruma si raccolse in men che non si dica, gettando la colonna di uomini nel nulla.

Un attimo prima lo Shaogal Crann era in vista, una mezz'ora di cammino - quello dopo, un velo inscrutabile.
Ser Berkan fissò il Guerriero mettendo mano alla spada. « Opera tua? Ci stanno seguendo? »
Non fece caso al momento di esitazione prima del suo silenzioso annuire. « Procedete senza me. Li depisterò. »

Il cavaliere era poco convinto - ma suo malgrado, dopo che lo spadaccino lo rassicurò con un'occhiata elouente sul suo ritorno, ordinò con un gesto silenzioso agli altri di avanzare. Jevanni seguì qualcosa che gli altri non avrebbero mai potuto vedere, non turbato dalla nebbia che - già sapeva - la sua spada non aveva invocato, nè sarebbe mai stata in grado di tagliare. La tormenta lo seguì - anzi, lo precedeva - andando di pari passo con la donna poco più avanti nel sentiero, nascondendolo agli occhi dei suoi alleati e delle pattuglie di demoni che si aggiravano alla ricerca di sangue da spargere. Si librava facilmente sulla neve, senza impaccio e senza peso: eterea, nemmeno un'orma a testimoniare il suo passaggio. L'uomo la seguì finchè le membra e il sentiero glielo consentirono, e lei finalmente si fermò attendendo pazientemente che lo raggiungesse. Capelli bianchi e occhi azzurri come i suoi, il manto candido di pelliccia che copriva la pelle diafana pareva un velo dotato di volontà propria, incurante della brutalità dell'Edhel e ondeggiando al comando di venti che non battevano Theras.

« Le storie non ti rendono giustizia, Guerriero dell'Inverno »
disse infine lei sedendosi su un masso ricoperto di muschio
« nè quelle di Theras, nè quelle del mio mondo. »
Accavallò le gambe, assunse una postura come se si trovasse su un trono e un'espressione solenne.

Jevanni non replicò subito. Senza fiato per la scalata, avevano raggiunto uno spazio da cui era possibile vedere gran parte della regione. Uno spettacolo che metteva a nudo la situazione ancora drammatica delle terre, la violazione messa in atto dai demoni che si perpetrava come lava da un vulcano stizzito dal mondo, che solo aspettava il momento perfetto per ridurre tutto in cenere.
« Sì, Ilthan Ahil, so chi sei.
E tu sai chi sono io.
»

Una folata a scostare i lembi della realtà per un breve attimo, quanto bastò per rivelare un'immensa distesa di ghiaccio ed un enorme palazzo bianco stagliato in lontananza - visioni accompagnate da una morsa di gelo tale da soffocare il fiato nella gola dell'uomo e condensare quel poco che ne uscì in nuvole di vapore che presto svanirono. Quando il sipario calò nuovamente fra i due mondi, il Guerriero digrignò i denti. « Tu... » lei sorrise.
« Cosa ci fai qui? » Le immagini di preda e predatore si scambiavano e sostituivano nei suoi ricordi, un girotondo in cui due parti si scontravano per sopraffare: una mantide che strappa le ali ad una farfalla, un cervo che incorna il lupo famelico, un taglialegna che cerca di proteggere una casa chiusa da ombre. Ogni volta che era arrivato ad un passo dal gettare la spugna e lasciar andare Orizzonte, quel paio di occhi era sempre rimasto, forse divertito, forse solo incuriosito, ad osservarlo dietro finestre nella realtà che senza il marchio di Velta mai sarebbe stato in grado di scorgere. Ogni volta che era ad un soffio dal morire, lei era lì ad attendere pazientemente.

« Non voglio reclamare la tua anima. Per ora » aggiunse Kjed poggiando il mento su un palmo e con l'altro invitando il Guerriero ad accomodarsi. Jevanni si sedette sul ceppo di un tronco sradicato dalla tempesta, spazzolando con fastidio i fiocchi di neve. Non mero fastidio. Il cuore batteva con la violenza di una cascata che si infrange sul letto di un fiume: non l'aveva compreso immediatamente, che quello che aveva seguito non era un abitante dell'Oneiron. Aveva seguito l'istinto quando la donna mostrata da Ilthan gli aveva dato le spalle e si era allontanata dalla nebbia - e ora lo stesso istinto gli diceva di aver paura. « Voi umani siete soliti ranicchiarvi nei vostri caldi letti quando giunge il gelo; aspettate che passi, lasciate che vi paralizzi e infine vi spenga. Tu abbracci ciò da cui molti rifuggono: è per questo che hai accettato di aiutare la Sfinge? » Jevanni assottigliò lo sguardo.
« Ho solo perso il mio caldo letto. » replicò con amarezza, solo una punta, una reminiscenza dell'unico dolore che aveva scelto di ricordare: aveva pensato fosse la sua sola fiamma nella notte, senza comprendere quante altre luci avesse lasciato scivolare senza prestar loro attenzione. Ma ora era diverso. « Certo: se il Kishin distruggerà tutto non potrò mai averne un altro. Almeno questo, l'ho capito. E presto, molti altri lo faranno. » Kjed lo osservò a lungo. Aveva detto davanti ai Zoikar e gli altri che gli uomini avevano fallito troppe volte nelle loro battaglie, che in loro non si poteva riporre certezze. Eppure il Guerriero lo aveva detto con una tale confidenza che, per un attimo, era rimasta interdetta; un attimo in cui si era sentita in dovere di pensare con attenzione alle parole dette, all'assenza di fiducia nelle creature Che avevano ereditato Theras proprio come loro avevano ereditato l'Oneiron. La Sfinge aveva ritenuto che lui fosse meritevole di fiducia per l'incarico che stava portando a termine, alla stessa maniera di come lei aveva scelto di fidarsi della progenie di Thywil: non era più nella posizione di dubitare a prescindere. « Si vedrà » deliberò infine con un sospiro e distolse lo sguardo fissando meditabonda il fumo che veniva dagli scontri attorno agli Shaogal. « ma sei rimasto troppo a lungo lontano da queste terre, Ilthan. Le cose sono cambiate: i draghi sono tornati. »

Uno sguardo dello spadaccino lasciò trapelare confusione - quindi la donna iniziò a spiegare. Verità che non avevano senso di esistere, ma che nell'esistenza stessa erano incentrate. Draghi diversi da quelli che conosceva e che aveva affrontato, appartenenti ad ere passate e che un gesto forse calcolato, forse inconsulto, aveva riportato alla realtà. Quando fra le nuvole dell'Edhel si è aperto un varco, e dalla voragine aperta sono scaturite versi e urla inumane, echi del passato. Grida dal cielo. Jevanni ascoltò tutto questo senza fiatare.
« Il Talamlith è caduto: il possessore del cuore dei Costruttori è tornato alla realtà ormai troppo tardi, quando i servi del Kishin sono venuti ad usurpare la reliquia. Di lui ora non rimane nulla. Il cuore, invece... » Jevanni aprì lentamente gli occhi fino a spalancarli realizzando le implicazioni. « Lasciami indovinare. Volevate liberare il Talamlith, riaprire le Aslingard con un unico attacco frontale? » sospirò e scosse il capo, scostandosi una ciocca da davanti agli occhi socchiusi. « Tipico. Lanciarvi in mischia eroicamente...vi diverte così tanto. L'Uno Khzad vi polverizzerà. » La neve si animò, creando fra Jevanni e Kjed una sagoma vagamente simile ad un elefante - ma con le fattezze mostruose di una creatura venuta dall'abisso. Un generale di Baathos. « Il suo nuovo potere ha accresciuto le truppe a sua disposizione: draghi, demoni e gli orrori che la reliquia ha creato. Se già prima era inavvicinabile, ora possiede tutte le carte in tavola per porre fine a questo vostro bel piano. »

Jevanni fissò muto la sagoma finchè questa non tornò ad essere che un cumulo bianco, per poi stringersi il capo fra le mani. « Sono...certamente grato per l'avvertimento. » mormorò, le parole a fatica trascinate dalla bocca una dopo l'altra. Kjed notò l'oltremodo palese nervosismo dell'uomo. Gli concesse non più di qualche momento per raccogliersi, richiamando la sua attenzione schiarendosi la gola. « I vostri alleati non sono sufficienti ad uscire vittoriosi. Però...non sono i soli. » Tese la mano, e Jevanni risollevò il capo per guardarla, come ipnotizzato. Si era alzata e avvicinata a lui. « La guerra non è il mio dominio...ma è il momento anche per me di scendere in campo. E gli Eyðileggj dovranno finalmente tenere fede al loro nome. »

Esitante, sfiorò con le dita la sua mano. Al tocco un profondo gelo lo attanagliò,
proprio come quando Ilthan gli aveva permesso di scorgere il mondo della Daimon.
Quella volta però fu diverso:
il corpo si arrese alla morsa e smise di dolere, venendo avvolto da un sudario impalpabile di brina.
Lo sciame di pensieri rallentò il suo flusso, e una ad una le preoccupazioni appassirono.

Vi fu spazio solo per una
silenziosa,
profondissima
serenità.

« Una volta eri sempre così » disse la Daimon, la voce ridotta ad un sussurro ormai lontano.
« Il mondo era distante.
Poi sei diventato sempre più umano, sempre meno te stesso;
ma imparerai di nuovo le basi,
Guerriero dell'Inverno.
»

Un ago di pino sputato dal vento gli si posò sul grembo.
Quando si riebbe, non era rimasta più traccia di Kjed.

Strinse l'ago fra due dita, e sotto i suoi occhi questo si irrigidì
si tinse di una tinta azzurrina,
prima di frantumarsi come vetro fragile.

