Asgradel - Gioco di Ruolo Forum GDR Fantasy

Posts written by Farka

view post Posted: 30/9/2016, 13:48 Assenze - Bacheca
Chiedo scusa per le due settimane di assenza ingiustificata. Entro l'inizio di ottobre dovrei tornare attivo (universitá permettendo)
view post Posted: 10/9/2016, 18:26 Cià - Presentazioni
Benv... * dissolvenza*
view post Posted: 5/9/2016, 17:45 Domande riguardo la correzione delle abilità - Domande e Suggerimenti
Sarebbe possibile proporre una passiva per cui gli attacchi fisici del proprio pg cagionino un danno addizzionale Basso per il turno di attivazione?
view post Posted: 29/8/2016, 18:00 Agosto 2016 - Contest mensili
Titolo: Neve
Tema: Famiglia
Link al contest: Link
Nome del personaggio: Jovil Varlamovich Bykov( l'elaborato non lo vede protagonista, tuttavia i personaggi coinvolti risulteranno misteriosamente legati ai suoi trascorsi- aspetto che svilupperò in altre giocate)
Link alla scheda: Link
Link al conto: Link

Edited by Farka. - 31/8/2016, 16:27
view post Posted: 29/8/2016, 17:25 Neve - Roesfalda

Neve
Contest Agosto 2016 - Famiglia


Rannicchiati sulla carcassa di un albero caduto, il vecchio ed il cane guardavano le montagne. La nebbia si allungava sulle creste, scivolava veloce tra i pini attorno. L’uomo osservava il galoppare delle nuvole dondolando il capo con disincanto, gli occhi gonfi, le mani avvinte alle ginocchia; ancora una volta il cielo magnanimo calerà un sudario sul cordoglio dei viventi, recitò a memoria dentro di sé, senza convinzione. La bestia slungava il muso ed uggiolava piano, il corpo folto di pelo nero acciambellato sul tronco morto; ancora una volta il vecchio rudere non si deciderà a muoversi sino a che non si sarà buscato qualche malanno, previde dentro di sé, senza parole per esprimersi. Sia il vecchio sia il cane fiutavano odore di neve. Nuvole basse, gonfie di tempesta si riversavano nelle valli lontane. Il vecchio amava la radura, il silenzio che si dilatava sino al firmamento e l’ombra distesa sul ciglio del bosco; quando il tempo si faceva aspro come allora, sentiva affiorare più forte in petto l’attrazione verso quel luogo, il tronco spezzato e le montagne coperte ed il cielo sfumato di grigio. Il cane per conto suo se ne sarebbe stato volentieri disteso al calduccio, ma chissà in quali guai sarebbe andato a cacciarsi l’uomo se nessuno avesse vegliato su di lui. Dacché la grossa bestia nera avesse memoria, nessuno si era mai preso cura del vecchio. Una stanza, un letto, un fiasco impolverato, un paiolo gorgogliante con dentro poco niente; parole affogate nel vino e grandi silenzi; un guscio elegante e consumato, ecco quel vecchio frusto accanto a cui aveva scelto terminare i suoi giorni. Era un uomo finito, per sua stessa ammissione. La mattina la passava ad osservare le cornacchie raspare la terra in cerca di semi e larve d’insetto per poi alzarsi in volo, circonfuse di fumo. Dopo aver messo qualcosa sotto i denti, imbracciava un’ascia consumata come le sue ossa e si inoltrava nel bosco; tornava accompagnato dal buio, chino sotto fascine di legna giovane che poi posava a stagionare lungo le pareti di casa. La sera accendeva il fuoco, versava il vino e se ne stava a guardare la legna sprizzare lapilli con gli occhi liquidi e tristi sino a che il sonno non gli si insinuava dentro. Quando le torride dita del liquore gli stringevano la testa improvvisava una danza. Ballava senza musica né seguito. Lo osservava volteggiare insieme alla polvere, le mani protese come a voler stringere a sé una presenza impalpabile che fluttuava nella stanza, un refolo di vento; come se la donna scomparsa che gli aveva segnato l’anima fosse sempre rimasta al suo seguito, pronta per un ultimo giro di valzer. Il povero bastardo se la rideva un po’, piroettava un altro po’, poi iniziava a farfugliare sottovoce, gli occhi foschi e velati. Il suono della sua voce giungeva al cane come uno spento guaito. Sulle colpe che opprimevano il cuore del vecchio il cane aveva presto smesso di interrogarsi; in fondo non erano faccende che competessero ad un animale domestico. Accompagnava la danza dell’uomo con un basso ululato, senza interferire nella sua richiesta di assoluzione ad orecchie ormai troppo lontane per potergli dare ascolto. Quando il vecchio cadeva stremato sull’assito lui gli si avvolgeva accanto, premendogli contro la coltre di pelo nero. Condivideva la vita dell’uomo da più di una decina di anni, eppure faticava ancora a capire cosa gli passasse per la testa. Quando i suoi consimili si ritrovavano soli, abbandonati dal branco, passavano il tempo a loro rimasto cercando un buco nella terra dove lasciarsi morire. Comprendevano all’istante che abbandonare la famiglia a cui si apparteneva voleva dire rinunciare al proprio posto nel mondo. Tradire o essere traditi, allontanarsi o essere allontanato, un cane senza branco non aveva alcun futuro. La vicinanza al vecchio aveva mostrato al cane lo scorcio di una realtà diversa, di cui spesso non si capacitava. Un uomo senza più nulla non avrebbe mai rinunciato a considerarsi un uomo. Portagli via la terra; egli ne soffrirà per un certo tempo, poi corrugherà la fronte, serrerà le braccia e si farà nomade. Portagli via il cibo; egli ne soffrirà per un periodo, poi lo stomaco gli dorrà tanto che ucciderà i suoi simili per un tozzo di pane. Portagli via la dignità; egli nemmeno ne soffrirà. Escludilo dal suo branco; egli ne patirà tanto da desiderare che i rapaci gli mangino le viscere. Allora sarai vicino alla sua distruzione: gli avrai svuotato lo sguardo della luce, piegato l’anima come un tralcio di vimini, ridotto in cenere le speranze. Un cane, o una qualsiasi bestia con un pizzico di sale in zucca, giunto a quel punto avrebbe già mollato la presa. Eppure gli uomini parevano non necessitare di un’anima per continuare a vivere. Ci si sente più leggeri senza niente dentro. Il vecchio lo ripeteva spesso; rideva ogni volta che gli toccava ripercorrere quelle parole. Un ghigno amaro e stanco.

