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| | L'ARALDO DEL RAGNARÖK Freccia Precisa, il Segugio, Sangue Nero, Amico delle Fauci, Faccia di Lupo
| | Lomerin: Nome Umano versipelle (demone): Razza Tamatore (evocatore): Talento Verde: Fascia | | Cognome: Volkoff Classe: Predatore (sciamano/cacciatore) Pericolosità: Grado D Conto: Eccolo |
Il fiume del fato (il canto dell'inverno, prologo) In qualunque parte di Theras potesse pensare di rifugiarsi, l'araldo non sarebbe mai sfuggito al compatimento, mai al ribrezzo, mai allo scherno. Comunque e dovunque lo si guardasse, ogni volta il suo aspetto sembrava urlare quanto pendesse su di lui la maledizione del destino, lenta ma inesorabile come un lento cappio sceso dal cielo che, lentamente, lo tirava verso di sé. Le malelingue lo volevano maledetto, appestato, lebbroso, quasi come se il suo destino potesse essere malauguratamente trasferito a qualcun altro. Invece l'araldo era uno solo ed uno soltanto, e il destino lo seguiva perché lo aveva scelto. E insieme a quello cavalcavano i pregiudizi, le parole velenose. Bastava che un contadino lo guardasse negli occhi per vedere il male che riversava intorno a sé, destinato a disgregare ogni cosa. Gli indovini che tentavano di scrutare nel suo futuro vedevano lacrime, dolore, morte e freddo, gelido freddo. E il bianco eterno della neve. Il destino di Lomerin Volkoff era disegnato su di lui, perché non lo dimenticasse mai; quel disegno era un eterno monito della maledizione che pendeva su di lui. Intrecciato in sinuosi e affilati arabeschi intorno al suo braccio destro, esso gli sussurrava ogni giorno tutti i dettagli del suo fato, ripetendogli ogni secondo di ogni minuto ciò che persino gli indovini temevano di conoscere, distraendo lo sguardo terrorizzati. Quando l'inchiostro era scivolato denso dentro le sue vene non lo aveva sentito cercare la sua tana dentro la sua pelle come un serpente, tra i dolori che intanto gli stavano facendo impazzire le viscere. Alla fine il verme nero era emerso, scuro come la pece a contrastare il pallore diafano della sua pelle, a raccontargli l'unico e personale obiettivo della sua esistenza. Era stato Ashlon, l'ultimo dei Veggenti dei Predatori di Neiru, ad iniettargli il veleno dalle sue mani di fragile porcellana. La tossina aveva preso la forma di un inerte tatuaggio, ma soltanto perché il Randall era riuscito a sopravvivere ad un calvario che avrebbe potuto ucciderlo. E nessuno più insinuò mai che una sua freccia avesse mancato il bersaglio. Artefatto (tatuaggio) ottenuto qui; abilità passiva: + 1 cs MAESTecniche Almeno una delle frecce nascoste nella faretra di Freccia Precisa era sempre cosparsa, prima di qualsiasi battaglia, con uno speciale unguento capace di reagire immediatamente a contatto con il bersaglio. Il dardo esplodeva, incenerendosi e lasciando gravi bruciature sulla pelle di chi aveva la disgrazia di esserne colpito. Pergamena "tiro esplosivo" del cacciatore La collera delle facce-di-lupo (il canto dell'inverno, atto primo) Secondo la leggenda, quando il guerriero si vestiva con la pelle dell'orso e le navi si costruivano con il pino, l'uomo saggio del nord venerava con mistico timore e devozione i démoni della foresta, spiriti benevoli ai popoli dei ghiacci, ma forieri di una forza funesta. Il viaggiatore che si perdeva nei boschi e li scorgeva, nelle notti di plenilunio, li descriveva come lupi immensi grandi come il cielo e dagli occhi fiammeggianti come