Erano rimasti solo il furore della tempesta incalzante e un profondo gelo
eppure Jevanni non li pativa più.

Lui era la tempesta.

- - -

( VI )
-UN POSTO DA CHIAMAR CASA-


Alder sospirò e lanciò uno sguardo dalla cima dei rami dell'Albero-Padre, scrutando l'orizzonte dell'Erynbaran - o quello che il furore della bufera permetteva di vedere, quindi non tanto. Quanti anni che non si siedeva così senza doveri particolari a cui pensare? Lungi dall'essere terminato, il compito che le toccava avrebbe atteso quella frigida notte. L'Arshaid non sentiva sonno quella notte. Come lei, molti dei suoi uomini non si sentivano particolarmente a loro agio: a diversi metri d'altezza dal suolo, sul villaggio di Madainn,
il vento era notevolmente più forte.

Lo stesso Cavaliere di tanto in tanto sentiva il corpo scivolare verso il basso, nel baratro di foglie e vorticare di rami che portava ad una caduta vertiginosa al suolo tappezzato di cadaveri di demoni; in quei momenti meditava sul significato che avrebbe avuto lasciarsi andare, si immaginava come sarebbe stato avvertire lo spazzare del vento accompagnare il volo - e se avrebbe mai avuto la prontezza di riflessi di sfruttare le curve della corteccia per bloccare la caduta. I suoi fratelli e le sue sorelle, sua madre. Suo padre. Il villaggio intero si aspettava che lo Shaogal Crann fosse la loro casa, il loro sacro protettore, la loro roccia e l'anima stessa della loro tribù. Eppure le era sempre stato stretto, quell'albero. Le era sempre stato difficile avvertire la vita pulsante attraverso la corteccia, comprenderne il suo vero valore - o anche solo quello gonfiato dalle tradizioni degli Arshaid. Era semplicemente un albero più grande, pensava, tanto da permetter loro di separarsi dal mondo di sotto e dimenticarsi di quello che succedeva a terra.

Non che nulla di tutto quello fosse importato: quando era giunto il Kishin, nulla li aveva salvati.

« Comandante? » Una voce dal basso attirò l'attenzione della donna. Su uno dei ponticelli scosso dalla tempesta, la figura di un ragazzo saldamente appoggiato alle corde. Il suo bastone e il suo mantello lo identificarono come un esploratore. Con un movimento agile per cui i suoi antenati si sarebbero mostrati, se non fieri, perlomeno soddisfatti, la donna si lasciò dondolare dal ramo e atterrò sul ponticello davanti all'altro. Sotto il cappuccio calcato a coprire dalla neve, lei vide i due occhi impressionati del giovane. « Parla. Ci sono novità? » Lui annuì, occhieggiando alla ricerca di un punto migliore da cui parlare. Lei lo condusse in una casupola riparata dal vento, dove un vecchio e una bambina stavano tendendo ad un fuoco. Quando videro l'elfa entrare la piccola si nascose dentro al vecchio, mentre questi le rivolse un mesto sorriso indicandole un posto accanto al fuoco, per poi allungare una scodella piena di un brodo caldo e invitante.

Ringraziandoli secondo il rito per l'ospitalità, dopo una decina di minuti a scaldarsi davanti al fuoco e con lo stomaco pieno il giovane finalmente smise di tremare e raccontò la sua storia. La sua zazzera castana sembrava sciogliersi assieme al ghiaccio, gocciolando sul pavimento in legno. Lei annuì gravemente ad ogni risvolto, trangugiando notizie buone e cattive una dopo l'altra. Alcune le sapeva, altre meno. Altre erano fonte di preoccupazione, altre di grandissimo sollievo. « Priore Surturson ha finito quindi dalla sua parte. » Il giovane annuì.

« Abbiamo incontrato poca resistenza. Alcuni erano già caduti quando siamo arrivati, altri hanno invece ricevuto voce di quello che intendevamo fare. Ne hanno approfittato per schiacciare i demoni fra martello ed incudine con improvvise sacche di resistenza quando la nostra avanzata ci portava fra loro. » Gwydion e il vecchio annuirono. « I Failleach sono fatti così » disse lui pensieroso. Non formidabili guerrieri, ma abili strateghi nel minimizzare le loro perdite e massimizzare il guadagno in momenti critici. Altre tribù vicine avevano evidentemente seguito la loro idea. Per quanto astuti nell'abusare del loro arrivo, non avrebbero però ignorato il loro debito - men che mai in un momento come quello. « Gli altri onoreranno la chiamata e raggiungeranno il Crocevia. » Avevano chiamato così l'accampamento a cui si sarebbero riuniti i gruppi una volta raggiunti. Lo scriba riceveva lì gli esploratori o i loro messaggeri, man mano aggiornando la mappa, e le truppe si sarebbero raccolte lì per la grande marcia.

« Il gruppo di ser Berkas era a metà dell'opera quando abbiamo ricevuto le loro ultime notizie, la tormenta ha poi troncato il flusso di informazioni. » Se lo aspettava - la tempesta improvvisa aveva rallentato i loro progressi e causato confusione fra gli esploratori e gli incubi incaricati di passare le informazioni. Di buono c'era che gli Shaogal-Crann sarebbero rimasti al sicuro, le fiamme incapaci di attecchire. Tuttavia oro stessi non erano stato in grado di inviare rapporti sul loro status. Era stata dura, ma anche i più testardi avevano compreso la necessità di stringere l'alleanza - se non i loro capitribù, sicuramente i più grati per l'enorme sforzo. Le perdite iniziale fra gli uomini venivano man mano compensate dal crescente sciame di Arshaid. « Jevanni Glacendrangh? » il ragazzo scosse il capo, cupo in viso. « Ancora disperso. » Lei sussurrò una bestemmia che l'esploratore non comprese, l'anziano elfo invece s'accigliò. « Crede che...? » ma lei lo interruppe con un'occhiata decisa. « No, ne dubito. Non fosse stato in grado di gestirlo, non si sarebbe allontanato - non a meno di avere un piano. » Un uomo era solo un uomo, anche e soprattutto al cospetto del Kishin - ma era anche la persona da cui era nato tutto. All'occhio del ciclone c'era lui, più di Surturson;
la sua perdita avrebbe comportato un contraccolpo non indifferente fra le truppe.

Ascoltò il vento notturno, furioso come non mai, quindi si massaggiò il viso. Stava iniziando ad avvertire stanchezza, complice il piacevole tepore. « Partirai domani, nella speranza che se il vento non si placa almeno il sole ti guidi. C'è altro? » L'esploratore ebbe un attimo di esitazione, il viso stranito al ripensare. « Al Crocevia è giunto uno straniero. Credo... » di nuovo una pausa, deglutì. « È un inumano. Al suo seguito ci sono tribù di Rahm as aid e una fiumara di altri piccoli inumani... » Sotto lo sguardo esortativo della donna, confessò. « C-credo che sia una delle antiche creature del Sorya, comandante. » Il vecchio alzò improvvisamente lo sguardo dalle fiamme danzanti, improvvisamente incuriosito. « Lunghi capelli neri, abiti ampi, ali che paiono seta, un cilindro... » L'elfo s'illuminò di un sorriso caldo. « Il cantastorie...! » un tono malinconico di chi ricordava un vecchio amico. Alder invece fissò prima l'esploratore e poi l'altro, confusa.
« Stai parlando di...? » Lui annuì. « Colui che lascia il cammino della vita, percorrendo i solchi degli dèi. »

- - -

( VII )
-MY PERFORMANCE-


Alla fine di tutto quanto, non sarebbe rimasto nulla.
Come rabbiose fiamme ridotte in vapore, poi dissolto nell'aria gelida.

E di quei momenti caotici e colmi di idee e pensieri, desideri e sangue
non sarebbe rimasto che il morto risultato sparso nella neve.

Fiocco dopo fiocco tutto sarebbe stato sepolto, e nulla più che ricordo,
almeno per i pochi sventurati ancora capaci di rammentare la follia.

Lo Specchio fissò l'alba di Theras spuntare fra i monti, una luce dorata:
se solo avesse potuta lasciarlo lì per sempre, dipinta nei suoi colori ardenti,
lasciarlo in quel momento fra notte e giorno; ma non sarebbe durato.

« Forse non mi resta che abbandonarmi a Lui
e diventare cenere.
»

Gocce pesanti, ciascuna di esse pesante come un macigno,
turbarono la quiete dello stagno e soffusero la visione;
volse lo sguardo verso l'alto, verso la pioggia di lacrime versate dalla Sfinge.
Il suo lamento riecheggiava per l'Oneiron,
rimbombando nella cassa toracica come una nota dolente.

La Torre si stagliava contro il cielo, un faro, un richiamo ghiotto per amici e nemici.
Il Kishin era già lì.

« Hai forzato la mia mano » sussurrò, amaro.
Le mani sfiorarono l'erba e ne saggiò l'umidità, inspirò l'odore: ricordi vibranti di Theras.
Gli parve più viva. Più verde. Ma con l'incombere dell'oscurità, sarebbe tutto avvizzito.
L'acqua esitava anche solo a riflettere il conflitto che si sarebbe consumato,
la volta nera del mondo tremulante sullo specchio del lago.

Sfiorò le labbra col nohkan, saggiandone i fori, infine inspirò.
"E sia. Avrai il mio meglio, maledetta."

- - -

( VIII )
-GRIDA DAL CIELO: SILENZIO-


Il terzo giorno la tempesta cessò di soffiare.
Vopn-ónæmir era costruita per proteggere dalle folate violente dell'Erydlyss. Non tanto per freddolosità dei suoi abitanti: pur avendo dovuto abbandonare le loro radici, erano e sarebbero rimasti draghi. Respiravano fuoco, o così dicevano le storie. Ma una ragione per creare un solo accesso alla grande città c'era, oltre all'indubbia difesa che questa scelta architettonica comportava. Era pur sempre pratica, sebbene più elevata ad un fine spirituale scevro dalla mera sopravvivenza - una preoccupazione da ricordare tutt'ora fonte di titubanza, a cui era difficile adattarsi dopo eoni di immortalità.