L’uomo distolse lo sguardo dalla macchia di pini che si allargava davanti alla radura; si accorse che il cane si era alzato sulle zampe davanti e lo fissava ad orecchie basse. Passò la mano ruvida lungo il fianco della bestia, salendo sino alla collottola. A volte sembrava che quel paio di occhi volessero passarti attraverso. A volte sembrava che lui fosse in grado di fiutare la natura dei tuoi pensieri. L’uomo sorrise, premendo la mano sul dorso del cane per sentirne il respiro. Anche se sapeva che la memoria di un vecchio era una grossa giara piena di crepe, credeva sarebbe stato difficile dimenticare il loro primo incontro. Era un grumo di carne sanguinolenta riverso su una stuoia di muschio. Le dita del vecchio si mossero per istinto a cercare le lunghe cicatrici sotto la peluria del garrese. Il petto si alzava ed abbassava senza rumore, composto nella morte. Una bestia poderosa dal manto fradicio di sangue. Denti smussati dalla lotta, cranio massiccio, muso schiacciato. Occhi grandi e buoni. Ad una prima occhiata, considerando le sue dimensioni e l’entità delle ferite che gli erano state inferte, aveva stabilito dovesse trattarsi di un capobranco randagio, spodestato da un paio di esemplari più giovani con il fuoco nel ventre ed un demone nei testicoli. Condividiamo lo stesso destino, bastardo; bestie moribonde, abbandonate a se stesse, che non vedono l’ora di lasciarsi andare. Vediamo cosa si può fare per te. Se ti toccherà la malaugurata sorte di rimanere in vita, i nostri destini resteranno allacciati stretti. Lo sai questo? Si era trovato a pensare. Il cane già lo sapeva. In un primo momento si era tenuto a distanza: a quell’esemplare sarebbe bastato un guizzo di artigli per portargli via metà faccia. Aveva atteso che le forze lo abbandonassero del tutto prima di caricarsi il suo corpo gigantesco in spalla, come un grosso fascio di strami. Aveva pulito le ferite infette, eliminato i lembi di pelle tumefatta, ricucito e fasciato quanto era in suo potere. Se gli avessero detto che una bestia ridotta in quello stato potesse sopravvivere, non vi avrebbe dato credito; se poi avessero aggiunto che una volta in grado di reggersi sulle zampe non l’avrebbe più abbandonato, allora sarebbe scoppiato a ridere. Poteva una bestia senza padroni rattoppare il cuore sdrucito di un vecchio?