le stelle, tanto luminosi da indicargli la via del ritorno. Quando i popoli avidi dell'ovest portarono la loro guerra sulle montagne, i démoni-animali (warg) si schierarono con i popoli dei ghiacci e scesero su alcuni uomini valorosi (ulfhednar), donandogli la loro immensa forza. Ma i popoli dei ghiacci furono contagiati dalla malefica superbia e prepotenza dei loro vicini e dimenticarono ogni timore verso i grandi spiriti della natura, e senza nessuno che le volesse difendere le foreste sparirono sotto un manto di sangue, metallo e argilla. Ma i démoni, ignorati ma latenti, attendevano con tremendi silenzi la loro vendetta sugli uomini, incapaci di perdonare il loro tradimento. E i ancora una volta discesero su alcuni uomini valorosi, carichi di sentimenti negativi, crudeli e oscuri nel cuore, stringendo con essi un patto muto. Nell'attesa del giorno del giudizio, quando i grandi warg Hati, Sköll e Fenrir avrebbero divorato con voracità la Luna, il Sole e il padre degli dei degli uomini, Odino. Al calar del sole, quando la luce del crepuscolo illuminava come una fioca fiaccola la volta celeste, guardando sui boschi al di là delle colline si potevano scorgere le grandi sagome degli sciamani ulfhednar aggirarsi tra le fronde, e i loro occhi fulgidi di un bagliore scarlatto. Talora queste creature avevano l'aspetto di comuni uomini ma talora, quando l'ira prendeva il sopravvento, si trasformavano in forti e robusti lupi, dal manto lucente grigio e duro come l'acciaio, capaci di camminare su due zampe. Le mani, le cui unghie crescevano in lunghi artigli affilati, erano invece le loro letali armi, insieme alle fauci rosse che sorgevano al posto del vecchio viso umano. Non erano uomini, non erano bestie: il loro spirito reietto errava tra due indoli opposte. Ma la maledizione che li rendeva estranei ad ogni ordine li rendeva duttili, plasmabili, capaci di trarre la loro forza da entrambe; loro erano il cielo e il mare che spezzavano l'invalicabile confine dell'orizzonte, unendosi in un meraviglioso abbraccio. Eppure questi uomini-bestie, che se nel mondo animale venivano amati, rispettati e serviti nel mondo degli uomini erano rifiutati e temuti, erano più umani di essi stessi, che avevano smesso di esserlo: uomini falsi, schiavi di nuovi miti vacui, ignari di loro stessi e rei della loro stessa rovina, incapaci di abbracciare il loro lato irrazionale nel trionfo apparente della ragione. Uomini che verso loro controparti veramente umane provavano un senso indefinito di paura e timore, trovandosi di fronte a qualcosa che, non potendo definire all'interno del mondo favoloso che si erano creati, non potevano nemmeno controllare; trovandosi di fronte a qualcosa che potenzialmente poteva distruggerli, una splendida aberrazione della natura. Abilità razziale della progenie demoniaca, accompagnata da un amuleto lunare e da un'abilità personale passiva. La trasformazione ricombina le capacità straordinarie secondo lo schema: VEL 1, FRZ 3. La trasformazione può avvenire anche sotto la luce del sole. Le pergamene/abilità che normalmente offuscherebbero lo stato di coscienza del personaggio non sortiscono questo effetto.Le forze del male Tra le inumane capacità conseguite tra la faccia-di-lupo v'era una sovrumana forza fisica, sprigionata da una mente ormai privatasi di ogni pensiero ragionato e lucido. Talmente impetuoso e irrazionale era l'impeto della bestia che la sua mente, soprattutto dopo aver lanciato un assalto