Semplicemente era più facile lavorare senza che i corridoi scavati venissero inondati da neve e correnti maledette. Così come avevano costruito e creato in passato, così come nei tempi più profondi avevano dato fondo alla loro creatività e al loro ingegno per dar forma all'amata città che era stata la loro dimora, alcuni fra gli Eyðileggj avevano scolpito con i propri artigli e gli utensili per i loro nuovi corpi il volto della nuova fortezza. Ricordi appannati e altri più vividi, tutti impressi pietra dopo pietra, forma dopo forma: estetica e pragmatica, due poli sintetizzati in un'unica spira vomitata dalle viscere della terra per poi ergersi nelle nubi per far da ponte fra cielo e terra. O così era il vile sogno di grandezza proiettato sulla nuda roccia, nella speranza che potesse significare qualcosa per qualcuno. Un memento ad un'epoca irrimediabilmente persa.

Quando Andòf rivolse lo sguardo stanco all'entrata, nulla più che una spelonca nel costato della montagna, non si aspettava visitatori. Erano due: il primo, un drago irradiante luce che come lingue di fuoco si dipanavano dalla sua figura. Il vecchio non lo riconobbe come uno degli abitanti di Vopn-ónæmir, si trattava probabilmente di uno straniero - o di uno dei difensori. E se i vecchi occhi scarlatti non lo ingannavano, accanto al drago, era un umano. Fu sul punto di avvertire la fortezza dell'intrusione, quando l'uomo tese il braccio di fronte a sè e la sagoma del drago iridescente sparì in un lampo di luce, volteggiando come un mare di scintille attorno al gomito e poi andando a spegnersi in un marchio nero sul dorso della mano. « Chi va là? » la voce ringhiò di diffidenza: il corpo ricoperto di rubini e squame bluastre si tese in una posizione difensiva. L'umano sollevò il cappuccio rivelando una cascata di capelli bianchi. « Non un nemico. O così spe-- » si interruppe notando la reazione persino più ostile della creatura, dal cui muso partì dapprima uno sbuffo di fumo che scaturì in una vampata di calore, investendolo in pieno. « Non sei il benvenuto qui, mortale. Sparisci, o spargeremo
da questa torre le tue ceneri.
»

Il calore a quella minaccia si disperse, come reagendo alle parole di Andòf, e dall'entrata irruppe un tifone gelato che spazzò via la coltre nera e costrinse il vecchio drago di rubino a ripararsi il viso con un'ala. Quando tornò a guardare, l'umano aveva sciolto dalla cintura la propria arma - una spada. La lanciò davanti a sè, stretta nel suo fodero, finchè non sfiorò uno degli artigli scheggiati. Fu un tocco breve, ma sufficiente ad irradiare un torpore mostruoso. « Cacciami ancora, drago, e te ne pentirai. » Gli occhi celesti di Jevanni riflettevano un potere che trascendeva Theras, il tocco dell'Oneiron che colava come da crepe nel mondo reale. Ma il drago sapeva perfettamente che non era una minaccia a lui, per quanto l'aura emanata lasciasse trasparire un potere sufficiente a mettere persino lui in difficoltà. Però era certo che non intendesse aggredirlo: lo aveva notato nella maniera in cui si era separato nell'arma. Aveva scorto nei suoi occhi un moto di disagio. La stessa titubanza vista negli occhi dei suoi fratelli e sorelle quando lo avevano seguito, schiacciando i loro hjarta e privandosi delle loro antiche spoglie. Sicuramente meno irreversibile, meno disastroso di come i Distruttori dovettero mutilarsi; nondimeno il vecchio ne rimase impressionato. Emise un secondo ringhio, ma dopo aver raccolto Orizzonte fra due artigli gli volse le spalle. « Seguimi. E ricordati quello che ti ho detto: non sei il benvenuto. » Con un cenno di assenso, il Guerriero si mise al suo fianco e assieme attraversarono le stanze mastodontiche scavate nella roccia, fra pavimenti e pareti in granito e gesso e oro e argento.

Altri draghi osservarono con sdegno il Guerriero, alcuni fecero scattare le zanne a pochi centimetri dal suo viso - ma la reverenza generale verso il drago di rubino gli risparmiò di correre alcun vero pericolo. Giunsero in una stanza defilata dalle magnifiche e struggenti sale della fortezza, fino a raggiungere una grande porta. Rosso sfumato in alcuni punti in verde, il metallo che la ricopriva era completamente piatto e privo di alcuna decorazione in assoluto contrasto con tutte le altre costruzioni incontrate.
Sollevandosi sulle zampe, Andòf la spinse ed essa si aprì quasi senza emettere rumore - quasi si sentì sciocco il Guerriero nell'essersi aspettato un gran sferragliare. Non meno funzionale delle altre, la porta svelò una stanza ricca di tubature e una fornace in profondità che sprigionava un calore tale da far lacrimare gli occhi. In mezzo a tutto ciò, un drago dalle squame tinte dello stesso colore della porta fissava vacuo un punto imprecisato, fra due sbocchi da cui scaturivano brevi sbuffi di vapore bollente. Al primo passo del drago di rubino, l'altro si voltò con un movimento rapido del capo. L'espressione prima interrogativa si deformò in disgusto quando prese nota dello spadaccino. « Eirgrænn gradirebbe una spiegazione su questo intruso » ringhiò facendo schioccare la lunga lingua come una frusta. Jevanni indietreggiò di un passo, ma resse lo sguardo intriso di spregio. « L'ultima volta che Eirgrænn ha posato gli occhi su un suo simile e questi ha portato con sè un mortale, l'antichità è giunta ad una brutale conclusione. Andòf ha forse cambiato idea?
Porta la prole dello Hjart di sua sponte per creare un altro scisma?
»

« Il mortale è venuto da solo. Ha un messaggio. » Andòf rispose con un'occhiata grave e mostrò la spada racchiusa fra due artigli. « Intende solo parlare, e poi se ne andrà. » Eirgrænn scrutò Jevanni avvicinando il proprio capo piatto sormontato da solo due piccole corna, piantando gli occhi di un color corteccia tendente al rosso. Alla fine ritrasse il collo, in silente attesa; l'albino riprese a respirare, dopo una momentanea apnea per la tensione. « Il Kishin sta arrivando. Lo avete sentito persino voi su questo picco. » Il battere della coda grassa e sgraziata, tanto diversa a quella sottile e appuntita dei suoi simili, ricordò quello di un felino irritato. Non pareva interessargli come argomento. « Non è un problema di Eirgrænn, nè di nessuno dei draghi di Vopn-ónæmir. Gli hjartabörn hanno ereditato il mondo, e dopo aver per millenni risucchiato la stessa vita degli Eyðileggj osano ora chiedere aiuto per le loro scaramucce? » Emise un basso ringhio. « Il mortale sicuramente sta scherzando. »

Ma Jevanni non demordette. Non poteva. Guardò entrambi i draghi. « Prestatemi ascolto, vi prego. I draghi del Talamlith sono stati raggiunti dalle sue truppe. L'artefatto è... » Andòf lo interruppe stringendo improvvisamente gli artigli nel pavimento, scavando solchi e proiettando schegge. La sua stanchezza era improvvisamente sparita, sostituita da una collera atavica. « Questo è ciò che era successo? » Gli occhi scarlatti del vecchio guizzarono nel punto che il drago di rame stavano fissando quando erano entrati nella stanza; timidamente, una piccola creatura emerse da uno dei tubi. Era un drago di dimensioni poco superiori ad una libellula, scaglie color terra scura e la cresta dorsale tinta di lavanda. Eirgrænn chinò il capo, mentre Andòf lentamente ricostruiva quello che era successo. Prima che la tempesta imperversasse, questo strano essere si era presentato alla loro porta - e per poco non era stato polverizzato da un movimento improvviso della coda di Muninn il senzascaglie. L'avevano riconosciuta subito per essere una creatura dello Hjart, ma Verderame dopo averla vista aveva stranamente ordinato di lasciarla lì. E così quella piccola creatura aveva condiviso la loro casa durante la tempesta, scaldandosi alle fiamme delle fornaci, osservando i draghi avvicendati nelle loro faccende, col tempo divenendo una presenza invisibile. Pochi oltre a lui potevano ancora rammentare la forma originale di Hlíf, prima dell'incidente, e meno ancora associarla a quello scricciolo.