Infine si mise a nevicare; larghi fiocchi di neve fradicia. Nevicava sui picchi screziati di nembi neri. Nevicava lungo i crinali azzurri e nelle valli lontane. Nevicava sul limitare del bosco nella radura dell’albero secco, sui due cumuli di terra smossa dove in primavera l’erba cresceva di un verde più profondo, all’ombra dei pini. Il cane riusciva ancora a sentire l’olezzo grasso della morte promanare dai tumuli. Il vecchio non sentiva più nulla: erano passati troppi anni perché i sensi potessero riconoscere la sua carne ed il suo sangue impastati in quella terra. Il cane sapeva che i corpicini sepolti laggiù erano tutto ciò che rimaneva del branco del vecchio; non avevano mai conosciuto altro che la terra umida e buia. Il vecchio era un uomo finito, per sua stessa ammissione. La vita gli era scivolata via dal petto un pezzo alla volta ed ora la sentiva pulsare tutt’attorno, nella radura, nel velo di neve che si stendeva sul bosco, nelle ossa e nel sangue inumati nel profondo del suolo. Stava vivo per inerzia, recitando preghiere perdute e conversando a mezza voce con la femmina che aveva perso per sempre. Se il cane aveva in parte compreso cosa fosse un uomo lo doveva al vecchio ed a nessun altro. Fiocchi leggeri che fluttuano nell’aria; generati soli, nel loro tragitto si aggregano sino a formare intrichi fragili e maestosi. Il destino voleva si separassero prima di raggiungere il bianco manto convulso che si allargava sul suolo. Durava un istante, tempo di precipitare dal cielo. Eppure non esisteva nulla di più bello al mondo.

Rannicchiati sulla carcassa di un albero caduto, il vecchio ed il cane guardavano la neve.

Per prima cosa, urge premettere che Jovil, il mio personaggio, non è il protagonista dell'elaborato, tuttavia risulta ad egli collegato per vie traverse: lo scritto è il primo di una serie di capitoli che intendono gettare luce sui trascorsi e sull'avvenire di Jovil e della sua sfera familiare. Il tema della "famiglia" all'interno del contest è presente sotto due forme compresenti: la abbandono della famiglia biologica, lo sfaldarsi del gruppo relazionare in cui si oggettiva il bisogno di affetto primario dell'uomo ed in certa misura lo sagoma come tale e la capacitá di ogni essere vivente di riconoscere empaticamente i propri consimili "spirituali"(Dio, spero si capisca qualcosa) a prescindere dall'etnia o persino dalla razza biologica
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Edited by Farka. - 31/8/2016, 00:07
view post Posted: 28/8/2016, 10:35 Energia arcana 0 il folle - Confronto
CITAZIONE (miky1992 @ 28/8/2016, 10:31) 
ok sono successe cose e ho dovuto posticipare

ditemi se i colori sono troppo fastidiosi!!!!!