letale, si ritrovava confusa e disorientata dalla propria stessa forza. Questo inconveniente si rivelava però un vantaggio per le sue difese mentali, che divenivano impenetrabili agli attacchi degli stregoni degli avversari e che, per di più, si scoprivano insensibili al dolore fisico. Nei pensieri della faccia-di-lupo esisteva solo un lieve rimasuglio dei pensieri logici di un uomo, perché più che ogni altra cosa erano l'odio e la furia a guidarlo. Questo lo rendeva un potente alleato, ma anche un terribile nemico. Pergamena vuota "Inarrestabile" del guerriero; Pergamena "Carica violenta" del cacciatore Anche la difesa fisica della faccia-di-lupo era totalmente affidata ad un assai rudimentale istinto di sopravvivenza. Nei pensieri del lupo non esistevano previsioni, né alcuna forma di prevenzione: ma a questa mancanza provvedevano degli eccezionali riflessi e un'agilità che andava al di fuori della comprensione umana. Per questo non esisteva insidia che non potesse essere evitata da una simile creatura semplicemente spostandosi, rapida come una folgore. Pergamena "Inafferrabile" del cacciatore La caccia di Hati e Sköll (il canto dell'inverno, atto secondo) Primigeniti della stirpe dei warg, i lupi Hati e Sköll sposavano in un letale connubio la violenta voracia del genitore Fenrir e la subdola ambizione del progenitore Loki. Il loro sangue infonde nella genia del lupo un terribile talento di predatore naturale, ponendolo in una posizione di superiorità rispetto ad animali di stazza maggiore, ma con minore prontezza d'istinti. L'ambiziosa fame dei due warg li costrinse alla caccia più grande mai raccontata nelle canzoni, caccia nella quale acquisirono padronanza dei segreti dell'inganno, del sotterfugio, dell'imbroglio; e che alla fine li avrebbe condotti, al sorgere del crepuscolo e degli dei, a divorare le prede più grandi e succulente del nostro mondo: il sole e la luna, gli stessi astri da cui proviene la luce che dona e permette la vita. Fintanto che essi saranno ancora protagonisti del cielo, allora l'uomo dovrà guardarsi le spalle e temere le insidie dei fratelli Hati e Sköll.Trappole Tra le insidiose doti del Segugio c'era la capacità di sfruttare egregiamente la conformazione del terreno per portare immediatamente a suo favore le sorti di una caccia, a volte ribaltando improvvisamente una situazione critica. Era infatti capace di levare una terribile cortina di polveri e ghiaia in un terreno sabbioso, celando la propria presenza e ogni altra via di fuga alla preda che si trovava al suo interno, inerme e cieca. Invero sapeva anche trasformare la terra stessa in una terribile trappola, guidando l'obiettivo tra le sabbie mobili, o spingendola a sprofondare nel fango di una palude: in questo modo rallentava la sua fuga, guadagnando minuti o secondi preziosi. Pergamena "Trappola adesiva" del cacciatore; Pergamena "Trappola oscura" del cacciatore La fuga di Fenrir (il canto dell'inverno, atto terzo) Il potere di Fenrir, primo warg e progenie di Loki spirito del caos, era un afflato gelido e mortifero in grado di fermare ogni cosa in forme immobili, eterne, estinte. La sua forza trasformava tutto ciò che aveva intorno in uno splendido paesaggio di morte, inquietante e imperituro. Ogni paesaggio in sua presenza congelava in un terrificante deserto di desolazione e solitudine, a cui sembrava venir sottratto lo scorrere del tempo e il soffio vitale stesso. Così dall'ira rovente e furiosa di Fenrir, imprigionato