« Eirgrænn sospettava fosse successo qualcosa. Questo spiega tanto. » Andòf emise una piccola fiammata, il corpo scosso da una furia che non riusciva a contenere. « Spiega tanto? Rauðvín, i nostri fratelli! Le nostre sorelle! » Il drago di rame gli lanciò un'occhiata penetrante. « Sono stati uccisi dalle loro creazioni. Quali genitori, dovrebbero essere orgogliosi di quanto forti i loro figli siano diventati per esserci riusciti. » Una linea di pensiero che lasciò sgomento il drago di rubino e quasi a bocca aperta il Guerriero. « E quindi? Vi va bene che i sopravvissuti, qualora ce ne fossero, restino soggiogati da chi li ha uccisi? Che le loro creazioni, le loro stesse vite vengano sperperate in mano a bestie che intendono ridurre in cenere tutto ciò che è stato creato? » I due draghi lo guardarono a lungo, e per diversi momenti Jevanni temette di venir ridotto in cenere. Infine Verderame sibilò, evidentemente irritato. « Eirgrænn ci stava arrivando. » disse stizzito dando loro le spalle, dirigendosi verso una delle valvole. Con un gesto cauto delle zampe goffe ruotò una delle valvole. Le fornaci si spensero, e la luce si ridusse a quella proiettata dal candelabro acceso sul soffitto alto. La gran cappa da cui uscivano i fumi del laboratorio era un gigantesco cilindro che connetteva il macchinario ardente alla volta del laboratorio. « Solo perchè avrebbero dovuto essere orgogliosi, non significa che ad Eirgrænn stia bene che i mostriciattoli servi del Kishin sprechino la linfa vitale per distruggere, quando lo scopo dello Hjart è creare. »

Si volse verso Andòf. « Non è così? Non è quello che voleva Fyrirliði? Hlíf? Tutti gli altri? » Il vecchio chinò il capo in cenno di assenso, l'agitazione precedente sparita - sostituita da una familiare sensazione di vuoto. Il germoglio del rimorso era rimasto sopito a lungo, ma ora era tornato a divorarlo dall'interno. Se solo avesse fermato Fyrirliði prima, invece di incoraggiarlo - ma ogni volta l'amarezza gli offuscava lo sguardo. Gli impediva di trovare una via, di fare il passo dopo. Era per questo che col tempo i suoi simili avevano smesso di cercare risposte da lui, rivolgendosi ad Eirgrænn. Un Eirgrænn che mai aveva condotto, solo aveva osservato e ponderato con la distanza di un falco su una rupe. Quel giorno, finalmente Andòf realizzò che era stata la scelta giusta.

« Il portatore dell'artefatto è un Lamash: creature dalle profondità del Baathos, questa è colossale. » spiegò Jevanni. « Le armate nel Talamlith sono sotto il suo controllo. » Continuò a parlare, sotto lo sguardo attento degli Eyðileggj, mettendoli al corrente di tutto ciò che erano riusciti a fare, del piano generale, e dell'obiettivo finale. Quando finì, Eirgrænn emise uno sbuffo. « Rozzo. Ma se non siete in grado di far di meglio, e servirà a recuperare lo Hjart, allora bisognerà parlarne con gli altri. » Andòf annuì, nel suo viso da rettile una palpabile ansia, una miriade di pensieri non espressi nella testa. Jevanni, pure, annuì. « Conterò su di voi. » disse calandosi il cappuccio sul collo, e i due lo scortarono all'uscita. Ilthan riemerse prendendo la stessa forma di drago luminescente, e il Guerriero abbandonò la fortezza sul picco di Vopn-ónæmir. Quando i due draghi andarono nel cuore della città, una folla di Eyðileggj si era riunita sugli spalti, in religioso silenzio. Sul palco, un immenso cerchio scavato nella pietra e decorato da innumerevoli motivi e gemme, fra il drago di rubino e quello di rame, svolazzava l'ultima piccola creatura partorita dalla Móðir.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb



Avendo già detto quello che ritenevo giusto nella premessa, inserirò di seguito una breve sintesi di ciascuno di questi POV allo scopo sia di riassumere che spiegare cose che magari (spero di no) traspaiono poco.

(1) Grida dal Cielo: Distruzione
Come annunciato dal QM point, lo Hjart cade in mano di Khzad, signore dei demoni che è stato introdotto in "Stygis - e la terra tremò". Hlíf, capofazione dei draghi Protettori, cade assieme ad innumerevoli altri di questi draghi nel tentativo di proteggere l'attuale Idolo - il demone Mu'ayyd. Un'ultima creazione della Moðir, quasi in risposta alla richiesta d'aiuto implorata da Mu'ayyd, sfugge e (come si noterà nel capitolo 8) riesce a dirigersi alla sede dei Distruttori.

(2) Cantico del fuoco
Il canto onirico della Sfinge risveglia un ricordo in Jevanni, una frase sentita in passato che gli permette di superare gli ostacoli nella sua mente - e finalmente riprendere il proprio dovere con un cuore più leggero e mettersi in gioco fino in fondo. Alla fine del precedente turno l'Ordine delle Lanterne ha accettato di unirsi, e una volta radunate le truppe più vicine questa è l'alba della partenza per l'Erynbaran. Har Surturson è l'unico Priore ad esser stato rintracciato in quel breve periodo, quindi per il resto di questa vicenda è considerato il capo dell'Ordine.

(3) No strings attached
Lo Specchio di Ilthan viene contattato dalla Sfinge (orientativamente abbastanza prima dell'attacco del Kishin nell'Oneiron) per assicurarsi delle sue motivazioni. Gli viene consegnato un Seme, sotto forma del flauto che nel turno precedente gli aveva sottratto pareva per scherzo che dovrebbe fare da piano di contingenza - ma lo Specchio sa che ogni regalo ha un prezzo da pagare, quindi la scaccia temendo che quel potere rischi di influenzarlo ulteriormente visto che già nel turno precedente il canto aveva iniziato a controllarlo subdolamente.

(4) Liberazione
Viene illustrata la situazione del piano per liberare l'Erynbaran una volta raggiunto l'accampamento-base improvvisato, e Alder Gwydion viene incaricata come uno dei tre ambasciatori-ufficiali incaricati di muovere la sua divisione nel territorio per liberare una per una le tribù Arshaid.

(5) Cantico del ghiaccio
Kjed, come indicato dal QM point, contatta Jevanni separandolo dalla missione di liberazione per dargli informazioni riguardanti la fazione Grida dal Cielo e lo stato del Cuore. Vista la necessità di fermare il Kishin e le sue armate, nonchè la "compatibilità" dell'uomo con il dominio del Daimon, questo lo trasforma nel suo Araldo per prestare il suo potere. Come si vedrà nel prossimo POV, Jevanni lo utilizzerà per alimentare la tormenta nell'Erynbaran.

(6) Un posto da chiamar casa
Post per esporre la situazione dell'Erynbaran a metà dell'opera e gli effetti che la tormenta ha sulla missione. Gli incendi dello Shaogal Crann diventano notevolmente più difficili e le truppe demoniache vengono flagellate dalla tempesta, di fatto guadagnando un po' di tempo. Inoltre, vecchie conoscenze ritornano ad accompagnare i Rahm as Aid e un folto drappello di inumani nelle forze dell'esercito...

(7) My performance
Ilthan sente la richiesta d'aiuto della Sfinge una volta che viene attaccata dal Kishin. Sapendo che non sfruttando il Seme non potrà mai avere nemmeno una chance per assisterla, il Doppio inizia a suonare il flauto - che effetto avrà mai?

(8) Grida dal cielo: Silenzio
Jevanni giunge al picco della montagna dove risiedono i draghi Distruttori, e viene accolto dall'anziano drago di rubino Andòf - lo stesso che rivelò il prezzo da pagare per l'utilizzo del cuore in Creazione e di fatto a condurre i Distruttori nella stessa quest. Come risaputo poi la funzione di leader (almeno come punto di riferimento) è scivolata al drago di rame Eirgrænn, a cui il drago di rubino ha condotto il guerriero per un'udienza. Venendo a sapere della sorte dei compagni Protettori, i draghi lasciano andare Jevanni ed acconsentono ad un'assemblea per decidere il da farsi.

La prossima parte arriverà a seguito dell'intervento di Hole. See you on the other side.
view post Posted: 17/11/2019, 17:27 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (Ray~ @ 17/11/2019, 14:10) 
CITAZIONE (Verel @ 16/11/2019, 12:26) 
A proposito, dov'è il vecchissimo topic dell'Occhio di Gruumsh? Obliterato? :asd: Non lo trovo con la ricerca.

Obliterato, ritengo :v:

Anyway, mi prendo un momento per fare un piccolo post di contestualizzazione. Purtroppo (o per fortuna) stiamo lavorando molto in corsa, come avrete intuito, e non abbiamo più i tempi liberi di un tempo meno libero - quindi eccoci qui.
Come penso sia chiaro ormai a tutti, abbiamo aperto questo evento con il preciso intento di celebrare quello che per noi è stato il raggiungimento di un importante traguardo: la pubblicazione di un primo libro. Un libro ambientato su Theras, con forti richiami a quello che è sempre stato scritto qui, maturato dopo attente riflessioni e lunghi mesi di lavoro, ma che credevamo e crediamo sia il modo più bello per coronare tutto ciò che è stato Asgradel e che per certi versi è ancora. Non a caso, la prima dedica del libro va proprio al forum.
Chi ci conosce sa bene che pubblicare un romanzo è sempre stato uno dei nostri più profondi desideri. La nostra speranza è che vi piaccia e che possiate viverlo anche come un regalo per voi stessi e, nella peggiore delle ipotesi, come una prova concreta e fisica di tutto ciò che avete vissuto su Asgradel. Un souvenir da tenere nella libreria e di cui raccontare agli amici, se volete.
Con questo evento, però, volevamo fare qualcosa di più. Qualcosa che ha pochissimi precedenti anche nel mondo della letteratura. Volevamo rendervi parte integrante della trilogia, esattamente come Theras e tutto ciò che è stato scritto in passato è parte integrante del libro.