No, affatto, per quanto mi riguarda :nono: oggi stesso aggiungerò lo specchietto riassuntivo nel mio post precedente.
view post Posted: 18/8/2016, 14:10 Hey - Presentazioni
Comunque vada il benvenuto non te lo toglie nessuno :nono:
view post Posted: 17/8/2016, 07:50 Energia arcana 0 il folle - Confronto
Certo, appena rincaso modifico, grazie della dritta.
view post Posted: 17/8/2016, 06:42 Energia arcana 0 il folle - Confronto
A otto ore di distanza, avverto del postaggio
view post Posted: 16/8/2016, 23:01 Energia arcana 0 - il folle - Plaakar

Energia Arcana 0 - Il Folle

I


“Ricordati di dimenticare la paura…”

La giungla era un soffocante viluppo di tenebre. Marciavano da giorni a tappe forzate per penetrare nel cuore buio della vegetazione, dove la vita proseguiva sottovoce e dai tralci in rigoglio stillava acqua scura. Il cuoio liso degli stivali affondava nella mota nera; il fango lambiva le caviglie ed inzaccherava i vestiti. Una cupola di liane e foglie palmate si allungava nel fitto della giungla, coprendo il sole ed il cielo. La compagnia guadava stagni paludosi ed aggirava intrichi di radici che si sollevavano dalla terra, antichi quanto il continente; non accennava a fermarsi sino a che la vista non era del tutto interdetta dall’oscurità.
Gli uomini erano scontenti e a disagio: si lamentavano quando arrivava il momento di smontare il campo, si lamentavano durante le ore di fatica, di nuovo si lamentavano quando dovevano stabilire i turni di guardia e preparare tendaggi per la notte; Jovil non ricordava di aver mai udito tanti piagnistei nemmeno da lattanti in fasce, ma si era convinto presto che da uomini di quella pasta c’era poco da aspettarsi. Al momento della partenza, quando ancora la compagnia si trovava riunita alle porte di Tanaach, il Senzaterra aveva potuto rendersi conto della gente con cui nei giorni a venire avrebbe dovuto condividere tutto, dal cibo all’aria che respirava; da quel primo esame non era uscito per nulla rincuorato: le reclute di cui la spedizione si componeva erano, con poche eccezioni, poco più di una masnada di tagliagole e ladruncoli da bisca, topi di città che una volta alzato il muso dal piscio della suburra perdevano la bussola e commettevano idiozie su idiozie tali da mettere in pericolo l’impresa e chi si trovava a farne parte.
Non che Jovil si considerasse tanto migliore di quella torma di disperati, ma almeno era certo di saper passare una notte all’aperto senza che le bestie gli mangiassero il cuore. Il Senzaterra taceva per la maggior parte del tempo, sia in cammino, sia una volta preparato il bivacco; schiudeva le labbra per sputare o bestemmiare. Sentiva di non avere nulla da spartire con quei compagni occasionali e non credeva che la storia della sua vita potesse essere un importante argomento di conversazione attorno al fuoco, al contrario di molti laggiù. Dopo giorni di cammino senza posa, in cui solo la penombra che filtrava dalla volta verde permetteva di distinguere il giorno e la notte, Jovil cominciava a convincersi di essere incappato in un’enorme fregatura. Una spedizione d’esplorazione un poco rischiosa ma molto remunerativa, con queste parole l’aveva definita Kudin di Qashra; il rigattiere che stazionava ad ogni luna nuova nell’angolo più sordido del Mercato di Ladeca lo aveva invitato a chinarsi, si era sporto su quelle sue piccole gambe scricchiolanti e, le labbra del nano protese sino a sfiorare il lobo del suo orecchio, aveva pronunciato le due sole parole capaci di risvegliare il suo interesse nelle cose del mondo: soldi facili. Eppure sentiva in ogni fibra dolente della sua anima di starsela guadagnando quella fottuta pagnotta. Aveva il cuore intatto ed il corpo abituato alle privazioni della vita nei boschi; sapeva procacciarsi cibo e acqua ove necessario ed in generale rimediava da sé alle proprie mancanze, senza dover nulla a nessun altro. Ma la giungla non concedeva nulla agli stranieri.
Quello che poco dopo essersi inoltrati dove il fogliame infittiva era una stupida suggestione, ora era una serpe nera che gli succhiava il cuore. C’erano orecchie, nella giungla, che ascoltavano il rintocco di ogni loro passo. C’erano occhi, nella giungla, che guardavano, guardavano sempre. C’era qualcosa nascosto nel vento che geme tra il folto degli alberi, come il fioco lamento di un vecchio; qualcosa che conosceva solo la tenebra, la tenebra che ascolta e non parla mai. Il tormento si dibatteva nel fondo delle sue viscere quando chiudeva gli occhi, come se volesse bucargli il costatato e strisciare lontano.