dagli dei perché temuto per la sua forza, nasceva un fiato glaciale che spirava in forme di venti gelidi nelle montagne del nord, insieme agli umori che colavano dalle sue fauci, alimentando i fiumi che discendevano da quelle stesse montagne. Nell'attesa del giorno in cui le sue catene si sarebbero spezzate e la sua crescita smisurata, che gli aveva valso la paura persino del padre degli dei, Odino, gli consentisse di divorare l'intero mondo. La forza del freddo succhiava via la vita lentamente, in lunghi e disperati spasmi, seppellendo ogni esistenza in una tomba di nevi eterne: il ghiaccio si plasmava dal nudo nulla, come etere, in forme crudelmente letali che offrivano alle prede lunghi ed estenuanti calvari di tremori, abrasioni, scorticamenti prima dell'assideramento. E quando quei mezzi s'offrivano ad un'intelligenza umana rivelavano la loro capacità di realizzare una tortura straziante, crudele, mirata, oppure violenta e bestiale. Abilità personale variabile, elementale (ghiaccio) offensiva + abilità personale variabile, elementale (ghiaccio) difensivaScherzi di notte Non esisteva così limite al terrore generato dal nefasto sposalizio tra un crudele ingegno e la forza impietosa del gelo. Il ghiaccio emergeva dalla terra congelando le gambe delle vittime all'improvviso, come mani emerse dal nulla, in modo che non vi fosse nulla a poterle salvare dalle torture inflitte da Sangue Nero. Intanto il crudele servo del gelo si occupava dell'altra unica difesa del suo avversario, l'attacco, scagliando contro di lui un dardo di ghiaccio capace di congelare e così facilmente distruggere qualsiasi arma in suo possesso. E inoltre, non ancora soddisfatto del tormento inflitto, da quello stesso dardo si estendeva un sottile strato di ghiaccio la cui forza gelida ne ostacolava ancor di più i movimenti, tra atroci sofferenze. Pergamena "Rovi incatenanti" dello sciamano; Pergamena "Seme" dello sciamano Il dominio che Sangue Nero esercitava sulle forze fredde contagiava persino l'aria, come un miasma ammorbante. La sua vera forza erano le tempeste di neve e vento che ne seguivano il cammino, simili in tutto al fiato di Fenrir. La forza del vento era inclemente e distruttiva, la stessa alla quale nemmeno le montagne del settentrione riuscivano a piegarsi, scomparendo pian piano sotto i suoi colpi indiscriminati. Sangue Nero usava quella forza indomabile persino per difendere sé stesso, lasciando che il suo corpo divenisse inaccessibile, circondato da flagelli invisibili e gelidi, ai quali era impossibile resistere.Pergamena "Vento violento" dello sciamano; Pergamena "Scudo d'aria" dello sciamano Il canto dell'Inverno (epilogo) Infine quel morbo apprese come poteva diffondere la sua malattia e spargerla nel mondo sano degli uomini. Quella seppur splendida aberrazione si diffondeva come un cancro, come un parassita, raggiungendo i luoghi più remoti e nascosti che gli uomini maledetti ancora abitavano, realizzando così il grande inverno, il Fimbulvetr. Raccontato e temuto nelle leggende dei popoli dei ghiacci, il Fimbulvetr era un inverno lungo tanti inverni, e tanti primavere e tante estati, dominato dal buio e dal gelo e dalla violenza. Con le loro città invase dalla notte, dai lupi e dalle neve eterne che avevano visto soltanto nelle montagne, gli uomini avrebbero conosciuto il loro lato violento e bestiale in una cruenta lotta per la vita. Avvicinandosi inesorabilmente all'avverarsi della fine del mondo: del Ragnarök.