L'evento che state vivendo, infatti, è un ponte di collegamento tra la Theras dei tempi andati e la Theras del romanzo.
State, se vogliamo usare un linguaggio più immediato, giocando un prequel dei romanzi :asd: in questo modo, questo evento non costituirà solo una festa per ricongiungerci, ma anche un modo per dare a voi affezionati la possibilità di fare parte concreta della storia che abbiamo scritto. E chissà, magari dare un po' di visibilità ai vincitori :D:
Insomma, volevamo condividere con voi il nostro successo e questo ci è sembrato il modo migliore. Speriamo che anche voi lo apprezziate~

E ora via, verso nuove avventure. Questo pomeriggio devo tenere la prima presentazione. Sono agitato. Ciao. :v:

Lascerò che sia il mio (nostro) lavoro a dimostrarvi l'apprezzamento - perchè nessuna parola stucchevole che potrei scrivere in questo preciso post potrebbe comunicare tutto o nella maniera che intendo. Per il momento il libro rimane lì dov'è sulla libreria, come ho detto a Taras, perchè odio gli spoiler, ma appena sarà tutto finito avrà precedenza anche sui libri per gli esami. E in bocca al lupo per la presentazione!
view post Posted: 15/11/2019, 22:29 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
Una settimana, forse due, sarebbe tanto? Non avendo trovato indicatori temporali non sono molto sicuro di quanto posso prendermi. Ne avrei bisogno per capire a che stadio dovrei considerare lo stato dell'Erynbaran a seguito dell'azione delle Lanterne o il tempo che è passato dalla partenza di Hole - se è passato un lasso di tempo preoccupante o ha senso essere ancora "in attesa".
view post Posted: 15/11/2019, 20:09 Domande & Chiarimenti - Il Lascito degli Dèi
Fra il primo turno e quello attuale, almeno per il fronte Edhel, quanto tempo è - anche solo a livello molto approssimativo - passato? Non è il giorno dopo gli eventi descritti nel nostro post, per dire, giusto?
view post Posted: 15/11/2019, 16:53 Confronto - Il Lascito degli Dèi
don't you hate when you're trying to get shit sorted up but dragons show up messing it up even further
view post Posted: 7/11/2019, 20:25 Hatred's End ~ La Volpe e il Leone - GdR

« Una gran bella combriccola, menestrello. »
emerse la voce, il volto celato dal grigiore.

Taliesin sobbalzò e cadde dal muretto, alzando lo sguardo spaventato verso l'origine. L'uomo portato dalla nebbia gli si avvicinò a passo lento, fino ad essere a pochi passi dal bardo. Dopotutto, era un ospite inatteso.

« J-Jevanni Glacendrangh? Sei tu? »
Un cenno d'assenso, appena visibile nei lineamenti smussati dalla foschia.
« Sì. Hai una buona memoria »
rispose il Guerriero con tono basso, squadrandolo.
« Ricordi anche qualche giuramento? Una regina, ora sparita? »

H-END-volpeeleone

Mikhiel rispose allo sguardo interrogativo di Jevanni con un'occhiata dura. « Che vuoi ora? » L'altro sollevò le spalle « Vi siete sparsi ai quattro venti battendo diversi sentieri, tutti tranne uno. Lo avete ignorato. Perchè? » La Lanterna borbottò qualcosa come furbacchiotto e sputò nella neve. Il Guerriero si accigliò. « Come? » L'uomo resistette al suo sguardo inquisitore per uno, forse due minuti, prima di finalmente cedere sbottando. « Quante storie, miseria! Non vogliamo avere a che fare con i traditori, ok? » si grattò la spalla nervosamente e continuò a camminare cercando di lasciarsi dietro lo spadaccino. Purtroppo per lui i suoi compagni avevano intrapreso strade diverse, rimanevano solo loro due a condividersi la via ancora per un po'; doveva dire che se da un lato avrebbe preferito star da solo piuttosto che trovarsi alle calcagna il bastardo che li aveva convinti a darsi una mossa, la sua presenza era certamente comoda. Nessuna bestia aveva avuto la faccia tosta di aggredirli.

« Non che ce ne siano pochi, di quelli che decidono che la vita da Lanterna non fa per loro. E poi c'è lui. Un giorno se n'è scappato, e nel giro di poco il bastardello si è fatto una fortuna. Ha dimenticato il suo giuramento e ora si sta facendo la sua bella vita, mentre noi... » con un gesto eloquente indicò le terre gelate che li circondavano, come per dire noi abbiamo questo gran schifo. Jevanni non faticò a comprendere nè il fortunello nè la sua quasi cocente, quasi a tratti comica, invidia. Trovava comunque ammirabile il suo essere rimasto lì nonostante tutto. Senso del dovere? Paura di tradire? Forse altro. In ogni caso, non potè che silenziosamente approvare di quel burbero bruto incapace di sputare veleno al suo prossimo. « Non tutti son fatti per combattere. » sentenziò lo spadaccino fissando il bastone di Mikhiel, di un legno grigio cenere con un'estremità curvata in una piccola spirale tinta di punti bianchi che man mano coprivano del tutto la vera e propria fine. « Vero. Non rende quel bardo della malora meno irritante, specialmente ora che è tornato qui » replicò l'uomo, gelido. Jevanni aggrottò le sopracciglia, memorie che iniziavano a risvegliarsi. « Un...bardo, dici. » rallentò il passo e volse lo sguardo verso il Talamlith. Immagini sfuggenti di una cappa scarlatta e una spada troppo lunga per il suo fodero: una recluta forse poco affidabile sul campo di battaglia. « Cosa, vuoi che ti parli di quel pischello? » il Guerriero tornò a fissare la Lanterna, che contraccambiava svogliato. E abbozzò un sorriso grato accennando di sì.

. . .

« La regina, certo, ricordo. » si strinse nel mantello, con circospezione, indietreggiando senza ancora rialzarsi. « Ricordo anche villaggi ridotti in cenere e ali nere oscurare il sole. Per non parlare di ciò che sta nelle profondità della terra. » Il suo sguardo si era lentamente indurito col riaffiorare dei ricordi, il terriccio stretto dalle dita come artigli affondò lasciandogli unghie nere. Lo spadaccino rimase impassibile davanti all'ostilità del bardo. « E ricordo di aver imparato a non immischiarmi nelle cose del Nord che non riesco a descrivere o comprendere. »

Una storia familiare. Al posto di un giovane ambizioso c'era un uomo spaurito, un mantello rosso sostituito da un'armatura ormai logora e piena di segni. Avevano preso però due vie diverse: uno aveva scelto di rimanere solo, l'altro si era circondato di uomini e donne. Ruadh, si chiamavano. Il Guerriero inspirò profondamente.

« Una scelta saggia » deliberò infine sciogliendosi in un'espressione malinconica.
« Solo, poco lungimirante. Proprio come quelle di tanti altri come te. »
Un vuoto allo stomaco.
« E come me. »
I grandi erano tutti quanti fuggiti, man mano lasciando che l'Edhel fosse in balia di sè stesso; ma una bestia selvaggia sarebbe rimasta tale se non disciplinata.

« Ed eccoci qui »
disse infine,
più un pensiero espresso ad alta voce sfuggito alla mente che altro.

Taliesin lo fissò a lungo con sospetto, prima di prendere la mano e rialzarsi. « Non mi stai biasimando, quindi. » Si scosse le vesti con qualche pacca. Il mantello si smosse alle prime folate di vento gelido, iniziando a diradare la nebbia. Taliesin potè finalmente vedere a dovere il Guerriero: doveva essere mutato parecchio dall'ultima volta che l'aveva visto. Un uomo più vecchio, il volto più scavato e qualcosa di meno saldo nella sua postura, meno autoritario. « Non è mio dovere, nè diritto » sancì - non senza un fugace momento di vergogna. Una volta avrebbe dispensato con più severità un giudizio, forse una forma di punizione; essendosi macchiato degli stessi disonori, essendo ormai pari a coloro che ai tempi avrebbe disprezzato, non stava più a lui impartire una sentenza. « Ma questo non sconta nè me nè te da quello che ci aspetta » riprese mutando tono, assumendo un'espressione tanto grave che Taliesin avvertì al volo l'atmosfera e si irrigidì. Jevanni si guardò attorno. « Andiamo in un posto più...tranquillo. »

La gente doveva aver sentito le voci, nel frattempo, e man mano che tornava la visibilità aveva iniziato ad avvicinarsi al Guerriero e al bardo; questi annuì, e fece un cenno ad un suo compare che tuonò al drappello di curiosi di tornare ai loro doveri. « Seguimi » disse infine, e lo guidò nelle rovine labirintiche appartenute a chissà quale fiera popolazione passata.

Magari prima ancora che Eitinel scoprisse Velta, e aprisse il suo potere sull'Edhel. Prima ancora che Jevanni tornasse in vita. O ancora prima che fosse mai nato. Di loro non rimaneva che ossa bianche, mattoni e guglie e abitazioni di ogni sorta che cercavano di arrampicarsi ancora ed ergersi dal suolo per non sentirsi ancora vinte dal passaggio del tempo.

Jevanni e Taliesin le passarono tutte, camminando al loro fianco senza poter indugiare nè osservarle a dovere: erano finiti i tempi in cui gli uomini potevano ammirare le pietre dell'antichità e sognare come la vita fosse stata diversa, una volta. Giunti al limitare delle rovine e del grande accampamento sparso lungo tutt'esse, il bardo giunse ad una grande tenda isolata ed invitò con un gesto lo spadaccino ad entrare.

La luce smorzata dalle pareti della tenda era compensata da una lanterna posta dal lato opposto all'entrata, che proiettava la sua fioca luce su uno stuolo di almeno una dozzina di libri dalle più variopinte copertine e fogli poggiati alcuni alla rinfusa in un baule, alcuni in pile poco di fianco; un liuto era poggiato su una branda improvvisata, assieme ad un cuscino rudimentale da cui spuntava qualche piuma pareva esser stato tempestato da pugni per tenerlo in forma. Forse, pensò Jevanni, anche per sfogare i mostri che si annidavano nel petto. Non erano poi così tanto diversi, in fondo.