“Ricordati di dimenticare la paura…”

Ripeteva dentro sé; gusci di parole vuote, reliquie di un passato che non lo accompagnava più. Biasimava se stesso e la sua codarda memoria per aver disseppellito ogni sillaba di quella frase, eppure sentiva il bisogno di custodirla e ripercorrerla a mezza voce, talvolta sorridendo, talvolta corrugando il volto, talvolta mescolando il suo silenzio a quello degli alberi e della terra attorno. Perché aveva paura, Jovil, ma aveva una troppo alta idea di sé e le tasche troppo vuote per tirarsi indietro. Anche gli uomini con il passare dei giorni diventavano sempre più ansiosi e suscettibili, come bestie in gabbia. Passò poco tempo prima che ci scappasse il morto. Fatalità o leggerezza che fosse, una morte senza spiegazione proprio a quel punto del viaggio minò la dedizione di molti. La maggior parte degli uomini nel futuro non vedeva il denaro sonante che spettava loro al momento del ritorno a Tanaach ma riusciva a scorgere solo un tumolo di fango ai piedi degli alberi, una tomba senza nome. Jovil stesso si trovò a considerare se il gioco valesse davvero la candela. Sempre più uomini tiravano le cuoia scossi da fremiti febbrili e la voce di un’epidemia che si stava diffondendo fra i membri della spedizione cominciò a scivolare nei discorsi che si facevano attorno al bivacco. Soltanto Keila, la committente, sembrava non vacillare. Già una volta aveva salvato la riuscita della sua stessa spedizione, lanciandosi sulle bestie che stavano saccheggiando le loro provviste con una prontezza che Jovil di certo non si sarebbe mai aspettato da una che, almeno all’apparenza, sembrava ancora portare tracce di cipria sotto la linea degli occhi. Jovil si sentiva come trascinato dalla caparbietà di quella donna; benché avesse tutto l’aspetto ed il patrimonio di una sofisticata nobildonna, aveva dimostrato di avere più esperienza ed attributi della metà di tutti loro e questo, come era inevitabile, lo attraeva. Proseguì senza fiatare, chiudendo nel petto le esitazioni e la paura. Nei giorni che precedettero l’arrivo a destinazione, la compagnia si sfaldò: provviste ed equipaggiamento di chi aveva deciso di restare erano sparite; la tenebra restava muta ad avvolgere il mistero di quella notte. A quel punto, considerò Jovil frustrato e stordito, tornare sui propri passi era impossibile: niente equipaggiamento per affrontare un ritorno preventivo, niente mappe per ritrovare il tracciato percorso dalla compagnia in precedenza; disperdersi nella giungla era forse la scelta peggiore che poteva essere fatta in quel caso. Contrariato, come in trappola, Il Senzaterra seguì Keila ed i pochi rimasti sino allo scoprirsi del cielo.

La giungla attorno ai ruderi era rada e quieta; sterpi e rampicanti si aggrappavano alla pietra scura del tempio, risalendone le pareti. Jovil considerò incuriosito la struttura, la luce che ne penetrava le crepe, la giungla che premeva all’intorno: quella era la meta della spedizione, il mistero custodito in fondo alla notte, inghiottito dal Plakaar. Si trovò ad ammirarne la geometria semplice e la struttura massiccia ed inusuale, tentando senza successo di interpretare i segni che il passato aveva tracciato sulle pareti. Spostò uno sguardo accigliato sul portale d’ingresso: risultava sigillato, a prima vista impossibile da scardinare; qualche bestemmia dopo, notò una fila composta da tre rocce regolarmente distanziate, su cui era incisa la frase “Uno spirito forte risiede in una mente forte ed in un corpo forte”. Un codice da decifrare; nessun altro indizio a disposizione se non le parole “corpo” “mente” “spirito” riportate sui blocchi di pietra, sotto ogni incisione. La voce di Keila giunse indolente, un lento sospiro.