Il crepuscolo degli dei e degli uomini Discendevano dalle foreste come una valanga nera e grigia, portatrice di morte e distruzione. Quando una sola goccia del sangue dello sciamano veniva versata al suolo, era come se quel suono impercettibile vagasse nel vento attraverso montagne, fiumi, città e deserti. E quando la sua eco giungeva nei boschi, centinaia di occhi si illuminavano, centinaia di orecchie si tendevano, centinaia di fauci si schiudevano a parlare con il cielo e la luna. L'incubo arrivava in un'orchestra di ululati e ringhi, finché non arrivavano in branco a reclamare in un solo istante vendette mai vendicate, e non se ne andavano senza lasciare dietro di loro soltanto lugubri pozze di sangue nero imputridito e, in mezzo a quelle, impronte di zampe fresche come la rugiada. Uno scenario con tutta la fisionomia di un incubo. Abilità del talento evocatore, livello II accompagnata dalla pergamena "Affinità animale" dello Sciamano. A consumo medio e alto, è possibile evocare istantaneamente un numero variabile di lupi da utilizzare in combattimento. Essi saranno dotati di 3 o 5 CS a seconda del consumo, divisi tra le evocazioni richiamate. Indipendentemente dalle evocazioni, il personaggio sarà capace di superare la naturale ostilità di qualsiasi animale, sapendosene assicurare la fiducia. Equipaggiamento e oggetti (appendice prima) Non li si vedeva spesso insieme, ma l'arma prediletta del Volkoff era senziente e assai violenta. Bane era un cane-lupo di dimensioni eccezionali, che sfiorava al garrese i sette piedi, dal folto manto bruno e la pelle resistente come acciaio. Nelle sue vene infatti scorreva il sangue dei demoni di Baathos, rendendolo un animale unico del suo genere, ma non influenzava per nulla la sua indole di canide. Era stato infatti il rifiuto dei membri della sua specie a renderlo feroce e violento, in una forma di autodifesa per assicurarsi la difesa. Cresciuto, Bane era divenuto ragione di terrore per i lupi, ma anche per gli uomini che avevano la disgrazia di incontrarlo. Era stato l'incontro con il Volkoff a restituirgli l'indole canina, nella forma di una segreta empatia tra due anime solitarie incapaci di riconoscersi in alcun gruppo. Tra i due si costruì un rapporto di rispetto e ammirazione: pur mantenendo ognuno la propria solitaria indipendenza, spesso usavano muoversi insieme e trarre sollazzo dalla reciproca compagnia. Equipaggiamento naturale: pelle (armatura), artigli (arma) L'arma tipica del Volkoff era un arco lungo in legno di tasso e corda in trama di canapa: con la stessa arma Loki, genitore di Fenrir, spinse il dio cieco Hodr ad uccidere involontariamente il fratello gemello, Baldr. La sua seconda scelta era invece una daga, scelta per le sue caratteristiche di velocità e leggerezza. Riforgiata da una spada spezzata, l'elsa a doppio filo era in acciaio riforgiato per ottimizzare al meglio la resistenza. L'elsa invece era in cuoio, senza alcuna guardia per favorire la maneggevolezza. Numero frecce: 15 Infine il Volkoff portava sempre con sé un anello, assicuratogli al collo da una corda di canapa. Era il dono che le aveva regalato per suggellare la loro unione, un semplice anello d'oro con alcune incisioni lungo la sua superficie, scritte nella lingua degli elfi. Riepilogo tecnico (indice) Nome Lomerin Volkoff Razza Progenie demoniaca Talento Evocatore Classi Sciamano (primaria), Cacciatore (acquisita) Fascia Verde Pericolosità ?Capacità straordinarie | Umano | Mannaro | Maestria nell'uso delle armi | 1 | // | Forza | // | 3 | Intelletto | 3 | // | Agilità | // | 1 | Equipaggiamento Arco (15 Frecce) Daga
Oggetti Tatuaggio, artefatto Anello appeso al collo
Compagno animale Bane, cane-lupo
Abilità personali - Variabile offensiva, elemento ghiaccio (1/10) - Variabile difensiva, elemento ghiaccio (2/10) - Passiva, il personaggio mantiene la lucidità e riconosce amici e nemici anche dove indicato diversamente (es. Pergamena Berserk) (3/10)
Abilità razziale - Progenie demoniaca
Abilità di talento - Livello II
Abilità da artefatti - Passiva, +1 CS a Maestria nell'uso delle armi (Fiume del fato)
Pergamene - Rovi incatenanti, iniziale, Sciamano - Vento violento, iniziale, Sciamano - Seme, comune, Sciamano - Affinità animale, comune, Sciamano
- Trappola oscura, iniziale, Cacciatore - Trappola adesiva, iniziale, Cacciatore - Tiro esplosivo, iniziale, Cacciatore - Artigli, iniziale, Cacciatore - Inafferrabile, comune, Cacciatore - Carica violenta, ultima, Cacciatore
- Inarrestabile, ultima, Guerriero (pergamena vuota) Edited by Oblivion - 3/9/2014, 16:16
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