« Perdona l'accoglienza, ma da noi si usa sedere per terra. Ci muoviamo spesso. » Taliesin si era unito a lui e si era seduto dal lato opposto del gran tappeto di pregiata fattura che ricopriva gran parte del suolo. Jevanni lo imitò senza mostrare particolare disagio nell'adagiarsi a gambe incrociate sulla stoffa pregiata - era abituato a peggio.

Poggiò Orizzonte con cura al proprio fianco e lanciò un'occhiata ai libri; alcuni erano scritti in simboli a lui sconosciuti, magari appartenenti alle lingue antiche, quelle che nessuno aveva mai sentito il bisogno di insegnargli. Non per il suo scopo: le lingue avevano ben poche applicazioni per chi avrebbe passato buona parte della sua vita a combattere. Jevanni Glacendrangh lo sapeva, e per questo non se n'era mai interessato. Visilne, d'altro canto, era stregata da tutto ciò che esulava dalla noiosa lingua comune. Sarebbe andata diversamente se l'avesse accompagnata nei suoi viaggi, invece di cercare di metter su casa?

Lo sguardo di attesa del bardo era rimasto incollato su di lui, mostrando sprazzi di impazienza.

« Avevi un piano? » chiese infine.
Il tepore della tenda, al riparo dai venti funesti e scaldata dalla lanterna, era un piacere che gli era mancato.
Ma non poteva indugiare.

« Per tutto questo, dico.
Per quando il Kishin sarà qui.
»

view post Posted: 7/11/2019, 16:39 Confronto - Il Lascito degli Dèi
CITAZIONE (K i t a * @ 7/11/2019, 15:50) 
Certo che in questi anni non sono diventata ne meno prolissa, ne meno lenta. :glare:

Ikr :facepalm: un giorno migliorerò.
view post Posted: 7/11/2019, 15:08 Il lascito degli Dèi ~ Dark Matters - GdR

Come una mano plasma creta, le ombre si torsero e filarono una matassa di piume.
La creatura sfrecciò nel cielo spiegando le sue ali, volando per i piani onirici fino alla sua meta.

« Da quanto tempo, Ilthan. »
La Voce nacque dal nulla, e il suo verso impossibilmente umano si propagò nello stagno fino a raggiungere l'ombra che vi dimorava.

Il suono si erse al di sopra della melodia suonata dal lugubre flauto, e nel brevissimo momento in cui la coprì l'intero mondo parve affievolirsi.
Il corvo volteggiò attorno ad Ilthan, rimanendo a debita distanza nel cielo nero privo di stelle: come se qualcosa gli impedisse di avvicinarsi.
« Hai trovato cause più interessanti di voler fermare l'inevitabile? »
L'uomo smise di suonare e poggiò sulle proprie ginocchia lo strumento finemente intagliato; aprì gli occhi smeraldini.
« Forse. Potrei porti la stessa domanda? »

Il gracchiare fu terribilmente simile ad una risata. E, probabilmente, lo era.
« Sei sempre di ottima compagnia. Non mi fai entrare? »

Lo Specchio passò le dita della mano lungo i sette fori allungati che percorrevano la canna del flauto.
Era piuttosto certo che lei non avrebbe avuto bisogno di grandi sforzi per infrangere la barriera che la teneva fuori.
Non era stata costruita dopotutto per difendersi da un assedio. Solo per tenere gli altri alla larga - avere un po' di quiete.
Un pizzico di tregua ogni volta, prima di lanciarsi contro Jevanni. E contro lei.

« Come mi hai trovato? »
Sapeva la risposta. La domanda era di rito, e il tono della Sfinge rispecchiò quell'ovvietà intrinseca.
Battute che andavano dette.
« Trovato? Non ho mai avuto bisogno di cercarti. »

Ilthan sospirò; ad un battito di ciglia e lo spegnersi di una nota mai udita, l'atmosfera mutò e l'Oneiron tornò a fluire nella piccola bolla che si era creato. Momenti, odori, ricordi di ogni sorta lo attraversarono fino ad increspare la superficie del gran lago e far ondeggiare i fili d'erba e le canne di bambù.
« Molto apprezzato » disse il corvo, e discese a gran volute fino ad appollaiarsi sulla roccia.
La tentazione di torcergli il collo fu grande, ma anche se fosse non avrebbe avuto l'esito desiderato. Dopotutto, lei non era davvero qui.
Non lo era mai. Persino nell'Oneiron, tirava i fili da dietro un sipario inscrutabile. Nessuno l'aveva mai vista: soprattutto chi la cercava.

Ora che lo vedeva da vicino, il corvo aveva occhi ardenti e luminosi, un'anima cangiante e onnipotente che riverberava come due piccole candele.
« La tua visita ha a che vedere con il Kishin. »
La Sfinge annuì. Ilthan tirò fuori dall'ampia manica un coltello.
« E da me cerchi...cosa? Aiuto? »
Lei annuì ancora. Ilthan assottigliò lo sguardo, poi incominciò a rifinire il flauto senza dire una parola.

Il corvo cominciò a parlare. Parlò di labirinti nel sottosuolo, di esseri abietti e di mortalità trascesa. Demoni in catene, di dèi caduti.
Di Shahryar. E del ruolo che lui, Ilthan, avrebbe avuto in tutto ciò.

Quando finalmente smise di raccontare, il flauto aveva assunto quasi un aspetto completamente diverso. Lo Specchio lo rimirava con attenzione, di tanto in tanto soffiando via trucioli che rovinavano l'altrimenti longelinea sagoma dello strumento. La sua espressione non era mutata nel corso delle parole dell'essere, ma lo stagno era tornato fermo come se ghiacciato, il prato si era ritirato e rinsecchito, come la tensione di un corpo che non riusciva a rabbrividire e sfogare la paura, nè a rimanere completamente sereno dinanzi a quanto stava osservando come uno spettatore. Ma da spettatore, la sua peggior nemica l'aveva invitato a divenire attore.

« Hai una faccia tosta a dirmi cosa devo fare. »
rispose dopo una lunga pausa.
« Ti sei scordata di tutte le volte che ti ho cercata, che ho provato a fermarti? »

Il corvo rispose con un'espressione innaturale, che non si confaceva all'animale.
Il becco si era deformato appena, in quello che pareva un sorriso inquietante.
« E tu, di tutte le volte che hai fallito?
Non credere che negarmi i tuoi servigi ti darà miglior modo di sconfiggermi.
»

Scosse il piccolo capo.
« Il Signore delle Maschere distruggerà tutto ciò che conosciamo »
intonò, e nel farlo il terreno parve tremare - parole pregne di potere.
« La mia profezia è vicina, ombra. Credi che si sia saziato con solo Loec? O che poi distruggerà anche quello che vuoi preservare? »

Con un battito d'ali spiccò nuovamente il volo, ma fra le zampe portava qualcosa di nuovo.
Lo Specchio si guardò prima la mano vuota, poi fissò con odio la Sfinge; nei suoi artigli, stringeva il suo flauto.
« Cerca nelle profondità del Samarbethe, e non attardarti. Il Signore delle maschere regna lì.
Ricorda che stai risvegliando un alleato potente, ma soprattutto...
»

"...un nemico di Jevanni." completò mentalmente la frase lasciata sospesa. Nascosta nelle pieghe dell'Oneiron più recondite, non era mai riuscita ad individuare e spegnere la sua vera essenza. Solo ad uccidere le sue creazioni - non abbastanza da realmente metterle i bastoni fra le ruote. Semplicemente non ne aveva le forze. Quando il Guerriero dell'Inverno era fuggito dall'Edhel, l'ombra era rimasta amareggiata nell'aver fallito ad ucciderlo quando era vicino. Contemporaneamente, era sollevato che la catastrofe fosse stata evitata - almeno fino all'arrivo della Sfinge.
« E tu? Cosa farai? »

A quella domanda la creatura crebbe a vista d'occhio, finchè ciascuna delle sue piume non raggiunse l'altezza di un uomo e il suo becco non sarebbe stato in grado di bucare una casa di umili contadini: con la sua apertura alare poteva abbracciare l'intero stagno e sostituirsi al firmamento. In esso Ilthan scorse centinaia e centinaia di creature, bestie e sagome indistinte. Le pagine scritte per l'occasione, un papiro di copioni per quello che sarebbe stato il più grande spettacolo. Un esercito. Un battito d'ali, e queste vennero disperse in tutto l'Oneiron - pronte a raggiungere Theras e marciare.

« Il mio meglio. E se sai cos'è meglio per te, farai lo stesso. »

La guardò sparire nel buio cosmico, quindi prese dalla sponda un'altra canna di bambù e ricominciò a lavorare di coltello per svariato tempo. Il viso corrucciato si distese con un sospiro, quindi tentò di soffiare nel nuovo strumento. La melodia che ne uscì era diversa dall'altro - non sarebbe riuscito mai a replicarlo. Devono rimanere separati. Sogno e realtà erano sole e luna, mai destinati ad incontrarsi - non dovevano esserlo, a meno di voler invocare il disastro. Solo, nessuno riusciva a comprenderlo: era toccato a lui sobbarcarsi di questa missione. Aiutandola, quanto vicino sarebbe arrivato al tradire questo sacro obbligo?

Ripose il coltello e tornò a suonare le note cupe di prima, rigenerando il velo che lo nascondeva al resto dell'Oneiron, come un lenzuolo per coprirsi in una notte fredda. Perchè quando sarebbe tornato il momento di destarsi, Ilthan avrebbe fatto la sua mossa.

In lontananza, accompagnando il suono del flauto, per la prima volta sentì qualcuno cantare. Poi un altro, e altri ancora, finchè non fu un coro.
Fu allora che lo Specchio si rese conto che non erano loro a seguire le sue note. Era lui a seguire le loro.
Infine, nel profondo, udì una sola voce sottostante a tutte - quella che aveva seguito sino ad allora, convinto fosse la propria.
E così l'Oneiron si trovò a cantare, marciare e danzare sulle note della Sfinge.
E con esso, anche le notti di Theras.