“Qui sta a voi …”

Una pioggia di sacramenti affiorò sulle labbra di Jovil; di teste pensanti in quella spedizione ne erano rimaste poche e la sua non era certo tanto raffinata da poter risolvere enigmi di sorta. Scoccò un’occhiata in tralice ai compagni rimanenti; fatto salvo un tizio dal volto pallido ed emaciato, nessuno dei presenti pareva sapere il fatto suo. Cominciò ad aggirarsi tra le rocce raspando, tastando, spingendo senza nessun risultato. Si sentiva vulnerabile, goffo e stupido; in lui la pazienza lasciava luogo all’irrequietezza. Le rocce erano la chiave per accedere al tempio, doveva essere così per forza di cose: non si spiegava altrimenti la loro presenza in quel luogo; ma su come interpretare l’iscrizione, potesse marcire nell’abisso dei demoni, non aveva davvero idea. L’impazienza cominciava a sollevarglisi dento, come un grigio maroso, a mugghiare come vento di bufera. In breve si trovò furente come un bufalo di pianura perseguitato da uno sciame di zanzare. Decise in un istante che avrebbe estorto con il ferro il segreto della pietra. Snudò Desperia, da lui inseparabile e solo a lui fedele, nell’atto di vibrare una bordata alla prima roccia a tiro e così sfogare la rabbia che gli era montata in cuore. Alzata la testa dell’arma, Jovil allibì. La roccia aveva preso a soffondere tutt’attorno un leggero lucore; “corpo” diceva l’incisione su di essa. Rivolse un’occhiata incredula alla compagnia, mal celando il proprio stupore. Il funereo uomo che l’aveva accompagnato sino alle soglie del tempio risolse l’altra parte del mistero. Le rocce cominciarono a rilucere di un bagliore accecante e si udì come un cigolio di cardini in lontananza.
Tre incisioni, tre indizi, tre prove. I cancelli del tempio si schiusero, rivelando una bocca di tenebra pronta ad accogliere gli esploratori. Jovil, in palpabile imbarazzo, rideva sguaiatamente e carezzava l’elsa della propria arma, nel tentativo di coprire la propria impulsività sotto una patina di autoironia.

Ora ciò che rimaneva della compagnia si muoveva verso l’interno del tempio; Jovil seguì le loro orme nella mota, lo sguardo rivolto all’arcata del tempio, alle imposte schiuse, all’oscurità oltre di esse. Una vaga inquietudine accompagnava il moto dei suoi pensieri; come se stessero per farsi strada nelle viscere del pesce primordiale che, nel lontano Nord, si credevano grembo di ogni cosa vivente; come se stesse per avvolgerli un’oscurità remota, antica, la stessa di quando il tempo non esisteva ed ogni cosa era imperitura e perfetta.

“Ricordati di dimenticare la paura, Jovil”

All’intorno la giungla taceva.



CITAZIONE
Inoltre varie abrasioni, lividi e cicatrici indelebili hanno insegnato al Senzaterra che un nemico senza armi in pugno è senza dubbio un nemico meno pericoloso; egli è in grado di rendere inutilizzabile o innocuo un equipaggiamento, individuando i punti deboli di un oggetto per intaccarne la struttura con una bordata oppure disarmando i propri nemici.
[ Pergamena del Cacciatore “Distruzione minore”(Natura Fisica) (Consumo di energia Basso)]

La tecnica utilizzata è di Natura Fisica e cagiona un consumo di energie Basso. In confronto avevo scritto diversamente, tuttavia credo che al fine della risoluzione dell'indovinello non vi sia nessun intoppo formale nell'utilizzo della sopra citata anziché della personale a consumo Alto che avevo menzionato nella discussione in confronto. Oltre a ciò, ho presentato la risoluzione di parte del quesito da parte del mio personaggio come un fatto in buona parte casuale perché credo gli corrisponda di più :rotfl: spero non vi siano problemi.

Detto ciò, a voialtri :ponpon:
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