(...)

. . . . . .

(...)

Aveva sentito molto su Caer Sidi, ma - come tutti i loro quartier generali - aveva preferito girarne bellamente alla larga. Una maniera come un'altra per separarsi da obblighi di appartenenza, dimenticarsi ciò che era stato, illudersi di essere in pieno controllo dei propri piani, qualora fosse magicamente riuscito a deciderne qualcuno. Non aveva aiutato certamente lo stato in cui versava, quando Ilthan incominciò a rivelargli i frammenti onirici come ragnatele sovrapposte alla realtà, fili intangibili a cui erano appese parole e visioni fugaci. Qualcosa che gli altri non avrebbero capito, come avrebbero mai potuto? E quando poi lo Specchio venne alla luce e iniziò a dargli la caccia, non chiese aiuto a nessuno per debellare il pericolo; aveva scelto la solitudine, e in quella solitudine avrebbe affrontato reponsabilmente il male che lui stesso aveva creato. Le conseguenze sarebbero state sue, e sue soltanto.

I passi risuonavano, echeggiavano nei corridoi. Di tanto in tanto, anfrattati in nicchie o nelle sale adiacenti, uomini e donne rimanevano accoccolati attorno a focolari accesi senza riguardo sul marmo, al riparo dalle sferzate di vento che provenivano dalle finestre.

In fondo, però, sapeva: sapeva che erano probabilmente tutte scuse, una dopo l'altra, per giustificare la sua ignavia all'Edhel immerso nelle paludi di minacce che non voleva più affrontare, la sua mancanza di coraggio nel voler cercare il soccorso per mani di altri quando lui stesso non si era voluto mettere in prima linea.
Un finto atto di pentimento per quando aveva preferito prima annegare la mente negli spiriti, e poi il suo passato. Storie lasciate a metà, regni lasciati inconclusi, colpe che aspettavano espiazione. Tutto nell'oblio.

Non aveva importanza.

Un continuo deja-vu: in quella frase sì nichilista, sì facile a pronunciarla e sì spesso pronunciata, risiedeva tuttavia l'unica chiave per andare avanti nella tormenta. Lasciar andare, uno ad uno, i pesi: il passato, colpe e meriti, antichi rancori (antiche amicizie) per resistere ai venti contrari. Delle parole che lo Specchio aveva pronunciato prima di abbandonarlo in quella grotta alla mercè di fiamme in punto di morire e di pensieri angoscianti, una frase più di tutte lo aveva impressionato. "Non possono esserci ragioni migliori per la mia venuta da te, se non che non esistono o mai più esisteranno individui che possono farlo meglio di te"; riunire l'Edhel, intendeva. Lì per lì il Guerriero non aveva nemmeno immaginato la portata dell'impresa, la prospettiva impossibilmente monumentale. "E se sono stato disposto ad accantonare la mia più sacra missione per affidarmi a te, questo solo dovrebbe bastarti come motivazione per non tradire le mie aspettative o quelle della Sfinge. Dovrebbe bastare a Theras intera, se solo non fosse troppo impegnata ad odiare il suo prossimo come ad odiare sè stessa."

Perchè solo tramite un così prodigioso zelo di autodistruttività si sarebbe potuta spiegare la rovina a cui si era infine giunti.

Qualcuno guardò il Guerriero con timore, occhi prima sulla spada e poi sul suo volto cupo di chi non era lì per portare buone notizie. E in effetti così non era: perchè il prezzo per smuoversi dalla criostasi a cui si stavano abbandonando, dolce freddo abbraccio della morte imminente, era abbandonare ciò che fino ad ora li aveva guidati. Due cavalieri lo stavano scortando alla sala di comando, seguiti da due Vargar, ciascuno stringendo i bastoni del loro Ordine con l'austerità che si poteva solo rivolgere a chi adombrava la soglia di chi non cercava ospiti - non altri, perlomeno. Tutti i sogni, le idee e le glorie a cui avevano aspirato erano rimaste incompiute, e ora tutto ciò che potevano fare era portare avanti il compito antico, il retaggio di una regina guerriera che non riuscì a conquistare un suo regno: proteggere chi era rimasto ancora nel cuore della tempesta.

lascito

« Jevanni Glacendrangh. »

La sala di comando era abbastanza spoglia, non esattamente a soqquadro o in uno stato d'abbandono, ma solo poco meglio. Le librerie mostravano scaffali su scaffali vuoti, tomi e pergamene poggiate alla men peggio; il candelabro iniziò ad oscillare per il vento non appena venne aperta la porta, illuminando i pochi sgabelli che dovevano certamente aver visto giorni migliori e che ancor più certamente non sarebbero mai bastati per un incontro serio. Sul tavolo giaceva una gigantesca mappa presumibilmente dell'Erynbaran, accurata quanto bastava per distinguere il nord e i principali punti di riferimento, alcuni dei quali il Guerriero riconobbe. Punti rossi, segnalini e note erano disseminati in svariate zone della pergamena lasciavano un'idea piuttosto vaga di quello che stava succedendo - ma abbastanza dettagliata da comprendere che l'Ordine si stava concentrando solo difensivamente nei suoi territori.

Jevanni affrontò lo sguardo inquisitorio della donna che aveva parlato, senza batter ciglio. Aveva sentito parlare anche di lei: il suo fisico longilineo da elfo era reminiscente per alcuni aspetti a quello di Seyrleen, avvezzo alla battaglia, ma il portamento era completamente diverso. Se la Neiru era stata una lama snudata e bramosa di sangue, la comandante a cui era stato assegnata la base di Caer Sidi era più simile ad una spada finemente riposta nel suo fodero elegante ma funzionale. Una compostezza che però non celava la letalità di chi aveva scalato i ranghi con un proposito saldo in mente. Dopo un lungo attimo in cui il chiacchiericcio che aveva preceduto l'arrivo del Guerriero si era spento nel più teso silenzio,lei congedò con un cenno le altre persone nella sala - una dozzina di adepti, cavalieri e pochi altri esploratori a giudicare dagli armamenti. Tutti abbandonarono senza proferir parola, escluse due figure. Alder Gwydion e un altro, seduto su una sedia, due Warg al suo fianco. Il più giovane dei due poggiava il suo muso grigio scuro sulle sue gambe, mentre lui gli accarezzava il capo senza staccare gli occhi di dosso al Guerriero nemmeno per un istante.

Gli occhi neri di Alder attesero che la porta venisse richiusa prima di tornare a scandagliare i lineamenti dello spadaccino, alla ricerca di qualcosa che le permettesse di leggergli la mente. Era ciò che riusciva a far meglio, ancor più di dar di spada contro i loro giurati nemici. « Ho sentito parlare di te. Molti, in effetti, hanno sentito il tuo nome. » La donna iniziò a camminargli attorno, passi ampi ma lenti, mentre parlava. « Alcuni ricordano, altri meno. Io non sapevo nulla di te - quando ti sei fatto la fama io non ero qui. Mi hanno raccontato...storie buone. Promettenti. Però mi sorge il dubbio ora che sei qui davanti a me, guardandoti » si fermò dietro di lui, avvicinandosi all'orecchio « mentre ci rubi le braccia che ancora reggono quest'Ordine. » Jevanni chiuse gli occhi, poi scosse il capo. « Ti sbagli. Porto solo un messaggio: ciò che gli altri fanno è scelta loro. Non son io ad avere responsabilità di ciò che loro decidono. » Alder assottigliò lo sguardo, poi passò dall'altro capo del tavolo e si sedette su una delle rozze sedie; invitò con un cenno il Guerriero a fare lo stesso.

« Una risposta furba. Sai perchè l'Ordine non ammette traditori? » Dopo essersi accomodato e avvicinato al tavolo, lui si grattò la guancia. « Il vostro giuramento. Costringe chi lo pronuncia a mostrare il suo vero volto. O così si dice » aggiunse sarcastico con un'espressione che sarebbe potuta sembrare divertita a chi non lo avesse conosciuto meglio - un sorriso che ad Alder non piacque. « Non è una formula magica. È nulla più che un lume posto sotto il cappuccio: è da lì che i Priori determinano se un aspirante è degno di essere una Lanterna. » replicò seccamente. « E non compiono mai errori. » Ad Alder non piacque nemmeno quell'osservazione buttata lì, quella volta per ragioni diverse. Con un cenno impercettibile del capo e dello sguardo indicò allo spadaccino l'altra figura nella stanza. « Non direi. » disse laconicamente, ma quando il Guerriero aprì bocca per chiedere una risposta meno ambigua decise di lasciar perdere. Era un momento generale di incertezze: esporne una fonte davanti ad un superiore in presenza di uno straniero sarebbe stato inutile.

« Il che non consentirebbe che due alternative. La prima, che tu sia semplicemente molto bravo a parole, fino a spingere i loro cuori puri a perseguire uno sforzo suicida... » « ...la seconda che loro abbiano più buonsenso di voi, e si rendano conto che restare qui rintanati mentre il Kishin fa la sua mossa è il vero suicidio. » continuò lui per lei, ma a giudicare dall'espressione progressivamente più irritata della donna non era esattamente quello che intendeva dire. « ...che siano stati i loro stessi Pilastri a spingerli verso ciò che hanno visto come una speranza. » I sette Pilastri, o principi, su cui una Lanterna virtuosa avrebbe dovuto basare il proprio sacro compito. Jevanni annuì poggiando la mano sul mento, nascondendo dietro le dita quel sorrisetto, rimasto da prima, che volentieri avrebbe voluto schiaffeggiarsi via dalla faccia - se solo avesse potuto. « Certo: i Pilastri. Sono felice che significhino ancora per qualcuno, in queste terre selvagge che diventano sempre più...selvagge. » Lei lo squadrò con sospetto, attendendo la critica. Ma non arrivò. Era un commento sincero, pur affogato nell'amarezza. « Siete speciali: accogliete tutti, a prescindere dal loro passato e dalla loro natura - a patto che siano pronte ad agire nel nome del bene. » Jevanni poggiò entrambe le mani e si sporse sul tavolo avvicinandosi all'elfa fino a squadrarla negli occhi e potersi vedere riflesso. « Che è esattamente quello che serve ora. »

Alder si fece indietro, a disagio; le avevano detto che Jevanni Glacendrangh era un individuo spinto alla benevolenza ma freddo, distaccato nel relazionarsi con l'altro. L'individuo che aveva davanti aveva invece un baluginio sinistro negli occhi: non vi colse malizia, ma un profondo male che lo attanagliava e accendeva una scintilla di pazzia. Ed esasperazione. Come se non si trovasse davvero in quella stanza, e stesse guardando tutto da una prospettiva che non era quella del presente in cui si trovavano che comandava una maggiore impulsività. « Quello che tu chiedi è diverso. Non siamo noi a coscrivere, ma gli aspiranti a giungere alla nostra porta pregando di farne parte. È la ragione per cui imponiamo il giuramento - perchè esiste, dannazione. » Lo spadaccino annuì congiungendo le dita dinanzi a sè. « Questo perchè stai pensando in piccolo. Pensi che io intenda suggerirvi di andare, porta dopo porta, a reclutare gli Anahmid, gli Arshaid, i Rahm as Aid, le ombre, le forze di Lithien e anche la Sfinge. » L'elfa impallidì, l'uomo in fondo alla sala invece smise di accarezzare il lupo e cambiò leggermente postura, aggiustandosi sulla sedia. « Non propongo nulla di diverso, nulla di più, nè di meno bada, di un'alleanza. »

Lei scosse il capo, incredula. « Sei davvero pazzo. » Una parte di lei fu delusa. Aveva sperato portasse con sè una soluzione vera, un deus ex machina che potesse ribaltare le situazioni in tavola invece di un cambio di parole. Ma esistevano storie fatte per essere esagerate, per esaltare uomini troppo piccoli per crescere senza qualcuno di più grande a cui aspirare - e quelle sul Guerriero dell'Inverno non erano che una di esse, assieme a quelle su Lady Alexandra. L'unica eccezione a quella verità disillusa si era persa in un eterno vagabondare e rifuggire, che aveva solo contribuito ad accrescere le leggende su Ser Donovan; per lei, però, lui sarebbe stato sempre e solo Priore Donovan. Un titolo anch'esso vano, perchè l'uomo a portarlo era svanito lasciando un vuoto che non poteva davvero essere riempito. Calò ancora il silenzio, un silenzio così lungo che alla fine il lupo ritirò la testa e si acciambellò accanto all'altro; che Alder riuscì a riaversi pur senza sapere subito cosa dire; e che l'uomo, in fondo alla sala si spazientì, rompendo infine il suo osservare taciturno con la sua voce. « Vuoi qualcosa di impossibile. » affermò, quindi prese ad armeggiare con il suo bastone, percorrendo con il pollice le venature del frassino fino a raggiungere la civetta in argento e poi tornare indietro. « Unire genti così diverse fra loro, separate da decenni di odio? Non è così facile. Ciascuno è troppo preso con i suoi problemi e i suoi pericoli per poter aiutare il suo prossimo, men che mai affrontare il male. » Lo sguardo di Jevanni si spostò verso l'altro, elargendo un sorriso che decisamente stonava sul suo viso smunto, gli occhi incavati che cercavano l'incontro di quelli castano tendente al dorato dell'altro. « Certamente, non è facile. L'avreste già fatto. Perchè l'avreste fatto, vero? » L'uomo non rispose, ma replicò al sorriso con uno proprio - più tagliente, più enigmatico, che il Guerriero non seppe interpretare. Il sorriso di chi deteneva realmente il comando sotto quel tetto. « ...che è perchè, per vincere, dovremo intraprendere qualche rischio. » continuò seguendo con un indice la linea boschiva a nord della fortezza, oltre i colli, dove iniziava il vero Erynbaran. « Gli elfi sono orgogliosi, anche quando hanno un buon animo. Non chiederanno mai aiuto, e confronteranno il loro nemico da soli piuttosto che sollecitare un'alleanza con altri. » "Mi ricorda un certo qualcuno.", disse una voce di donna nei suoi ricordi. « Dico bene? » Jevanni si voltò verso Alden, che rispose con un cenno austero; dal suo collo partivano venature nere tipiche del suo popolo, coloro che vivevano nelle foreste ancora assediate dai demoni, gli Alberi-Padre ridotti in cenere al suo passaggio. L'Arshaid sgranò improvvisamente gli occhi: aveva compreso dove il Guerriero stesse andando a parare. Si alzò in piedi per intervenire, ma il suo superiore la mise a tacere con un toc della punta della staffa sul pavimento. « Dobbiamo spezzare uno ad uno gli assedi che ci dividono, essere il ponte per traversare le fiumare di morte che ci dividono. Connetterci come brandelli di un unico mantello, per coprire l'Edhel in una nuova coperta capace di proteggerla dalla minaccia appropriatamente. »

L'uomo scosse il capo.
« Dammi una sola ragione perchè credi che funzionerà. »

E Jevanni la disse. Le parole scivolarono dalle labbra con la facilità di un sasso sputato dalla cascata.
Non era una lingua che conosceva, ma la mente ne evocò comunque il significato inconsciamente.
Tutto ciò che i sogni gli avevano mostrato, le ombre gli avevano sussurrato.
Le visioni del passato, il presente e l'irreale: tutto in tre parole che gli raschiarono la gola.
« HATRIÐ MUN SIGRA »
L'odio prevarrà.

Ilthan pulsò dando una scarica gelida lungo il dorso della mano, e da esso si sprigionò un mare di tenebra che avvolse la stanza prima ancora che i due potessero reagire. I lupi si alzarono subito e iniziarono a ringhiare, guardandosi attorno e chiudendo le fauci su di esse - senza riuscire a ghermirle.

E finalmente assunsero forma.

« Rancore incontenuto. »
Guerrieri che cadono mentre i loro fratelli fuggono.

« Indolenza infinita. »
Sagome impalpabili che discendono dalla Torre e infestano le terre mentre nugoli di frecce le bersagliano.

« Vite insignificanti. »
Uomini che si frappongono tra famiglia e carnefice mentre la neve copre il loro sangue.

E il mare nero mutò un'ultima volta: sagome deformi e mostruose, zampe da ragno, chele, ali d'insetto e orrori a non finire si richiusero attorno ai presenti nella stanza, tagliando la via d'uscita dall'ingresso della stanza. Alzandosi Alder mise mano al bastone e questo mutò in una lunga bastarda luminescente, i due Warg latrarono man mano arretrando verso l'unico angolo libero; l'uomo parve l'unico a rimanere completamente a suo agio, ma la mascella si era irrigidita.
« L'abisso ci ingoierà tutti. »

Le ombre sparirono così come erano apparse, lasciando la stanza intatta com'era prima della manifestazione onirica. Jevanni, che si era alzato e aveva man mano alzato la voce come fosse posseduto, si strinse la mano su cui era tornato il marchio di Velta e si abbandonò sullo sgabello sotto lo sguardo degli altri due. Qualcuno bussò alla porta. « Comandante, serve aiuto? » chiese una voce concitata, ma l'elfa strinse i denti. « No. È tutto a posto: tornate alle vostre mansioni. »

Il Guerriero rialzò il capo a guardarla. « Non è tutto a posto. » sussurrò affaticato.
« Questo odio ha già arso l'Edhel. Ci ha resi fragili, e ora il Kishin sta solo chiudendo il pugno per sbriciolarci. »
Volse lo sguardo sull'uomo. « L'Edhel è caduto in tizzoni e cenere - alla fine, tutti uguali, tutti pari. »

« E dalle ceneri può ancora crescere qualcosa. »
Lui portava solo un messaggio:
stava a loro adesso prendere la decisione.


ͽS Y N O P S I Sͼ
"of deeds and struggles"

PJnzb

Il post inizia con l'intervento della Sfinge post-apertura e poi diventa il seguito di Antichi ordini e in maniera più diretta di La Volpe e il Leone. Una volta giunto alla fortezza di Caer Sidi, una delle sedi dell'Ordine delle Lanterne nell'Erynbaran, Jevanni cerca un'udienza con Alder Gwydion - cavaliere di stirpe Arshaid incaricata di reggere la fortezza. Trova inoltre un'altra figura di spicco, che ancora non si è presentata: si tratta di Har Surturson, altro PnG menzionato nel topic delle Lanterne. Il Guerriero cerca di convincere entrambi illustrando loro la fine che comporterà ignorare il monito e rimanere divisi - ma alla fine di tutto, toccherà a loro compiere la scelta.

Come richiesto di specificare dal bando, i miei interventi dentro e fuori il post del Lascito (questi ultimi inclusi nelle giocate titolate Hatred's End) sono coordinati con Hole e Goth.

Per comprendere tutto quanto si suggerisce di iniziare a leggere e una volta giunti al link dato dal primo (...) di cominciare da Alleanza impura, e poi da lì seguire i link al termine dei vari post per andare all'evento/i cronologicamente successivi.


Edited by ~Coldest.Heaven - 8/11/2019, 23:38
4151 replies since 10/10/2005